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Autore: KaterinaVipera    21/07/2020    1 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Che significa?” mi domanda angosciato il mio povero, malcapitato amico.

“Significa che mi dispiace tanto averti messo in questo guaio, solo per mio egoismo.”

Non saprei come uscirne, perché due umani anche solo contro un licantropo non ce la farebbero, figurarsi contro un piccolo gruppetto come questo.

“Lui non c’entra niente. Lasciatelo andare!” urlo all’unico che è rimasto umano. “Prendete me!”

“No, non credo che lo farò. Vi uccideremo e diremo all’alfa che eravate dalla parte dei cacciatori.” ghigna sadico, strofinandosi le mani, le labbra piegate in un sorriso macabro a deturpargli il viso.

“Perché ce l’avete tanto con noi? Non vi abbiamo mai fatto niente. Io ho salvato alcuni del tuo branco!” gli rinfaccio, ma non serve a molto, le mie parole si disperdono nell’aria.

Quindi è questo l’odio immotivato, nato a prescindere nei confronti di qualcuno solo perché diverso.

Non sono migliori di noi.

“Dal canto mio, niente di personale.” si stringe nelle spalle, ad ulteriore conferma della sua frase. “Ma non vai molto a genio a Julia e mi sembrava un’ottima ragione per togliervi di mezzo. Era scortese nei confronti di mia cugina, non farle questa gentilezza.”

Potrei dire che ne rimango sconvolta, allibita. La verità è che ormai a tutte queste sorprese ci sono abituata e nella situazione in cui ci troviamo, ho ben altro a cui pensare, che allo stupore di una simile scoperta.
Che mi odiava era palese come la luce del sole, non credevo fino a questo punto.

“Andate a farvi fottere…. Tu, e quella cagna di tua cugina!” grido sboccata, fuori di me e da ogni grazia, assottigliando gli occhi e chiudendo i pugni.

Anche Edoardo mi guarda allibito per il linguaggio volgare che raramente mi sente usare. Ma questa è un’occasione a parte.

“La gattina ha tirato fuori le unghie, peccato che non ti servirà a niente. Adesso, basta parlare.” si sta per trasformare anche lui, ma viene interrotto da dall’arrivo di un’altra persona.

Garreth…

No, non è lui…

“Perché non ve la prendete con qualcuno della vostra taglia?” parla una voce di uomo che non mi è sconosciuta, leggermente divertita e canzonatoria.

Tutti noi ci voltiamo verso il nuovo arrivato e solo io tiro un sospiro di sollievo, riconoscendo in lui, il ragazzo che ci è piombato addosso ieri sera.

“E tu, chi diavolo saresti?” ringhia furioso il nostro assalitore, per essere stato interrotto.

“Ma come?!” si finge offeso, avvicinandosi a noi e mettendoci le braccia sulle spalle, in un abbraccio. “Io sono Patrick e sono qui per salvare questa fanciulla e il suo amico.” mi bacia la mano, facendomi poi un lieve inchino, ritornandosene successivamente concentrato sui suoi avversari.

Per essere strano, è strano forte, ma basta che ci tiri fuori da questo casino.

“Faremo fuori anche te.” con un cenno della testa, da il via ai suoi che in un attimo ci saltano addosso.

Il nostro alleato ghigna malevolo, con una strana luce di superiorità e di trionfo nello sguardo, spostandosi una ciocca di riccioli biondi da sopra gli occhi.
E se ieri sera, alla luce tenue del lampione, mi era sembrato un cherubino, con i suoi tratti efebici, gli occhi dolci, spaventati, e la matassa bionda dei suoi capelli, adesso sembra il demonio sceso in terra per portare l’Apocalisse.
Fortunatamente Patrick è estremamente veloce nella trasformazione e riesce a bloccare in tempo un loro iniziale attacco, cercando di deviare lo scontro lontano da noi.
Io ed Edo cerchiamo di fare del nostro meglio per aiutare, nel nostro piccolo, il licantropo, iniziando a tirare sassi, ottenendo però scarsi risultati.

Garreth, dove sei?
Se mi senti, ti prego, vieni a salvarci.
Vieni a salvarmi.

Non sono mai stata così desiderosa che potesse sentire i miei pensieri.

Patrick se la cava benissimo e riesce a mettere fuori gioco il primo lupo, mentre noi non siamo stati nemmeno in grado di procurare un graffio agli altri.
Vediamo il corpo esanime, sanguinante e riverso a terra dell’animale che ha combattuto contro il nostro amico, mentre un secondo licantropo parte all’attacco per cercare di metterlo k.o.
All’improvviso veniamo divisi da un grosso lupo dal pelo marrone e grigio, che con un balzo si frappone tra noi due, costringendoci a rotolare a terra per non essere travolti dalla sua mole, dandogli modo così, di potersi concentrare su Edoardo che, paralizzato dalla paura non riesce più ad alzarsi né a muoversi per scappare.
Rimane sdraiato a terra, sull’erba umida, con gli occhi spalancati colmi di terrore, con un braccio alzato all’altezza del viso come se bastasse a ripararsi da qualsiasi attacco, come se fosse sufficiente a salvarsi.

