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Autore: Brume    16/07/2020    1 recensioni
Laurent Reve Grandier Jarjayes arriva in Normandia una sera di giugno.Dovrebbe fermarsi un paio di mesi, ma finirà per viverci.Devastato dal dolore, inizia a scrivere un diario, testimone di un viaggio fatto di ricordi, pensieri, sogni; vi riporterà i suoi pensieri, i suoi sogni, i ricordi e piccoli segreti -che non conosceva e man mano scopre- che lo aiuteranno a ricostruire la storia della sua famiglia ed a crescere, arrivando oltre a ciò che aveva immaginato.
NB I disegni sono realizzati da me con tecnica mista, acquarello , matita, china
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Oscar e Andrè'
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1821

François e Victoria si sposarono la terza settimana di luglio, nel magnifico giardino di casa Girodelle dove i due ragazzi pronunciarono i loro voti , emozionati, davanti ad un prete che in via del tutto eccezionale accettò di entrare in quella casa senza molte storie anche se la pancia di lei cominciava a vedersi. Era una giornata di festa dove nulla fu risparmiato per renderla indimenticabile sotto molti aspetti; l' unico viso triste era quello di Rosalie, che li guardava commossa, forse ripensando a quel giorno di moltissimi anni fa in cui lei e Bernard pronunciarono gli stessi voti: erano anni pesanti, vivevano in poco spazio, si bastavano a vicenda...quante volte riuscivano a malapena a sfamarsi , quante ore passate a cucire o in ufficio...poi quella parentesi, in Normandia, con Oscar e Andrè...si erano ritrovati tutti. Tempi che non sarebbero più tornati; non sarebbe più tornato quel giovane rivoluzionario che con le sue parole aiutò molte persone e con il suo fucile salvò la vita a molti, nelle vie adiacenti la Bastiglia.

...

“Rosalie...zia Rosalie!” disse Reve con voce dolce, vedendola assorta e pensierosa. Lei sollevò la testa, osservando gli stessi occhi di Oscar e restando, per un momento, con il fiato sospeso.

“Rosalie, so che Bernard ti manca...manca a tutti, in primis a François....” disse Reve, mentre cullava Adrien per farlo addormentare, seduto su quelle panchette in mezzo al prato.

“Mio caro ragazzo...perdonami, ero immersa nei miei ricordi” rispose lei, cercando di ricomporsi e lisciando nervosamente la gonna dell' abito; Reve le prese la mano e Diane, seduta sull' altro lato, posò un braccio intorno alle sue spalle; tutti e tre osservarono la cerimonia, silenziosi.

François, emozionato, osservava la donna dai capelli rossi della quale si era innamorato pazzamente, ricambiato. Reve pensò alla sua infanzia, a loro da bambini, alla forte amicizia che li legava; pensò a ciò che era successo ed alle decisioni che avevano preso, ed a tutto ciò che era successo dopo. Sorrise, pensando a quanto erano cresciuti; poi tornò in Normandia, alla prima volta che incontrò François ed al nascere di quella amicizia che li aveva resi quasi fratelli. Che grazia aveva ricevuto la sua vita, nonostante tutto; una famiglia, un grande amore, amici fidati.

“Ehi, Reve, che fai? Ora è il tuo turno?” chiese Diane, sorridendo, notando gli occhi lucidi di lui.

“Ma che dici” rispose, ridendo, stando attendo a non svegliare il piccolo “ stavo solo pensando ad una cosa”.

Diane sorrise, si sistemò i capelli e continuò a seguire la cerimonia , che stava ormai volgendo al termine.

 

Erano tempi felici, quelli; Victoria e François avevano coronato il loro sogno, e anche se alcune nuvole si stavano palesando all' orizzonte, non pensarono al futuro ma solo a godere di quegli attimi . Rosalie, Reve, Diane ed i bambini, Girodelle e Alain erano tutti li davanti a loro e danzavano felici a piedi nudi, sul prato.

 

1825

Dalla finestra dello studio dove spesso si rintanava a leggere, soprattutto durante l' autunno, Reve osservava il lago, le sue acque calme; guardava i monti, nemmeno tanto lontani, e l' andiririvieni di carrozze, persone, animali. I bambini, cresciuti, scorrazzavano per le stanze facendo impazzire Diane, che spesso li trovava sotto il letto o negli armadi a combinare disastri, o peggio, a fare impazzire quel povero cane, che si faceva fare di tutto, senza mai lamentarsi...

In quello studio talvolta i bambini venivano a cercarlo, e lui se li prendeva sulle ginocchia, prima l' uno e poi l' altra, raccontandogli favole o semplicemente costruendo discorsi assurdi che solo i bambini ti fanno fare.

