35.
Tutti al manicomio...
“Sei
stanca?”.
“N… no”.
Sono
al decimo giro di corsa. Chiaro che ne tollerano molti di più di così di solito
ma sono un filo fuori forma, basta un giorno senza allenarsi e ciao, si perde
fiato.
Inoltre
non sono nei loro corpi originari. Non sanno come gestirsi e questo rende tutto
più difficile.
Il
parco di Tokyo è un posto tranquillo. A quell’ora si incrocia appena qualche
passante che fa jogging, nulla di che.
Momo
alla fine si è pentita di aver avuto quel crollo con Uraraka,
l’altra sera.
Ma
non ce la faceva più, quel dubbio le aveva messo radici in testa e se non se ne
liberava, sarebbe soffocata.
Ora
si sente più serena. Cioè, serena per quanto concerne la situazione.
Ha
trascorso il pomeriggio del sabato a studiare, o meglio a fingere di farlo. E’
andata a letto con ancora quel rovello, e si è svegliata con la stessa cosa in
testa. Quel dubbio. Quel “faccio bene o male?”.
Shouto è andato a trovare sua madre, il
giorno prima, sabato. Di solito si trattiene lì anche gran parte della domenica
e rientra prima del coprifuoco, alle nove e mezza.
Quindi,
ecco sì. E’ bene che lo faccia anche stavolta.
Le
servirà un bel po’ di tempo per smaltire la vergogna accumulata in un solo
mattino.
Già
dopo essersi svegliata, era andata incontro all’ormai familiare … “reazione”
mattutina che aveva già sperimentato con Midoriya. E
che pensava di poter gestire con una doccia.
E
invece … non era andata proprio così.
Tanto
per cominciare, le dimensioni.
Lei
… non si intendeva di certe cose. Chiaro, aveva studiato, ma nella sua …
ingenuità non si era mai posta di certe domande e inoltre non possedeva termini
di paragone.
Adesso
sì. Cavolo, sì.
Bakugō era un tantino più … abbondante di Midoriya. Per dirla in termini spiccioli, era come riavere
il suo … decolleté originario dopo essere stata dentro Mina o Ochaco.
E
questo era soltanto l’inizio.
Aveva
continuato con la sua sana abitudine di fare pipì seduta, dopo di che aveva
indossato la canotta e i calzoncini che aveva trovato nel primo cassetto.
Un’altra
cosa che l’aveva colpita quasi immediatamente, ma su cui non aveva avuto modo
di soffermarsi finché non ci si era trovata da sola, era l’odore.
Shouto aveva un profumo buonissimo. Lei lo
adorava, ogni volta che le era vicino inspirava a fondo e se ne riempiva i
polmoni, era delicato e prezioso, sapeva di legni rari e quella fragranza le
faceva battere forte forte il cuore.
Ma
quello di Bakugō … era diverso.
Era
caldo. Penetrante, asprigno, entrava nelle narici e non le mollava.
E
la faceva arrossire, senza che lo volesse.
Era
una cosa … assurda. Assurda e senza senso, oltre che senza precedenti.
Come
quello che era accaduto quando si era svegliata.
Era
… Dio. Non si poteva descrivere l’effetto di quella sensazione, era
spiacevolissima da affrontare e reprimere.
Pulsava
nella pancia, dolorosamente.
Aveva
iniziato a sentire caldo, sotto le lenzuola. Ricordava il discorso di Kyoka quando quella poverina si era folgorata da sola la
prima volta, e Momo ne aveva provato tanta compassione.
Ora
aveva la gola secca, e si sentiva terribilmente confusa.
A
lei Bakugō non piaceva. Cioè, in senso, non lo
aveva mai guardato come qualcosa di diverso da un qualunque compagno di classe,
eccetto Shouto. Per Yaoyorozu
era come Kirishima, Kaminari,
Shoji o chiunque altro, non … sentiva nulla oltre che
un certo senso di solidarietà e associazione.
Però
non poteva negare fosse … un bel ragazzo. Peccato per il suo atteggiamento
insopportabile, perché altrimenti aveva un bel viso, se non fosse stato sempre
così ingrugnito, se non avesse sorriso sempre solo
sadicamente e poi … be’.
Aveva
un corpo scolpito, tonico. Cioè non era mica l’unico, anche Shouto
aveva un fisico atletico e inoltre più
elegante, più affusolato di Eijirō o dello
stesso Bakugō.
Però
… boh.
L’aveva
visto tante volte senza maglia, Katsuki.
Di
recente poi grazie ad Ashido più spesso che mai.
Ma
adesso c’era dentro, e questo dava tutta un’altra prospettiva.
Una
grande differenza di prospettiva.
Non
riusciva ad alzarsi dal letto. Sentiva quel peso bollente sui fianchi e non si
azzardava nemmeno a respirare, ma al contempo non riusciva a stare a letto, il
materasso sembrava coperto di spine e le reni erano tese da spezzarsi.
Però
doveva. Avevano lezione quel mattino, non poteva rimanersene sotto le lenzuola
tutto il giorno.
Aveva
appena iniziato a prendere coraggio ed uscire, posato i piedi nudi sul
pavimento senza abbassare la testa quando ad un tratto avevano bussato.
E
si era rituffata sotto le coperte, di corsa. “Momo?”, aveva chiamato Todoroki.
Oh cielo. Oh mamma.
“Ti prego Shouto non entrare”, aveva proferito in un
filo di voce.
“Momo.
Stai bene?”.
“Mhmm sì. Sì certo, ma tu non entrare”.
“Perché?”.
Perché ho una … reazione grossa come
una dannata casa.
Oddio. Stava
iniziando perfino a parlare come Bakugō. “Momo, così mi fai preoccupare. Che succede?”.
“Nulla,
nulla Shouto, davvero. Sta’ tranquillo. Va tutto
bene. Ci … vediamo dopo in classe …”.
“Fammi
entrare, per favore. Non me ne vado da qui finché non sono certo che tu stia bene”.
Yaoyorozu sul momento si era irritata.
Adesso
si ricordava di starle addosso. Ma tutto il resto della settimana dove diavolo
era stato?
Eh.
Difficile non dar la stura alle paranoie.
Poi
aveva provato a placarsi, il discorso di Ochaco
l’aveva rincuorata almeno in parte.
C’era
di che capirla, poverina. Lei era stata … così cotta di Midoriya,
e all’improvviso se l’era ritrovato tanto intimo di Melissa … Non doveva essere
facile.