Cristo, Edo, muoviti!

“Corri!”

Ma lui non si muove.
Mi rialzo con uno scatto che per poco non mi fa perdere l’equilibrio, mi fiondo sul lupo, tirandogli la coda e dandogli un calcio alla zampa, facendolo imbestialire e concentrando la sua attenzione su di me.
L’animale mi ringhia contro, snudando le zampe ingiallite e acuminate, e con una musata è in grado di farmi cadere e ruzzolare per terra, a qualche metro di distanza.
Il mondo si capovolge svariate volte, il cielo si mescola per un attimo con il suolo e non riesco più a capire dove finisca uno ed inizi l’altro. Perdo l’orientamento e quando finalmente mi fermo, la testa continua a vorticare come una trottola, il cuore pompa sangue e batte forte, tanto da farmi male. Così come mi dolgono le braccia e le gambe per qualche graffio ed ematoma che mi sarò certamente procurata nella caduta.

L’urlo che sento giungere alle mie spalle mi fa smettere di battere il cuore.

Ancora sdraiata e tremante sul terreno, mi volto in direzione dello scontro, dove Patrick è ancora intento a combattere, ed Edoardo è stato appena scaraventato da una zampata a molti metri di stanza da uno dei nostri nemici, ferito alla gamba.

“NOOOO!” è il mio grido, urlato con voce disumana, resa roca dal freddo, dall’umidità, che ha fatto voltare persino Patrick, che distraendosi inizia a subire vari colpi dal suo avversario.

Con gli occhi lucidi e la mente annebbiata, gattono come meglio posso verso il mio amico, prima che un altro lupo mi si pari di fronte e con una zampata mi getti nuovamente a terra.
L’animale mi sovrasta, assicurandosi di tenermi ferma con una zampa, mostrandomi i denti affilati e bagnandomi il viso con la sua viscida e fetida bava, pronto a darmi il colpo di grazia.
Volto il viso verso Edoardo, tumefatto e sanguinolento, sempre più pallido e gli occhi assenti, ma si sforza di sorridermi nonostante la tragedia che ci starà per travolgere.
Non so cosa stia facendo Patrick, ma spero che almeno lui stia bene e che riuscirà a cavarsela; i suoni del licantropo coprono ogni altra cosa.
Apre le fauci, emanando un odore a dir poco nauseabondo, continuando a bagnarmi il viso ed i vestiti; fatico a respirare con il peso dell’animale che mi schiaccia ma tento in ogni modo di tastare il suolo intorno a me, alla ricerca di una pietra con cui colpire la bestia. La sua pressione, però, è troppo forte e, arresa, sento gli occhi chiudersi.
I miei ultimi pensieri potrebbero essere rivolti ai miei genitori, a qualche amica rimasta in Italia; potrei avere qualche rimembranza dell’infanzia – dicono che succeda a chi sta per morire –, potrei ricordare di quanto eravamo felici io ed Edoardo nello stanzone degli allenamenti o sopra un palco, a ballare come se fossimo trasportati dal vento, leggeri come foglie. Invece, il mio ultimo, rammaricato, triste, dolce ed innamorato pensiero va inesorabilmente a Garreth. E una lacrima scende dall’occhio sinistro.

Solo che il morso non giunge.

Giungono invece dei guaiti, latrati e degli ululati, che mi spingono ad aprire gli occhi. E solo ora mi rendo conto che non ho più il peso a schiacciarmi e che posso respirare normalmente.
Prendo coraggio, quel poco che mi è rimasto, ed apro prima un occhio e successivamente anche l’altro, vedendo così che adesso ci sono molti più lupi che stanno attaccando i nostri assalitori.
Gattono traballante fino da Edo, cercando di non farmi notare, strusciando le ginocchia sull’erba, sentendo l’umidità penetrarmi fin oltre la stoffa dei pantaloni, con le lacrime che mi solcano le guance e cadono a terra.
Il sangue esce copioso, la ferita sembra profonda, ma tra i lembi del pantalone e i rimasugli di sporco non riesco a capirlo con chiarezza. Cerco di bloccare l’emorragia con la mia felpa, rimanendomene in maglietta, iniziando a tramare per il freddo e la paura.

“Andrà tutto bene… fidati.” dico tra i singhiozzi, premendo sulla ferita, alzando gli occhi per vedere se qualcuno può venire a darci una mano.

“Magari… diventerò uno di loro...” ha la voce debole, ma riesce a scherzare anche in un momento come questo.

Gli occhi gli si fanno vacui, come se non stesse più guardando me, ma chissà cosa di molto, molto, lontano.

“Ti prego, Edo...” lo supplico, cercando di smuoverlo appena un pochino, quel tanto che basta per farlo ritornare presente e qui, da me.

“Mi dispiace… mi dispiace...” bisbiglio, più a me che a lui, che forse non riesce più a sentirmi, mentre mi inchino sul suo corpo, la testa appoggiata al suo sterno, per sentire se respira ancora, mentre mi domando, come siamo arrivati a questo, perché LORO sono arrivati a farci ciò, senza una vera ragione, per il gusto di fare del male, per semplice ignoranza che genera paura e da questa, la diffidenza e l’odio.