 

“Papà, chi sono quei signori? E quel bambino?” chiese il bimbo con la sua voce incerta, un giorno, indicando il quadro che ritraeva lui, Oscar e Andrè appena arrivati a Nyon.

Reve, che stava parlottando con Diane riguardo ad una notizia che aveva appena ricevuto da Martin, si girò e cercò di capire cosa intendesse; vide Adrien avvicinarsi alla parete dove era appeso il quadro. Il piccolo ripetè la sua domanda.

“Papà...chi sono..questi signori?”

Reve si avvicinò, lo prese in braccio.

“Adrien, loro sono i tuoi nonni” rispose lui, con la consueta gentilezza.

“ma io il nonno ce l' ho già, è nonno Allo!” disse , storpiando il nome e facendo una faccia buffa.

“Adrien, papà intende dire che sono gli altri nonni..” disse Diane, prendendogli la manina. Il bimbetto li guardò con occhi interrogativi, passando dal viso di Reve e quello di Diane. Per non compicare ulteriormente le cose – la genealogia era un tantino prematura, per quei due frugoletti – Reve lo prese con se.

“Ascolta, Adrien, ora ti racconterò una storia. Vuoi?”

Il bimbo , curioso, accennò con il suo visino; Reve si sedette, e prese la mano del bimbo, indicandogli le figure.

“Adrien, quella signora bionda è la mia mamma, e quello accanto il mio papà..ed in mezzo ci sono io; la mia mamma si chiamava Oscar e per tanto tempo è stata un soldato, sai? Il primo soldato donna. Non ci credi? Chiedi a nonno Alain; sia lui che il mio papà, Andrè, hanno fatto i militari con lei. Si sono innamorati, proprio come me e la mamma; poi sono nato io.” disse Reve. Quanta dolcezza nelle sue parole. Il piccolo Adrien rimase affascinato, soprattutto dalla figura di Oscar.

“Ma papà, la nonna era un soldato? Davvero? “ chiese senza staccare gli occhi dalla figura.

“Si, Adrien. Davvero”. Rispose ancora lui “ lo erano sia la nonna che il nonno...te l' ho detto, quando sarai grande ti dovrò dire tante cose”.

“E quando diventerò grande?” chiese il bimbo

Alain spuntò dalla porta , tenendo per la mano la piccola Aurore.

“Chiedevi la stessa cosa ai tuoi genitori, ogni santo giorno” disse Alain a Reve, ridacchiando.

“nonno, nonno, è vero quello che mi ha detto il mio papà?” chiese il piccolo; Alain si piegò sulle ginocchia non senza fatica e lo chiamò a sè. “Si, piccolo mio. Io c'ero, ho conosciuto i tuoi nonni, sai? E mi ricordo anche di quando nacque il tuo papà. E' tutto vero, posso giurarlo” rispose Alain, prendendo la manina di Adrien e baciando le piccole dita paffute.

“E dove sono, ora, i nonni?” chise Aurore, con la sua vocina.

“Sono volati in cielo, sopra le nuvole. ” disse rivolto ai bambini.

Adrien e Aurore fissarono quel vecchio dagli occhi azzurri, e poi, come solo i bambini sanno fare, buttarono le braccia al collo. “Però tu non andare via” disse Aurore “resta sempre qui con noi. Non andare sulle nuvole”.

Reve, alzatosi, si avvicinò a Diane e guardarono quella tenera scena.

“no, non andrò mai via di qui” disse Alain “..ehi...che dite, andiamo in giardino a raccogliere i fiori?” disse lui, tenendosi stretti i nipoti, chiudendo le braccia come a proteggerli; poi rivolgendosi a Diane e Reve, sottovoce:

“ragazzi, tengo io i bambini. Prendetevi un pò di svago” disse Alain, rivolgendosi ai due adulti.

“sei sicuro, papà?” chiese Diane,

“ Andate, non preoccupatevi; nel caso, ci sono le domestiche, se dovesse servirmi qualcosa. Prendetevi un pò di respiro. “Aurore , Adrien, che ne dite se poi ci rotoliamo anche nel prato?” disse facendo loro l' occhiolino; i bambini, entusiasi, lo trascinarono giù per le scale canticchiando allegramente.

 

In riva al lago.

“Diane, che bello, un momento solo per noi” disse Reve sedendosi al tavolino di un caffè.

“ Ci voleva, vero?” rispose lei, aggiustandosi il cappellino ed la gonna “ io li amo, ma a volte vorrei avere davvero più tempo per noi...ora che possiamo permettercelo” .

Reve allungò la mano a prendere la sua.

“ Spero che sia così ancora per molto tempo, mia cara... questi ultimi anni sono stati davvero una corsa dietro l' altra... “ rispose lui.

Il cameriere portò loro un succo di mela e della limonata, insieme ad una fetta di torta; intorno a loro la vita scorreva tranquilla. Le loro chiacchiere si fermarono solo un attimo.

