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Autore: time_wings    19/07/2020    2 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Mezzo warning: accenni di violenza su un bambino, ma proprio accenni.
 

4. Leone


 

 
Gennaio, 1989
 
La morte non esisteva.
Aveva lo sguardo rivolto al cielo e una di quelle stelle brillava più intensamente di ogni altra, sembrava voler esplodere e disperdersi e ridursi in brandelli fino a colare liquida come se il cielo fosse stato fatto a scalini.
Una goccia argentea piangeva nel buio e portava il suo nome.
Poco più su, una falce di luna era tanto sottile da venire mangiata dalle tenebre. La guardò dritta in due dei suoi crateri e sperò che gli dicesse qualcosa.
Lei non si mosse. Sembrava volerlo sfidare.
Gli parve che la stella si fosse avvicinata. Brillava orgogliosa, forse addirittura un po’ arrogante, ammesso che si possa dire di una stella. E probabilmente rincorse la luna, come a costringerla a darsi una mossa.
Non seppe cosa fosse, quanto fosse distante e soprattutto se stesse dimenticando qualcosa. Sapeva che dietro quei punti di luce qualcosa gridava per essere dissotterrata.
Lo sapeva perché gli mancava il respiro e l’aria gli pareva più rarefatta che mai.
Una sola, ultima, inspiegabile gioia gli esplodeva nel petto, perché gli astri si rincorrevano come se li avesse orchestrati. Come se avesse passato l’intera sua vita a gestirne i ritmi e le turbolenze.
Erano le uniche emozioni che si potessero baciare. Sapeva benissimo che era lì per quello, che un contatto lieve sarebbe bastato a strappargli via dal petto anni e anni di colori sgargianti. Eppure quella visione era irresistibile e, sebbene si fosse ripromesso di non cedere e continuare a provare la solita angoscia, doveva ammettere che quelli ci sapevano fare, in quanto a seduzione lo superavano.
Forse, se si fosse lasciato baciare, avrebbe avuto modo di ricordare anche solo per un attimo che c’era stato un tempo in cui quel cielo lo aveva saputo comprendere.
Chiuse gli occhi e sorrise e quello fu l’unico incoraggiamento di cui avessero bisogno.
Percepì un velo posarsi addosso e solleticargli le braccia. Poi una scarica della più pura e profonda gioia gli attraversò le viscere, fino a concentrarsi sulle sue labbra.
Il dolore ha sapore più amaro e fu l’ultimo ad arrivare.
Aveva qualcosa di assolutamente stimolante, ma un formicolio lungo la schiena inerme gli suggerì che non era ciò che voleva. Quel dolore non aveva alito, né odore, era solo un vento freddo che lo costrinse a inspirare fortissimo, fino a sentire i polmoni quasi esplodere.
Non vide tutta la sua vita, né il futuro che avrebbe potuto avere. Non vide un volto amico, né l’inferno sputare fiamme per impiantarsi nella sua mente.
Però, giusto un attimo prima di sentire quel tanto atteso e ben più spaventoso niente, un paio d’occhi grigi lo guardarono bagnati come in lacrime.
Si vociferava che, quando i Dissennatori baciavano, l’emozione che raggiungeva il resto dell’anima per ultima, quasi come se fosse stata incredibilmente pigra o solo molto testarda, fosse il rimpianto. A quanto pareva lo era davvero, perché prima del tradimento, delle scelte strategiche che non avevano portato ad altro che una tragedia, prima della disperazione per aver capito tutto troppo tardi, c’era stato il più grande rimpianto di non averlo aiutato.
Regulus Black era morto come un diavolo perché lui non era stato in grado di salvarlo.
 
Sirius sussultò e un singulto gli lasciò le labbra. Si scontrò di nuovo con la pietra gelata e capì, in un attimo di lucido orrore, che non aveva sognato.
Che cosa c’era di peggio di un Dissennatore?
Quando aveva posto per la prima volta la domanda, da bambino, era rimasto così colpito da non aver creduto alle sue orecchie: erano voci, non potevano essere vere. Quando poi l’aveva chiesto in seguito la risposta aveva iniziato a cementarsi da qualche parte nella sua testa, perché restava sempre la stessa. Forse avevano ragione, forse era davvero così, ma cosa c’era di peggio che sentirsi disperati ogni giorno?
Si diceva che i Dissennatori fossero la piaga più leggera di Azkaban e Sirius aveva immaginato, sin da piccolo, mostri spaventosi solidificarsi nel buio e ferire, abbattere e dilaniare senza sosta.
Eppure nessuna altra creatura l’aveva mai attaccato lì.
Guardarsi impazzire era la sensazione più angosciosa nel pianeta e quel giorno la provò per la prima volta.
Il bacio del Dissennatore non era stato un sogno, quindi, era davvero il delirio? Avrebbe perso la coscienza, i ricordi che lo rendevano diverso da un numero volgare legato a una catena?
Si sentiva la testa scoppiare per la febbre e nel petto cresceva la voglia improvvisa di venire baciato davvero, non nella sua testa, per risparmiarsi la disperazione più profonda.
Per la prima volta desiderò di essere morto.
 