Veniamo raggiunti da Patrick e da un Richard che dopo essersi trasformati nuovamente in umani, sono totalmente nudi.
Sono perfettamente consapevole che ci sono cose molto più urgenti in questo momento, ma proprio non riesco a fare a meno di sprofondare in un mare di imbarazzo, senza avere la più pallida idea di dove dover guardare, per non incontrare i loro sguardi o, tanto meno, i loro corpi.

Questo era un aspetto a cui non avevo – e non avevo minimamente voglia – pensato.

Fortunatamente gli altri due che sono giunti in nostro soccorso, rimangano nella loro forma di lupo, per fare in modo che i corpi privi di sensi o privi di vita dei traditori, vengano trasportati lontano dal luogo della battaglia.
Patrick mi si affianca, mentre Richard si posiziona dall’altra parte ed esamina la ferita del mio amico.
A questo punto, sposto il mio sguardo su di lui, che pare abbia perso conoscenza, ma respira ancora.

“Come stai, cara?” mi domanda Ellie, rimasta sempre in forma umana, inginocchiandosi accanto a me e poggiandomi una mano sulla schiena, massaggiandola leggermente.

“Sto bene, ma lui...” indico il mio amico, sul punto di scoppiare a piangere.

“Non è una ferita molto profonda, ma va portato subito da Eric.” esordisce serio Richard, infilandosi un paio di pantaloni che aveva con sé la moglie, dandone un paio anche a Patrick.

“Eric non c’è... È andato a scortare il branco fino a qui.” gli faccio sapere, sentendo la disperazione crescere, le lacrime che scendono lente ed amare.

Senza di lui, come potrà il mio amico guarire?

“Tranquilla, sono un medico anche io.” mi rassicura l’uomo, con un accenno di sorriso.

Lui e Patrick lo alzano e viene caricato dal primo licantropo con una facilità impressionante, come se fosse una piuma e non un peso morto.

Starei per seguirli, ma la mano delicata e decisa di Ellie, mi ferma.

“Torniamo a casa.” mi sorride incoraggiante, come solo una madre può essere.

In questo momento, mi manca la mia, di madre, e non so cosa darei per essere con lei, seduta sul divano di casa, mentre beviamo una tazza di tè e vediamo per l’ennesima volta Il Signore degli Anelli, come facciamo sempre, tutti gli inverni, sotto lo sguardo esasperato di mio padre.
Annuisco, in risposta alla proposta della signora, e lei, con una gentilezza infinita, mi copre con il suo cappotto, non curandosi del fatto che, per la milionesima volta, sia sporca di sangue, terra ed erba. Potrei sembrare un dipinto astratto.

Ho un debito infinito di lavanderia con questa famiglia.

“Garreth dov’è? Lui deve sapere...” dico, illuminata all’improvviso da un’amara consapevolezza. “Noi non siamo coinvolti… noi… io non l’ho tradito.” sono presa da una malata frenesia, fermandomi e costringendo la donna a fare altrettanto, che mi guarda spaesata, non capendo da dove mi siano saltate fuori certe idee.

Ma le affermazioni di quel maledetto continuano a rimbombarmi nella mente, ottenebrandola da ogni altra cosa.

“Julia l’ha fatto!” mi lascio sfuggire, tappandomi la bocca con entrambe le mani, ma ormai è troppo tardi ed Ellie mi ha udita perfettamente, girandosi verso di me, guardandomi con una strana espressione seria che mi mette i brividi.

“Cosa?!” mi guarda in volto, scura, dura, con uno sguardo che non le avevo mai visto in volto e che non credevo fosse capace di avere, da quel poco che la conosco.

“Noi non c’entriamo...” puntualizzo, confusa da quello che devo dire, davanti al suo viso indurito ed incattivito. “Quell’uomo diceva che… che era per farle un favore...” sussurro, guardandola negli occhi quel tanto che basta affinché mi creda, distogliendo poi lo sguardo, troppo in soggezione.

“Non ti agitare, lo sa che non sei coinvolta. Ora torniamo a casa.” addolcisce lo sguardo e il tono di voce, capendo che sono ancora sconvolta dall’aggressione, mi sorregge per le spalle, vedendo che sono ancora debole sulle gambe.

Una volta dentro le mura di casa, vengo circondata dall’odore familiare che emana questo luogo e che, involontariamente, mi ricorda Garreth.
Mi sento decisamente più tranquilla, qui dentro, al sicuro, benché sia sempre presente l’incessante desiderio di vedere il proprietario di questo luogo che mi sta accogliendo, per spiegargli che sono innocente, non lo avrei mai tradito.

Non io.

Seguo Ellie al piano superiore, in una stanza dove non ero mai stata, non prestando molta attenzione a dove mi sta conducendo, se non quando mi dice qualcosa che è costretta a ripetere perché non la sto ascoltando.
Scuoto la testa, ritornando presente e concentrata sulle sue parole.

“Certo che mio figlio poteva darti dei vestiti miei, anziché suoi.” dice lei, una punta di divertimento nella voce, mentre prende da un grosso armadio di legno chiaro, alcuni indumenti.

