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Autore: heliodor    16/07/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La lettera
 
Aveva atteso il pomeriggio, poco dopo pranzo prima di uscire di casa e avviarsi verso la strada che portava alla collina.
I suoi fratelli erano in giro a combinare chissà quale guaio, suo padre si era rinchiuso nello studio a contare monete o aggiornare registri e la servitù era sparita per non dover attendere alle faccende di casa.
Nessuno si sarebbe accoro che era uscito.
Nessuno si accorge mai che non ci sono, si era detto mentre imboccava il sentiero lungo il fianco della collina.
Non era alta quanto una vera montagna, ma da lì sopra si poteva dominare la valle e Cambolt sotto di essa. Da piccolo amava percorrere i sentieri più isolati, quelli che le persone evitavano non perché pericolosi, ma solo più lunghi o tortuoso.
A Ros piaceva aggirarsi tra gli alberi, mentre osservava gli animali nel sottobosco agitarsi. A volte si incantava a osservare la danza di due insetti che si accoppiavano o gli uccelli che costruivano il loro nido.
Era stato un bel periodo e persino i suoi fratelli, con i quali a volte faceva quei percorsi, sembravano contenti di accompagnarlo.
Col tempo le cose erano cambiate.
“Sei strano” gli diceva a volte Blenn, che tra i tre era quello che gli rivolgeva la parola più spesso, forse perché era il secondo genito e sentiva di avere qualche responsabilità verso di lui. “Non giochi mai con noi, te ne vai sempre in giro da solo. Che hai?”
“Mi piace” rispondeva. “Osservare gli animali. Gli alberi.”
“Che hanno di tanto speciale?”
“Sono interessanti.”
 Nonostante sembrasse strano, lo avevano tollerato nei loro giochi e le passeggiate, finché un paio d’anni prima Rezan non lo aveva scacciato via.
“Vattene, non venire più con noi” gli aveva detto suo fratello. “La gente parla male. Dice cose strane su di te. Non voglio che dicano lo stesso anche di noi.”
Una volta gli aveva dato anche un pugno.
Era successo l’anno prima, quando Ros era passato per caso dalle parti dove si riunivano con gli altri ragazzi del villaggio.
Rezan, che all’epoca prendeva lezioni di spada da un maestro d’armi, aveva sfidato Hagen a duello ma era stato battuto.
Ros aveva assistito solo alle battute finali del duello, quando suo fratello era andato via adirato. Quando se lo era ritrovato di fronte, i suoi occhi si erano incupiti e lo sguardo si era fatto aggressivo.
“Che ci fai tu qui?” gli aveva urlato contro. “Non ti avevo detto di sparire?”
Ros avrebbe voluto rispondere, ma Rezan lo aveva afferrato per il bavero.
“Mi hai portato sfortuna” gli aveva urlato contro. “È colpa tua se ho perso il duello.”
E poi gli aveva dato un pugno nello stomaco, facendolo piegare in due.
Ros era crollato in ginocchio ai suoi piedi, come un innamorato che stesse facendo la dichiarazione d’amore alla sua donna.
“Idiota” aveva detto Rezan marciando oltre.
Ros ricordava ancora quel pugno. Da allora faceva attenzione a evitare i sentieri e le zone che i suoi fratelli e gli altri potevano frequentare.
Non gli dispiaceva stare da solo, ma a volte avrebbe voluto scambiare qualche parola con gli altri ragazzi. E le ragazze.
Nessuna di quelle che abitavano a Cambolt sembrava interessata alle passeggiate per i sentieri.
A parte una.
La figlia del fabbro.
Un paio di volte gli era successo di incontrarla per caso mentre si aggirava per il bosco come in cerca di qualcosa. Di solito faceva di tutto per evitarla, ma una volta, spinto dalla curiosità, l’aveva seguita fino a una radura.
Valya si era guardata attorno e poi aveva infilato il braccio in un tronco cavo, dal quale aveva tirato fuori una spada.
