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Autore: Dalybook04    20/07/2020    1 recensioni
Sequel di "Tutti i pomodori con cui mi dicesti ti amo"
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Napoli, ottobre 1722
Il diciannovenne Ludwig Beilschmidt scese dalla nave, un borsone in spalla e un'ombra di sorriso sul bel viso rasato di fresco.
Era a Napoli, nella stessa città del suo amore.
Stava per rivedere Feliciano.
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Feliciano lo guardò, con gli occhi piedi di meraviglia, mentre un enorme sorriso si faceva strada sul suo viso
Cosa doveva fare? Stringergli la mano? Abbracciarlo? Baciarlo?
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Lovino Romano Vargas non era mai stato uno che esprimesse apertamente le sue emozioni, ma nonostante questo suo fratello sapeva bene che stava soffrendo
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La quotidianità di quei mesi venne spezzata da un certo prussiano che amava distruggere ogni tipo di tranquillità
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Dopo tanti anni, finalmente Ludwig riesce a tornare a Napoli dal suo amore d'infanzia, Feliciano, per un anno di vacanza.
L'amore a troverà finalmente un modo?
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Principalmente Gerita, accenni Spamano, Pruaus e Fruk
Genere: Fluff, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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-eccoti, bastardo- Lovino raggiunse il suo ragazzo, affacciato sul ponte a guardare il mare. Quella mattina l'italiano si era risvegliato nella loro cabina da solo, per questo era andato a cercarlo. Notò due occhiaie enormi sotto gli occhi verdi dello spagnolo, che però erano luminosi, così come il suo sorriso -hai un aspetto orribile.
-ho dormito poco, Lovinito- gli passò un braccio intorno alle spalle e lo attirò a sé, indicando all'orizzonte -guarda, lì si vede la terra.
Lovino aguzzò la vista -ah, sì, la vedo. Be', era anche l'ora, non ne potevo più di stare qui- João aveva insistito per pagare loro il viaggio, compreso il ritorno, in quanto suoi ospiti. Il matrimonio si sarebbe svolto nella chiesa del paesino dove erano cresciuti i due fratelli, per cui avrebbero dormito nella vecchia casa di Antonio, dove vivevano ancora i suoi genitori. Al solo pensiero all'italiano si attorcigliavano le budella per l'ansia.
-stai tranquillo, Lovinito, andrà tutto bene- lo rassicurò, notando la sua preoccupazione dal suo viso.
-non sono preoccupato.
-sì invece.
-e tu che ne sai?
-ti conosco. Ti presenteranno come un mio amico, rilassati.
-non ci crederanno, i tuoi sanno chi sono davvero. Mi odieranno. Cercheranno di separarci. Mi uccideranno mandando un sicario a soffocarmi nel sonno- parlavano a bassa voce, sul ponte c'erano alcune persone, pochi mattinieri che comunque si facevano gli affari loro, ma meglio non rischiare.
Antonio rise -non importa se ti odieranno.
-sì che importa. Sono i tuoi genitori, Antonio, non sono due persone a caso.
-mio padre è stato un padre quanto il sole è verde e rosa- ribatté Antonio -mia madre... con lei me la vedrò io, è una donna complicata. Se cercheranno di separarmi da te falliranno, punto, e mi perderanno per sempre. Voglio dare loro, solo a mia madre in realtà, una seconda opportunità, altrimenti non tornerò mai più da loro- Lovino non lo aveva mai sentito parlare così seriamente -e per quanto riguarda il sicario...- tornò a sorridere -João ha detto che ti farà stare in una camera affianco e collegata alla mia. Se ti fa stare più tranquillo puoi dormire con me.
Annuì convinto -così potrò usarti come scudo umano.
-Lovi!- Antonio rise, pizzicandogli il fianco -cattivo.
-tieni le mani a posto, bastardo!
In quel momento li raggiunse João -buongiorno.
-buongiorno- Antonio passò l'altro braccio intorno alle spalle del fratellino.
-ti prego, non uscirtene con uno dei tuoi pipponi super romantici su quanto sia felice di avere me e João qui e di tornare a casa tua che sarà ancora più bella ora che siamo insieme eccetera eccetera- lo interruppe Lovino non appena il suo ragazzo ebbe riaperto la bocca e preso a guardare l'orizzonte.
-non volevo...
-sì che volevi. Ti conosco, bastardo. Non ce la posso fare a sopportare una cosa del genere di prima mattina.
João rise -certo che sembrate proprio una vecchia coppia sposata.
-non siamo una vecchia coppia- ribatté Antonio, stringendo di più a sé il suo ragazzo -le vecchie coppie si odiano e non si baciano neanche, o lo fanno solo per fare scena.
-e non siamo sposati- aggiunse l'italiano.
Antonio si sporse a sussurrargli all'orecchio -però vorrei proprio vederti in abito bianco. Staresti benissimo con la gonna.
Paonazzo il ragazzo lo spinse via, insultandolo tra i denti in napoletano, insulti di cui il diretto interessato colse solo una parte. Capiva un po' quella lingua e la parlava, anche se solo le basi, ma se c'era una cosa che aveva imparato stando con lui erano gli insulti.
-Antonio, è maleducazione parlare nell'orecchio della gente.
Il maggiore sogghignò -fidati, non vuoi sapere cosa gli ho detto.
João roteò gli occhi -fai come vuoi, basta che a casa tu non faccia una scena simile, o nostra madre potrebbe farti passare tutta la notte inginocchiato sui ceci come punizione.
Lovino fece un sorrisetto -non è una cattiva idea. Potrei fartelo fare quando fai il bastardo.
Antonio guardò il fratello disperato -ti prego, non dare al mio Lovi idee per punizioni creative. Potrei non sopravvivere.

Quando misero piede a terra, Lovino sentì Antonio prendergli la mano. Stava per urlargli contro quando vide il suo volto; a quanto pareva non era il solo in ansia, anzi. Gliela strinse senza fiatare.
Era sera, il piccolo porto era quasi deserto e lì vicino li stava aspettando una carrozza. Il conducente aprì loro la porta, li fece salire e poi partì.
-bastardo, va tutto bene? Hai la faccia di uno che sta per vomitare.
-ha ragione. Se devi farlo dillo che ci fermiamo e lo fai fuori. Vedi di non sporcare la carrozza.
-no, no, sto bene. Solo un po' d'ansia.
Lovino roteò gli occhi e imitò la sua voce -no Lovi, non devi essere in ansia.
-e va bene, sono un coglione.
-finalmente qualcosa su cui concordiamo tutti e tre.
Antonio allargò le braccia -ho bisogno di un abbraccio.
João e Lovino si indicarono a vicenda.
-tuo fratello!
-il tuo ragazzo!
-entrambi!- esclamò abbracciandoli.
-lasciami andare.
-bastardo, se non togli quella mano da lì te la taglio insieme a qualcos'altro, chiaro?!
Alla fine, bene o male, riuscirono ad arrivare a casa Fernandez Carriedo tutti interi.
Quella casa, o forse meglio dire castello, aveva una lunga storia alle spalle, che ora non ci interessa. A causa di una serie di calamità naturali oggi giorno non esiste più, ne sono rimaste solo alcune rovine, talmente distrutte da anni di incuria e intemperie che sono irriconoscibili. Ma ai tempi era un enorme castello affacciato sul mare, regale ed imponente, tanto che, scendendo dalla carrozza e trovandoselo davanti, Lovino sentì le ginocchia tremare.
-no, no, no, assolutamente no. Me ne vado- cercò di scappare, ma lo spagnolo bastardo lo trattenne.
-dai Lovi, ci stanno aspettando.