Per
questo l’aveva abbracciata. “E … okay. Entra, Shouto”.
Si era rintanata sotto la coperta, lasciando fuori solo il volto.
Todoroki
era entrato chiudendo la porta, aveva ancora addosso i calzoni della tuta e la
canotta che portava di solito in camera … o meglio, quando era da solo in
camera, perché quando andava a trovarlo lei badava sempre ad infilare qualcosa
sopra.
E
… quelle braccia così tornite … i profili delle sue spalle …
Santo cielo. No no
no … distraiti Momo, distraiti.
“Scusa se ho insistito. Ieri sera eri così triste, ero in pensiero. Non sono riuscito
nemmeno a dormire bene”.
Momo
aveva scosso brevemente la testa bionda, sentendosi la faccia in fiamme. “Mi …
mi dispiace … Shouto”.
Suonava
così strano, detto con la voce di Bakugō.
Con
quel tono.
Oddio, ammazzatemi.
Si
era avvicinato di qualche altro passo. Stammi
lontano. Ti prego. “Sicura che adesso stai bene?”.
“Sì,
Shouto”, aveva pigolato appena. Non stava bene per
niente, non capiva perché nel corpo di Midoriya
quelle reazioni non fossero così … percettibili, e invece adesso sì.
Vai via, ti prego, va’ via. Perché
se rimaneva ancora lì a farsi guardare chissà cosa sarebbe potuto succederle.
Era
sul punto di svenire. I crampi nella pancia si erano fatti più taglienti ancora
di quelli che di solito accompagnavano il ciclo; ma questi non erano
spiacevoli, le percorrevano l’addome come un’onda calda ed elettrica che quando
si ritraeva la riempiva di calore intenso.
“Senti
… io ora vado. Manderò un messaggio a Fuyumi per
dirle che impegni mi trattengono qui a scuola…”.
“No!
Oddio no Shouto, non lo fare. Va’ pure, non devi
preoccuparti per me”.
“Ma
Momo”.
“Dico
sul serio, sto bene. E poi ci sono gli altri … sto bene. Ero solo molto stanca
e scoraggiata ieri sera, ma adesso è passato. Ne usciremo anche questa volta,
ne sono convinta”.
Todoroki
aveva abbozzato un leggero sorriso. “Mi fa piacere che il tuo morale si sia
risollevato”.
Eh. Eccome no.
“Sì … grazie, Shouto. Ci vediamo dopo in classe,
allora”.
“Mhm mhm”.
Grazie al cielo. “Allora
a dopo”.
Aveva
le mani così sudate, che la trapunta si stava lentamente intridendo di liquido
esplosivo.
E
lei stava sudando ancora di più, la gola le si era chiusa e vedere Shouto … con quell’aria così … morbida le faceva venire
voglia di saltare sotto il letto e piangere.
Per
le prossime due settimane, almeno.
Era
prontissima a balzare fuori dall’intrico di coperte e correre in bagno sotto
l’acqua fredda, quando Todoroki si era fermato sulla soglia, la mano sul
pomello della porta. “Ah. Momo”.
“Sì?”.
“C’è
… una cosa che devo confessarti. So che forse non è il momento migliore, che …
dovrei aspettare. Ma … sono anche convinto che sia meglio … cominciare a
prepararti, in fondo … è con te che sto parlando anche se adesso … non sei nel
tuo corpo”.
Eh.
Oh, cielo. Santissimo benedettissimo cielo. “Ormai è
da un po’ che stiamo insieme … e … non credo sia prematuro. Abbiamo anche … un
età in cui è lecito pensare a queste cose, per non dire naturale. E poi i
sentimenti che ci legano sono forti, intensi, quello che stiamo passando adesso
ne è la prova”.
“Ah.
Eh … sì, già”.
“Io
mi sto trattenendo già da un po’ … fosse stato per me, non avrei atteso così a
lungo. Ed è una cosa strana, dacché ho sempre avuto remore durissime riguardo a
questa cosa. E’ qualcosa di me che non ho mai voluto dare a nessuno, non mi
sentivo pronto a … condividerla. Anzi, io stesso ho cominciato da poco … a
farlo da solo … e sì, è stato un sollievo. Oltre che una gioia immensa, mi ha
scaldato l’anima nel profondo e credo sia giunto il momento di doverla
condividerla anche con te. Non c’è … altra persona con cui vorrei farlo, non mi
è mai passato per la mente … okay, forse l’anno scorso ho avuto delle
incertezze al riguardo, c’è stato qualcuno con cui forse mi è passato per la
testa di … ecco, esplorare questa eventualità, ma l’ho scartata quasi
immediatamente. E sono felice di aver deciso così alla fine. Perché sono
convinto sia tu quella giusta, e io davvero, vorrei … ci terrei così tanto che
tu fossi … la prima”.
Era
rimasta così sotto shock Yaoyorozu, che lì per lì non
aveva neppure pensato a domandarsi chi fosse questa … altra “persona”.
Non era stata più capace di pensare a nulla.
Il suo cervello aveva smesso di funzionare, a differenza del suo corpo … del
corpo di Bakugō cavolo!
“Momo.
Quando tutto questo sarà finito …”.
“Sì?”.
“Vorresti
…. Sì, insomma, vorresti … venire … a trovare mia madre con me?”.
Forse
perché davvero le era andato qualche pezzo in blackout dentro alla testa non
aveva immediatamente realizzato le parole di Todoroki.
Per
un attimo si era ritrovata a metà anche lei. Divisa tra il desiderio di trarre
un sospirone di sollievo e la voglia stringente di mandarlo af…
Cioè,
dirlo senza tanti giri di parole no eh? Aveva deciso di sbarazzarsi di lei
ammazzandola, santi numi? “Oddio, Shouto … sì, ma sì,
naturalmente, certo … sarebbe … un … onore per me”, aveva cincischiato in
risposta.
Gli
occhi spaiati si erano stretti in due fessure.
“Non mi sembri … troppo sicura. Vuoi rimandare ancora?”.
“Oh
no no no. E’ solo che mi
hai colta di sorpresa, non mi … aspettavo che me lo chiedessi … proprio in
questo frangente”.
“Lo
so. Scusami. Ma … era da un po’ che volevo chiedertelo, e adesso mi è venuto
spontaneo. Ovvio che … sarà quando comunque avrai riavuto il tuo aspetto”.
“Ma
… ma certo”.
“E
poi … mio padre ha già conosciuto … te”, aveva mormorato facendosi torvo.