***
 
“Sto morendo!” Sirius rientrò nella sala comune guardandosi le mani pietoso. “James, di’ a Remus che sono stato io a rubare la sua ultima tavoletta di cioccolato,” si lamentò, poggiando la cartella di cuoio sul tavolino con un colpo davvero troppo pesante per essere la sua.
“Parli come se non fossi qui davanti a te,” si limitò a rispondere Remus, dalla sua poltrona accanto al fuoco, senza prestare troppa attenzione alla dinamica.
James inarcò un sopracciglio. “Che ci hai messo dentro? Un Serpeverde intero?” domandò con un cenno del capo in direzione della cartella. Sirius scrollò le spalle e si lasciò cadere sul divano, proprio addosso a James, che cercò di levarselo di dosso.
“Perché hai fatto così tardi?” chiese invece Peter, alzando la testa dal suo tema di Erbologia.
“Pete!” Sirius ci mise un attimo a lasciare James in pace per occupare lo spazio personale del suo amico, “a qualcuno qui interessa delle mie ingiuste fatiche!”
“Ingiuste?” Remus alzò gli occhi dal suo libro solo per un veloce sguardo ironico nella sua direzione.
“Mi hanno fatto lucidare i trofei,” si lamentò, “anche quelli di quell’incapace,” aggiunse, indicando James con un pollice. Peter ridacchiò. “E adesso ho le mani rovinate per sempre.”
“Guarda che è una cosa che fanno tutti,” si intromise di nuovo Remus, che evidentemente aveva voglia di boicottarlo.
“Cosa? Avere le mani rovinate?”
“Lucidare il metallo, Sirius, sei tu che sei nato in un castello,”
“Chiamalo castello,” il giovane lasciò il povero Peter ai suoi compiti e riacchiappò la borsa dalla tracolla. “Buonanotte, signori,” li prese in giro, facendo per andarsene. Prima che potesse muovere un solo passo, però, la mano di James si serrò attorno al suo polso, poi strinse. Sirius si voltò con la fronte aggrottata, dando una rapida occhiata alla mano dell’amico, poi lo guardò negli occhi, in una muta richiesta di spiegazioni.
“Perché eri in punizione?”
Sirius sbuffò. “E quando non lo sono?”
James non rise, continuò a fissarlo. Non sembrava arrabbiato, più inquieto e, cosa ancor più strana, un’impercettibile scintilla di speranza gli illuminava le pupille. “Non studi con noi?”
“Tu non stai studiando, James,” Sirius si risistemò la cartella sulla spalla con la mano libera.
Lo sguardo di James scattò sulla borsa, di nuovo. “E tu sei davvero stanco e vuoi andare a dormire?”
Sirius mosse appena il polso per liberarsi. Non sembrava più tanto divertito. “Ma che problema hai?”
James inclinò la testa impercettibilmente in direzione del tavolino. C’erano almeno altri dieci libri aperti su di esso, ma a Sirius bastò uno sguardo per vedere quello che sapeva di dover vedere.
Tornò con gli occhi su James.
Era teso, sembrava aspettare qualcosa, qualsiasi reazione di Sirius gli sarebbe bastata. Si fissarono per qualche secondo, senza fiatare.
Poi Sirius annuì pratico, sospirò e alzò gli occhi verso la poltrona. La presa di James si strinse sul suo polso, costringendolo a tornare a guardarlo, poi scosse la testa piano.
“Tutto bene, ragazzi?” Remus spezzò quella tensione ed entrambi sussultarono. James mollò la presa.
“Va tutto bene,” ribatté Sirius, disinvolto come se non avesse passato gli ultimi minuti ad avere una conversazione muta con James.
Remus lo guardò per qualche secondo, il sopracciglio alzato di chi non se l’era bevuta, ma il silenzio di chi non era sicuro di voler sentire la verità. “Okay,” concesse infine, con una scrollata di spalle, “buonanotte.”
Sirius lo salutò con un cenno del capo e si voltò. “Ci vediamo qui alle due,” sussurrò, poi, a James, prima di salire le scale che portavano ai dormitori.
“Ehi!” Peter rovistò sul tavolino, in cerca degli appunti di Erbologia che Remus gli aveva prestato. “Che ci devi fare con ‘l’essenziale sulla difesa contro le arti oscure’?” Poi afferrò il libro in questione come se costituisse una minaccia. James si voltò veloce nella sua direzione e fu leggermente troppo violento nel prenderglielo di mano.
“Non dovremo leggerlo prima del prossimo anno!”
“Mocciosus deve fare da cavia per incantesimi più avanzati,” commentò James con la solita disinvoltura, sfogliando il libro in cerca di una pagina a caso. Peter rise piano e tornò al suo tema.
 