Adesso mi rendo conto di essere nella sua camera da letto. Sua e di Richard, e l’imbarazzo non può che crescere in me.
Sto violando la privacy e gli spazi personali di tanta, troppa gente.
Sono un peso.

Inizio a strofinarmi il braccio nervosamente, trovandomi a disagio, evitando di guardarmi troppo intorno per non essere indiscreta.

“Non ti devi preoccupare, Ellie. I suoi abiti mi vanno bene.” dico, non volendo essere un ulteriore incombenza. Poi immediatamente penso che si possa offendere se non accetto i suoi. “Ma i tuoi sono molto meglio, sicuramente.” cerco di sorridere, senza sapere come comportarmi.

Lei ride, genuina e cristallina, posando sul bordo del grande letto matrimoniale, un paio di jeans e una semplice maglietta a maniche lunghe bianca.

“Sono sicura che i suoi vestiti non ti dispiacessero affatto.” mi guarda con ancora l’ilarità nella voce e nello sguardo. “E non dispiaceva neanche a lui che tu li indossassi...” lascia in sospeso la frase, guardandomi di sottecchi, mentre tira fuori dal cassettone un maglioncino di lana, dello stesso colore della maglietta.

“Che vuoi dire?”

“Che adesso i suoi indumenti, hanno il tuo odore.”

Non ho modo di chiederle altro, perché mi lascia sola per potermi cambiare e quando ho finito, la trovo in cucina, in mia attesa, avvisandomi che Eric è tornato con il branco al seguito.
Sono contenta che lui sia di nuovo qui, ma non riesco a nascondere la delusione.
Non è lui che speravo tornasse.
Quello che mi si presenta agli occhi una volta uscita di casa, è uno scenario angosciante ed infinitamente triste.

Un fiume di persone che cammina in modo lento, stanco, lo sguardo basso, abbattuto, che tenta di tenere un passo di marcia comune. Persone che si stringono, madri che cercano di calmare i propri figli che piangono o che sono troppo stanchi per continuare sono stati presi tra le loro braccia.
Ed io mi sento così impotente davanti a questo macabro spettacolo, tanto da sentirmi responsabile per quanto gli sta accadendo.
Hanno perso tutto, una casa, un luogo di appartenenza; forse anche alcuni affetti. Non sanno dove andare per continuare a vivere una vita che si possa definire tale, che gli è stata improvvisamente, brutalmente stravolta e che non sarà mai più come prima a causa di un odio immotivato ed irrazionale.

“Ellie, è bello rivederti.” sono le prime parole che dice Eric, avvicinandosi a noi due, abbracciando la donna che ricambia.

“Ci avete messo molto tempo, dovevate essere già qui.” è un rimprovero allarmato il suo, degno di una madre amorevole ed apprensiva.

Eric ritorna immediatamente serio, guardandosi intorno per accertarsi che nessuno lo stia ascoltando, per raccontarci ciò che gli è accaduto durante il tragitto.

“Siamo stati attaccati. Per fortuna erano pochi loro e molto arrabbiati noi.” ma non c’è nessun segno di divertimento nella sua voce, alla sua battuta.

È impossibile quantificarli, ma sembra un branco meno numeroso di quello di Garreth, benché stiano ancora uscendo persone dai confini del bosco.
Poi due di loro, dopo aver parlato con alcune donne e fatto una carezza ad un bimbo che ha ancora le lacrime agli occhi, si avvicina a noi, con passo sicuro e determinato.
E non mi serve una laurea in scienze licantropiche per capire quale ruolo ricoprono: sono un alfa ed il suo beta.
Solo quando sono davanti a noi, salutano rispettosamente Ellie, squadrando malissimo me.

Sai che novità.

Solo che questa volta non posso biasimarli.

Istintivamente, mi avvicino alla donna, facendo persino un passo indietro.

“Tranquilli, lei è con noi.” gli viene assicurato da Ellie, mettendomi una mano sulla spalla per farmi ritornare al suo fianco.

“Davvero Josh, è un’amica di Garreth.” aggiunge Eric, vedendo ancora lo sguardo ostile dell’altro alfa.

Gli occhi duri e freddi dell’alfa Josh sembrano rilassarsi di poco, continuando però ad osservarmi con intensità.
Ma questo sguardo non ha niente a che vedere con quello di Garreth e in un attimo mi ritrovo a pensare che non so cosa darei per averlo qui.

“Se le cose stanno così...” dice l’uomo, con voce roca, gutturale, cavernosa, come se avesse un difetto nelle corde vocali, rendendo il suo aspetto alto e minaccioso, ancora più spaventoso. “Io sono Josh e lui è il mio beta Benjamin.” si presenta, senza staccare gli occhi dai miei.

“Ciao...” dico in soggezione davanti ai sue uomini che ancora mi scrutano perplessi e, adesso, anche incuriositi sul perché un’umana sia qui e sia ancora viva.

Credo che nonostante le raccomandazioni di due dei membri più importanti del branco, non si fidino ancora di me.

“La situazione è critica. Dovremmo parlare con Garreth.” Josh incrocia le braccia al petto, evidenziando così i suoi muscoli tesi, sodi ed enormi, molto più grandi rispetto a quelli di Garreth, anche nonostante gli indumenti.