“Bene. A dopo allora”.
“A
.. a dopo”.
Quella
porta maledetta si era finalmente chiusa alle sue spalle.
Quelle
spalle che … mamma mia.
Shhh.
Non doveva pensarci. Acqua gelata e tanto, tanto sano stoicismo, non doveva
fermare la propria attenzione su …
E’
accaduto prima che potesse rendersene conto.
Appena
aveva mollato la trapunta zuppa del sudore delle mani, i palmi avevano emanato
una piccola esplosione.
Si
era spaventata, aveva emesso un grido più di sorpresa che di timore in realtà.
Non
poteva sapere che il suo ragazzo era ancora in corridoio. E l’aveva sentita.
“Momo!”, aveva esclamato Shouto, aprendo la porta
d’impeto.
Lei
era ancora scioccata, i palmi spalancati, le dolevano leggermente ma non tanto.
“E’ … partita …”.
“Stai
bene?”.
“Ah.
Ah, sì. Sto … sto bene”. Finché non aveva realizzato cosa stava vedendo Shouto. “Ti prego non guardare”. Avrebbe voluto sparire, si
era voltata di schiena ma non le sarebbe stata sufficiente una fossa, per
saltarci dentro e seppellirsi.
“Be’,
è … una cosa … normale. Non è … una novità … per te”, aveva biascicato lui, in
tono poco convinto.
“Eh.
Eh”.
“Sai
… sai cosa … fare, vero?”.
“Eh
sì. Stavo giusto per andare a fare la doccia”.
“D’accordo
… allora … ti lascio sola”.
“Mhm mhm”.
“Ci
vediamo in classe”.
Aveva
richiuso la porta.
Un
istante dopo Momo era saltata a chiuderla con quattro giri di chiave. Quindi si
era tuffata sotto la doccia, gelida, guardando il soffione, il tubo flessibile
e si era domandata se non fosse davvero il caso di legarselo alla gola.
Che
figura.
Quando
era scesa nuovamente di sotto in sala comune non c’era nessuno. E si era resa
conto di essere terribilmente in ritardo.
In
aula gli occhi spaiati di Shouto l’avevano scrutata
con preoccupazione. Ochaco aveva incrociato un attimo
il suo sguardo e si era tuffata di nuovo nel quaderno d’inglese, avvampando
fino alla cima dei capelli.
Bakugō invece l’aveva fissata
interrogativo.
Aspettava
una risposta, anche lui adesso.
E
… Momo adesso non aveva dubbi su quale avrebbe dovuto dargli.
Era
troppo tesa. Allenarsi l’avrebbe aiutata a scaricare il nervosismo, se si
sfiniva abbastanza magari poi sarebbe stata più tranquilla.
Il
tredicesimo giro termina, Momo ha il fiatone, chiaro che i pensieri non l’hanno
aiutata a mantenere la respirazione regolare. “Ora facciamo un po’ di
flessioni”, annuncia Bakugō, fresco ed energico
come se l’allenamento piuttosto che sfinirlo l’abbia rinvigorito.
E
certo. Lui ha avuto finalmente un corpo maschile, chiaro che queste cose le sa
gestire.
Momo
porta la mano al petto. Ma subito la toglie. Piegandosi sulle ginocchia. “Ba … Bakugō … credo di essere … un po’ … fuori forma”.
“E’
ovvio. Dai, un po’ di allungamenti allora”.
Yaoyorozu freme solo a sentire quella parola.
“Io … penso che me ne resterò un po’ seduta …”.
“Ahh, cazzo, Yaoyorozu. Non ci
credo. Porca miseria, sei una dura tu, non puoi mollare così alla prima botta.
Sicuro che se ci metti un po’ di buona volontà vedi che puoi continuare alla
grande, non puoi andare giù così facilmente. E dai …”.
“Ahn …”.
D’un
tratto gli occhi neri di Mashirao assumono un’espressione furba. “Vuoi provare
com’è?”.
Grazie
al cielo aveva stretto le mani in due pugni un secondo prima.
Ma
per caso è giornata? O è quel corpo che le fa venire gli incubi? “Ah?”.
“Il
mio quirk. Vorresti provarlo? Secondo me ti piacerà
un fottio. Non c’è niente di più … appagante che farla esplodere libera, tutta
quella potenza. Sentirla com’è nella tua mano mentre si carica … e poi boom,
rilasciarla tutto d’un colpo, quella luce che ti acceca e poi si fa tutto nero
… Tutto il tuo corpo si distende e si rilassa, soddisfatto. Non c’è niente di
meglio che quella sensazione di estasi dopo aver tirato fuori ...”.
E no. E adesso basta.
Questo
deve aver pensato il subconscio di Yaoyorozu.
E
questo deve aver spinto i suoi palmi a fare quanto Bakugō
le stava amorevolmente suggerendo.
Un
colpo così forte che uno stormo di gabbiani spicca il volo e copre il cielo.
Momo
è stordita. Per un attimo ha davvero visto tutto nero, adesso prova a mettere a
fuoco.
L’ha
scaraventato lontano. “AHH! AHH, CAZZO!”.
“BAKUGŌ!
Oddio Bakugō!”. Gli corre accanto, prova a capire
quanti e quali danni possa avergli causato, quell’esplosione involontaria. “Bakugō oddio mi dispiace così tanto … santo cielo …
non … mi è scappata…”.
“Ahh, dacci un taglio. Non è stata colpa tua … merda”. Prova
a mettersi seduto, ma lo sguardo di Ojiro è appannato di lacrime di sofferenza
fisica. “Dove ti fa male?”.
“Cazzo
ne so … tutto, penso”.
“Dai,
ti aiuto”. Porta un braccio sotto la sua ascella, prova a tirarlo su nonostante
i polsi stiano urlando di dolore, peggio di quanto non faccia Katsuki, fiottando un’imprecazione peggio dell’altra.
La
coda penzola miseramente, in qualche punto vicino alla base è graffiata. Ma il
ginocchio è gonfissimo.
“Cazzo
…”.
“Dovremmo
steccarlo”. Momo si guarda attorno, raccoglie un ramo che sembra abbastanza
resistente.
Ma
non ha nulla con cui legarlo all’arto.
A
parte la maglia. “Bakugō, posso prendere un
pezzo della tua maglietta?”.
“Fa’
quello che ti pare … Santo Dio, questa cazzo di … cosa è davvero una
dannazione”. Pare stia soffrendo tantissimo, e Yaoyorozu
si sente male da morire.