-vi stanno aspettando, te e João. Ma hai visto che posto? No no, non ci entro. Sembra pronto a mangiarmi!
-rilassati, Lovi...
-no che non mi rilasso.
-Antonio, João, non ci presentate il vostro amico?
Tutti e tre gelarono e si voltarono. Sulla soglia c'erano i genitori dei due fratelli, che li osservavano. Mentre Antonio cercava di capire cosa fare, istintivamente Lovino fece un piccolo inchino, a testa bassa. Sì che era una persona molto orgogliosa, ma era anche educato.
-vi ringrazio per l'ospitalità- Antonio lo guardò come se fosse un alieno.
Il padre lo ignorò e si rivolse ai figli -entrate e sistematevi, l'ora di cena è già passata, ci vedremo domani a colazione. Siate puntuali- e se ne andarono senza dire altro. Niente baci, abbracci, lacrime... Antonio non poteva dire di esserne sorpreso, ma rimase comunque un po' deluso.
Lovino si rialzò e prese il suo bagaglio con nonchalance.
-tu... hai...
-chiudi quella bocca, bastardo, o ti ci entrano le mosche.
-non pensavo ti avrei mai visto inchinarti davanti a qualcuno. Non di tua volontà almeno.
-mio nonno mi ha insegnato le buone maniere, per quanto umilianti siano.
-ma...
-non ha fatto male in realtà- intervenne João -a nostra madre piacciono le persone educate.
-a proposito, visto che del bastardo non mi fido, come dovrei comportarmi?
-oh, be', l'etichetta è molto importante e...- i due entrarono in casa lasciando lì Antonio, che ancora cercava di elaborare il tutto.

-ancora non me lo spiego.
-che importa? Tanto mi odiano entrambi- sbuffò Lovino, sfilandosi la camicia e infilandosi quella vecchia che usava per dormire, seduto sul letto dello spagnolo. Antonio rise e gli scompigliò i capelli.
-non mi aspettavo di meglio. Non ci hai ancora parlato, querido. Sono sicuro che andrete d'amore e d'accordo- si tolse a sua volta la camicia e si piegò per cercare nella valigia il suo pigiama.
-ti avevo detto di disfarla prima, idiota- Lovino sbuffò, ma non distolse neanche per un secondo lo sguardo dalla fisico abbronzato dell'altro -quando è il matrimonio?
-dopodomani. Domani pensavo di farti vedere il villaggio qui vicino, è lì che sono cresciuto e...- in quel momento, bussarono alla porta. Prima che il suo ragazzo potesse ricordargli che fosse mezzo nudo, Antonio, convinto fosse suo fratello e più vicino alla porta, andò ad aprire, lanciando un piccolo e molto poco virile urletto, per il quale Lovino si segnò a mente di prenderlo in giro più tardi, quando vide chi aveva bussato.
-Antonio? Chi...?- gli morirono le parole in bocca quando distinse la figura della madre di Antonio sulla soglia. Si sentì seccare la gola.
Isabella Fernandez Carriedo era una donna severa, sulla cinquantina, con il viso, dai lineamenti simili a quelli dei due figli, solcato da diverse rughe d'espressione, l'apparenza seria e altera, la bocca una linea sottile e contrariata, i capelli corvini stretti in uno chignon severo, l'aspetto impeccabile in ogni aspetto.
-Antonio, vestiti, sei uno spettacolo indecoroso- il figlio si spostò dalla soglia e si infilò in fretta una giacca presa a caso dalla valigia, con le guance rosse; sembrava un bambino terrorizzato e rimproverato da un insegnante molto severo. Lovino spostò lo sguardo alla suocera, alzandosi, raddrizzando la schiena e preparandosi. Sembrava, pensò Antonio, che avessero messo nella stessa gabbia un toro e un lupo, e che entrambi si stessero preparando per lo scontro.
-ehm, madre, come mai...?
-Antonio, potresti lasciarmi sola con il tuo...- fece una leggera smorfia contrariata, senza per questo perdere la sua aria di severo contegno -amico?
Il tono non ammetteva repliche, così Antonio uscì, chiedendosi chi dei due ne sarebbe uscito vivo. Probabilmente, conoscendo sua madre e il suo ragazzo, non lui.
Non appena la porta si fu chiusa, la donna parlò -devi lasciare mio figlio.
Non usò mezzi termini né formalità, sempre con lo stesso tono da generale.
-no.
-capisco che tu lo... che tu sia convinto di amarlo e che lui ti ricambi. Ma gli stai facendo solo del male. Gli stai togliendo la sua famiglia, il suo nome. Lascialo andare, sarà più felice.
Lovino non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere.
-io l'ho già lasciato andare, anni fa. Ricorda quando lo avete spedito a Napoli con l'esercito? Avrebbe dovuto farsi due domande già allora, se suo figlio preferiva andare a lavorare così lontano piuttosto che sposarsi con una donna. Ci siamo conosciuti lì e ci siamo innamorati. Poi è partito per le Americhe e io l'ho lasciato andare. Ci scrivevamo continuamente lettere, ma non l'ho mai costretto a tornare. Sa cosa mi scriveva? Che era infelice, che voleva tornare da me, ma non voleva deludere lei- parlò francamente, senza frenarsi, nonostante quelle parole gli facessero arrossare le guance. Quella era una donna forte e andava trattata come tale: meritava la verità, così come era -mi scriveva che passava le notti a piangere perché gli mancavo, che dormiva male, che si sentiva morire senza di me, e Dio solo sa quanto ho pianto anch'io per lui. Poi un giorno, dal nulla, mi scrisse che non ce la faceva più, che aveva mollato tutto per tornare. Non glielo avevo neanche proposto, è stata una decisione sua. Io l'ho lasciato andare, l'ho lasciato a voi, alla sua famiglia: è stato lui a tornare da me- incrociò le braccia al petto e fece un verso stizzito -ma lei che ne sa? Probabilmente non ci crede neanche nell'amore. Se ci credesse, non avrebbe costretto suo figlio minore a sposarsi con una che neanche conosce.
-per quanto tu possa non crederci, anch'io ho amato. Amo i miei figli, darei la vita per loro, e ho sempre cercato di far avere loro il meglio. E, per quanto possa sembrarti impossibile, ho anche amato un uomo, anni fa- fece una smorfia, guardandolo male -faceva il garzone nella casa di campagna della mia famiglia. Ci siamo amati per un'estate, un'estate bellissima. Lo amavo, non vedevo altro che lui. Ma io mi dovevo sposare con un altro uomo, del mio stesso rango, così lui mi ha lasciata andare, perché mi amava e sapeva che era la cosa migliore per me, e quando si ama qualcuno lo si lascia andare.
Lovino rimase in silenzio per un po', guardando negli occhi la donna, a cui erano impercettibilmente divenuti lucidi. Poi sorrise, un sorriso amaro.
-non capisce? Ho fatto come lui, l'ho lasciato andare. Lui ha fatto la sua strada, però poi ha scelto di tornare. Non l'ho costretto, non l'ho obbligato o convinto: ha fatto tutto Antonio- fece una pausa, poi allontanò le braccia dal petto e allungò una mano verso Isabella -ha detto di amare i suoi figli. Ha detto di volere il meglio per loro. Ha detto che quando si ama qualcuno lo si lascia andare. Perché non lascia andare anche Antonio? Può scegliere. Se accetta che... se accetta me, non lo perderà. La verremo a trovare, le manderemo lettere... ci terremo in contatto. Antonio ama la sua terra, non vedeva l'ora di farci ritorno, così come non vedeva l'ora di riabbracciarla, perché anche lui le vuole bene. Se proprio non riuscirà ad accettarmi... be', se insiste potremo chiedere direttamente ad Antonio di scegliere, e penso di sapere già la sua risposta. Allora perderà per sempre suo figlio in entrambi i casi: o tornerà a Napoli con me, e ci resterà, oppure rimarrà qui, infelice per sempre. A lei la scelta.