“Al momento è fuori in ricognizione.” gli fa sapere la madre, cercando di celare la preoccupazione.

“Siamo solo 70, ma non sappiamo dove andare. Dove poter trascorrere la notte.” dice abbattuto.

E nonostante sia tre volte me, grande e grosso, così imponente, è doloroso vederlo abbattuto per la situazione del suo branco.
Non lo conosco, ma si vede che non è un licantropo crudele. Non con i suoi, almeno. Ho qualche dubbio riguardo al suo comportamento con gli esseri umani, visto che occhiatacce mi ha lanciato.

“Potrebbero rimanere qui!” quasi grido, appena illuminata da questa idea, intromettendomi in un discorso che non mi compete, facendoli voltare tutti e quattro verso di me.

Mi pento all’istante di ciò che ho detto e in special modo, di essermelo lasciato sfuggire dal momento che i due uomini sembravano essersi dimenticati della mia presenza.

“Scusate.” dico in un sussurro pieno di imbarazzo, chinando lo sguardo per puntarlo sulle punte delle scarpe decisamente più interessanti.

“No, Amira, vai avanti.” mi incoraggia Ellie, poggiandomi una mano sulla spalla, facendomi fare un passo avanti.

Adesso mi ritrovo quasi faccia a faccia con Josh ed il suo sottoposto, ma sono costretta ad alzare il viso per poterlo vedere chiaramente negli occhi.
Prendo un profondo respiro, non badando al suo cipiglio severo ed austero, e vado avanti.

“Beh… ci sarebbe la stanza delle riunioni, con un po' di fortuna riusciamo a sistemarla e a farci entrare una ventina o trenta di voi. Poi c’è l’infermeria che ancora qualche letto dovrebbe averlo.”

“Dovrebbe?!” esclama Eric, guardandomi sorpreso. “Cos’è accaduto mentre ero via?” è sempre più allibito.

“Io ed Edoardo siamo stati attaccati da alcuni del branco. Lui è ferito.” taglio corto, non volendo approfondire il discorso, non con i due estranei davanti.

L’uomo mi guarda sgomento e la sua espressione lascia intuire che è esasperato dal fatto di non avere mai un attimo di tregua.

“E poi...” deglutisco a vuoto, sentendo la gola secca, sebbene non abbia parlato poi molto. “Sono sicura che gli abitanti di questo villaggio vi potranno dare ospitalità, senza problemi.”

Mi viene istintivo nascondermi nuovamente dietro ad Ellie, perché l’alfa Josh continua a guardarmi indagatore, senza emettere un suono, ed io non so se ho parlato troppo presto per conto delle persone del posto.

“Sì, certo. Amira ha avuto un’ottima idea.” aggiunge Eric, rompendo il silenzio.

“E l’alfa Garreth cosa ne penserà di questa idea?” chiede Benjamin, per niente convinto dalle mie parole, interpretando il silenzio ostinato del suo alfa, come un qualcosa di ostile.

“Amira è molto vicina all’alfa. A lui andrà bene la sua scelta.” fa sapere il farmacista, con un punta di acidità nella voce, rivolta verso i due licantropi che ancora si ostinano a guardarmi diffidenti.

Ed improvvisamente i loro lineamenti si distendono, si fanno più rilassati.
Annuiscono Eric ed Ellie, mentre io tiro un sospiro di sollievo perché la mia proposta è stata un azzardo.
Josh cambia radicalmente atteggiamento, i suoi occhi si addolciscono e gli spunta un sorriso speranzoso sulle labbra.

“Grazie. Grazie infinite!” esclama l’alfa, ritrovando un po' di ottimismo. Poi si rivolge a me, prendendomi le mani e stringerle nelle sue, cogliendomi alla sprovvista e spaventandomi un poco. “Grazie Luna, grazie molte.”

I due se ne vanno per parlare ed avvisare la loro gente, senza darmi l’occasione di spiegargli che io, mi chiamo Amira.

“Allora scricciola, che hai combinato questa volta? Non ti sì può proprio lasciar da sola.” Eric mi arruffa i capelli, ridendo per la mia espressione corrucciata.

“Sono stati attaccati da alcuni del branco. Il ragazzo è ferito ad una gamba e Richard se ne sta occupando.” fa sapere Ellie, spostando il suo sguardo dall’uomo a me.

“E Garreth?” domanda lui, sempre più incredulo.

Non gli rispondo, mi limito a guardare per terra.

“Sappiamo che è andato nel bosco, ma non ha più avuto comunicazioni con noi.” dice la madre, una vena di apprensione nella voce.

Eric annuisce, pensieroso e serio, mentre metabolizza le notizie. Sposta le iridi in maniera frenetica, segno che sta pensando al da farsi.

“Amira, Ellie, io devo andare in infermeria e fare il mio lavoro, non posso lasciare questo fardello a Richard solo. Voi, occupatevi di queste persone. Vi manderò gli uomini più forti ad aiutarvi.” detto ciò, si incammina verso la sua farmacia, ma fatti neanche tre passi, si ferma e mi guarda. “Mi raccomando, non metterti nei guai. O Garreth mi uccide, sta volta.” abbozza un sorriso ed io, nonostante la situazione sia abbastanza grave, non posso fare a meno di ricambiare.