Se
Bakugō ch’è uno capace di resistere al dolore
sta reagendo così dev’essere immane.
Straccia
tutta una fascia dalla maglia, tanto sopra ha la felpa leggera a coprirla. Sforzandosi
di non muoverlo troppo avvolge la stoffa intorno al ramo e poi ferma tutto con
un nodo resistente ma non troppo serrato.
“Però.
Te la cavi con queste cose”, borbotta Katsuki, con
una smorfia.
Momo
lo solleva, è pesante ma il suo “nuovo” fisico lo sostiene abbastanza bene. “Riesci
a camminare?”, gli domanda.
“Sì.
Ah … Cristo, che male però”.
“Dai.
Ti aiuto io … Cavolo, cavolo, cavolo!”, mastica tra sé, sorreggendo il torso
del compagno con un braccio dietro la schiena, e avanzando al ritmo di un passo
ogni mezzo minuto.
Fino
alla Yuuei … è un bel po’ la strada da fare.
Ah,
no, mannaggia. Recovery non c’è, è fuori per un corso
di aggiornamento, così ha sentito. E lei non ha la competenza per stabilire se Katsuki ha necessità di qualche trattamento oppure basta un
antidolorifico e un po’ di riposo.
Fino
all’ospedale più vicino è comunque una scarpinata.
E
lei si sente già distrutta, non solo fisicamente.
Se
pensava fosse impossibile potesse andare peggio di così, il fato le sta
dimostrando apertamente quanto si fosse sbagliata.
--
Non
è stata una buona idea, tornare a casa.
Per
tutto il giorno se n’è rimasto in camera, con l’unica compagnia del suo gatto e
del computer, a guardare un episodio dietro l’altro della sua serie preferita,
di cui non ha capito un tubo. Suo padre era fuori città per lavoro, sua mamma
gli ha chiesto più volte cosa avesse ma lui ha addebitato tutto alla
stanchezza, non aveva voglia di parlare.
Anche
perché i suoi genitori ancora non lo sanno, che … gli piacciono i ragazzi.
Che
ne ha … aveva, uno. E come aveva sperato di presentarlo a casa, da lì a breve,
quando Mashirao sarebbe stato pronto a fare altrettanto con gli zii che lo
hanno in tutela.
Adesso
invece …
La
sua mente era fissa su quelle ultime parole del suo … ex ragazzo.
Sui
loro momenti felici.
Su
come tutto sia andato in fumo, solo perché Shinsou Hitoshi è uno stronzo e non
sa nasconderlo.
Come
non saprà nascondere la sua devastazione, adesso che sta rientrando al
dormitorio.
Attraversa
il cancello con il cuore a pezzi, non vuole pensare a come si sentirà nel
ritrovarsi insieme a lui e agli altri, forse dovrebbe chiudersi in camera anche
qui e non uscire finché non sarà finita.
Vorrebbe
parlare con Aizawa. Ma cosa potrebbe mai dirgli, il sensei?
E’ già abbastanza esaurito, poveretto, e Shinsou non si sente proprio di
sovraccaricarlo anche con le proprie pene.
I
lamenti di dolore che provengono dall’interno attirano immediatamente la sua
attenzione. E gli occorre davvero poco, per riconoscere la voce … di Ojiro.
Col
cuore in gola corre in direzione del suono. Sa che non è davvero Mashirao, ma
l’istinto fattosi affinatissimo se ne frega e segue
solo quella voce.
E’
comunque il suo corpo. E se si trova in difficoltà, in pericolo, qualsiasi cosa
allora è suo dovere accorrere.
Non
solo di Eroe, ma di uomo.
Anche
… se non stanno più insieme.
Una
volta lì, infatti, il primo impulso è di abbassarsi davanti al ferito e
controllare i suoi parametri vitali, come da regola.
Ma
quando gli si avvicina e si accorge della coda fasciata, della gamba ingessata
e della stampella nell’erba la rabbia prende il sopravvento e non ci pensa
nemmeno più.
Possibile
che quello stupido isterico non sia nemmeno capace di stare in piedi senza far
danni? “BAKUGŌ, CHE CAZZO HAI COMBINATO?!”.
“VAFFANCULO
FACCIA DA MORTO, SONO CADUTO!”, lo rimbrotta Bakugo/Ojiro,
tenendosi le mani sul ginocchio. “Tu non cadi mai? O sei come i fottuti gatti,
eh?”.
“Sta’
zitto, Bakugō. Perché non siete andati in infermeria?”.
“La
vecchia non c’è, genio, doveva decidere proprio adesso di prendersi il week-end
per andare a fare il corso di aggiornamento, tsk.
Cosa cazzo dovrà aggiornarsi che ha un piede nella fossa”.
Accidenti.
Questa davvero non ci voleva. “Ma come diamine hai fatto a cadere? Cioè non ha
senso, per farti male al ginocchio dovresti essere caduto in avanti, ma così la
coda non avrebbe dovuto subire danni ...”.
“Ah,
abbiamo un dottore qui. Perché non ti prescrivi due cazzo di sonniferi e te ne
vai al diavolo, se non hai intenzione di aiutarmi? Questa poveraccia mi ha
trascinato qui dal parco, non so se mi spiego”.
“Parco?
E tu che ci facevi al parco?”. Rialza lo sguardo viola sulla compagna nel corpo
di Bakugō.
Sembra
stia lì lì per scoppiare in lacrime. “Shinsou …
perdonami, non volevo … davvero, non volevo giuro…”.
“Perché?
Che c’entri tu?”. Il silenzio è più eloquente di qualunque spiegazione.
L’espressione
di Momo poi equivale ad un’accusa spontanea.
E
… adesso che guarda meglio e nota le bruciature sui calzoni di Ojiro, i pezzi
vanno ognuno al loro posto.
Quei
due si sono allenati, di sicuro. Perché nient’altro oltre il quirk di Bakugō potrebbe
spiegare quei segni nerastri dove la stoffa si è rattrappita. “MA MI SPIEGHI PERCHE’ DIAVOLO AVETE FATTO UNA COSA SIMILE?!”.
“E
TU MI SPIEGHI PERCHE’ NON TI FAI I CAZZI TUOI?”.
“PERCHE’
QUELLO NON E’ IL TUO CORPO, DANNAZIONE! CHI TI HA DATO IL DIRITTO DI FARE UNA COSA DEL GENERE? DIAMINE VOLEVI FARE COL CORPO DI OJIRO, MALATO MENTALE DEL CAVOLO?”.