***
 
“Che cosa sai?”
Le voci sicure, ma vagamente impensierite di Sirius e James si fusero insieme nel buio. James grugnì frustrato e accese una lampada a olio poggiata su un mobiletto, poi la spostò sul tavolo dove normalmente i Grifondoro si riunivano per studiare. Sirius gli si sedette di fronte e aprì la cartella davanti a lui. Ne tirò fuori due libri, uno di questi sembrava messo piuttosto male e il titolo era quasi illeggibile. Ci aveva infilato un pezzo di pergamena in mezzo, come segnalibro, e lo usò per aprirlo alla pagina segnata.
Esitò per un attimo, con il libro ancora chiuso sul tavolo e un dito tra le pagine ingiallite, per non perdere il segno. “Anche tu,” sussurrò poi e James capì al volo.
Si chinò appena per raggiungere il manuale che aveva nascosto sotto il divano, diede una rapida occhiata al suo interno e poi si fermò, puntando lo sguardo in quello di Sirius.
Lasciarono cadere entrambi i libri sul tavolo e attesero qualche attimo di troppo per abbassare lo sguardo l’uno su quello dell’altro.
Sul libro che aveva James, una grande scritta nera comunicava ai lettori che quello era l’inizio del capitolo diciassette e un’immagine di un lupo occupava il centro della pagina trecentonovantaquattro. Il libro di Sirius faceva decisamente più paura.
La frase ‘Non è vero che i lupi mannari perdono di lucidità quando trasformati’ era scritta in grassetto e un disegno mostruoso di una creatura dalle enormi fauci ostili sembrava voler scappare dalla pagina.
Sirius fu il primo a ricordarsi di respirare. Si lasciò cadere con un sospiro contro lo schienale del divano e lanciò uno sguardo alla grande finestra di fronte a lui. La luce della luna filtrava pigra tra i riquadri in ferro battuto, come a volersi fare protagonista di quella notte. “Secondo te è possibile?” domandò, passandosi una mano sulla faccia e inspirando profondamente.
James scrollò le spalle e diede un’occhiata al libro che aveva trovato Sirius.
“Li descrive come mostri, dice che sono intrattabili e violenti, che hanno un istinto naturale per la carne umana e che quando non sono trasformati sono ugualmente disumani,” spiegò Sirius, che si alzò con un colpo di reni, per afferrare il libro del terzo anno.
“Lui non è così,” commentò James, corrugando la fronte mentre continuava a leggere. “Ti prego: ‘incapaci di ragionare, impossibilitati a servirsi di qualunque metodo diverso dalla violenza per ottenere ciò che vogliono’,” James rise. “Questa roba non ha senso, ci avrebbe già staccato il collo da un bel po’ e non saremmo qui per leggerlo. Davvero hai passato tre ore a lucidare trofei per… questo?”
Sirius annuì, ma chiuse il libro di difesa contro le arti oscure di scatto. “Allora come lo spieghi, James?”
“Ha paura della luna, e allora?”
“Allora cos’altro potrebbe essere?”
“E che ne so io?!” James si mise a sedere composto, di colpo all’erta perché la conversazione si stava facendo via via più animata. “So che è una fobia a tutti gli effetti, magari un lupo mannaro ha ucciso sua nonna, che ne so?”
“E quindi torna a casa una volta al mese, senza eccezioni?” Sirius inarcò un sopracciglio e scosse la testa, “e quando torna a scuola ha una serie di cicatrici nuove di zecca? Perché sua nonna è stata uccisa da un lupo mannaro? Logico.”
“Forse…”
“Oppure è un lupo mannaro, James,” lo interruppe Sirius, una sicurezza negli occhi che gli aveva visto solo quando aveva deciso di non tornare a casa sua per Natale.
“A te sembra violento, inumano e incapace di ragionare?” James alzò un sopracciglio e Sirius distolse lo sguardo. 
“No.”
Nessuno parlò più per un po’. James continuò a rovistare nel libro che Sirius aveva sottratto alla sezione proibita della biblioteca, mentre lui continuava a fissare la finestra, mordendosi un labbro.
“Quindi tu hai fatto ricerche che confermano l’evidenza, come me, perché non ci credi?” Sirius aveva mantenuto un tono calmo e basso, ma James capì che lo stava attaccando. “Dici che non è così?”
“Dico che non ne siamo sicuri.”
Sirius sospirò, poi infilò una mano nella tasca della sua felpa e ne tirò fuori una pergamena. La lanciò sul tavolo e aspettò che James la prendesse, incrociando le braccia al petto.
“È il calendario degli scherzi. Che dovrei farci?” James la raccolse continuando a fissare Sirius. Il ragazzo accennò col capo in direzione della pergamena, come a invitarlo a leggerla.
“Ci sono segnate le fasi lunari.” Si tirò a sedere per dare un occhio al calendario insieme al suo amico, “ventuno dicembre. Quando ho deciso di non tornare a casa Remus era appena tornato dalla sua. La luna piena era due giorni prima.”
James sgranò leggermente gli occhi, ma non fiatò. Era la prima volta dall’inizio di quella conversazione che chiamavano per nome il loro amico e uno strano silenzio seguì quella frase.
“Ventitré ottobre. Rinviamo lo scherzo di quel giorno perché Remus doveva tornare. Guarda, è cancellato e spostato al ventisette, l’abbiamo fatto vicinissimo a quello di Halloween.” Un cerchio rosso inquadrava spaventoso il numero ventitré sul calendario.
“E Halloween scorso? Ti ricordi che era irrequieto e nervoso e non capivamo che avesse?”
James annuì piano.
“Ora che si fa?” Sirius continuava a fissare la finestra, aveva di nuovo le braccia conserte e non smetteva di tamburellare con il piede sul tappeto. James gli diede una rapida occhiata e inarcò un sopracciglio, confuso.
“Che vuol dire ‘che si fa’?”
“Be’, che dovremmo fare, continuare a comportarci come se nulla fosse?”
James si alzò di scatto, afferrò un cuscino e glielo lanciò addosso.
Sirius si voltò a guardarlo con aria interrogativa e James assottigliò lo sguardo. “Come vorresti comportarti, scusa? Vuoi voltargli le spalle solo perché ha un problema? Credi che lui farebbe questo per te? Non vuoi aiutarlo?”
Sirius si alzò a sua volta. “No, però… Non lo so, questo cambia le cose.”
“Ascoltami bene,” James abbassò la voce di qualche tono, fino a farla sembrare un ringhio, “quel libro dice tutte stronzate. L’ha scritto qualcuno che non sa niente di lupi mannari. Oppure Remus è un’eccezione, non ne ho idea, so solo che se ti azzardi a fargliela pesare o ad allontanarti da lui per questa storia, io ti rovino, non me ne frega niente se sei mio fratello.”
Sirius sgranò gli occhi e spalancò la bocca, sgomento. “Aspetta, che…”
“Hai capito?”
Sirius lo guardò per qualche altro istante, poi abbassò lo sguardo e annuì, tornando a sedersi sul divano. “Come intendi aiutarlo? Pagina duecentosette, non c’è cura.”
“Qualcuno ha fatto i compiti.” James alzò un sopracciglio divertito, ma Sirius ribatté con un sorriso mogio. “Troveremo un modo,” continuò, affondando tra i cuscini del divano e lasciando vagare stancamente lo sguardo sulle pagine ingiallite.
“Trovare un modo per cosa?”
Sirius e James schizzarono dai divani prima ancora di registrare e assegnare un volto alla nuova voce che si era introdotta nella Sala Comune.
Peter se ne stava in pigiama sotto l’arco che collegava la stanza alle scale per i dormitori. Si stropicciò un occhio e sbadigliò sguaiato, quasi non facendo caso allo sguardo allarmato che si scambiarono i suoi amici.
“Che state facendo? Studiate?” Avrebbe riso, se non fosse stato così stanco.
James scambiò un’altra occhiata con Sirius, indeciso, ma poi Peter abbassò lo sguardo sul tavolino e sembrò che tutto il sonno gli fosse stato risucchiato via di colpo. Alzò gli occhi sconcertati sui suoi amici, guardando prima uno e poi l’altro come in una partita di flipper. “Che significa?” Mosse qualche passo indietro, inorridito e Sirius sospirò un po’ scocciato, incrociando le braccia al petto.
James lo guardò un’ultima volta, poi sospirò e si passò una mano tra i capelli. “Peter,” parlò e Sirius lo guardò solo per un attimo, prima di annuire, “siediti.”
 