Rimase così, in attesa, con la mano tesa, per un po'. Isabella parve pensarci, spostò lo sguardo da lui, alla sua mano e alla porta per un po', finché, esitante, non allungò la mano guantata fino a stringere la sua.
-dubito che mio marito ti accetterà- alzò le spalle, il primo gesto naturale che Lovino le avesse visto fare -ma dubito anche che gliene importi qualcosa.
Le sorrise divertito -allora non vedo il problema.

Quando Antonio ritornò in camera e trovò non solo sia il suo ragazzo che sua madre vivi e vegeti, ma li trovò persino a parlare del più e del meno come se niente fosse, pensò di avere le allucinazioni. Uscì, chiuse la porta, sbatté un paio di volte le palpebre, riaprì di nuovo la porta e... no, erano ancora come prima, solo che ora lo guardavano entrambi confusi.
-ehm... state bene?
-certo, Antonio, non fare lo stupido e chiudi la porta- replicò Isabella.
-sembra ti abbiano preso a schiaffi. Tu, piuttosto, stai bene?- aveva un fidanzato amorevole, senza dubbio.
-io... uhm...
-non stare lì impalato, chiudi la porta e vieni qui- ripeté sua madre, e questa volta lo spagnolo ubbidì, ancora confuso.
-mi spieghi che hai?- Lovino gli schioccò le dita davanti agli occhi, poi sbuffò -me lo dici dopo, va.
-Antonio, il tuo ragazzo è davvero un bravo ragazzo, sai?- intervenne Isabella -ha la testa sulle spalle, mi piace. Com'è possibile che stia con uno come te?
Antonio sgranò gli occhi per la sorpresa. Aveva davvero detto...?
-oh, sa, sono caduto vittima del fascino latino- rispose l'italiano, ridendo.
-Lovino, caro, ti ho già detto ti darmi del tu- lanciò un'occhiata di sbieco a suo figlio -perché hai quella faccia da pesce lesso?
Una lacrima gli rigò la guancia.
-stai...?- prima che Lovino potesse completare la frase, Antonio attirò entrambi in un grosso abbraccio.
-oddio, grazie mamma, grazie!- la baciò sulla guancia, mentre Lovino cercava di allontanarsi da quell'abbraccio.
-Antonio, per amor del cielo, non piangere come un bambino e non stringermi così, mi scombini i capelli!- lo spagnolo li lasciò andare, imbarazzato ed euforico -e poi se c'è qualcuno che devi ringraziare è questo santo che ti sopporta. E non fare quella faccia, ne ho abbastanza delle tue scenate.
-scusa, mamma.
-concordo, non si tratta così una signora. Perché poi con le clienti sei tanto gentile, eh? Sei un porco, ecco perché.
-Antonio, ma ti sembra il modo di comportarsi?
-è assurdo, signora. Una volta una cliente gli ha persino chiesto di sposarla, ho dovuto inventarmi di essere il fratello di sua moglie e che fosse rimasto vedovo da poco per mandarla via, altrimenti questo idiota sarebbe rimasto a balbettare cose senza senso con una faccia da idiota per tutto il giorno.
-Antonio, ma ti pare il caso?
-veramente io quella non la conoscevo e...
-fidati, figliolo, tieniti stretto questo bravo giovanotto, e magari vedi di imparare come ci si comporta da lui- guardò l'ora -ora devo andare, o tuo padre potrebbe pensare male. Lovino, è stato un piacere. Antonio, ci vediamo domani- diede un rapido abbraccio al figlio e se ne andò, camminando fiera e impettita come sempre, con un'ombra di sorriso sulla bocca. Antonio la guardò andare via e, quando la porta si fu chiusa, si volto verso il suo ragazzo, sbalordito -mi spieghi come diamine hai fatto?!
-a fare cosa?- si buttò con la sua solita grazia sul letto, fissando il soffitto.
-a... fare amicizia con mia madre? Andare d'accordo con lei? Farla dannatamente sorridere?!
-oh, quello- fece spallucce, con un piccolo sorriso compiaciuto sulle labbra -non lo so bene neanche io. Voleva che ti lasciassi, era convinta che ti avessi costretto a tornare e che saresti stato più felice qui con la tua famiglia. L'ho... convinta del contrario, credo? Non so, le ho solo detto la verità, cioé che io ti ho effettivamente lasciato andare e che poi hai deciso tu di tornare. Poi le ho detto, uhm, che poteva scegliere se accettarmi e quindi rimanere in contatto con te o non farlo e farti scegliere tra me e lei, quindi renderti infelice o perderti per sempre- sbadigliò -ci siamo stretti la mano e poi abbiamo iniziato a chiaccherare. Credo di starle simpatico.
Antonio rimase in silenzio per un po', tanto che Lovino si preoccupò. Poi lo spagnolo gli si buttò addosso, abbracciandolo e riempendolo di baci ovunque, entusiasta e al massimo della felicità.
-ti amo, ti amo, ti amo! Sei incredibile, Lovi, ti amo da morire.
Lovino cercò di allontanarlo da sé, rosso in viso -lo so sono fantastico e no, non azzardarti a morire, bastardo, o ti uccido. Ora levati di dosso, sei pesante!
Antonio lo strinse forte tra le braccia -sei la cosa migliore che mi sia capitata- lo baciò, con un sorriso enorme.
-coglione, non sono una cosa- replicò Lovino, allacciando però le gambe intorno alla sua schiena per avvicinarlo a sé -ah, e poi se fossi in te non sarei così contento della mia amicizia con tua madre. Ha già detto che dovremo venire a trovarla almeno due volte all'anno e scriverle ogni mese- sogghignò, spettinando Antonio con una mano -mi stava giusto raccontando un paio di cose su di te da piccolo. Di' un po', è vero che a cinque anni hai rischiato di affogare perché volevi diventare una tartaruga?
Antonio arrossì violentemente mentre l'altro scoppiava a ridere. Alla fine aveva avuto ragione: in una lotta tra Lovino e sua madre, la vittima era stato lui. Ma ne valeva decisamente la pena.
Baciò ancora il suo ragazzo, zittendo le sue risate.
-ti amo- glielo sussurrò, con gli occhi luminosi per la felicità -ti amo tantissimo.
Lovino chiuse gli occhi, godendosi le sue carezze, e sospirò -anche io- ormai l'imbarazzo che aveva provato inizialmente nel parlare così apertamente dei suoi sentimenti era sparito, o almeno lo era quando si trattava di Antonio. Lo baciò velocemente e sfregò il naso contro il suo -fammi indovinare, sei così euforico che non mi lascerai dormire tutta la notte, vero?
Lo spagnolo rise, annuendo -mi sa che hai ragione, amore mio.
Lovino roteò gli occhi -bastardo, sei troppo sdolcinato- lo baciò, stringendosi a lui -che ne diresti se occupassimo questa notte facendo qualcosa di... produttivo?- fece un sorrisetto, baciandolo ancora.
-Dio, sei davvero perfetto.

Il giorno dopo, a colazione, i due fratelli Fernandez Carriedo guardarono Lovino e loro madre chiaccherare come se fossero due alieni.
-Antonio... ma il tuo ragazzo è un mago?- gli chiese João a bassa voce. Loro padre era partito la mattina presto per degli affari di stato, e Antonio non poteva dirsi dispiaciuto. Lì a tavola c'erano solo loro quattro, senza contare la servitù, che però se ne stava in disparte in attesa di ordini.