“Chiudi
quella bocca del cazzo, idiota! E’ stato un incidente, okay? Stronzo …”.
Hitoshi
ha le mani che tremano. Deve chiuderle in due pugni pregando che non ne finisca
qualcuno in faccia a quel maledetto, perché sarebbe il volto di Ojiro … ma
avrebbe una voglia di spaccargli il naso da farlo inverdire dalla bile.
Come
ha osato? Perché non ci crederà mai e poi mai che si sia trattato di un
semplice incidente. Sicuro deve aver spinto Momo ad usare il quirk, per chissà quale cavolo di ragione da pazzo qual era
lui, e lei poveretta non padroneggiandolo dev’essere
finita col colpirlo involontariamente.
Poteva
ammazzarlo. Cioè, per come stanno adesso le cose Hitoshi lo ucciderebbe
volentieri lui Bakugō, ma quello è il corpo di
Ojiro e non … doveva permettersi, cazzo.
Come
ha fatto quell’idiota a perdersi tutto il rispetto per il corpo altrui che ha
predicato fin qui, trattando quello di Yaoyorozu come
fosse fatto di cristallo? Forse che con Ojiro non vale perché è un maschio? O
forse lo considera di minor pregio rispetto alla compagna?
Le
dita si fanno artigli. O se ne va, o lo strangola sul serio senza nemmeno
rendersene conto.
Ma
qualcosa lo tiene inchiodato lì.
Quella
ferita che ancora sanguina, e non si rimarginerà per un pezzo. Un lungo pezzo,
di sicuro.
In
quel mentre arriva un altro spettatore, e Yaoyorozu
impallidisce con una forza che a Shinsou farebbe quasi pietà, se non fosse nel
corpo di quello che ha azzoppato il suo fi … ehm,
ex-fidanzato e non avesse già il proprio fardello da sopportare.
Ora
saranno guai. Guai grossissimi. “Ma che è successo?!”.
“Dammi
una mano invece di parlare a vanvera, Metà e metà”.
Todoroki
si avvicina, si china davanti a Ojiro – Bakugō-
e lo scruta con un’intensità quasi clinica.
“Perché sei … ingessato?”.
“Perché
ho voluto provare a ballare la macarena ma con questa cazzo di coda andavo male
e sono inciampato. Ma che cazzo di domanda è?!”.
Gli
occhi spaiati si voltano verso di lui, con sguardo interrogativo. “Posso,
Shinsou?”.
Hitoshi
ha una fitta al petto. Deve posarci una mano e massaggiarselo per qualche istante,
prima di ricordarselo. “Fa’ … fa’ pure, Todoroki”.
Pronto,
Shouto si abbassa per aiutarlo ad alzarsi.
“Ahhhhh … dannazione, fa un male boia”, borbotta Bakugo/Ojiro, rovesciando gli occhi neri nelle palpebre per
il sollievo.
Quella
stessa espressione che Hitoshi gli ha visto fare … in tutt’altro genere di
occasioni. Quando sfinito, sudato, allacciato saldamente a lui, Mashirao …
buttava fuori quegli stessi versi, e …
No.
Non deve più pensare a questo.
Con
piglio brusco discosta lo sguardo.
“Riesci
a camminare, Bakugō?”, domanda Shouto.
E
Hitoshi raggela nel profondo nel sentire la voce di Ojiro urlare e stridere. “MI PARE OVVIO CHE NO, RAZZA DI
DEMENTE A MEZZO!”.
“Puoi
aiutarmi, Shinsou?”.
“Io
… mi dispiace, Todoroki”. E corre via, come l’ultimo dei miserabili.
Forse
avevano ragione a dire che non è buono per essere un Eroe.
Uno
che si lascia coinvolgere- e sconvolgere- tanto dai sentimenti … da abbandonare
dei compagni in difficoltà … non è adatto per questo mestiere.
Mannaggia
la lingua che ha, mannaggia.
Non
gli riesce proprio di tacere. E adesso deve solo pregare di non finire in
casini ancora peggiori di un ex piantato e geloso marcio, che lo sa già il
demonio quanto cazzo possa essere pericoloso, quel deficiente.
Ma
questo è peggio. E meno male che è tardo. “Che gli è preso?”, mormora Todoroki,
stupito da quel gesto.
“Gli
è preso che Oijiro l’ha mollato, ecco che gli è preso”.
“Davvero?”.
“Sì
ma fanculo ti pare il momento di impicciarti dei
cazzi di tutta la scuola? Dammi una mano, cazzo”.
Todoroki
prova a tirarlo su, ma dalla coda solo fasciata si dipana una serie di fitte
così dolorose che gli viene da vomitare.
Adesso
che il sangue ha iniziato a raffreddarsi, e le zone colpite a gonfiarsi è molto
più difficile tenere duro. E l’antidolorifico che gli hanno somministrato in
ospedale non ha ancora fatto effetto oppure è stato troppo blando.
“Non
ce la faccio a tenere anche la coda. Momo, dammi una mano, per favore”, la
prega Metà e metà.
Bakugō avverte un leggero brivido dietro
la schiena malandata.
Yaoyorozu ha dovuto gettare la spugna appena
oltre il cancello della Height Alliance
perché le braccia non le tenevano più. Non è abituata ai crampi del suo quirk, e l’esplosione è stata abbastanza seria perché le
dolgano per un pezzo.
Anche
se Bakugō si è aiutato con la stampella che gli
hanno dato in ospedale, la coda comunque andava retta. E quell’ammasso di
muscoli era difficile da tenere su in quelle condizioni.
Le
ha ordinato di sparire, di lasciar lui a sbrogliarsela. Ma quella, testarda
come un mulo, ha voluto aspettare di riprendere fiato, per accompagnarlo almeno
in camera visto che la vecchia scimunita non c’era.
Avrebbe
dovuto dargli retta. Quel suo fare l’eroina sta per incasinarli anche peggio di
quanto già non stiano.
“Lasciala
stare”, borbotta, sperando che lo stronzo a metà se la beva e attribuisca quel
rifiuto per una qualche specie di pudore a lasciarsi toccare da lei.
Vero,
è solo questione di tempo prima che Faccia da Morto lo dica in lungo e in largo
cos’è successo. Ma se guadagnano almeno qualche ora, è meglio. “Bakugō guarda non c’è problema, davvero. Puoi aiutarmi
Momo?”.