Era vecchia e arrugginita, con la lama storta e ammaccata, ma lei l’aveva maneggiata come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
Si era piazzata al centro della radura, l’espressione concentrata.
“D’accordo, cominciamo” aveva detto ad alta voce. “Difesa alta” aveva detto mettendo il piede sinistro in avanti e quello destro indietro, la spada sollevata con entrambe le mani sopra le spalle.
“Affondo” aveva aggiunto facendo un passo avanti e calando la spada con un movimento deciso.
Aveva proseguito per quasi tutto il pomeriggio prima di riporre la spada nell’albero e andare via.
Ros era tornato più volte nella radura ma non l’aveva ritrovata, fino al giorno in cui stava andando via e si era imbattuto per caso nella ragazza, finendole quasi addosso.
Lei aveva fatto un balzo indietro. “Che vuoi?”
“Niente” aveva risposto.
“Mi hai vista usare la spada?”
“No” aveva detto.
“Non dire a mio padre che mi hai vista, per favore.”
“Il fabbro?”
Lei aveva annuito con decisione. “Se lo viene a sapere mi sgriderà. Ti prego.”
Ros aveva esitato davanti a quella preghiera, poi aveva detto: “Posso farti una domanda?”
Lei lo aveva guardato con sospetto. “Una sola. E non so se ti risponderò.”
“Perché vieni qui a usare la spada?”
“Mio padre non vuole. Dice che le armi sono pericolose.”
Ros aveva udito le voci che giravano su Simm Keltel e sul suo passato da eroe nella guerra contro Vulkath. “Ma lui è un grande guerriero. Perché è così spaventato dalle armi?”
“Non lo so, ma è così da sempre. Promettimi solo che non gli dirai niente.”
“Te lo prometto” aveva risposto.
“Grazie” aveva risposto lei prima di andare via.
Ros era tornato un paio di volte nella radura, ma non aveva più rivisto Valya allenarsi, né fare qualsiasi altra cosa.
Non fino alla bella stagione, quando Ros aveva ripreso a girovagare per i sentieri e si era spinto fin quasi sull’altro lato della collina, finendo in mezzo alle terrazze usate per coltivare il vino.
Distratto dal sentiero e da una volpe che voleva seguire fino alla tana, non si era accorto di aver raggiunto una delle zone dove i suoi fratelli e gli altri ragazzi si riunivano. Ed era stato visto.
Aveva subito cambiato strada, ma voltandosi aveva scorto Blenn e Rezan che risalivano le terrazze verso di lui.
“Gli avevo detto di stare lontano” stava dicendo suo fratello con tono adirato. “Ma proprio non capisce. Ora gli darò una lezione e forse capirà.”
Ros aveva accelerato il passo per tentare di distanziarli, ma i tre fratelli non lo perdevano di vista.
“Lo so che stai scappando” aveva gridato Rezan. “Ma ti prenderò lo stesso, idiota.”
Ros aveva lasciato il sentiero iniziando a risalire per il fianco della montagna, incurante del terreno reso friabile dal caldo che minacciava di farlo scivolare a ogni passo.
Era quasi arrivato in cima quando, esausto, si era accovacciato dietro un albero.
“Che mi prendano pure” aveva detto con voce affannata.
Non aveva più forze e sentiva i passi di Rezan e gli altri avvicinarsi, quando dal denso fogliame che circondava la cima della collina era emersa la figura di Valya.
La ragazza gli aveva rivolto un’occhiata incuriosita. “Che ci fai qui?”
Ros stava per dire qualcosa, quando dal basso era arrivata la voce di Rezan. “Aspetta che ti prenda, dannato idiota. Ho gli stivali pieni di polvere a causa tua.”
Valya aveva guardato in basso e si era accigliata.
“E tu che ci fai qui, testa di ferro?” aveva esclamato Rezan.
“Che ci fai tu” aveva riposo Valya. “Questa è la nostra zona e tu non puoi stare qui.”
“E chi lo dice?” aveva ridacchiato Rezan.
“Noi.”