-me lo chiedo anche io- rispose, fissando i due.
-Antonio, João, non si parla all'orecchio della gente, è maleducazione- li rimproverò Isabella.
-sì, infatti, bastardo. Che figure mi fai fare?- Lovino sbuffò.
I due fratelli si guardarono e annuirono. Ecco perché andavano così d'accordo: erano entrambi tremendi.
-scusa, mamma.
-scusa, Lovinito.
-ti ho già detto di non chiamarmi così.
-a proposito, Lovino caro- da quando in qua sua madre chiamava qualcuno "caro"? -quanto vi fermerete qui?
-non lo so, signora- guardò Antonio -bastardo, quanto resteremo qui?
Quello si strinse nelle spalle -non lo so- guardò il fratello -quando parte la nave di ritorno?
-venerdì, non il prossimo, quello successivo.
-quindi tra un paio di settimane.
-se non ti dispiace, vorrei rubarti un pomeriggio per parlare in privato- continuò Isabella.
Antonio rischiò di strozzarsi -perché?!
-non guardarmi in quel modo- replicò sua madre -voglio sapere che fai nella vita.
-chiedilo a me.
-eh no, signorino. Tu mi nasconderesti delle cose. Lovino canterà come un uccellino- come conferma, Lovino ghignò -e poi lo voglio conoscere meglio. In quanto tua madre è mio dovere sapere con chi ti frequenti, o sbaglio?- il tono non ammetteva repliche. Si voltò verso Lovino -ti va bene lunedì, caro?
-oh, ehm. Sì, penso vada bene.
-bene.
-oggi pensavo di portare Lovinito a vedere il villaggio qui vicino.
-bene, buona visita- Isabella finì la sua colazione e si alzò -João, oggi pomeriggio verrà il sarto per provarti il vestito. Manderò qualcuno a chiamarti, va bene?
-certo, mamma.
-ottimo. Vado, vi auguro una buona giornata- venne affiancata da una delle cameriere e se ne andò.
Dopo poco anche João si congedò.
-bastardo, dov'è che mi vuoi portare?
Antonio sorrise alzandosi -dove sono praticamente cresciuto. Penso che ti piacerà, querido.

Vedere di nuovo quelle strade, quelle spiagge, quel mare, quei negozi, quel posto, insieme all'amore della sua vita aveva tutto un altro gusto.
Il luogo era cambiato, ovviamente, ma Antonio riconosceva ancora le strade, le case, i vicoli, le locande. Qualcuno lo salutò e lui riuscì a riconoscerne alcuni. Tutti osservavano con curiosità Lovino, probabilmente chiedendosi chi fosse. Dal canto suo l'italiano era imbarazzato, camminava a testa bassa e cercava di non incrociare lo sguardo di nessuno. Antonio rise posandogli un braccio intorno alle spalle.
-Lovinito, ti ho portato qui a vedere il posto, non il pavimento!- scherzò, poi riconobbe un uomo -Consuelo, quanto tempo! Come sta tua figlia?
Un vecchio signore si fermò e ricambiò il saluto -Antonio? Finalmente sei tornato, sono passati così tanti anni... Carmen sta bene, dovresti vedere com'è cresciuta, ora ha...
In quel momento da una locanda uscì una ragazza mora, molto formosa, con la tipica corporatura massiccia di chi è abituato a lavorare, i capelli neri molto lunghi e il sorriso gentile. A giudicare dalla reazione di Consuelo, Lovino intuì fosse Carmen.
-oh Dio, sei davvero cresciuta- esclamò Antonio -quando me ne sono andato eri alta così- stese la mano all'altezza del suo stomaco.
Carmen rise -be', grazie- notò in quel momento Lovino -lei chi è?
-oh, giusto, ne stavamo parlando poco fa in taverna. In paese non si parla d'altro che del tuo amico.
Antonio rise -siamo qui da neanche un'ora e già lo sanno tutti?
-che vuoi farci, è un paese piccolo, le notizie girano in fretta- guardò di nuovo l'italiano, che stava cominciando a sentirsi in soggezione e a odiare (più del solito almeno) gli sguardi altrui.
-ehm, io sono Lovino- strinse la mano a Consuelo e fece il baciamano a Carmen -è un piacere conoscervi.
La ragazza arrossì leggermente con un sorrisino imbarazzato -oh, uhm, piacere mio.
Antonio gli mise nuovamente un braccio sulle spalle con un sorriso forzatamente dolce -scusatelo, ha dei modi molto...- fece una smorfia -formali.
-oh no! Fa bene. Nessuno qui sa come comportarsi decentemente con una signora- diede una pacca sulla spalla a Lovino -è così che si conquista il gentilsesso, giovanotto!- e scoppiò a ridere.
-sono modi molto affascinanti- concordò Carmen, con un sorriso malizioso rivolto al castano.
A disagio, Lovino ricambiò quel sorriso con uno più imbarazzato.
-bene! Noi ora dobbiamo andare, è stato un piacere, alla prossima- senza aspettare risposta, Antonio afferrò il suo ragazzo (suo, non di Carmen!) e lo trascinò a passo di marcia verso la spiaggia. Lovino riuscì appena a imporsi di non ridere, non voleva far sentire a disagio la ragazza né passare per pazzo. Non ci poteva fare niente: la gelosia di Antonio lo divertiva fin troppo. Era una cosa così stupida e adorabile che non riusciva a fare a meno di ridere a ogni scenata dell'altro. Certo, anche lui era parecchio geloso, ma lo spagnolo era ben più possessivo. Quando raggiunsero la spiaggia si concesse di ridere.
-cosa c'è di divertente?!- sbottò Antonio lasciandolo andare.
-c'è che sei un idiota. Pensavo sapessi che il "gentilsesso" non è il mio tipo.
-Carmen ti stava spogliando con gli occhi.
-e quindi? Non me ne può fregar di meno.
-a me frega. Solo io posso farlo, e non solo con gli occhi. Soprattutto non con gli occhi.
Lovino sbuffò divertito -anche io sono geloso, lo ammetto, però tu esageri.
-non è vero che esagero.
-il mese scorso sei quasi saltato addosso al crucco megalomane, che in teoria è il tuo migliore amico.
-ci stava provando con te!
-fingeva di provarci con me per farti arrabbiare- lo corresse divertito, poi si guardò intorno -c'è un posto nascosto qui vicino?
-là in fondo- borbottò imbronciato, indicando con un cenno del capo una zona isolata -non ci va mai nessuno, anche se comunque è difficile che qualcuno venga in questa parte di spiaggia. Non ci sono molti pesci.
Lovino annuì e prese l'altro per un braccio, trascinandolo nel luogo indicato. Una volta nascosti lo attirò a sé e lo baciò, seppellendogli le mani tra i ricci morbidi per non farlo allontanare.
-ora smetti di tenermi il broncio?- gli sembrava di parlare con un bambino. Un bambino molto stupido per altro.
Antonio sbuffò e brontolò qualcosa sottovoce.
Lovino roteò gli occhi divertito, baciandolo ancora -se non fossi fidanzato con un bambino permaloso, pensavo di dimostrarti stasera per quali e quanti motivi il "gentilsesso" non è il mio tipo. Ma a quanto pare sto con un bambino e con i bambini certe cose non si possono fare.
All'istante Antonio tornò a sorridere -non ce l'ho con te. Però devi stare alla larga da Carmen.
L'italiano sbuffò -sei un idiota.