“ si, hai ragione, Reve....chi lo avrebbe mai detto che la nostra vita avrebbe preso una piega tale...” rispose lei “ abbiamo poco più di trent' anni e mi sembra di averne viste già abbastaza”.

“Diane, non so cosa avrei fatto senza di te.” disse serio lui, allungando la mano per accarezzargli i capelli che fuoriuscivano dall' acconciatura; lei lo fissò e non disse nulla; osservò quell' uomo cresciuto in fretta, arrivato a Parigi per fuggire da chissà cosa, con molte domande ancora nella testa e un destino già scritto. Osservò i suoi capelli neri sui quali spuntavano qua e la sfumature grigio chiaro, accarezzò con lo sguardo la pelle e quell' accenno di barba ma soprattutto fissò quegli occhi forti, poteti.

Reve non era destinato a cose normali, lo conosceva, lo sentiva. Prima rassegnata e poi fiera di quella famiglia così presente, di un destino forse già scritto.

“Ti manca Parigi?” chiese Diane. Reve lasciò vagare lo sguardo, prima di rispondere.

“Mi manca ciò che stavo costruendo. Mi mancano i miei sogni. La scuola, la libreria, il palazzo. Mi manca Alexander, tantissimo” rispose lui.

“manca anche a me” disse Diane.

“ chissà che fine hanno fatto tutti quelli che conoscevo....Villèlè ci è andato giù duro fino ad ora ed il nuovo re, Carlo, non promette bene... ma credo che non manchi molto , la gente è stanca. Martin mi ha scritto dicendo che è sempre peggio e che ci si avvia verso una seconda rivoluzione”.

Diane mangiò un pezzo di torta, lasciò che i pensieri di entrambi vagassero.

“Qualsiasi cosa accada, promettimi di non lasciarmi mai. Ti amo, ti seguirò ovunque andrai. So che i tempi non saranno sempre così felici, purtroppo, e che quando torneremo in Francia dovremo affrontare molte cose. Ma ti prego, non fare nulla senza di me. Voglio condividere tutto, con te” disse lei all' improvviso.

“Ma Diane,che dici? Certo che staremo sempre insieme...qualsiasi cosa accada! “ esclamò Reve, facendo girare un paio di avventori che lo guardarono di traverso.

“Sai cosa intendo. So che quanto torneremo in Francia tu non starai fermo, ma andrai diritto dove vuoi arrivare...ti conosco, amore mio” rispose lei con un sorriso che illuminò gli occhi.

Il vento del tramonto iniziò a soffiare. “Mi leggi dentro, Diane. Non posso nasconderti niente, e non voglio farlo. Si, quando torneremo riprenderò ciò che ho abbandonato... ma tu e i nostri figli non dovrete temere, vi difenderò con i denti, vi proteggerò da qualsiasi cosa. Quello che abbiamo fatto e che faremo è anche e soprattutto per loro” disse.

Prese la mano della moglie e la tenne stretta, fino a farle male; poi lasciarono alcune monete sul tavolo e si alzarono.Camminarono insieme lungo la riva del lago, come due persone qualsiasi.

Un ragazzino, ben vestito, strimpellava una chitarra fischiettando una melodia lenta e dolce, rivolgendosi ad una ragazzina seduta accanto a lui, che lo fissava con gli occhi liberi e profondi della giovinezza appena iniziata. Fu un incanto vederli, tutto si fermò in quell' istante.

 

 

1828

Avevano appena finito di cenare, tutti insieme come ogni giovedì sera; le donne di servizio si erano appena ritirare insieme ad Aurore, Adrien e Bernadette ,la figlia di Victoria e François. Le lezioni con l' istitutrice e con l' insegnante di musica – cosa sulla quale Girodelle aveva insitito parecchio – li rendevano, a ora di sera, completamene esausti.

François si avvicinò a Reve. “Villèlè si è dimesso” disse, mostrandogli un foglio di giornale.

Reve, intento a leggere ben altro,sobbalzò dalla sedia.

“Cosa dici, François?” chiese, lasciando ciò che stava facendo per ascoltarlo.

“I liberali hanno fatto pressioni, lui ha fatto un pò di numeri ed ha richiesto le elezioni, ma ha perso...e ieri, 5 gennaio, si è dimesso” disse François indicandogli le parole esatte.

Reve prese il giornale e iniziò a leggere, poi lo posò. Diane, Victoria, Girodelle e Alain lo guardarono. Non riusciva a trattenere le lacrime...era finita: potevano tornare in Francia, senza particolari paure; quell' uomo ed i suoi compari, che lo avevano preso di mira, finalmente era fuori dai giochi. Non era scomparso, ma si sarebbe ritirato a vita privata, probabilmente lontano da Parigi, tornando nella sua città natale, Tolosa.

