Capitolo nono: Our solemn hour
Are they themselves to blame, the misery, the pain?
Didn't we let go, allowed it, let it grow?
If we can't restrain the beast which dwells inside
It will find it's way somehow, somewhere in time
Will we remember all of the suffering
'Cause if we fail it will be in vain
Sanctus Espiritus, redeem us from our solemn hour
Sanctus Espiritus, insanity is all around us
Sanctus Espiritus, is this what we deserve
Can we break free from chains of never-ending agony!
(“Our solemn hour” – Within Temptation)
I Baroni di Napoli erano andati su tutte le
furie quando era stato promulgato l’editto reale che nominava Juan Borgia
successore di Alfonso II, Duca di Gandia e di Calabria e protettore del Regno
di Napoli. Il loro piano non era servito a un bel niente e, anzi, aveva
accelerato qualcosa che loro volevano evitare a tutti i costi! Ma ormai non
potevano farci niente, dovevano soltanto prendersela con se stessi dato che
erano state proprio le loro calunnie a spingere Alfonso ad avvicinarsi ancora
di più a Juan. E, del resto, loro non erano senza colpa, il Principe aveva
ragione: non avevano fatto un bel niente per proteggere il Regno quando era
stato invaso dai Francesi…
E se i Baroni di Napoli erano in lutto,
Alessandro VI Borgia esultava. Le notizie dell’editto reale erano arrivate in
fretta anche a Roma (perfino senza Internet le notizie volavano…), inoltre era
giunta anche una lettera scritta di pugno dallo stesso Alfonso per richiedere
la presenza di Don Hernando de Caballos a Napoli il più presto possibile,
poiché egli voleva nominarlo Comandante Generale dell’esercito reale a
protezione sua e dell’intero Regno.
Come si può ben capire, Don Hernando era
stato molto onorato e si era affrettato a partire per Napoli per rendere
omaggio al giovane sovrano e accettare l’incarico che gli aveva offerto. Prima
che il capitano spagnolo partisse, però, il Papa Borgia gli chiese di portare
con sé un messaggio per il figlio Juan: era una lettera in cui Rodrigo si
dichiarava fiero di lui e molto felice che, finalmente, avesse trovato una sua
posizione ben consolidata.
Nella lettera, tuttavia, c’era scritto anche
qualcos’altro…
Don Hernando arrivò a Napoli cinque giorni
dopo, portando con sé anche parte del suo fidato esercito di soldati spagnoli,
gli stessi con cui si era recato nel Nuovo Mondo, uomini ai quali avrebbe
affidato la vita. Aveva preso molto sul serio il suo nuovo compito di comandare
e riorganizzare l’esercito del Regno di Napoli, che dopo la malattia e la morte
di Re Ferrante era andato sempre più allo sbando e non aveva saputo opporre
nemmeno la minima resistenza ai Francesi. E, naturalmente, aveva la lettera del
Papa Borgia indirizzata a Juan…
Alfonso lo fece accogliere con grande pompa,
felice di conoscere un uomo che aveva tanto viaggiato, che aveva dimostrato
valore e onore e che, comunque, era anche un amico di Juan, a parte i contrasti
avuti a Forlì per le torture inflitte dal Borgia al giovane Sforza. Don
Hernando si inchinò davanti al Principe, molto emozionato di trovarsi al
cospetto dell’ultimo discendente del ramo napoletano degli Aragonesi.
“Benvenuto, Generale” lo salutò cordialmente
Alfonso. “Sono lieto di avervi qui e mi perdonerete se vi metterò subito al lavoro,
ma ho saputo dal Gonfaloniere Borgia che siete un valoroso capitano e un ottimo
stratega… Il Regno di Napoli ha un disperato bisogno di un uomo come voi per
rinforzare il suo esercito e riorganizzare le forze. Non vogliamo più essere in
balia di qualsiasi sovrano desideri la nostra terra!”
“Per me è un onore servire Vostra Maestà, il
discendente dei gloriosi Aragona di Spagna, sovrani della mia patria” rispose l’uomo.
“Ci sarà un banchetto per festeggiare il
vostro arrivo a Napoli e così voi potrete raccontarmi tutto delle vostre
conquiste nel Nuovo Mondo e anche della vita in Spagna” riprese Alfonso,
sorridendo. “Sapete che il nostro comune amico Juan Borgia si prende gioco di
me perché non ho mai visitato la mia patria ancestrale? Che devo dire?
Purtroppo non ho avuto… beh, tempo e modo di viaggiare…”
Vedendo che il ragazzo si rabbuiava pensando
agli anni in cui era stato ostaggio dei Francesi, Juan si affrettò a distrarlo.