-lo so- lo baciò di nuovo, sfiorandogli i fianchi al di sotto della camicia leggera. Posò la testa nell'incavo del suo collo e ghignò contro la sua spalla -hai detto di voler aspettare fino a stasera?- gli lasciò un bacio sul collo, stringendogli i fianchi. Lovino cercò di allontanarlo, senza troppa convinzione.
-scordatelo, non farò sesso qui.
-che gusto ha la vita senza un po' di rischio?
-non ci tengo a finire giustiziato. Mi piace la mia testa, vorrei tenermela.
Antonio sorrise e gli morse delicatamente il lobo dell'orecchio, scendendo con le mani dai fianchi al fondoschiena e stringendoselo contro.
-siamo soli, Lovi. Nessuno viene mai qui.
-l'ultima volta che lo hai detto ci ha beccati il crucco megalomane.
-ma ora Gil è in Austria- ribatté infilandogli una mano nei pantaloni. Lo sentì chiaramente trattenere il fiato.
-sei sleale, bastardo che non sei altro- lo afferrò per i capelli e lo baciò, prendendogli le mani e portandosele alla schiena -ma è troppo pericoloso- ripeté allontanandolo da sé.
Antonio sbuffò -odio quando hai ragione.
-e poi ti sembro il tipo che lo fa in posti a caso dove chiunque potrebbe vedermi?- sbuffò -ho una dignità.
Lo spagnolo si ricordò di qualcosa all'improvviso -Gil mi ha raccontato che una volta l'ha fatto sul palco di uno dei più grandi teatri di Vienna.
-cosa?!
-Roderich aveva un concerto e dopo, quando il teatro era deserto... però il sipario era chiuso.
-come ha fatto a convincere quel damerino di Roderich? Non mi è sembrato esattamente il tipo che... be', fa queste cose.
-penso fosse ubriaco, altrimenti non me lo spiego neanche io.
Lovino sbuffò divertito sedendosi sul bagnasciuga, sfilandosi le scarpe e dondolando i piedi in acqua, seguito dall'altro -il francesino invece mi sembra proprio il tipo che lo farebbe ovunque. Ma proprio ovunque.
-lo è- ammise Antonio, stringendogli la mano posata sulla sabbia -non so molto, insomma non è che mi faccia dire ogni luogo dove i miei migliori amici fanno sesso, però so che una volta li hanno beccati.
-davvero? Racconta.
-non so i particolari, so che erano a Londra, nello studio di Arthur. Non so quanto avessero ancora addosso, però so che Fran era vestito da donna, perché quando è entrato il padre di Arthur ha finto di essere una lady, tanto era di spalle e non si capiva la differenza. Arthur poi ha detto al padre che quella era una dama invaghita di lui, ma promessa ad un altro, che lo perseguitava e lui le aveva concesso un bacio prima che si sposasse perché troppo cortese per far soffrire una signora.
Lovino rise -qualcosa mi dice che questa scusa patetica l'ha inventata il francese.
-sì, lo penso anch'io. La risposta del padre di Arthur è stata...- si mise dritto e imitò una voce bassa con un pessimo accento inglese -"è comprensibile, in fondo noi Kirkland abbiamo un certo fascino che spesso attira il gentilsesso anche oltre ciò che è lecito. Ti consiglio però, figliolo, di stare alla larga da questa lady, per evitare scandali"- tornò alla sua voce normale -per me si riferiva al fascino delle sopracciglia.
Lovino scoppiò a ridere -in effetti quelle sopracciglia tormentano i miei sogni più intensi.
-quelli sessuali?
-pensavo più che altro agli incubi.
Antonio rise, poi ghignò -lo so io chi c'è nei tuoi sogni più intensi...
-tu- Lovino alzò le spalle -se ti riferisci sempre agli incubi.
-Lovi!- gli diede una leggera gomitata, scoppiando a ridere con lui. Posò la testa sulla sua spalla, sempre guardando il mare -sai, guardare questo posto così mi dà tutt'altra prospettiva.
-dalla mia spalla?- Lovino prese ad accarezzargli i capelli distrattamente. Lo spagnolo aveva notato che lo faceva spesso, quando era sovrappensiero, quando lo abbracciava, quando lo baciava e anche quando facevano l'amore: immergeva sempre le mani tra i suoi capelli, tirandoglieli o accarezzandoglieli in base al contesto. Dovevano piacergli, si disse alzando le spalle. Se glielo avesse chiesto, probabilmente gli avrebbe risposto che lo faceva per fargli male in caso di bisogno.
-no. Con te al mio fianco- non riusciva a vederlo in faccia, ma gli sembrò quasi di sentirlo roteare gli occhi.
-sei sempre così sdolcinato- sbuffò, tirandogli giocosamente un ricciolo -un giorno di questi va veramente a finire che ti vomito addosso.
-come sei dolce, Lovinito.
-lo so.
-però ti amo comunque- gli sussurrò all'orecchio, baciandolo sulla guancia. Lovino roteò gli occhi, però sorrideva.
Rimasero lì in silenzio per un po', finché ad Antonio non venne in mente una cosa e si alzò in piedi di scatto, trascinando l'altro con sé.
-me ne stavo dimenticando, ti devo presentare una persona!- quando si furono rimessi le scarpe cominciò a correre, con un ampio sorriso, costringendo Lovino a fare lo stesso.
-bastardo, fermati, che cazzo fai?!- lo spagnolo lo ignorò e risalì la collina, verso il castello, ma a metà salita svoltò prendendo un altro sentiero, fino a raggiungere una chiesa. Lovino si piegò in due cercando di riprendere fiato.
-sei... un... bastardo...
-scusa, Lovinito- anche lui aveva il fiatone, ma continuava a sorridere -João ha detto che è ancora qui... spero di trovarlo.
-ma di che parli?
-ricordi quando ci siamo baciati la prima volta? Ti avevo accennato a un curato che, quando mi ero confessato, mi aveva rassicurato eccetera eccetera...
Lovino ci pensò per qualche secondo, poi annuì -più o meno.
-vorrei che tu lo conoscessi- gli sorrise ed entrò in chiesa, baciando la croce che portava sempre al collo e facendosi il segno della croce, e si guardò intorno. La chiesa non era cambiata granché negli anni, a parte l'aggiunta di un paio di panche era identica a come Antonio l'aveva lasciata dieci anni prima. Rientrare lì era come fare un tuffo nel passato, tornare il bambino affascinato dai racconti di carità e miracoli, il ragazzino spaventato dal suo essere diverso e infine il giovane uomo che veniva in cerca di conforto prima di partire per un viaggio più lungo di quanto potesse immaginare. Sorrise quando sentì Lovino raggiungerlo. La chiesa non era cambiata molto, ma lui sì, e aveva portato quel cambiamento con sé. Ora era un uomo sicuro delle sue scelte e della sua felicità, che non aveva più bisogno di essere confortato.
Cercò con gli occhi il curato, trovandolo nel confessionale ad ascoltare il pianto di una donna che Antonio giustamente non riusciva a vedere. Distolse lo sguardo e lo portò su Lovino, che si stava guardando attorno affascinato. Gli sfiorò la mano con la sua, attirando la sua attenzione, per poi indicare con un cenno il confessionale. L'italiano annuì e riprese a studiare lo spazio intorno a sé, in silenzio.
Dopo alcuni minuti, a testa bassa, la donna uscì insieme al curato e, dopo qualche breve ringraziamento, se ne andò. Antonio portò lo sguardo sull'uomo.
Don Andres era un signore piuttosto basso, dal sorriso gentile, gli occhi vispi nonostante l'età e i capelli bianchi. Aveva un po' l'aria da nonno, dava l'impressione di uno di cui ci si poteva fidare. Era un uomo saggio, che credeva fermamente nell'abito che indossava e in ciò che predicava. Era invecchiato, naturalmente, ma lo sguardo attento e il sorriso gentile era lo stesso.