Guardo poi, tutte quelle persone che si sono fermate ovunque abbiano trovato un posto; c’è chi si è seduto, chi si guarda intorno con l’aria spaesata, chi si lascia abbracciare da un amico o dal compagno.
Prendo un profondo respiro.

È ora di iniziare.

Siamo partiti dal modificare la sala delle udienze, la zona coperta più capiente del villaggio, con l’aiuto di uomini forti e volenterosi, abbiamo trasportato fuori i tavoli e le panche per fare spazio poi a delle brande improvvisate e dei letti di fortuna.
Nel frattempo altre persone si sono occupate di allestire una tenda, ahimè anche questa abbastanza improvvisata, che funzioni da mensa, dove sono state messe le tavolate e le panche.
Abbiamo lavorato senza sosta, cercando di far entrare più posti letto possibili, per non doverli dividere, aiutate da molte donne anche del branco che dopo un primo momento di smarrimento, si sono tirate letteralmente in su le maniche e ci hanno aiutate.
Alla fine, è stata una coalizione di branchi, dove tutti facevano qualcosa e così, nell’arco di alcune ore, con il sole che stava già tramontando e il vento salendo, siamo riusciti quasi a finire il rifugio.
È intervenuto anche Eric, insieme a Richard che hanno portato medicinali e curato chi ne aveva più bisogno ma, fortunatamente, a parte qualche piccola ferita, stavano tutti bene.
Non ho avuto il coraggio di chiedere informazioni di Edoardo, per paura di ricevere brutte notizie e fermarmi sconfortata, proprio adesso che siamo quasi alla fine.
Quando siamo convinti di aver fatto un buon lavoro, io Ellie e Beth, iniziamo a invitare i licantropi a prendere posto sotto il tendone per iniziare a mangiare, tutto il giorno digiuni, col freddo, lo spavento, hanno proprio bisogno di qualcosa di caldo; mentre chi lo desidera, Judy li accompagna nello stanzone.

“Stai facendo un ottimo lavoro.” sono le dolci parole di Ellie, dopo che mi si è affiancata ed unita a me a dare un piatto di stufato a chi si è messo in fila.

Mi volto verso di lei e le sorrido, benché sia stanca e abbia un attacco di emicrania in corso che mi sta facendo esplodere la testa.

“Lo spero.” dico col tono di voce basso, un po' mesto, mentre sorrido ad un licantropo a cui ho appena dato la sua porzione di cena.

Solo che lui mi guarda male, forse con odio, sicuramente con ribrezzo, afferra in malomodo il piatto e se ne va via, borbottando qualcosa che non riesco a capire.

Sospiro, rassegnata al fatto che anche loro, come noi, hanno pregiudizi, e adesso sono ancora più forti e radicati e che non posso piacere tutti.

“Non ci badare, lascialo perdere.” dice la donna al mio fianco, mettendomi una mano sulla schiena e massaggiandola delicatamente. “Guarda piuttosto i visi rilassati degli altri o i piccoli sorrisi.”

Faccio quanto mi è stato detto e vedo molti più licantropi rilassati, intenti a mangiare e parlare, anche se a bassa voce, senza quella ilarità che ci potrebbe essere nel consumare un pasto tutti insieme, rispetto a quelli che, come il licantropo di prima, sono ancora sprofondati nel risentimento.
Guardare il bicchiere mezzo pieno. Devo fare questo, e lo farò.

“Perché non ti vai a riposare? Continuiamo io, Beth e gli altri, qui.” mi indica tutti gli altri licantropi, sia uomini che donne, che stanno distribuendo cibo o coperte; che si intrattengono un poco a parlare gli uni con gli altri, cercando di infondere un po' di speranza.

Guardo le due donne che annuiscono e se da una parte vorrei continuare a dar loro una mano, ad essere d’aiuto, il freddo, la stanchezza e l’emicrania sempre più forte non mi permettono di essere di molta utilità e quindi, mi vedo costretta ad accettare il loro consiglio.
Prima però, prendo una scodella e la riempo di stufato con le patate e la porto ad una ragazza che se ne sta in disparte, ad allattare il bimbo che si è calmato solo quando anche lui, o lei, ha avuto la sua razione di cibo.
Mi avvicino con cautela, non sapendo come potrebbe reagire nel vedermi, sapendo poi che sono molto riservati in questioni intime come queste, e mi faccio notare, dicendo solo un flebile “Ciao.”
La ragazza, avrà circa una trentina d’anni, capelli ricci e infuocati, e gli occhi di un bellissimo marrone scuro, alza lo sguardo su di me, le pupille dilatate come se fosse spaventata. Per fortuna, il neonato non percepisce niente e continua a succhiare il latte.

“Scusami, non volevo spaventarti...” dico abbozzando un sorriso e avvicinandomi di qualche passo, per studiare la sua reazione. “Ho visto che non eri in fila e così ti ho portato questo.” poso il piatto ed il cucchiaio sul tavolo, proprio accanto a lei e mi distanzio di un passo.