***
 
Quando la mattina arrivò, la luce naturale sembrò sollevare dal petto di James quella vaga angoscia che si diceva da giorni di non provare per niente, ma che in fondo lo aveva fatto dormire suppergiù un’ora in totale, quella notte.
Peter aveva fissato il vuoto per qualche minuto e aveva detto solo ‘okay’, a fine spiegazione. L’atmosfera si era addensata così tanto che la Sala Comune e poi il dormitorio gli erano sembrati pesanti nei polmoni come acqua.
E a colazione comprese, a giudicare dallo sguardo perso di Sirius, che dovevano aver trascorso la notte alla stessa maniera, che se avessero sommato il tempo in cui avevano dormito, arrivare al risultato totale di due ore sarebbe stato un successo.
Sirius si accasciò di lato, vagamente consapevole di aver avuto fortuna nell’atterrare sulla spalla di James. Il ragazzo non si lamentò, anzi appoggiò la testa sulla sua e chiuse a sua volta gli occhi. Remus ridacchiò e diede di gomito a Peter. “Che hanno fatto ieri notte?”
Peter sembrò andare nel panico più totale: arrossì di botto e farfugliò qualcosa di incomprensibile. Sirius grugnì e alzò la testa, costringendo James a fare lo stesso. “Molto divertente, ma quello che io e James facciamo la notte deve restare tra noi.”
Peter, come Remus, rise, ma non mancò di notare l’occhiata ammonitrice che Sirius gli riservò.
“Non resiste al mio fascino,” gli diede corda James, cacciandosi in bocca un cucchiaio di cereali. Un po’ di latte gli colò da un angolo della bocca e Sirius alzò un sopracciglio, disgustato.
“Così mi rendi la vita difficile, Potter.”
“Guarda la tua camicia, Black.”
Sirius abbassò lo sguardo. Una macchia di marmellata tingeva gloriosa la sua ultima camicia pulita. Sbuffò, armandosi di tovagliolo e tanta stanchezza.
“Perché ti porti quel libro del terzo anno ancora dietro?”
La voce di Remus li raggiunse prima ovattata e James all’inizio pensò che, davvero, perché si portava un libro del terzo anno dietro? Poi sobbalzò, facendo lamentare Sirius, che si era nuovamente appisolato sulla sua spalla e che sosteneva che il suo zigomo, questa, non se la meritava. “Te l’ho detto, quel… coso ha bisogno di una lezione,” esalò James e il suo pollice si mosse sbrigativo a indicare Piton, seduto da qualche parte al tavolo dei Serpeverde.
“Di preciso, bullizzare qualcuno ti fa sentire realizzato?”
La voce squillante di Lily era l’ultima cosa che James avrebbe mai desiderato di sentire in generale. Quella mattina, poi, in particolar modo. Sospirò con la rassegnazione di chi sa di aver iniziato la giornata col piede sbagliato, poi puntò uno sguardo indifferente in quello furioso di Lily. “No, Evans,” ribatté, cercando di concentrare la maggior quantità di veleno possibile nel suo cognome, “non qualcuno. Bullizzare quel fanatico del tuo fidanzatino, quello sì che mi fa sentire realizzato.”
Lily serrò la mascella e ridusse le labbra a una linea sottile. Gli occhi le lampeggiarono di rabbia. “Non è il mio fidanzato,” precisò, raccogliendo le sue cose dal tavolo della colazione con più veemenza di quanto meritassero, “e se ti trovo a fargli del male, Potter,” minacciò, scimmiottando la maniera con cui James aveva pronunciato il suo cognome qualche secondo prima, “ti farò rimpiangere di essere nato maschio.”
Sirius sembrò svegliarsi dal suo sonno di bellezza solo per scoppiare a ridere e lasciare una manata divertita sulle spalle di James.
“Marlene, ti prendo il posto a lezione,” avvisò Lily, che aveva finito di radunare le sue cose e aveva lanciato un’ultima occhiata innervosita a James. “E tu, Sirius,” il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, in attesa, un sorriso divertito gli alzava un angolo della bocca, ma Lily si limitò a borbottare qualcosa, mentre usciva come una furia dalla Sala Grande.
Sirius si voltò verso Marlene, aveva la fronte falsamente aggrottata e un pollice che puntava verso le porte della Sala Grande dietro cui era scomparsa Lily. “Ha detto ‘fottiti’?”
Marlene si morse un labbro e soppresse una risata, perché sarebbe stato come voltare le spalle a una delle sue migliori amiche. Non resse, però, e si lasciò scappare un veloce sbuffo divertito, che camuffò con un colpo di tosse.
“Come pensavo,” convenne Sirius, scuotendo la testa e sorridendo. Marlene ricambiò.
“Qui hai segnato quelli che intendi usare?” Remus si allungò a sfiorare i pezzi strappati di pergamena che James aveva anche lui infilato la sera prima nel libro. Stava per aprirlo su uno di quei segni, quando James si fiondò in avanti e gli sottrasse letteralmente il libro da sotto il naso. Remus rimase con una mano a mezz’aria e cercò dubbioso lo sguardo di Sirius. Lui ebbe la prontezza – o la stanchezza – di limitarsi a scrollare le spalle come se James fosse stato notoriamente un tipo un po’ aggressivo e non ci fosse stato nulla di cui preoccuparsi.
Ciò che proprio non aveva senso, Remus ebbe modo di ragionarci in seguito, era che James sembrava quasi dispiaciuto.
 
***
 
“Latte?” Regulus Black quasi non distinse la voce di sua cugina. Aveva gli occhi fissi sul tavolo dei Grifondoro e si mordeva forte la lingua. Nessuna emozione traspariva dal suo sguardo, se non una velatissima e impercettibile rabbia. “Regulus?” Narcissa appoggiò la brocca d’argento davanti al ragazzo, con un tonfo.
Regulus non sobbalzò, non si spaventò. Mosse semplicemente lo sguardo dal tavolo agli occhi della cugina. La fissò per qualche istante, poi schioccò la lingua. “Cosa?”
Narcissa non sembrò particolarmente colpita quando ripeté la domanda. “Ti ho chiesto se vuoi del latte.”
Regulus annuì, il solito sguardo spento si sostituì a quello di qualche attimo prima. “Sì, grazie,” rispose solo e Narcissa annuì, versandogli il latte nella tazza.
“Sai,” iniziò, torcendo il polso per poggiare la brocca sulla tavola, “continuare a pensarci non ti porterà da nessuna parte.”
Regulus alzò un sopracciglio e la osservò infastidito. 
“Dico solo che ha scelto,” spiegò, accennando col capo in direzione di Sirius. “Non passerà molto prima che ne farà un’altra delle sue e il suo nome verrà cancellato,” continuò, scrollando le spalle sotto gli occhi disinteressati di Regulus. “Prima o poi capirà di non avere più niente, nessuna famiglia da cui tornare. Ma tu sei migliore di così.”
La ragazza gli sorrise e Regulus si morse un labbro, lanciando un’ultima occhiata alla tavola dei Grifondoro, prima di voltarsi verso sua cugina. Era incoraggiante e, soprattutto, era sincera, glielo leggeva negli occhi: lei voleva aiutarlo, voleva assicurarsi che non sbagliasse e che desse il giusto valore alla famiglia.
Però.
Però Sirius, a qualche tavolo di distanza, stava ridendo. Era una cosa che a Regulus non capitava da due anni, di ridere senza paura di sbagliare. Attorno a lui c’erano delle persone che Narcissa aveva giudicato, leggendo tra le righe, passeggere, temporanee. Si chiese se non fosse vero.
Vedere suo fratello ridere, al tavolo dei Grifondoro, e la voglia di ridere per riflesso durò solo un attimo.
Sirius a Natale non era tornato. Gli aveva promesso che ci sarebbe stato, che l’avrebbe protetto e che non l’avrebbe dimenticato, una volta andato a Hogwarts. E poi non c’era stato, non l’aveva protetto e l’aveva dimenticato.
Non era invidioso dei suoi amici, non era geloso di suo fratello, non era triste, Regulus era immancabilmente arrabbiato. Perché Sirius aveva dei doveri, delle aspettative che gravavano su di lui e se ne era fregato, come il più codardo dei Grifondoro.
Suo fratello stava giocando, recitando una parte che presto gli sarebbe troppo pesata, perché lui non apparteneva né a quella casa, né a quella gente. Non era questione di rango, ma di sangue e, Regulus lo sapeva, prima o poi il suo sangue Nero si sarebbe rivelato.
Pensò queste cose in preda alla rabbia, accecato dal risentimento e dalla sofferenza per l’abbandono, ma non comprese – e come poteva? – che con quei pensieri qualcosa si era rotto, che da quel momento in poi le cose non sarebbero state più le stesse.
Col senno di poi, all’alba dei suoi diciott’anni, Regulus non rimpianse mai totalmente quella scelta, ma il fatto che fosse stata così netta. Non si era mai sentito l’unico responsabile di quella rottura, ma forse la drasticità dei suoi undici anni e un fondo di rancore invalidante, gli avevano giocato un brutto scherzo.
Restò il fatto che, da quella mattina, Regulus smise di guardare la schiena di Sirius, in attesa che si voltasse.
 