-Don Andres- lo chiamò andandogli incontro con un sorriso.
L'anziano ci mise un po' a riconoscerlo, ma poi ricambiò il sorriso e lo abbracciò affettuosamente -Antonio! Quanto tempo, ragazzo mio, il Signore Nostro Dio ti ha tenuto a lungo lontano da casa- si allontanò, sempre con il sorriso -allora, questo lungo viaggio ti ha aiutato a trovare la pace?
-diciamo di sì- si spostò affianco al curato e indicò Lovino, che se n'era stato in disparte tutto il tempo. L'italiano arrossì, si avvicinò e fece un mezzo inchino.
-salve.
-ciao, figliolo. Come ti chiami?
-Lovino, signore.
Antonio gli prese la mano -lui è l'amore della mia vita.
Il diretto interessato lo guardò come se si fosse bevuto il cervello, ma il curato annuì.
-sono felice che tu alla fine l'abbia trovato, figliolo- guardò Lovino -se ciò è vero, ti do il benvenuto nella nostra chiesa.
-oh, ehm, grazie, signore.
Don Andres rise -non preoccuparti, non è necessario usare tutte queste formalità. Mi fanno sentire più vecchio di quanto non sia già.
-scusi... scusa.
-ti vedo teso, figliolo. Non preoccuparti: voglio bene ad Antonio come ad un figlio. Se tu lo rendi felice, non posso che volerti bene a mia volta.
Lovino annuì, imbarazzato. Antonio lo baciò sulla guancia, guardando poi il curato -volevo che lo conoscessi, anche prima del matrimonio.
-hai fatto bene, domani ci sarà confusione- concordò il curato -ora scusate se risulto scortese, ma sono molto stanco.
-si figuri, non la disturbiamo oltre- intervenne Lovino.
-dammi del tu, figliolo.
-ah, scusa, è l'abitudine.
Don Andres abbracciò entrambi e poi i due se ne andarono.
-è stato imbarazzante- commentò Lovino, mentre si dirigevano al castello -però anche piacevole. Sembra una brava persona.
-lo è. Mi ha confortato e aiutato ad accettarmi, anni fa.
Lovino annuì -sì, mi sembra il tipo.
Non parlarono più per il resto del tragitto, non per imbarazzo o altro, ma perché, semplicemente, non c'era granché da dire. Camminarono e basta, con le mani a penzoloni che ogni tanto si sfioravano, ognuno perso nei propri pensieri.
-dicevi sul serio prima?- gli chiese Lovino una volta entrati in camera.
-riguardo a cosa?- il moro si sfilò la camicia sudata e ne prese una pulita, indossandola.
L'italiano sbuffò -l'hai messa male, idiota- gli si avvicinò e prese a sistemargli il colletto, con un piccolissimo sorriso esasperato.
-ops- lo osservò, accarezzandogli una guancia con la mano -se ti riferivi alla questione dell'amore della mia vita, sì, ero serissimo. Pensavo l'avessi capito.
Lovino si morse il labbro, con le mani e lo sguardo fermi sulla camicia -sì, però...
-però...?
-non so, il dubbio rimane sempre. Non è che non mi fidi di te, ma...
-non ti fidi di te stesso- concluse. L'altro lo guardò con un sorriso colpevole -va bene- gli prese le mani tra le sue, stringendogliele -allora te lo ripeterò finché non ti entrerà in testa- lo baciò -ti amo, Lovi- e lo baciò ancora.
Dopo un po' il castano si allontanò da lui, andando verso la porta.
-che fai? Ho detto qualcosa di...?- si zittì vedendolo chiudere la porta a chiave.
-non voglio sorprese- spiegò attirandolo a sé e baciandolo ancora -allora, dov'eravamo rimasti prima, in spiaggia?

Il matrimonio fu come ogni matrimonio che Lovino avesse visto, tranne per l'eleganza e il lusso sfrenato. Fortunatamente aveva potuto chiaccherare con Antonio e Isabella, altrimenti si sarebbe annoiato il triplo. La sposa si Jõao era molto carina, sembrava una bambola. Decisamente non era il tipo di Lovino.
Quando fu costretto a parlare a lei e alla sua famiglia per portare i suoi omaggi, una grandissima stronzata a suo modesto parere, dovette dire il suo nome completo, cosa che odiava.
-Lovino Romano Vargas- bastarono quelle tre parole, a dirla tutta fu sufficiente l'ultima, a far calare il silenzio nella sala del ricevimento. Si sentiva gli occhi di tutti addosso, compresi quelli preoccupati di Antonio. Ecco perché odiava il suo cognome: tutti lo associavano a suo nonno e alla sua eredità, e Lovino spariva nel nulla, sostituito dal nipote di Romolo Vargas. Si sentì arrossire sempre di più, mentre la sua mente correva alla ricerca di qualcosa da dire e trovando solo quintali di imbarazzo e rancore. Ci pensò Isabella a salvargli il culo, alzandosi in piedi e proponendo ad alta voce un brindisi agli sposi. Lovino le rivolse un sorriso grato prima di approfittare della distrazione e fuggire via.
Aveva bisogno di prendere aria. Corse fuori e poi giù, giù fino alla spiaggia, in quel posto dove erano stati lui e Antonio il giorno prima.
Ragazzo che non ci mise molto a raggiungerlo, sedendosi accanto a lui sulla sabbia.
-ehi.
-ciao.
Antonio sfiorò le dita con le sue -come stai?
Strinse i pugni e chinò la testa -è che mi fa così incazzare... era come se io non fossi più io, ma solo il nipote di mio nonno. Come se tutto quello che ho costruito, tutto i sacrifici che ho fatto, tutto quanto fosse stato inutile, perché per quanto mi impegni rimarrò sempre e solo il nipote di Romolo Vargas.
Lo spagnolo scosse la testa e gli scostò una ciocca di capelli dal viso con dolcezza -tu sei Lovino. Non importa cosa pensano quelli, non ti conoscono. Ma io sì. So quanto fantastico, incredibile e unico tu sia.
Lovino gli strinse la mano e si morse il labbro -non ti ho detto tutto. Della mia storia intendo.
-lo so. Non importa, querido, prenditi i tuoi tempi.
Annuì e appoggiò la testa sulla sua spalla. E lì, con l'eredità di suo nonno che gli pesava come non mai sulle spalle e la mano stretta all'unico ragazzo che avesse mai scelto di amare, finalmente Lovino Romano Vargas trovò il coraggio di raccontare tutto ciò che mancava all'appello. Tutti i sensi di colpa, le invidie, gli sbagli. Tutti i dolori, i rimpianti e le mancanze. Perché in fondo a chi altro avrebbe mai potuto dire quelle cose se non a lui?
Antonio ascoltò in silenzio, tenendogli la mano per tutto il tempo. Alla fine si voltò verso di lui, gli sollevò il mento con la mano libera e lo baciò sulla fronte.
-non so come sia possibile, ma ti amo ancora più di prima.
E lì Lovino scoppiò definitivamente in lacrime.

Il pomeriggio successivo Isabella lo fece accomodare in un piccolo salottino, invitandolo a sedere su una delle poltrone, sedendosi davanti a lui e servendogli qualcosa da bere, come una perfetta donna di casa.
Solo dopo tutto questo parlò.
-e così sei il nipote di Romolo Vargas.
Lovino annuì -non mi piace parlarne ma sì.
-lo conoscevo, un Don Giovanni certo, ma era un ottimo oratore. Come sta?
-è morto.
-immaginavo. Mi dispiace.