Dal fogliamo erano emersi Hagen e le ragazze di none Enye e Breye, oltre a un’altra mezza dozzina che non conosceva.
Rezan aveva brontolato qualcosa. “Sto cercando l’idiota, mio fratello Rosen. L’hai visto per caso?”
Valya aveva scosso la testa. “Vedo un solo idiota qui attorno.”
“Attenta a come parli.”
“Nella nostra zona parliamo come ci pare” aveva risposto Hagen.
“Prima o poi darò una lezione anche a te” lo aveva minacciato Rezan.
“Io sono qui” aveva risposto l’altro.
Rezan e i suoi fratelli avevano ridisceso la collina mentre il gruppo di Hagen era risalito.
“Voi andate” aveva detto Valya. “Vi raggiungo subito.”
Ros l’aveva vista tornare con un mezzo sorriso sulle labbra. “Sono andati via” gli aveva detto.
Ros si era rialzato. “Grazie.”
“Ti chiami davvero Rosen?”
Lui aveva annuito.
“Come il cavallo di Margry Mallor” aveva fatto Valya sorpresa e divertita.
Ros aveva scosso le spalle. “Lo ha scelto mio padre il nome.”
Valya aveva scosso la testa e ancora divertita era andata via.
Da quel giorno aveva pensato a un modo per ringraziare Valya, ma non l’aveva mai trovato. Sapeva che qualsiasi cosa avesse pensato sarebbe stata ridicola e inopportuna, ma non poteva impedirsi di farlo.
Ma forse ora ho trovato il modo, si era detto soppesando la borsa piena di monete nella mano.
Aveva racimolato quelle monete un po’ alla volta, mettendole da parte nella speranza che gli potessero essere utili nel viaggio verso l’accademia che lo avrebbe scelto. Ma ora che quella speranza era svanita, forse poteva farne un uso migliore.
Le darò a Valya e suo padre, si era detto. Lei mi ha aiutato quando ne avevo bisogno e ora posso ricambiare. Non è così che fanno gli amici?
Anche se dubitava che Valya lo considerasse un amico o anche solo un conoscente.
Non importa, si era detto. Mio padre ha combinato questo guaio e se posso aiutarla…
Mentre passava vicino al pozzo dove le donne del villaggio salivano a lavare i panni, aveva scorto una figura minuta trascinarsi dietro una cesta.
È lei, si era detto con un leggero tuffo al cuore. Bene, almeno non dovrò fare tutta la salita fino alla forgia.
Si era avvicinato quasi in punta di piedi per non spaventarla e per un attimo era stato tentato di andarsene, pentendosi anche solo di aver pensato di offrirle quei soldi. Ma poi l’aveva vista sporgersi oltre l’orlo del pozzo e mettere un piede in fallo.
Cadrà se non faccio qualcosa, si era detto. E nell’attimo stesso era balzato in avanti, afferrandola con la mano. Non si aspettava che lo ringraziasse ma nemmeno si aspettava che Valya buttasse le monete nel pozzo quando gliele aveva offerte.
E dopo che lei era andata via, era rimasto a fissare in silenzio l’oscurità, chiedendosi dove avesse sbagliato.
Se lo era domandato per tutta la strada fino a casa Chernin e anche dopo essere rientrato nella sua camera ed essersi tolto di dossi i vestiti e gli stivali.
Si era buttato sul letto, gli occhi fissi al soffitto.
Che giornata terribile, si disse mentre cercava di prendere sonno. Prima la lettera, poi suo padre e i suoi fratelli e infine l’incontro con Valya. Cos’altro poteva andarmi male?
La lettera.
Era ancora sullo scrittoio, aperta, col sigillo spezzato.
La lettera.
Ros si alzò e la prese, rigirandosela tra le mani.
Perché consegnarmi una lettera vuota? Si chiese. Che senso ha?
E poi una seconda domanda affiorò nella sua testa.
Perché affittare una stanza vuota? Si chiese. Che senso ha?
Camera vuota.
Lettera vuota.