La donna sposta lo sguardo da me alla scodella e viceversa e quello che segue mi lascia completamente senza parole.
Mi regala uno dei sorrisi più caldi e luminosi che abbia mai visto a queste creature, con gli occhi che le brillano per non so quale emozione.

“Grazie, grazie infinite. Siete molto gentile Luna.” mi accarezza una mano, il suo calore naturale contro il mio freddo innaturale sono uno strano contrasto, ma la vera cosa strana è il nome con il quale anche lui mi ha chiamata.

Prima l’alfa del nuovo branco, adesso anche lei.

Forse è solo un soprannome che danno a qualcuno che è gentile, o credano che sia quello il mio nome, non capisco.

“Se hai bisogno, chiamami pure.” detto ciò, cammino tra i tavoli, per andarmene a casa, prendere le mie medicine e riposare un poco, quando vedo un bambino tutto solo che si guarda intorno spaesato e spaventato.

“Va tutto bene, piccolo?” mi inginocchio per essere alla sua altezza.

“N-no… non trovo più la mia mamma.” dice con gli occhietti lucidi, tirando in su col nasino rosso.

“Ti aiuto a ritrovarla, vuoi?” gli porgo una mano e lui non ci pensa due volte prima di afferrarla e iniziare a camminare insieme a me, in mezzo a tutti gli altri licantropi, alla ricerca della sua mamma.

“Come si chiama?” gli domando, guardandomi intorno alla ricerca di una donna che possa avere l’aria di chi non trova più suo figlio.

“Si chiama Guendoline. È alta così, mi da sempre tanti baci anche se io non voglio perché sono grande e i bambini grandi non si fanno dare i baci dalle mamme e poi la domenica mi fa sempre i biscotti al cioccolato.” finisce il suo racconto tutto soddisfatto della descrizione che mi ha fatto.

Lo ringrazio e gli dico che mi è stato tanto utile, strappandogli un piccolo sorriso.
Passano alcuni minuti prima di riuscire a trovare qualcuno che sappia che fine ha fatto la sua mamma.

“Scusi, ha visto la madre di questo bambino? Si chiama Guendoline.”

Il licantropo a cui mi sono rivolta guarda dapprima me, poi si rivolge al piccolo riconoscendolo immediatamente.

“Ehi, birbantello, sei scappato un’altra volta, non è vero?” gli domanda retorico l’uomo, che finge di essere arrabbiato e fa la voce da duro.

“Sì, perché volevo vedere la Luna del branco e l’ho trovata ma poi non ho più trovato la mia mamma e poi lei mi ha preso per mano e mi ha detto che mi aiutava a trovarla. Vero Luna?” e il piccolo si rivolge a me, con un sorriso luminoso e speranzoso, non badando al tono di finto rimprovero del licantropo.

“Sì, certo che la troviamo, ma io mi chiamo Amira.” mi sembra sciocco puntualizzarlo ad un bambino che avrà circa sei anni, ma tutti hanno iniziato a chiamarmi con un nome sbagliato e vorrei evitare che si diffonda.

L’uomo mi guarda un po' perplesso, come se non capisse dove sia il mio disappunto e indica una donna che ci da le spalle, a qualche metro da noi.

“La tua mamma è lì, bricconcello.”

“MAMMA!!!” strilla il bambino, facendo girare non solo la donna ma anche molte altre persone che ci stanno intorno.

Corre dalla donna che, non appena lo vede, tira un sospiro di sollievo, e va incontro al piccolo, abbracciandolo e stringendolo forte.

“Noah! Dov’eri finito? Mi hai fatto spaventare.” lo rimprovera la madre, prendendolo tra le braccia e sollevandolo alla sua altezza, accarezzandoli i capelli castani e sbaciucchiandolo tutto, contro il volere del bambino. “Quante volte ti ho detto che non mi devi scappare via in quel modo?! È pericoloso! Non ti devi allontanare dalla tua mamma!” lo rimprovera, adesso con voce più ferma e autoritaria.

“Scusa mammina, è che volevo vedere la Luna del branco e poi mi sono perso. Poi lei mi ha aiutato a tornare da te. Non è bella, mamma?” domanda guardando prima la donna e poi me.

Abbozzo un sorriso imbarazzato, vorrei salutare e andarmene, per non creare ancora di più scompiglio, dato che alcuni licantropi si sono avvicinati a sentire la storia che stava raccontando il bambino, ma la donna, i lineamenti del viso improvvisamente distesi, mi impedisce di andarmene – scappare via – e mi abbraccia stretta a sé, come se lo avesse sempre fatto e ci si conoscesse da tanto tempo.
Rimango un attimo ferma, non capendo il perché di questo gesto di affetto da parte di una sconosciuta, di un licantropo verso un’umana, sapendo benissimo come siano molto restii a tali dimostrazioni.

“Perdonatemi la mia irruenza, non volevo.” si stacca da me, chinando appena la testa. “Mi avete riportato il mio bambino e non so come ringraziarvi, Luna.” e mentre parla sembra riuscire a stento a trattenere le lacrime.

“F-figurati… è stato un piacere...” dico a corto di parole, confusa da troppe cose.