Lovino alzò le spalle -sono passati anni.
-questo non significa che sia meno doloroso- prese un sorso della sua bevanda -ti dispiace parlarmi della tua famiglia, della vostra vita a... dove vivete? Roma?
-Napoli.
-ah, giusto. Ho passato mesi senza sapere niente di mio figlio. Non puoi neanche immaginare l'ansia e la rabbia. Voglio sapere come sta, dove vive e soprattutto con chi vive.
Lovino alzò nuovamente le spalle -penso sia giusto. Voglio dire, è sua madre.
-sono lieta di saperti d'accordo.
L'italiano prese un sorso dalla sua tazza -cosa vuole sapere?
-la tua storia, la vostra storia e in generale cosa fate.
Lovino abbozzò un piccolo sorriso -la mia storia è degna di un romanzo rosa, e altrettanto assurda.
Isabella lo invitò a continuare con un piccolo sorriso divertito -hai la mia attenzione.
-uhm, vediamo, da dove comincio... mio nonno. Si innamorò di un uomo quando mia madre era piccola, credo sia un fattore genetico, ma questo lo abbandonò. Non conosco bene i dettagli, non mi ha mai raccontato granché. Da allora non fu più lo stesso...- non era facile parlare di tutto quello. Non era per niente facile. Ci aveva messo anni prima di raccontare tutto ad Antonio e ancora non era riuscito a parlarne apertamente a Feliciano. Ma raccontare a Isabella era semplice: non era legato a lei, non provava più che semplice simpatia nei suoi confronti. Parlare di qualcosa di doloroso gli era sempre riuscito più semplice con qualcuno di sconosciuto, per la mancanza di legami affettivi. Aveva sempre evitato di dire i fatti suoi in giro, anche per paura che Feliciano potesse venirlo a sapere da terze parti, ma lì cosa aveva da temere? Quella era una donna incontrata solo pochi giorni prima, molto distante dalla sua vita. Era facile aprirsi con qualcuno così.
Raccontò tutto il suo passato, per poi fermarsi alla morte di Nonno Roma.
-avevi ragione, è davvero una storia degna di un romanzo- commentò Isabella.
-già. Mio fratello non ricorda granché, un giorno gliene parlerò per bene.
-posso chiedere perché non l'hai ancora fatto?
-perché sono un codardo. Feli... è un ragazzo d'oro. Gentile, dolce... come potrei raccontargli tutto lo schifo che c'è dietro quello che siamo oggi? Lui crede ciecamente nell'amore. Come faccio a dirgli che è proprio per amore che siamo finiti in mezzo a una strada? Dovrò farlo, è suo diritto sapere, ma ancora non ci sono riuscito.
Isabella annuì -ho capito. Vai pure avanti.
-be', patimmo la fame per mesi. Ero uno dei ribelli, lo sono ancora in realtà. Sia io che Feli sogniamo un'Italia libera e tutte quelle cose lì. Ai tempi partecipavo a diverse rivolte e...
-e ora?
-ora le organizzo. Do una mano come posso, ma non mi butto più nella mischia.
-perché?
-l'ho promesso ad Antonio.
Isabella annuì -come vi siete conosciuti?
-quando è arrivato a Napoli ero lì. Stavo cercando di trovare del cibo per me e Feli. Ero parecchio arrabbiato, perché l'unica cosa che ero riuscito a rimediare era un pomodoro mezzo marcio. Lo vidi scendere dalla nave, l'ennesimo spagnolo bastardo venuto a rompere le palle...- lanciò un'occhiata alla donna davanti a lui -senza offesa.
-nessuna offesa. Penso che dal vostro punto di vista tu abbia ragione.
-ehm, sì, dicevo... agii d'istinto e gli lanciai addosso il pomodoro. Un lancio perfetto, devo dire, lo presi dritto in faccia. Però un altro ufficiale lì presente mi fece prendere e mi fece inginocchiare davanti a lui. Gli chiese, ad Antonio, se volesse farmi impiccare o sbattermi in prigione- fece un piccolo sorriso divertito -il bastardo invece mi assunse in casa sua sia me che mio fratello. Ci diede un tetto e un lavoro- raccontò tutta la loro storia, arrossendo ripensando alla loro ultima notte insieme e omettendo i particolari. Raccontò come Antonio si fosse fatto strada nel suo cuore in fretta, all'improvviso, cambiandogli la vita completamente. Raccontò del loro primo bacio, sul tetto, e di come da allora tutto diventò più intenso, sia la gioia che il dolore.
-quando se n'è andato... mi sentivo morire. Neanche quando avevamo litigato ero stato così male, perché era bene o male vicino a me, comunque avevamo discusso ed era un qualcosa che sentivo di dover fare per avere la coscienza a posto. Quando se ne andò invece andava tutto bene. Cioé... un po' avevamo fatto pace anche per il fatto che se ne sarebbe andato, ma comunque avevamo risolto. Lo venimmo a sapere una settimana prima. Quella fu una settimana fantastica. Poi mi sono svegliato e lui doveva andarsene- si fermò e bevve un po', cercando di trovare la voce ferma e ricacciare indietro le lacrime. Fece un sorriso amaro -il bello è che pensavo sarebbe stato per poco. Pensavo sarebbe tornato in Spagna e magari mi sarebbe tornato a trovare in estate. Invece lo spedirono in America- esitò, senza più l'ombra di alcun sorriso in faccia. Puntò lo sguardo fuori, verso il mare -nove anni. Nove anni in cui ricevevo sì e no una lettera al mese. Ho imparato a scrivere, mi sono ridotto a farmelo insegnare dal mio fratellino, perché mia madre non me lo aveva mai insegnato e il nonno aveva avuto il tempo solo di insegnarmi a leggere. Ci siamo arrangiati. Quando Antonio è tornato...- sorrise istintivamente -è come se all'improvviso io abbia ricominciato a sentire tutto di più. I rumori, i colori, gli odori... è come se tutto fosse diventato all'improvviso più bello- tossì realizzando che cosa oscenamente sdolcinata avesse detto -il padrone del forno dove lavoravo ha lasciato il negozio a me, ora bene o male ce la caviamo. Al piano di sopra c'è un appartamento, viviamo lì- si stiracchiò -penso che questo sia più o meno tutto. Vuole sapere qualcos'altro?
-ami mio figlio?
-certo.
-lui ti ama?
Lovino fece spallucce -dice di sì. Lo chieda a lui direttamente,
-ti ho già detto di darmi del tu- lo rimproverò -è cambiato molto in questi anni?