Ho aperto la lettera, si disse. Ma non la camera.
La camera, gridò una voce dentro la sua testa. Non hai aperto la camera.
 
Nilus lo guardò con espressione sorpresa mentre si precipitava nella locanda, la mantella gettata in fretta sulle spalle e gli stivali mezzi slacciati.
“La camera” disse Ros respirando a fatica. “È ancora occupata?”
“Certo” rispose Nilus. “Fino a domani mattina. Sono un locandiere onesto, io.”
“Non lo mettevo in dubbio” disse Ros. “La chiave? Vorrei controllare una cosa.”
Il locandiere lo guardò perplesso. “È la camera dell’erudito, non la tua. Non posso farti entrare.”
Ros pensò in fretta a una risposta da dargli. “Mie le monete per pagarle, mia la camera. La chiave, per favore” disse tendendo una mano.
Nilus sembrò rifletterci. “In effetti, hai pagato tu per la camera penso di poter fare un’eccezione, per stavolta.” Gli porse la chiave. “Secondo livello, terza porta del corridoio di destra, ma ricorda, entro domani mattina devi liberarla, a meno che tu non voglia prolungare l’affitto.”
“Mi basterà poco” disse correndo alle scale.
All’improvviso aveva urgenza di entrare in quella camera e chiudersi dentro per…
Spalancò la porta e si precipitò all’interno. Era buio e quasi inciampò prima di individuare nella penombra una finestra e aprirla.
Il chiarore della luna illuminò la stanza. A parte un giaciglio e un armadio con baule, era vuota. Ros si guardò attorno deluso.
Si era aspettato di trovare qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Ma non quel vuoto.
Lettera vuota, camera vuota, si disse. Ha senso. Ma non per me. Deve esserci qualcosa. L’erudito deve aver lasciato un indizio, un’indicazione, una…
Le tracce partivano dal centro della stanza e finivano sotto il baule.
Qualcuno l’ha trascinato fin lì, si disse.
Andò al baule e lo aprì facendo scattare le due cerniere che lo tenevano chiuso. Quando gettò un’occhiata all’interno, trattenne il fiato.
Vuoto.
Infilò una mano nel baule e ne esplorò i lati, sicuro di trovarvi un incavo o una lettera attaccata in modo che non si vedesse, ma le sue unghie raschiarono il legno fino a scheggiarsi senza trovare niente.
Chiuse il baule con un gesto stizzito e marciò fino al centro della stanza.
Non può essere, si disse. Qualcuno deve aver trascinato il baule fin lì sotto per qualche motivo, non può esserci finito da solo. E l’ultima persona ad aver occupato questa stanza è stato l’erudito.
Tornò al baule e lo esaminò di nuovo, lo rovesciò sul lato sbuffando e sudando per guardare sotto, pensò anche a un modo per smontarlo.
Sarebbe dovuto correre a casa e rovistare tra gli attrezzi dei suoi fratelli per trovare quello che gli serviva. E avrebbe smontato anche gli altri mobili se necessario.
Oppure potrei portare il baule a casa, pensò. È pesante e scomodo ma posso dare qualche moneta a Nilus per un aiuto. O magari potrei comprare il baule e trascinarlo fino a…
Si fermò al centro della stanza, gli occhi fissi sui solchi incisi nel legno che formavano due linee parallele che partivano dal centro e arrivavano sotto il baule.
No, si disse. Partono dal baule e arrivano al centro della stanza. L’erudito ha spostato il baule la prima volta e poi l’ha rimesso al suo posto. Perché lo ha fatto? Cosa non poteva prendere senza spostarlo? O forse ha usato il baule per fare qualche altra cosa?
Guardò in alto, proprio al centro del soffitto, dove le travi si incrociavano formando un piccolo incavo a forma di piramide. Proprio lì, sospesa sopra la sua testa e attaccata alla trave da un cordoncino, ondeggiava pigra una lettera col sigillo azzurro di Valonde.