“Io
… io sì, okay …”. Prova ad allungare le
braccia, ma come era prevedibile si paralizza a metà del movimento. “Ah, cavolo
…”.
“Momo?
Cos’hai, anche tu?”.
“Ti
ho detto di lasciarla stare”, insiste Bakugō, ma
è già tardi.
Todoroki
funziona a corrente alternata.
Disgraziatamente
l’aria della clinica deve avergli svegliato la metà acuta. Perché stringe gli
occhi in due fessure mentre si raddrizza e fissa la sua ragazza con uno sguardo
che Katsuki non gli vedeva sulla faccia a mezzo da un
botto di tempo.
Gelido.
Fa ghiacciare il sangue nelle vene, solo a vederlo.
E
quando apre bocca il suo tono è così glaciale che non gli servirebbe nemmeno il
suo mezzo quirk per raggelare chiunque. “Non ci credo”.
Yaoyorozu più che pallida è livida. Bakugō è quasi sicuro di non aver mai avuto quella
faccia, solo in qualche rarissima occasione, forse. Di quelle veramente gravi. “Shouto … non è …”.
“Dimmi
che non l’avete fatto. Dimmi che mi sto sbagliando e sto fraintendendo tutto”.
“Shouto ….”.
E’
chiaro che lo stronzo non è deciso a cedere.
E
Bakugō non è tipo da lasciare che quella si
prenda tutta la colpa. Anche perché appunto, cazzo, è stato un incidente. “Ehi,
Metà e metà, dacci un taglio. Le ho detto io che potevamo. Era gonfia come una
pentola a pressione, cazzo, stava scoppiando. O così o finiva in manicomio”.
Ma
Todoroki non dà segno di averlo ascoltato.
Dopo
il gelo arriva il fuoco. E infatti si fa rosso, la faccia fa il paio con i
capelli del lato sinistro. “COME HAI POTUTO, MOMO? IO MI
FIDAVO DI TE, CREDEVO FOSSI UNA PERSONA RAGIONEVOLE!”.
“La
pianti di prendertela con lei? Aiuta me, piuttosto, coglione a mezzo!”.
Il
pirla a metà mette su una faccia che a vederla fa senso anche più di prima.
Non
dice nulla. Non fa nemmeno mostra di averlo sentito, neppure adesso, fissa Yaoyorozu con uno sguardo che forse solo Endeavor si è mai beccato fin qui da lui.
Momo
tace. Non ha il coraggio di dire una parola, e se Bakugō
non fosse sofferente come un cane lo prenderebbe a codate
in faccia, quel cretino.
Ma
ora gli serve, dannata la miseria. “Penso sia meglio tu rientri, prima di fare
altri danni, Yaoyorozu”, osserva freddamente.
Sì,
fa proprio strano vedersi correre via. Lui che non è mai scappato davanti a
nulla, tanto meno che a Todoroki.
Gonfia
finché quello non apre la porta della stanza dello scimmione, al terzo piano.
Fortuna che in mezzo all’anima in sala comune non c’era nessuno, altrimenti Bakugō non avrebbe potuto garantire delle proprie
reazioni.
Vabbé che nemmeno adesso.
Appena
Shouto lo adagia con cautela sul giaciglio di Ojiro,
cercando una posizione comoda, o quanto
meno accettabile per gli arti dolenti sbotta: “Levati dal cazzo. E ringrazia
che non ti meno”.
Ah,
adesso rimette su l’espressione da imbecille, spalancando gli occhi spaiati e
fissandolo come l’ebete che è in realtà. “Perché? Che ho fatto?”.
“COME,
PERCHE’? Hai già disattivato il cervello sano? Ammesso che si possa dire sano,
cazzo. Dico, ma che razza di modo è di parlare alla tua donna, eh? Non l’ha
fatto apposta. E tu l’hai trattata come fosse una criminale di guerra. Capisco
che ti sia saltato al naso che ti ha tenuto nascosto il fatto che siamo andati
ad allenarci assieme, ma credimi, io mi conosco, e so come reagisce il mio
corpo se non sfoga l’adrenalina in circolo. Sono andato insieme a lei solo
perché in caso contrario non l’avrebbe mai fatto, da sola. Quindi se ti vuoi
incazzare con qualcuno fallo con me, ma lasciala in pace. Sta già di merda e
non ha alcun bisogno che le urli contro pure tu”.
Shouto espira con forza. Raccoglie la
sedia dalla scrivania di Ojiro, la avvicina al letto e ci si lascia cadere
sopra, come avesse perso anche l’ultima speranza
Mette
le mani davanti alla faccia. Sembra un tantino esaurito, anche lui. “E’ che …
ho … come l’impressione che Momo non mi voglia intorno, adesso. Che … le dia …
fastidio”.
“E
certo. E siccome le cose stanno già rose e fiori mettiamoci una palata di
letame, che non guasta”.
“Anche
l’altra sera, quando sono venuto a parlare con te … mi è sembrata sollevata
quando sono uscito dalla stanza. E ieri mattina … non voleva farmi entrare da
lei. Anche se quello forse era dovuto a tutt’altra questione”.
“Quale
questione? Che sei un cretino?”.
“Quella questione. Quella con cui ogni
uomo si ritrova ad avere a che fare al mattino”.
“Ahaa”. Di colpo gli sovviene quello di cui sta blaterando
Metà e metà.
E
spera di aver capito male. Malissimo. “Uh?”.
“Be’,
stamattina … ha avuto un altro scoppio involontario. Sono entrato e … non era
esattamente presentabile con decoro”.
Oddio.
Ma come cazzo parla questo scemo? “Ma vuoi parlare come ti ha fatto tua madre,
imbecille? Cazzo significa ‘presentabile con decoro?’”.
“Che
aveva un altro genere di reazione incontrollabile, Bakugō”.
Ah.
Aveva capito bene allora.
Porco cazzo. Porco, porco, porco …
cazzo.
Che
Dio lo fulmini, non ci aveva minimamente pensato a quello.
Okay. Cerchiamo di stare calmi.
Prima
di lui, in fondo, è stata nei panni di Deku. Quindi
si è già svegliata in quella condizione.
Ma
… a meno di non volersi sputare in faccia da solo, e dirsi che era la stessa
cosa, è obbligato a tenersi quell’angoscia esistenziale che il karma ha deciso
di rigirargli come premio per aver voluto fare il buono la sera precedente.
E
inoltre … be’.