“Quando il Regno sarà al sicuro, grazie alla
saggezza e al valore del nostro Generale Don Hernando de Caballos, sarò io
stesso ad accompagnarvi a visitare la Spagna e le terre che appartengono ai
Borgia, Vostra Maestà” gli disse, in modo che tutti lo sentissero. Poi si
avvicinò ad Alfonso e gli sussurrò piano all’orecchio, “Ti prometto che ci
andremo insieme, Alfonso, vedrai che resterai incantato!”
Il giovane Principe sorrise e arrossì appena
per quel gesto così affettuoso, che Don Hernando non mancò di notare. Mentre si
avviavano verso la sala del banchetto, il comandante spagnolo non perse di
vista Alfonso e Juan e quello che vide sembrò compiacerlo.
Don Hernando era un soldato, ma era anche un
uomo di saldi principi morali e nobili ideali, in questo molto simile al
Generale Francese che aveva protetto e amato Alfonso per tre anni. Aveva
conosciuto Juan in Spagna, quando vi si era recato per trovare una sposa come
il padre aveva preteso… ma poi aveva preferito la sua amicizia e le sue
avventure, spingendosi fino a un viaggio nelle Indie Occidentali durante il
quale aveva visto nuove terre, animali e piante esotici e sperimentato nuovi
piaceri, dai bordelli ai liquori al tabacco. Don Hernando aveva fatto un po’ da
padre allo scapestrato Juan ma, tutto sommato, lo aveva trovato simpatico e
scanzonato, diverso da come si sarebbe aspettato da un Borgia. Così erano
diventati amici e lo spagnolo aveva seguito Juan al suo ritorno a Roma. La loro
amicizia, tuttavia, era stata messa a dura prova dall’episodio della cattura e
della tortura del giovane Benito Sforza. Per Don Hernando era un atto insensato
e malvagio torturare un ragazzo, seppure per costringere la madre ad arrendersi,
così come aveva trovato vergognosa la fuga di Juan quando l’esercito di
Ludovico Sforza li aveva attaccati alle spalle.
Per questo motivo, tornati a Roma dopo il
fallimento della missione, il comandante spagnolo si era distaccato da Juan e
aveva raccontato al Papa Borgia tutta la verità su ciò che era accaduto a Forlì.
Si era accorto, però, che Rodrigo Borgia era più preoccupato per la reputazione
della famiglia che per l’incolumità del figlio e che l’altro fratello, Cesare,
aveva accolto invece la notizia con una certa gioia, che si era affrettato a
dissimulare, sperando che il padre avesse preso atto dell’inettitudine di Juan
e affidasse a lui il ruolo che avrebbe dovuto spettargli.
Insomma, Juan Borgia non si era comportato
affatto bene a Forlì, ma non ci si poteva aspettare di più da un ragazzo di
ventitré anni cresciuto in un simile ambiente: chi mai poteva avergli insegnato
i veri valori, l’onore, il coraggio, la pietà verso i nemici? Quando, poi, Papa
Alessandro aveva dato a Juan l’ultima occasione, quella di recarsi a Napoli per
portare il Regno sotto l’egida dei Borgia, Don Hernando era rimasto a Roma e
aveva avuto modo di rendersi conto ancora di più di quanto fosse profonda l’ambizione
di Rodrigo, pronto a tutto pur di ottenere il potere assoluto, e di quanto odio
e invidia nutrisse Cesare verso il fratello minore. Tutto ciò lo aveva
disgustato ed era pronto a tornare in Spagna il prima possibile con qualche
scusa quando era giunta la missiva di Alfonso di Napoli che lo richiedeva quale
Generale dell’esercito reale.
Don Hernando aveva accolto con molto sollievo
il diversivo, non avrebbe sopportato oltre di restare presso i Borgia ed era
anche curioso di vedere se il diverso ambiente avesse operato un cambiamento
positivo in Juan. In fondo il giovane che aveva conosciuto e con cui aveva
stretto amicizia non era certo il vigliacco torturatore di ragazzini che si era
mostrato a Forlì… o almeno così sperava.
Vedendolo tanto legato e complice con il
sovrano diciottenne, comprese che non si era sbagliato: il vero Juan era il
ragazzo con cui aveva stretto amicizia in Spagna e che aveva trattato come un
figlio, non l’uomo brutale eppure codardo che aveva visto a Forlì. Inoltre,
pensò lo spagnolo, con ogni probabilità il giovane Borgia era stato eccessivo
nelle sue reazioni violente proprio perché sotto pressione a causa delle
aspettative del padre su di lui: il pontefice Alessandro VI non accettava il
figlio per ciò che era e pretendeva da lui quello che non poteva dargli, voleva
che fosse un eroe, un condottiero, uno spietato e implacabile conquistatore di
terre altrui… e Juan, frustrato per la tenacia di Caterina Sforza, era esploso
vendicandosi in maniera irragionevole e scriteriata su suo figlio.