***
 
Il seme del dubbio.
Era peggio di un calcio in faccia, un invito ad andarsene, a dormire nel bosco e abbandonare per sempre il dormitorio. Peggio addirittura di una minaccia di dirlo a tutta la scuola, a tutto il mondo, alle galassie vicine, addirittura.
Peggio quasi dello sguardo disgustato e ferito di Peter, di James, di Sirius.
C’era qualcosa nella sua aggressiva voglia di conoscere la verità che lusingava Remus in una parte della sua mente. Era una parola che non si sarebbe mai aspettato di pensare in merito alla sua condizione, ma l’idea che qualcuno potesse essere così interessato ai segreti di uno come lui era nuova e, si vergognava ad ammetterlo, anche un po’ esaltante.
Non aveva niente a che fare col ricevere attenzioni. L’obiettivo di quelle sensazioni non era affatto il colpo di scena, l’effetto sorpresa, l’idea di far passare abbastanza tempo perché ‘ehi ragazzi, sono un lupo mannaro’ risultasse spiazzante e spettacolare. Anzi, era l’esatto opposto: non aveva in programma di dirlo ai suoi amici, ma era l’idea che Sirius fosse così preoccupato da assillarlo, a farlo involontariamente sorridere.
Era l’effetto collaterale dell’amicizia, la prova tangibile che non era tutto falso. Anche se non era destinato a durare, quell’affetto era reale e l’insistenza ne era una prova commovente.
Il tempo delle belle emozioni, però, era terminato quando James aveva varcato la soglia del passaggio di Gunhilda. Il suo sguardo era serio, come non l’aveva mai visto, i suoi occhi erano consapevoli di qualcosa e Remus tremava come una foglia se pensava che quel qualcosa potesse essere corretto.
I suoi sospetti non si erano dissolti quando aveva trovato quel maledetto libro del terzo anno praticamente ovunque. E il fatto che James fosse così riservato a riguardo era terrificante. Conosceva il programma del terzo anno, aveva già recitato davanti allo specchio le espressioni da assumere quando sarebbe arrivato il giorno, per non sembrare minimamente toccato. Lui sapeva che tra quelle pagine c’era il suo più grande segreto e vederlo così spesso nelle mani di James lo rendeva irrequieto.
Il seme del dubbio non era stato solo piantato, germogliava ogni giorno più rigoglioso e Remus non aveva idea di come estirparlo.
Fissò il soffitto con un sospiro e ascoltò i passi dei suoi amici avvicinarsi alla porta del dormitorio.
“Sei sveglio?” Peter si fermò sull’uscio e Remus grugnì in risposta.
“Ti abbiamo portato del cioccolato,” si unì Sirius, infilando la testa da un lato della cornice della porta per farsi vedere. Con una mano sventolava una delle bacchette di cioccolato di Mielandia.
Remus si alzò a sedere con un sibilo di dolore. La luna piena era in arrivo e le ossa erano già rigide e i muscoli intorpiditi. “Vuoi dell’acqua?” James si fece largo nella stanza all’istante e Remus alzò un sopracciglio, ma scosse la testa.
James e Peter si diressero ai rispettivi letti.
Accettò sospettoso la bacchetta di cioccolata di Sirius e lo osservò per qualche attimo, mentre gliela porgeva. Uno strano mattone di ghiaccio gli si addensò nello stomaco e deglutì a fatica. Quella gentilezza improvvisa lo insospettiva.
Sirius aggrottò la fronte. “Che c’è?”
Remus scosse la testa e alzò gli occhi al soffitto, chiudendoli per un attimo e inspirando a fondo. Quando tornò a prestare attenzione ai suoi amici James guardava oltre la finestra della stanza. Una luna crescente biancheggiava tra le tenebre. “James?”
Il suo amico si voltò a guardarlo, incontrando distrattamente gli occhi confusi di Remus. “Mh-mh?”
“Io… non ho paura.”
Sirius sospirò rumorosamente, poi si alzò dal letto di Remus. “Quanto potrà mai durare?” mormorò, dirigendosi verso il suo letto. “Sono curioso di scoprire il tuo, di Molliccio, James,” Sirius alzò la voce e tirò le tende del suo letto, per poi disfarlo per infilarcisi dentro.
“Io non ho paura di niente,” il ragazzo scrollò le spalle e sorrise.
“Sì, certo, e lo stregone dal cuore peloso?”
“Sirius, ne abbiamo già parlato, quella storia è terrificante,” James sgranò gli occhi e scosse la testa, come a sottolineare l’ovvio.
Remus alzò un sopracciglio, felice che la conversazione avesse cambiato direzione. “Chi?”
“È una fiaba per bambini,” spiegò Sirius, che ce la stava mettendo tutta per non ridere di James.
“È una fiaba che leggono solo i bambini traumatizzati.”
“Io la leggevo,” Sirius alzò un sopracciglio.
“Esatto.”
Remus e Peter risero.
“La conosci ‘la storia del calderone delle anime’?” domandò Sirius, genuinamente curioso.
James lo fissò per un attimo. “Amico, che infanzia hai avuto?”
“E me lo chiedi?”
“Il mio Molliccio sarebbe di sicuro un serpente,” si intromise Peter, mordendosi un labbro e mettendo su un’espressione decisamente spaventata.
“Davvero? Hai paura dei serpenti?” Remus lo guardò meravigliato, un sorriso comprensivo gli si formò sulle labbra.
“È come si muovono,” precisò aggrottando la fronte, impensierito.
“C’è stato un periodo in cui avevo paura dei Dissennatori,” confessò infine James. “Lo scoprii troppo presto, ero piccolo e…” rabbrividì, “terrificanti.”
Sirius sporse il labbro inferiore. “Povero piccolo James, traumatizzato a vita!”
Il ragazzo si avvicinò al suo letto solo per dargli una spinta e Sirius rotolò giù, ridacchiando e affrettandosi ad arrampicarsi un attimo dopo.
“In realtà è molto saggio,” considerò Lupin, appoggiando un braccio sulla fronte, in riflessione.
Sirius si esibì nel più plateale sbuffo divertito di cui fu capace, riuscendo a tornare sul suo letto. “Chi, lui? Saggio? Sei simpatico, Remus.”
Il ragazzo rise e scosse la testa. “Davvero, vuol dire che quello di cui hai paura è… la paura. Molto saggio, James,” ribadì, annuendo orgoglioso, come se l’avesse istruito tutta una vita ad avere sagge paure. “Sirius, il tuo molliccio,” continuò Remus, spiazzando tutti per l’assenza del tono interrogativo. Sembrava quasi che lo pretendesse, che se Sirius poteva ficcare il naso a cadenza mensile nei suoi spostamenti, allora a lui era lecita almeno una domanda scomoda.
James e Peter non aggiunsero altro, ma avrebbero volentieri stretto la mano mille volte a Remus per essersi spinto così oltre. Quello che sapevano si basava sulle poche concessioni a mezza voce di Sirius: la sua famiglia era intrattabile, il rapporto con suo fratello si era incrinato, ma i motivi che si nascondevano dietro a ogni gesto restavano per lo più supposizioni dei ragazzi.
Se Sirius voleva giocare a strappare la verità di bocca a Remus, lui avrebbe giocato d’astuzia.