Del
coso di Merdeku non gliene frega nulla. E a voler
essere proprio brutalmente onesto, ma veramente brutale e veramente onesto, a
parte il lecito fastidio che il suo “birillo” fosse in mani estranee – e che
mani santo Dio- e che Ashido lo scarrozzasse ovunque
coperto solo dai boxer, e minacciasse di abbassarsi anche quelli come niente
fosse, se non altro non era una pudica fanciullina e aveva decisamente
parecchia esperienza nella faccenda, quindi non rischiava di traviare nessuno.
Ma
che una ragazza … ehm, inviolata qual era Yaoyorozu,
e il suo … ehm, membro virile …
Porca puttana laida.
Non
ci aveva pensato neppure alla propria di … “reazione”, anche perché quello dopo
la doccia appena tiepida se n’era stato giù cheto cheto
neanche avesse sentito a distanza la plausibile disperazione del suo legittimo
proprietario e non abbia di che essere allegro; e neppure Katsuki
stesso aveva granché per stare su, biologia a parte.
Ma
per parafrasare quello stronzo di Faccia Piatta, che il diavolo se lo porti,
“ci metti un casino e sei duro come il marmo”.
E
può soltanto immaginare cosa abbia passato quella poveretta, in aggiunta a
tutti i suoi guai.
Senza
contare … quel discorso a dir poco ambiguo che le aveva tenuto nella
lavanderia.
Per
tacere quello che le aveva detto poco prima che scoppiasse, per l’appunto.
Cristo.
Chi
aveva parlato di cose che quanto meno vanno a posto doveva essere drogato.
O
lo era prima, oppure avrebbero dovuto farlo ora, per impedirgli di buttare
fuori altre cazzate del genere.
Era
bene che la vecchia tornasse presto e mettesse mano alla sua farmacia, e
distribuisse dosi di calmanti a tutti.
A
lui per primo.
E
non soltanto per quel dolore allucinante al ginocchio e alla coda.
Altrimenti
in condizioni normali non si sarebbe mai azzardato a porre quella domanda. “Todoroki?”.
“Uhmh?”.
“Non
… è successo niente, vero?”.
Gli
occhi spaiati lo squadrano per un secondo. “Non vedo cosa potrebbe essere
successo, Bakugō”, lo rimbecca improvvisamente
neutro.
“Mhm. Senti ma come ha fatto per …”.
“Acqua
fredda”.
“Mhm”.
“Tanta,
acqua fredda”.
“Mhm”.
Silenzio.
Per nulla tranquillizzante. “Metà e metà?”.
“Mhm?”.
“Mi
spiace … che la tua ragazza sia in questa situazione del ca
… volo”.
“Mhm”.
“Però
se non altro … ehm, non è il primo che vede”.
“Mhm”.
“C’era
Deku prima di me”.
“Mhm”.
Non
pare per nulla riappacificato con l’esistenza.
Sicuro
gli brucia. Eccome se gli brucia. “Macché, sei … geloso?”.
Shouto sbuffa, una leggera nuvoletta
fredda gli ondeggia intorno alla faccia ma gli zigomi sono arrossati entrambi.
Sì
sì. E’ proprio geloso.
Ecco
perché è sfollato a quel modo.
Deve
star ingoiando da un bel pezzo, il Todopirla. Vuole
fare quello razionale e saldo ma sotto sotto in fondo
è tale e quale quell’altro mentecatto di Faccia da Morto, forse di Bakugō si è fidato perché sa che in fondo i casini non
gli piacciono ma adesso che è la sua donna a trovarsi nel corpo di Katsuki … si cagando in mano al pensiero degli inevitabili
confronti.
E
scoprire che Momo si è data appuntamento con lui di nascosto … anche se per un
motivo del tutto innocente gli ha stuzzicato la possessività.
Peccato
l’abbia dimostrato nel modo più sbagliato che potesse.
Però
è già una cosa.
Bravo a mezzo, rincoglionito.
“Bakugō, no. Nessuno ha scelto questa cosa, okay? E’
successo”, e pare stia provando a convincersi da solo.
“Però
ti scoccia, ammettilo. Adesso che sa … be’. Le verrà
facile fare paragoni”.
“Mhm”.
“E
visto che già hai parecchi punti di demerito, se continui a fare lo stronzo
vedi che fai la fine di Shinsou. Vai a chiederle scusa, imbecille”.
“Non
mi vorrà vedere”.
“Mandale
un fottuto messaggio. Oh ma vi devo dire tutto io? Dove cazzo avete il
cervello. Chiedile scusa, sii un attimo romantico. Le femmine amano queste cose”.
“Dici?”.
“Dico,
dico. Avanti. Prendi sto cellulare”.
Todoroki
tira fuori il telefono dalla tasca dei calzoni. “Che devo scrivere?”.
“Sei
serio?”. Sì purtroppo, lo è. Ormai Katsuki lo sa
quanto sia imbranato. “Vabbé. Ti detto io. Tu scrivi”.
“Okay”.
“
‘Cara Momo’ … no, cazzo, così non va bene. Sembra tu stia scrivendo ad un’amica
immaginaria. “ Momo, mi dispiace. Siamo tutti tesi in questa situazione, non
credere. Non volevo sbottare con te, scusami, ma penso tu possa capire cosa io
stia passando a non poterti tenere per mano, a non poterti baciare. A non
poterti stringere a me. Capisco che sei tu quella … più toccata da questa
situazione, ma anche per me è difficile. Mi manchi così tanto … e non vedo
l’ora sia finita, per poterti dimostrare i miei sentimenti pienamente. Scusa,
se prima sono stato … distante, mi conosci, sono una testa di cazzo e’…-”.
“Bakugō?”.
“Ah
già. ‘Sono uno stupido, Non ho fatto
altro che ferirti, ma ti prometto che da oggi in avanti sarò un fidanzato
migliore, per te. Fammi sapere, se possiamo parlarne. Ti …’”.
E si blocca, d’un tratto.
E
no, cazzo. Va bene fare il Cyrano de Bergerac dei
poveri, anzi dei ricchi rimbambiti, però eddai.
Non
pronuncerebbe quelle parole nemmeno se avesse di nuovo tutti i Villan
asserragliati intorno.
“Ti
…?”.
“Ti
auguro una buonanotte”. Oh. E basta.
Che
a fare il santo protettore dei disperati già gli è andata a schifo. E’ bene
tornare alle vecchie sane abitudini, o invece di coda e ginocchio si fotterà il
cervello, altroché.
“Sei
bravo con queste cose. Non l’avrei mai detto”, dichiara Shouto,
infilando di nuovo il cellulare in tasca.