Ma il vero Juan Borgia era il giovane che
aveva conosciuto in Spagna e che adesso ritrovava a Napoli, al fianco del
Principe Alfonso e legato a lui da un affetto che forse era più di quello che
voleva sembrare… ma non erano certo affari suoi, no?
Il pranzo fu piacevole, Don Hernando raccontò
molti aneddoti e vicende dei tanti anni passati a combattere contro i musulmani
che avevano invaso il Sud della Spagna e a viaggiare per le terre sconosciute
del Nuovo Mondo, Juan era sereno e rilassato e Alfonso si divertiva moltissimo,
affascinato dalle narrazioni dello spagnolo. Si sentiva bene come non era più
stato da… non rammentava nemmeno lui da quanto tempo! Don Hernando gli
ricordava un po’ il Generale, la sua sola presenza lo faceva già sentire più
sicuro e protetto ed era certo che avrebbe organizzato un esercito invincibile
per il Regno di Napoli ma, rispetto al Generale, era un uomo più divertente e
allegro. E poi c’era Juan che, insieme all’amico, appariva ancora più sicuro di
sé e… beh, affascinante sarebbe stata
la parola giusta se solo Alfonso non fosse arrossito anche solo nel pensarla!
Il banchetto durò a lungo, poi Alfonso e Juan
invitarono Don Hernando a passeggiare per i giardini del castello e ad ammirare
il panorama stupendo del mare che si godeva dai balconi, mentre continuavano a
conversare piacevolmente. La giornata trascorse dunque in serenità e fu solo a
tarda sera, prima di andare a dormire, che Juan si ricordò della lettera che il
padre gli aveva fatto recapitare da Don Hernando.
Il giovane Borgia era da solo nella sua
stanza e aspettava che Don Hernando fosse andato a dormire prima di recarsi,
come faceva sempre, nella camera di Alfonso; pensò dunque che fosse il momento
più indicato per leggere la missiva. Chissà cosa aveva da scrivergli il padre…
non poteva che essere fiero di lui per come aveva conquistato la fiducia del
sovrano di Napoli e per la posizione acquisita, no? E le prime righe, infatti,
dicevano proprio questo: Rodrigo Borgia si congratulava con suo figlio, si
dichiarava orgoglioso di lui e affermava di aver sempre creduto nella sua
capacità di compiere grandi imprese.
Juan continuava a leggere la lettera,
soddisfatto, pensando che finalmente il padre si era reso conto del suo valore…
e anche ridacchiando tra sé mentre immaginava la faccia verde d’invidia di
Cesare. Ad un certo punto, però, si fermò e rilesse più volte le frasi, senza
riuscire a credere a quello che c’era scritto. Si sentì gelare il sangue. La
missiva tremò nelle sue mani.
Adesso che hai conquistato una posizione sicura non ti
resta che un ultimo passo da fare, come avrai già pianificato: uccidere il
Principe e prendere il suo posto. Ti prego, tuttavia, figlio, di frenare la tua
indole troppo spesso precipitosa e incauta. Se Alfonso morisse troppo presto,
tu saresti il primo ad essere sospettato. Dovrai avere pazienza, fingerti
ancora suo amico, forse anche per qualche mese e poi, quando lo eliminerai,
dovrai fare in modo che sembri un incidente, come una caduta da cavallo. Non
pensare di usare il pugnale o il veleno. Ma perché indulgo in tali
raccomandazioni? Sono fiero di te, figlio mio, e sono certo che questa volta
farai il tuo dovere nel modo migliore.
Juan appallottolò il foglio di carta in mano,
disgustato.
Uccidere il Principe e prendere il suo posto?
Fingersi suo amico? Eliminare Alfonso simulando un incidente? Era dunque quello
che il padre voleva da lui? Era per quello che lo aveva mandato a Napoli?