Lo guardò fisso in faccia, nessuna emozione trasparì dal suo viso, ma una scintilla di allarme gli bruciava negli occhi. “Non ne ho idea, non ne ho mai visto uno, tranne il tuo,” ribatté, umettandosi le labbra. Il fatto che l’avesse velatamente attaccato era il più eloquente sintomo che si fosse messo sulla difensiva. Attaccare quando era alle strette era da sempre la tattica di Sirius. Ci aveva messo qualche mese a decodificarla.
“Neanche James e Peter, ma hanno saputo rispondere.”
Sirius sospirò. “Mio nonno?”
James rise tagliente. “Oh, andiamo, tuo nonno? Puoi inventarti una bugia migliore.”
“Ehm, puoi non dirlo, se vuoi,” iniziò Peter, alzando lentamente una mano, come se fosse stato necessario prenotarsi per parlare, “però noi non ti giudichiamo.”
Sirius non disse molto altro, si guardò solo attorno, come a sondare il terreno, riservando uno sguardo a ognuno di loro. Peter sembrò molto soggezione, quando arrivò il suo momento.
Poi Sirius guardò dritto davanti a sé, sospirò come se la confessione che stava per fare gli fosse costata almeno tre anni di vita, infine mormorò, in un sussurro appena udibile, solo quattro parole: “Me, vecchio ed erede.”
Tornò di nuovo a fissare i suoi amici, come se a rimettere a loro la parola, come se ad essere in imbarazzo non dovesse più essere lui.
“Che ti hanno fatto?” domandò James, titubante, non tanto per curiosità, ma perché credeva che sapere in cosa consisteva il comportamento dei suoi genitori fosse necessario alla loro amicizia.
Sirius scrollò le spalle, capendo al volo a cosa si riferisse, ma stava iniziando ad agitarsi. “Stracci umidi, qualche incantesimo, repressione.”
Remus inarcò un sopracciglio. “Incantesimi?”
Sirius annuì soltanto, ma il nervosismo stava crescendo esponenzialmente col suo respiro.
“Che genere di incantesimi?” James aggrottò la fronte e scambiò un’occhiata veloce con Remus e Peter. Peter, in particolare, sembrava pietrificato.
“Incantesimi, James,” si spazientì Sirius, “vogliono che le loro idee vengano seguite senza obiezioni e provo un piacere sconfinato nel vedere il più completo disappunto sulle loro facce di cazzo, quando faccio qualcosa che non gli va giù, come respirare.”
Sirius non stava propriamente tremando, ma la frustrazione sembrava esserglisi depositata sulla pelle, come a caricarlo, e a quel punto era diventata evidente.
“Quindi lo fai per il gusto di ribellarti?” Remus sapeva che James lo stava provocando per sapere di più. La sua famiglia era famosa, il suo cognome gli aveva fatto storcere il naso appena lo aveva conosciuto, sapeva quali fossero le loro idee e sapeva anche che Sirius non le condivideva affatto, ma mancava poco perché parlasse una volta per tutte e quello era l’unico modo.
Come previsto, Sirius abbandonò l’espressione indifferente che aveva messo su e aggrottò le sopracciglia. “No, James,” alzò la voce, “lo faccio perché hanno idee del cazzo, si sposano tra cugini, bruciano i nomi dei traditori su una parete, come se li cancellassero dal mondo e pensano che gli unici maghi rispettabili siano quei purosangue del cazzo che frequentano, ecco cosa,” sputò fuori e si riusciva quasi a distinguere l’esatto momento in cui qualcosa nel suo cervello scattò, annebbiandogli la vista e non permettendogli di filtrare ciò che pensava da quello che diceva. Non riuscì, però, a capire che avrebbe dovuto smettere all’istante di parlare. “E non mi pare che gli vada contro tanto per apparire ribelle e interessante, visto che mi diserederebbero sul posto, se sapessero che…”
“Sirius.” Lo sguardo di James cambiò in una frazione di secondo, mentre sgranava gli occhi.
“Non solo sono in Grifondoro, ma il mio amico è un lupo mannaro.”
Gelo.
Non c’era altro modo per descrivere la tensione che si era sparsa nella stanza al pronunciare di quelle parole.
Si gelò anche la mente di Sirius, che si voltò sconvolto verso Remus, come se quelle parole non fossero state le sue.
James aveva mantenuto la calma, ma non aveva trovato niente da dire. Aveva solo sospirato rassegnato, forse perché l’aveva vista arrivare, poi si era passato una mano sulla faccia.
Peter, se prima era pietrificato, a quel punto era sempre pietrificato, ma con gli occhi sgranati e puntati in basso, sul suo materasso.
Remus, invece, aveva la bocca semiaperta e sembrava che una parola fluttuasse indecisa tra le sue labbra. Ormai non c’era più nessun seme del dubbio da far crescere, la realtà gli si riversò addosso con la violenza di una doccia fredda. Tutto ciò che aveva temuto per due anni, tutto ciò che si era augurato non succedesse, tutta la paura di lasciarsi andare e di accettare l’amicizia che gli veniva offerta, si tramutò in una solida e spiazzante verità: Loro sapevano, l’avrebbero abbandonato.
Il labbro inferiore gli tremò di paura e il dormitorio che da bambino aveva tanto sperato di abitare si trasformò in una gabbia strettissima e asfissiante. Sapeva che non sarebbe durata a lungo, solo, non pensava che sarebbe durata così poco.
James colse questi pensieri con uno sguardo e aprì le mani con decisione davanti a sé. “Okay, allora, è vero, però…”
“Non è vero,” esalò Remus voltandosi per la prima volta verso i ragazzi e guardandoli tutti per un attimo, con la vista annebbiata. “Non è…”
James alzò entrambe le sopracciglia, gentilmente scettico al sentire quella negazione. “Remus, lo sappiamo,” ribatté, “so cosa stai pensando e non abbiamo intenzione di dirlo a qualcuno. Vogliamo aiutarti.”
Lupin puntò gli occhi nei suoi, sembravano lampeggiare più come quelli di una preda che di un predatore, aveva le labbra secche e il respiro affannato. Scosse la testa e sgusciò via dal letto, in un istinto naturale ad avvicinarsi il più possibile alla porta, per mantenere aperta una via di fuga. “No,” mormorò, confuso, “no, io… Voi non potete.”
“Remus?” Peter lo richiamò, sembrava addirittura calmo, come se fosse giunto il momento di non concentrarsi su quello che pensava lui, ma di essere un buon amico. Tremò comunque per un attimo, però, quando gli occhi decisamente più brillanti del suo amico si posarono su di lui. Deglutì con difficoltà. “Noi… Troveremo un modo, dico bene, James?”
Il ragazzo annuì deciso. “Sì, puoi parlarne liberamente, ti aiuteremo a trovare scuse ogni mese quando vai a casa.” James mosse un passo verso di lui.
Remus indietreggiò istintivamente verso la porta. “Non vado a casa,” ammise, sentendo sempre più muscoli tendersi nervosi, “mi serve un po’ d’aria.”
Avrebbe voluto chiedere cosa e quanto sapessero, ma non riuscì a dire altro. Aprì la porta del dormitorio e discese rapido le scale che conducevano alla Sala Comune.
 