Il castano parve pensarci -non mi sembra. Ha alcune cicatrici in più, ma niente di che. A volte ha degli incubi, sai... la guerra o comunque rimanere tanto nell'esercito non deve essere semplice. Non me ne ha ancora voluto parlare e non ho mai insistito affinché lo facesse- omise dei dettagli. Omise le orribili cicatrici che gli sfregiavano la schiena. Omise tutte le notti in cui Antonio si svegliava urlando e ci volevano ore prima che si calmasse, in cui spesso vomitava e mormorava incessantemente delle scuse, tanto da sembrare impazzito. Omise tutte le volte in cui aveva dovuto abbracciarlo per calmarlo e prendergli le mani in modo che non si facesse male da solo. Omise la frase che una notte gli aveva detto Antonio, con gli occhi rossi di pianto dopo uno dei suoi incubi, che gli era rimasta impressa nel cervello e che riviveva durante i suoi, di incubi. Lo aveva portato sul balcone per fargli prendere aria, lo aveva stretto tenendogli la mano e gli aveva sussurrato parole rassicuranti finché non si era calmato. Antonio lo aveva guardato, illuminato solo dalla luce tremula della luna, con gli occhi rossi e lucidi e l'espressione stravolta. Non aveva sorriso, gli aveva solo accarezzato una guancia con un dito, ignorando le sue domande su come si sentisse. E poi aveva allontanato la mano, facendola cadere a terra, sullo stesso pavimento freddo su cui era inginocchiato. Infine l'aveva detto, senza neanche guardarlo negli occhi: "a volte mi dico che non mi merito questo, non merito di essere felice con te e tu non meriti di doverti prendere cura di un bastardo che ha solo quello che si merita. Che diritto ho di accarezzarti con le mani sporche di sangue che mi ritrovo?"; Lovino lo aveva guardato in silenzio, poi gli aveva risposto "non so cosa tu abbia fatto, ma so che sei una persona fondamentalmente buona e ti amo, non mi importa se dovrò passare qualche notte insonne per i tuoi demoni del passato o qualche stronzata simile. Non sei un santo, neanche io lo sono. Ma non osare pensare più di lasciarmi per questo, bastardo, non riuscirei a perdonarti un egoismo simile". Dopo quella notte non ne avevano più parlato. Forse ad Antonio i dubbi erano passati, non ne era certo, ma gli incubi non lo avevano fatto.
Lovino però non aveva il cuore di raccontare a una madre certe cose. Sapeva che Isabella era una donna forte e avrebbe retto di certo il colpo, ma non riusciva a dirglielo. D'altronde sapeva che anche Feliciano era più che pronto ad ascoltare tutta la loro storia, ma questo non gli rendeva più semplice parlarne.
Isabella parve capire che c'era qualcosa di più, ma non chiese niente, e Lovino gliene fu grato.
-potresti...- sembrò improvvisamente più umana, più debole. Una madre che aveva sempre cercato di far avere il meglio ai suoi figli, che per dieci anni non aveva visto il maggiore, che improvvisamente aveva scoperto che era fuggito con un altro ragazzo e cercava disperatamente di capire cosa fare, come comportarsi e soprattutto quanto di quel bambino che allattava, che imitava le tartarughe, che fuggiva insieme al fratellino nel paese vicino, che faceva di nascosto la corrida e che poi partiva per l'Italia con l'esercito fosse rimasto nell'uomo che ora si trovava davanti. Lovino si sentì improvvisamente in colpa -potresti... dirmi qualcosa in più? Qualche dettaglio, non so, cosa gli piace, cosa non gli piace, cosa ama e cosa odia, cosa gli fa paura...
-gli piacciono i pomodori, li coltiviamo insieme sul balcone. Gli piace che gli si leggano libri ad alta voce, ma non gli piace leggerli troppo a lungo per conto suo. Gli piace dormire fino a tardi, anche quando deve lavorare. Gli piace giocare con i bambini nella piazzetta vicino alla chiesa. Qualche tempo fa sono venuti a trovarci i suoi amici idioti, Francis e Gilbert. Era felice come una Pasqua, quando sono partiti ha fatto una mezza scenata, stava per piangere- ridacchiò divertito -gli piace fare il bagno in mare di notte, gli piace dormire al sole. Gli piace la natura in generale, e il sole. Ama il sole... in effetti ci somiglia. Poi non gli piacciono le cose troppo piccanti, i clienti troppo insistenti, il freddo, le strade deserte e l'autunno. Odia la guerra e il sangue, una volta si è fatto un taglio sul braccio per sbaglio ed è quasi scoppiato a piangere. Gli fanno paura i rumori troppo improvvisi e... be', sempre il sangue. Ama la Spagna, questo posto e la sua famiglia.
-e ama anche te.
Alzò le spalle -presumo di sì.
-non ne sei convinto, ma dovresti. Si vede.
Alzò nuovamente le spalle -sono una persona molto insicura. Penso lo sarò sempre, ho il terrore dell'abbandono.
-di cos'altro hai paura?
-oh, di tantissime cose. Degli energumeni, degli ubriachi, di dire a Feliciano tutto quanto, di essere odiato da lui per non averglielo mai detto o perché non sono riuscito ad aiutare il nonno e i nostri genitori...
-stai sottovalutando tuo fratello- lo interruppe Isabella -pensi davvero che non sia abbastanza maturo da capire che hai fatto tutto il possibile?
-lo so che lo è, ma la mia testa no. Poi... ho paura dei cani, di restare al buio e al silenzio, che Antonio se ne vada per sempre, che...
-penso che piuttosto che separarsi da te si taglierebbe un braccio- replicò Isabella -si vede da come ti guarda, solo un cieco o uno sciocco non se ne accorgerebbe. Continua pure, scusa se continuo a interromperti.
-lo so benissimo, ma il dubbio mi perseguita comunque. Sto solo cercando di imparare a ignorarlo. Ah, e poi ho paura del cibo cucinato male. Una volta Antonio ha provato a cucinare la pasta da solo e...- deglutì -disgustoso.
-pasta?
-la pasta è una delle invenzioni migliori che l'uomo abbia mai fatto.
-la assaggerò.
Lovino annuì -attenzione, ci sono anche blande imitazioni in giro.
-tornando al discorso di prima...- Isabella si alzò e lui fece lo stesso, sentendo l'ansia stringersi in un nodo nello stomaco -mi piaci, Lovino. Sono felice che mio figlio abbia trovato qualcuno come te, anche se avrei tanto voluto dei nipotini- alzò le spalle con un lieve sorriso -me ne farò una ragione, rimedierà João. Grazie di aver reso Antonio felice di nuovo- a sorpresa lo abbracciò -per favore, prenditi cura di lui in mia assenza.
Lovino annuì ricambiando la stretta, a disagio. A ben pensarci, non abbracciava una donna da anni. Era abituato alle spalle larghe di Antonio e all'altezza di Feliciano, non a stringere una figura così piccola e apparentemente delicata -certo.

Quella vacanza trascorse più in fretta di quanto avessero immaginato. Quando arrivò il momento di andarsene, Antonio era in una valle di lacrime. Abbracciò sua madre e suo fratello a lungo, promettendo di tornare il prima possibile. Quando alla fine fu riuscito ad allontanarsi dalla sua famiglia, anche Lovino li salutò, stringendo la mano a João e lasciandosi abbracciare da Isabella.
-prenditi cura di mio figlio- gli sussurrò in quella stretta. L'italiano annuì contro la sua spalla.
-lo prometto.
-ti ringrazio- si allontanò e gli accarezzò una guancia -buona fortuna con quello scapestrato, ne avrai bisogno.
-ehi!
Lovino rise -grazie.
Saliti sulla nave li salutarono dal ponte. Quando furono lontani, scesero nella loro cabina.
Antonio sospirò e si sedette sulla branda -mi mancheranno.
Lovino gli si sedette vicino e gli prese la mano -daresti voluto rimanere con loro?
Scosse la testa, stringendogliela -non senza di te- appoggiò la testa sulla sua spalla e lo abbracciò. Lovino prese ad accarezzargli i capelli distrattamente.
-secondo te Feli avrà dato fuoco alla casa per sbaglio?
Lo spagnolo ridacchiò -spero di no. Lo scopriremo una volta a casa, no?
Casa. Casa loro. Lovino sorrise leggermente -già.

Angolo autrice: 
Sì, lo so. Questa storia in teoria si concentra più sulla Gerita ma... non ho resistito, amo troppo la Spamano (e penso si sia notato...). Dal prossimo capitolo torniamo ai nostri protagonisti.
Come sempre vi mando un bacio, vi ringrazio di aver letto fin qui e vi invito a lasciare una recensione.
Alla prossima
Daly

 
   
 
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