No, non era possibile. Non aveva senso. Chi
mai avrebbe accettato un Borgia sul trono di Napoli? E poi, perché mai avrebbe
dovuto uccidere Alfonso? Il padre non gli aveva ordinato di uccidere nemmeno la
puttana Sforza, ma solo di condurla prigioniera a Roma e prendere le sue terre
se si fosse rifiutata di inchinarsi al Papa. Alfonso si fidava di lui, lo aveva
nominato suo erede, non era un pericolo ma anzi una garanzia, in quanto ultimo
discendente degli Aragona di Napoli. Sarebbe stato folle ucciderlo e lui doveva
scrivere al padre e spiegargli che…
Juan strinse ancora più forte la lettera nel
pugno. Ma via, chi voleva prendere in giro? Se si fosse trattato di chiunque
altro non ci avrebbe pensato due volte a eliminarlo, anzi, il padre avrebbe
fatto benissimo a metterlo in guardia e a dirgli di trattenere la sua irruenza,
altrimenti si sarebbe fatto scoprire subito! Il vero problema era che lui non voleva uccidere Alfonso. Non lui,
non quel ragazzo che lo aveva accolto con affetto e fiducia, che si era
preoccupato per lui, che lo faceva sentire importante, che…
Il giovane Borgia rifiutava di dare un nome
al sentimento che lo legava ad Alfonso, ma sapeva bene che non lo avrebbe
ucciso per niente al mondo. Era lì per proteggerlo, non certo per fargli del
male. Avrebbero governato insieme il Regno di Napoli e nessuno mai li avrebbe
separati, avrebbe trovato un modo, doveva convincere il padre, cercare degli
alleati…
Uscì dalla stanza sbattendo la porta, pieno
di rabbia per ciò che Papa Alessandro aveva osato scrivergli. La lettera era
ancora nel suo pugno stretto, non poteva lasciarla nella sua stanza e rischiare
che qualcuno la trovasse e poi ne era schifato, non voleva nemmeno pensare a
ciò che c’era scritto. I passi lo portarono istintivamente verso la camera del
Principe che, come al solito, trasalì quando lo vide entrare con tanta foga.
“Cosa succede?” domandò, improvvisamente
preoccupato.
Alfonso ne aveva passate così tante che,
adesso, si aspettava sempre il peggio. Non doveva turbarlo, voleva vederlo
sereno e allegro com’era stato durante quella giornata.
Juan si avvicinò al caminetto acceso e gettò
la lettera nel fuoco, guardandola mentre si consumava e si distruggeva.
“Niente di importante, era solo una lettera
di mio padre” rispose, sentendosi meglio mentre la vedeva ridursi in cenere.
“Tuo padre ti ha scritto? Che cosa vuole? Si
è lamentato di te?” chiese il ragazzo, facendosi più vicino. All’improvviso si
sentiva insicuro, spaventato. Era stato così bene quel giorno, come poteva
sperare che durasse? Sicuramente il Papa Borgia aveva richiamato Juan a Roma o
chissà che altro.
“No, anzi, mi ha scritto che è fiero di me
per la posizione che ho ottenuto” rispose il giovane, voltandosi verso il
Principe.
“Allora è una cosa buona, no?”
“Beh, in realtà io non ho fatto niente, è
solo merito tuo che hai voluto onorarmi con il titolo di Duca di Calabria e tuo
eventuale successore” minimizzò Juan, che non voleva più parlare della lettera,
del padre e di nient’altro, voleva solo Alfonso.
Lo prese tra le braccia e lo sollevò,
portandolo fino al letto. Lo depose sulle lenzuola e si mise sopra di lui,
baciandolo lungamente e languidamente mentre iniziava a spogliarlo con
lentezza. Voleva sentire che era lì con lui, che niente e nessuno li avrebbe
mai separati. Mentre si liberava delle vesti del ragazzo e delle proprie
continuava a baciarlo e ad accarezzarlo ovunque, con una pazienza mai
dimostrata prima e, quando furono entrambi nudi, incollò il corpo al suo come
per fondersi con lui, bramando la più completa intimità con quella pelle liscia
e delicata. Si insinuò nella carne di Alfonso sempre lentamente, cercando di
godere di ogni istante, di riempirsi di lui, del suo sapore, del calore e dell’odore
del suo corpo. Voleva dimenticare quelle orribili frasi perdendosi nelle spinte
profonde e languide, nel contatto sempre più totale con il giovane Principe, in
un piacere che si prolungava all’infinito. Alfonso, sospirando incredulo,
assecondava docile e tenero ogni suo movimento e Juan lo portò alla totalità
dell’estasi, diventando una sola essenza con lui.
Finalmente
il resto del mondo sbiadì e scomparve nell’ardore della loro unione.
Dopo
l’amore rimasero allacciati l’uno all’altro: Alfonso, spossato, si addormentò
subito mentre Juan gli accarezzava il viso e i capelli, sentendo che il suo
spirito pian piano si placava e si pacificava stringendo tra le braccia il suo
giovane amante.
Niente
e nessuno lo avrebbe mai separato da Alfonso, giurò Juan a se stesso, nemmeno
la sua famiglia.
Non
gli interessava più essere un Borgia, adesso.
All’inferno
l’onore della famiglia, all’inferno i Borgia e le loro ambizioni.
Sarebbe
andato contro ognuno di loro, se necessario, pur di non perdere Alfonso.
Fine capitolo nono