James si accasciò sull’orlo del suo letto, poggiò i gomiti sulle ginocchia e sbuffò sonoramente, nascondendo la faccia tra le mani. “Sirius, devi fare qualcosa per le tue reazioni,” mormorò stanco, non aveva la forza né proprio la voglia di mettersi a discutere. In ogni caso sapeva che quel segreto non sarebbe durato a lungo, avrebbe solo voluto che la verità non uscisse fuori in maniera così brusca, per il bene di Remus.
Sirius continuava ad avere lo sguardo basso di un cane bastonato. Annuì. “Mi dispiace,”
“Lo so,” ribatté James, alzandosi con un sospiro. “Vado a recuperarlo,” annunciò infine, dirigendosi a passo spedito verso la porta.
In un attimo, Sirius fu in piedi e gli si parò davanti. “Vado io.”
James lo guardò negli occhi, esitando, ma lui annuì come se avesse letto i suoi pensieri e avesse voluto rassicurarlo sul fatto che era calmo e aveva la situazione in mano.
James annuì piano e lo lasciò andare.
 
***
 
“Potevi salire un po’ più in alto, eh?”
Sirius arrivò in cima alla Torre di Astronomia con il fiatone e la fronte umidiccia. Remus non si voltò, ma si irrigidì visibilmente.
Gli si avvicinò lentamente e si sedette piano accanto a lui, lasciando le gambe penzolare oltre la ringhiera.
“Fa male?”
Passò qualche minuto prima che Sirius parlasse di nuovo, sapeva che forse non era l’approccio giusto, ma pensò che valesse la pena tentare. Remus lo guardò per un secondo, come se fosse stupido, gli occhi brillanti sembravano raccogliere la luce della luna quasi piena, restituendo un bagliore innaturale.
Sirius sostenne il suo sguardo.
“Sì,” esalò Remus con un sospiro, perché ormai non aveva più nulla da perdere.
“E le cicatrici…”
“È… colpa mia, devo essere da solo, qualunque essere umano…” Remus non andò oltre, incespicò sulle parole e lasciò vagare nell’aria il resto della frase.
“Ti fanno sembrare un duro,” sputò fuori poi, poggiando un braccio su un ginocchio e scrollando le spalle, “le cicatrici, intendo.”
Remus guardò la luna riflettersi nell’acqua solo per un attimo, prima di registrare le sue parole e scoppiare a ridere.
“Dico davvero!”
“Sirius!”
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui, alzando un sopracciglio confuso perché all’improvviso il suo amico stava guardando il cielo con gli occhi sgranati e aveva smesso di colpo di ridere. Pensò che fosse una delle controindicazioni del diventare lupi una volta al mese. “Che c’è?”
“Guarda.”
“Senti, è tutto nuovo per me, ti serve una qualche tisana per lupi mannari? È normale?”
Remus si voltò veloce verso di lui, con la fronte aggrottata. “Cosa? No, guarda le stelle.”
Okay, quindi adesso Remus si stava concedendo la libertà di comportarsi in modo strano perché Sirius sapeva tutto? Non è che la cosa lo disturbasse, ma faticava seriamente a stargli dietro. Il suo sopracciglio continuò ad alzarsi, sembrava voler arrivare in cielo. “Sì, succede ogni notte, sai, quando il sole tramonta si vedono le stelle,” spiegò, muovendo una mano come se stesse ripetendo una lezione trita e ritrita.
Remus rise, era incredibile che fosse la seconda volta Successo!. A ben pensarci, la sua risata sembrò uscire fuori più pulita, cristallina. “Lo so, ma… Tu lo sai cosa significa il tuo nome?”
“Ah,” Sirius rivolse uno sguardo contrariato al cielo, come se gli avesse fatto un torto, “sì, l’ennesima cosa strana e imbarazzante della mia famiglia. Quale sarebbe?”
Remus scrollò le spalle e indicò una stella, a qualche passo dalla luna. Sembrava voler giocare a chi era più luminosa.
“Certo che se la tira,” osservò Sirius, alzando un angolo della bocca per come dominava il cielo.
“Già, come qualcuno.”
Sirius gli rivolse una veloce occhiataccia, ma non negò.
I ragazzi smisero di parlare e stettero in silenzio a contemplare luna e stelle. Passò molto altro tempo, prima che l’eco lontana del miagolio della gatta di Gazza arrivasse alle loro orecchie. Sirius si ringraziò mentalmente per aver chiesto a James di prestargli il suo mantello dell’invisibilità, prima di andarsene.
Vi si nascosero sotto e sgattaiolarono silenziosi al dormitorio.
 