 
Aprì la lettera con mani che tremavano come se avesse la febbre. Spaccò in due il sigillo di Valonde e lo gettò via con un gesto stizzito e poi spiegò l’unico foglio di pergamena bianca.
Una mano aveva scritto poche parole che lesse ad alta voce per essere sicuro che stesse avvenendo davvero e che non lo stesse solo immaginando o sognando.
“Se sei arrivato fin qui, hai solo fatto il tuo primo passo. Ora ti chiedo di farne uno più grande. Raggiungimi a Ferrador e ti dirò come fare. Varnado.”
Varnado.
Non c’era altra firma.
È un nome o un cognome? Si chiese. Non ha importanza. Quando arriverò a Ferrador chiederò di lui.
Spinse il baule su cui era salito per prendere la lettera e si assicurò che fosse tutto in ordine. Mise la lettera in una tasca della mantellina e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
“Te ne vai di già?” Gli chiese Nilus.
Ros annuì distratto e uscì dalla locanda. Mentre rifaceva la strada per casa pensò alle sue prossime mosse. Doveva procurarsi un passaggio per Ferrador, tanto per iniziare.
Posso chiedere a uno dei mercanti da cui si rifornisce mio padre, si disse. Pagando qualche moneta potrei viaggiare su uno dei carri.
Doveva anche parlarne con suo padre.
Aveva diciassette anni, ormai era un uomo e poteva prendere da solo certe decisioni. Ed era quasi certo che Myron Chernin l’avrebbe lasciato partire più che volentieri. Anzi, avrebbe persino pagato di tasca proprio il passaggio verso Ferrador una volta che…
Una mano emerse dal buio e lo colpì al volto, sbilanciandolo. Una seconda mano gli afferrò la spalla destra e lo costrinse a piegarsi sulle ginocchia. Prima ancora di avere il tempo di reagire, qualcosa lo colpì al ventre facendolo piegare in due e infine le stesse mani di prima lo spinsero a terra.
Batté col mento sul selciato mordendosi la lingua.
“Ora” disse la voce rabbiosa di Rezan. “Io e te faremo due chiacchiere, idiota.”
Ros fece per rialzarsi ma lui poggiò lo stivale sulla sua schiena e con una pressione lo costrinse ad abbassarsi di nuovo ventre a terra.
“Devi stare giù come i vermi” disse suo fratello.
“Rezan, ma cosa ti prende?” gli chiese. “Non ho fatto niente.”
Rezan gli sferrò un calcio nelle costole. “Bugiardo” gridò. “Ti hanno visto.”
Ros tossì. “Non sono venuto nella vostra zona. Sono anni che la evito.”
Altro calcio nelle costole.
Ros sentì il dolore avvampargli nel petto come un fuoco.
“Hai offerto dei soldi alla figlia del fabbro” disse Rezan. “Ti hanno visto le serve e sono venute a dirmelo. Ridevano di te. Ridevano di noi. Di me.”
Gli sferrò un altro calcio, stavolta nella coscia destra.
“Così gli fai davvero male, Rez” udì la voce di Blenn.
In lontananza gli fece eco il grugnito di Loyan.
Sono tutti qui, pensò Ros.
“Niente è troppo per questo qui” disse Rezan schiacciandogli il collo col tacco dello stivale. “Mi senti, idiota? Farai meglio a sparire o giuro sul mio onore che ti romperò un osso per ogni giorno che resterai qui.”
“Me ne andrò” gemette Ros. “Non mi vedrai mai più.”
“Non prenderti gioco di me” disse suo fratello aumentando la pressione del tacco.
“È vero” disse Ros. “Parto domani stesso.”
Rezan sembrò esitare. “Meglio per te se non ti ai trovare. Vattene dove vuoi, ma non stare più qui, hai capito?”
“Sì” disse Ros.
Rezan alzò lo stivale.
Ros li sentì allontanarsi ma non si mosse. Invece restò con il viso immerso nel fango, gli occhi chiusi, il dolore pulsante al petto e alla gamba che stavano scemando.

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