“Reve, non sarà facile, ma possiamo tornare in Francia... tra le altre cose, sembra che la rivoluzione si avvicini. Ciò che pensavano si sta avverando. Il popolo si è stancato. Possiamo tornare a continuare ciò che abbiamo lasciato in sospeso e vendicare i nostri” disse François, infervorato, gli occhi accesi.

I due uomini, occhi negli occhi, lasciarono calmare i batitti dei loro cuori. Reve si alzò, fece alcuni passi, mise le mani in tasca.

“François, abbiamo dei figli ora, sei sempre dell' idea di proseguire? Perchè io andrò avanti” disse Reve girandosi verso i presenti ma soprattutto verso Diane. “ La mia strada è quella. Voglio stare vicino al popolo e finire ciò che hanno iniziato i miei genitori”.

“Io ti seguirò; sei mio fratello. I miei genitori lo erano dei tuoi. “ disse François. Victoria non disse nulla, ma si allontanò con una scusa.

Girodelle, dal canto suo osservava i ragazzi, silenzioso, volgendo di tanto in tanto lo sguardo verso Alain ma senza dire nulla.

“Seguite il vostro cuore, ragazzi. Avete avuto tempo per pensare e per organizzare le cose. So che tu, Reve, sei riuscito a rimetterti in contatto con alcuni dei tuoi, qualche tempo fa. Hai già parlato loro ?” disse Alain.

“Si, ho ripreso i contatti con Maurice, Luc, Martin....” rispose lui “ e Diane ha sentito anche le loro compangne; ci siamo conosciuti alla scuola....”

“François? ” chiese Girodelle

“ Io andrò con Reve...” rispose l' uomo “ potremmo partire non appena la neve ci dia tregua...”

“ ...e mia figlia? Verrà con te?”

“Questo non lo so, Florian...non mi ha mai espresso nulla al riguardo” rispose François con un velo di tristezza sugli occhi.

“E sia...” disse Girodelle;la sua voce era stanca, debole. Anche il suo corpo lo era. Ma il suo spirito continuava a dare forza a quella nuova generazione, che lo rendeva fiero.

Si, sapeva che quell' idillio di quegli anni non sarebbe stato un “per sempre” ma si trattava di una meritata e dovuta parentesi in cui mettersi in salvo e in cui tutti poterono assaporare uno stralcio di vita per così dire normale...ma non pensava che le cose sarebbero state così improvvise.

L' uomo si girò verso Alain.

“Siamo vecchi, Alain” disse girandosi verso l' amico “ a noi non resta che stare a guardare i nostri ragazzi....”.

“No, Girodelle. Se servirà , io darò una mano ai miei ragazzi. Sono nato soldato, e se serve, morirò da soldato” rispose, lasciando a bocca aperta tutti.

“Che tu fossi pazzo, l' ho saputo dal momento in cui ti ho visto nei soldati della guardia metropolitana “ disse Girodelle con un sorriso “ ma ricordati, gli anni sono passati per tutti...anche se sei più giovane di me, Oscar e Andrè, sei sicuro che le tue ossa reggano?”

“Mi sono fatto nei bassifondi, Girodelle” rispose riprendendo il tono leggero dell' amico.

“Papà, ne sei certo?”

“non dire niente altro, Diane. Si, ne sono certo Sono scappato abbastanza, nella mia vita,per fuggire ad alcuni ricordi; ma sono nato soldato e, se devo, la concluderò come l'ho iniziata, con un fucile in mano”. Rispose, serio.

 

***

“Temo che mio padre sia davvero convinto” disse Diane, girandosi sul fianco verso Reve, che si era appena seduto sul letto e si stava infilando la camicia per la notte.

“Lo temo anche io. Ma non so che dire. Se quello è il suo volere, lo rispetterò” rispose lui, infilandosi nel frattempo sotto le coperte.

Diane si avvicinò al marito, che la accolse sul suo petto, tenendola stretta.

“Diane, mi dispiace averti trascinato in questa storia... te lo chiedo l' ultima volta: tu ed i bambini volete rimanere qui? Per me non ci sono problemi...” disse.

Diane si sollevò e si mise a sedere, lasciando che i suoi capelli sciolti andassero a posarsi sulla camicia da notte , e lo fissò seria.

“Spero tu stia scherzando...sai come la penso...e te l'ho anche ripetuto”

“Allora è deciso. Torniamo in Normandia” disse lui “ cosa ne dici?”

Lei non rispose; la luce delle candele si andava affievolentendo su quella giornata, lasciando che la notte avvolgesse qualsiasi cosa, comprese le parole ed i gemiti dei due amanti stretti in un abbraccio senza fine.

   
 
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