***
 
Agosto, 1979
 
“Devi… Dovrai fare tutto quello che ti dirò, hai capito?” Il respiro gli si mozzò in gola, ancor prima di pronunciare quelle parole. Tremava, perché c’erano almeno altre mille cose che sarebbero potute andare storte. “Devi farlo per me,” continuò, tentando disperatamente di mantenere un tono deciso.
L’elfo annuì titubante e si rigirò tra le mani il medaglione che aveva appena ricevuto.
“È importante che tu non dica mai a mia madre quello che ho fatto. Tu non saprai niente e non ne farai parola con nessuno, hai capito? Non c’è modo di sopravvivere, già lo so, lo devi distruggere tu.” Una certa sicurezza gli si solidificava nello sguardo a ogni parola. L’elfo annuì di nuovo: aveva paura.
Le mura erano umide, sentiva le gocce di condensa cadere una dietro l’altra e infrangersi nell’acqua.
“Distruggilo, è necessario, non ti chiedo nient’altro, è il mio ultimo ordine.”
Anche questa volta, l’elfo annuì, meno convinto delle precedenti e osservò la linea sottile delle labbra di Regulus piegarsi in un sorriso. “Però, così, Regulus Black sarà per sempre ricordato…”
“Non ha importanza, non c’è altro modo.”
Gli occhi grigi brillavano sotto la luce tetra che le pareti della grotta riflettevano. Una luce folle, ma incredibilmente libera gli si accese nelle pupille.
Kreacher fece in tempo a ribadirgli la sua lealtà per l’ultima volta.
“Grazie,” esalò semplicemente il ragazzo, con il tono di un brindisi, mentre mandava giù il primo sorso di veleno.
Da quel momento in poi vide poco altro oltre allo sfondo bianco del suo dolore. Gli occhi paralizzati dell’elfo si cristallizzarono nella sua testa e scomparvero del tutto man mano che il liquido scuro gli raschiava la gola, goccia dopo goccia. Strane visioni, come in sogno gli si affacciarono alle palpebre, poi non vide più nient’altro, fu solo dolore, angoscia immane. 
Era… vivo?
Forse sì, ma aveva una gran sete e il suo corpo si mosse di conseguenza.
Gli parve di vedere il cielo punteggiato di stelle davanti a sé e pensò che tutto ciò che voleva era raggiungerlo, toccarlo con un dito e addensarsi per sempre in una costellazione.
Si accorse, con un ultimo briciolo di coscienza, che in quel cielo si sentiva annegare.
Un velo di morte lo avvolse a partire dalle caviglie e pensò che, anche se non riusciva più a respirare, c’era qualcosa di accogliente in quel tessuto soffice. C’era un abbraccio, un sentore d’affetto. C’era un’emozione autentica e una calma innaturale.
Era davvero fatto così, l’amore?
La mente continuava a vorticare molesta e le figure dei mostri più nitidi gliela invasero prepotenti.
All’improvviso una sola, ultima immagine, proprio mentre pensava che non avrebbe più retto e percepiva i polmoni scoppiare, mise un punto a quella tempesta.
Si vociferava che l’emozione che raggiungeva il resto dell’anima per ultima, quasi come se fosse stata incredibilmente pigra o solo molto testarda, fosse il rimpianto. A quanto pareva lo era davvero, perché prima di anni di risentimento, di occhiate meschine e un velo di gelosia, c’era stato il più grande rimpianto di non avergli parlato.
Giusto un attimo prima di sentire quel tanto atteso e ben più spaventoso niente, un paio d’occhi grigi lo guardarono bagnati.
Quando Regulus raggiunse il fondo del lago degli Inferi sorrideva quasi.
Un’ultima goccia si unì alla grotta, satura di mille altre eppure mai sazia.
Sul volto immerso nell’acqua scura si era aggiunta una lacrima.


 

 


Note di El: Ue ciaaaaaao!
Vabbé, capitolo astronomico (non nel senso che è bello, nel senso che c'è l'astronomia). Penso che questa cosa sia spiegare: la costellazione del Leone è quella in cui c'è Regolo, in inglese Regulus, in Harry Potter Regulus Black. Wow, mitico. Quindi è questa cosa che dà il nome al capitolo, considerando anche il suo coraggio, capi, il coraggio di un leone... Vabbè, taccio prima che la cosa smetta di avere senso.

Può capitare che Sirio e la luna si avvicinino, cioè, non davvero, nel senso che appaiono vicine dalla terra. Mo' che è successa questa cosa della Torre di Astronomia è la fine, sappiatelo, è la fine, non dico altro. "Lo stregone dal cuore peloso" è una vera storia del mondo magico, "la storia del calderone delle anime" no, ma non ne avevano di inquietanti quindi ho dovuto fare la tipa creativa. Magari un giorno la scrivo davvero. Comunque le parole di Remus sulla paura dei dissennatori di James sono uguali a quelle che dice a Harry. Cioè, lo spero, perché non ho un terzo libro vero in italiano, quindi spero che sia una traduzione ufficiale. L'incubo è stato dare paure a ognuno, grazie mille, spero siano azzeccate. Questo è tutto, ah, non è vero, voglio troppo bene a James.
Okay, ora ho finito.
Volevo però prendermi sette secondi per ringraziare la leggera impennata di gente che ha iniziato a seguire questa storia <3 grazie mille, cari!
A domenica!
Adieu,

El.

 

   
 
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