“Tsk. Cazzo ci vuole? Bisogna essere tonti come te per non
sapere come far piacere ad una femmina”.
“Saresti
un bravo fidanzato, Bakugō. Senza dubbio
migliore di me”.
“Sai
che novità. Io sono migliore di te in tutto, Mezzo e mezzo”.
“Mhm”.
“E
comunque io non li voglio di questi casini. Guarda voi come vi siete ridotti,
uh”. Gli scocca un’occhiata di traverso. “Ma ora che stai aspettando?”.
“Non
lo so. Forse un miracolo”.
“Be’
e vallo ad aspettare in camera tua”.
“Non
mi sento tranquillo a lasciarti da solo”.
“Mhmm. Dove cazzo potrei andare? Di questo passo soltanto al
manicomio. La prossima volta che vai da tua madre chiedi se hanno una stanza
libera”.
Shouto tace, e Bakugō
spera che la frecciata sia sufficiente a levarselo di torno, una buona volta.
Ma
quello si sistema meglio nella sedia, incrocia le braccia e allarga le gambe,
mettendosi comodo. “Ho come l’impressione che tra poco ci finiremo tutti lì”,
osserva serio.
Katsuki lo squadra. E sospira.
Quando
mai ne ha detta una buona, il Metà e metà.
Perché
nessuno ne uscirà senza qualche danno mentale, questo è poco ma sicuro.
A
cominciare proprio da Bakugō stesso forse.
Dannazione.
--
“Su
… per favore, Momo-chan, calmati”.
Ochaco non sa più che fare. Ormai è un
pezzo che Yaoyorozu è buttata sul letto di Katsuki, a piangere come una disperata.
E’
mancata dal dormitorio sì e no un pomeriggio e il primo pensiero è stato andare
a sincerarsi delle condizioni della compagna.
E
ha trovato servito un disastro.
E’
in pensiero anche per Bakugō, vorrebbe andare a
vedere come sta. Recovery è assente, da quel che ha
capito, quindi se ne parlerà lunedì prima che il compagno riceva assistenza
medica adeguata.
Deve
star soffrendo da morire, poveretto.
Ma
anche Momo è messa malissimo, non riesce a lasciarla da sola, tanto più che ora
Kyoka è dietro Kaminari, ma
Uraraka non saprebbe dire se per poca fiducia nei
riguardi del compagno o nel tentativo di distrarlo dai suoi mali.
L’amica
ha la faccia affondata nel cuscino e singhiozza da spezzare il cuore, ad ogni
singulto le spalle sobbalzano, e Ochaco ne osserva la
linea solida, forte.
Avvampa
tutto d’un tratto. “Io … non volevo … giuro, non era mia intenzione …”,
farfuglia appena intelligibilmente dal guanciale che sta stritolando con le
grandi mani di Bakugō.
Uraraka sospira. Vorrebbe poter capire
meglio cosa sia successo, da quel poco che Momo ha provato a spiegarle si sente
in colpa in un modo esasperato per aver ferito - sia pure involontariamente- Katsuki col suo stesso quirk.
Ma
è stato un incidente in fin dei conti, sempre stando a quel che le ha detto la
stessa Yaoyorozu. E oddio, gli incidenti capitano.
Specie se nella loro situazione, con poteri che non sono in grado di
controllare.
Non
sarebbe certo la prima di tutti quelli coinvolti. “Avanti … ti verrà il mal di
testa se continui così. Sono certa che Bakugō-kun
… non ce l’ha con te”.
“Lo
so!”, strilla d’un tratto Momo, tirandosi su dal materasso come una
galvanizzata, quasi le mette paura.
Oddio
fa così … strano vedere il corpo di Bakugō
reagire a quel modo … come fosse preda di un attacco isterico.
E
non dovrebbe, dacché quello è il mood abituale del compagno esplosivo. Un
chihuahua mestruato, l’ha spesso sentito soprannominare da Sero-kun.
E
lei aveva ghignato impunemente a quella definizione, salvo rimangiarsi tutto
quando l’aveva visto in quelle condizioni, con … il ciclo per davvero.
Sospira
di nuovo, sistemandosi la gonna sulle ginocchia.
E’ maledettamente difficile trovare
qualcosa di sensato da dire per confortarla, ancora una volta. “E allora,
perché fai così?”.
“Perché
… perché è Shouto che si è arrabbiato”. Yaoyorozu si tira su, singhiozza. Porta le mani di Katsuki agli occhi rossi, non solo di iridi ma anche di
sclere. “Mi ha … rimproverata. E … io lo so che ha ragione, dannazione, lo so …
ho sbagliato. Ma … ero così tesa … non ce la facevo più. In quel momento mi è
parsa l’unica via d’uscita .. e io …”.
Uraraka non riesce a dar troppa retta alle
giustificazioni della compagna, no. Le è già salito l’embolo, non può credere
che davvero Shouto abbia alzato la voce, con lei.
Può
comprendere che fosse alterato. Che fosse preoccupato. Ma … no, che l’abbia
sgridata, mentre è in quelle condizioni no. Possibile non abbia un minimo di
empatia? “Vado a parlargli …”.
“NO!”,
strilla Momo. “No, Ochaco-chan, per favore … non
peggiorare la situazione. Rimani qui con me … per favore. Non mi lasciare da
sola”. E la stringe, Momo, con le braccia di Katsuki.
Come fosse un peluche.
Uraraka non riesce a reagire. Il profumo
che la avvolge … cavolo, è quello di Bakugō. La
soffoca, quasi.
“Non
mi lasciare Ochaco”, la prega con quel tono roco,
infranto di lacrime.
Non
sa cosa fare. Vorrebbe … sì, vorrebbe andare a cantargliene quattro a Todoroki
… ma in questo momento proprio non se ne può andare.
Posa
delicatamente una mano sul capo biondo irto di spunzoni. E lo accarezza, in un
gesto consolatore, dolce, affettuoso. “Non me ne vado”.
Angolito Autrice: (ASU)
IO MI DISSOCIO DA TUTTO QUESTO CHE
LO SAPPIA ANCHE ANYA!
Ho corretto il capitolo ma per tutto il tempo avevo voglia di prenderli tutti a
sberle in faccia vi prego DITEMI CHE NON SONO L’Unica x°
Scusate i titoli.
Ormai quelli rappresentano il mood nostro e dei personaggi.
Noi li adoriamo.
Un bacione enorme,
Asu (E Anya)