Dal suo impetuoso gesto d’affetto, inaspettato benché gradito; dal suo cambiamento di umore, prima mi abbraccia come se fosse mia amica e poi si stacca come se avesse commesso un crimine.
E poi c’è ancora questo soprannome che io non capisco.
Gli altri licantropi, tutti del branco giunto questo pomeriggio ci guardano, anzi MI guardano quasi con ammirazione ed io non so più cosa fare, vorrei solo andarmene.
Ed è quello che starei per fare, se solo non venissi raggiunta ed aggredita da una voce sgradita e, ahimè, ormai familiare.

“Quell’umana… non è la nostra Luna. E mai lo sarà.”

Julia si fa largo tra la folla, piazzandosi a qualche metro da me, con aria strafottente di sfida.
Scende un silenzio glaciale intorno a noi, nessuno osa fiatare, neppure io che onestamente non so di cosa stanno parlando ma, come al solito, ci sono finita di mezzo.
Finirà mai questa storia?!
Sento il freddo pungermi la pelle del viso, penetrare oltre i vestiti e abbracciarmi il corpo.
Guardo la ragazza dai capelli mori che non perde il sorriso sadico, e vorrei davvero tanto toglierlo dalla faccia, ma so che non ho speranze con lei e il non sapere cosa fare, non mi aiuta. Non ho nessuna battutina sulla lingua, nessuna uscita di scena teatrale.
Sento che starà per accadere qualcosa di brutto e ciò mi spaventa.

“Tu...” si avvicina di qualche passo. “Tu sei solo un’umana insignificante, non servi a niente. Non sei utile a questo branco e non sarai MAI di alcuna importanza per lui. Faresti meglio ad andartene e non farti più rivedere.” mi sibila vicinissima al viso, tanto da farmi sentire il suo fiato caldo. “Sei stata soltanto un peso per l’alfa e per tutto il branco e niente cambierà. Sarai sempre una ragazzina senza significato, dovresti tornare a casa, dalla tua mammina e fare l’unica cosa che ti riesce: piangere! Perché sei debole come tutti gli ess-”

La mano è partita senza che me ne rendessi conto, scagliandosi contro la sua guancia, così forte che si è sentito lo schiocco rimbombare nel silenzio glaciale intorno a noi, tanto da farle voltare il viso di lato.
Sento gli occhi degli altri puntati addosso, allibiti tanto quanto me, dal mio gesto.
La parte razionale, quella consapevole del danno in cui mi sono cacciata, mi sta gridando di scappare a gambe levate, ma quella irrazionale, quella stanca di farsi sempre sottomettere e trattare male, dice che no!, io devo rimanere qui e farle vedere che benché io sia umana, ho molta più forza di lei.
Forza di volontà, s’intende.
Quando Julia ritorna a guardarmi, i suoi occhi sono braci d’odio e rancore, profonde e vorticose, le pupille rimpicciolite all’inverosimile.

“Tu non sarai mai la mia Luna!” grida, prendendomi per il giacchetto ed avvicinandomi a lei.

Succede tutto in un attimo.
Gli altri intorno a noi, ci si avvicinano pronti a dividerci perché forse hanno intuito che io non posso davvero combattere alla pari con lei, o forse perché hanno capito che io non sono chi credevano chi fossi; io per liberarmi dalla sua presa, provo a tirarle un calcio sul ginocchio che, miracolosamente, va a segno e lei lascia la presa, ringhiandomi contro.
Credo più per la frustrazione di averla colpita due volte, che per il dolore che non le ho assolutamente procurato.

“Questa me la paghi, brutta stronza!” ringhia incazzata, stringendo la mano a pugno, pronta a colpirmi.

“Fermati Julia.”

Tutti ci voltiamo verso quella voce autoritaria che ha parlato in modo così duro e cupo, profondo, senza una nota di benevolenza, tanto conosciuta e sperata che tiro un sospiro di sollievo nel vedere il proprietario di nuovo qui, con noi.

Da me.

La lupa si ferma a stento, cercando di reprimere la voglia che ha di spaccarmi la faccia, togliendomi le mani di dosso e facendo un passo indietro.

“Alfa, lei è una traditrice. Avrebbe avuto solo quello che le spettava.” ringhia a denti stetti, le mani a pugno, avvicinandosi di un passo per intimorirmi.

Solo che io, adesso, non mi faccio più spaventare dai suoi giochi, e rimango ferma dove sono, perché so che lei ora è spaventata e so come può reagire un animale che ha paura, che si sente in trappola: attaccando.
Ma so anche che non lo farà, non si metterà contro la volontà del suo alfa, danneggiando ancora di più la sua posizione.

“No, l’unica traditrice sei tu, Julia.” sentenzia Garreth, avvicinandosi a noi, la schiena dritta e il passo fermo, i muscoli tesi, la mandibola serrata che gli indurisce ancora di più i lineamenti.

“NO! Non è vero!” grida, in preda alla rabbia ed al panico la ragazza. “Tutto quello che ho fatto è stato per il bene del branco!”

“Tu hai solo portato discordia tra di noi.” si avvicina alla ragazza guardando solo lei, dritta negli occhi, due fessure sottili di pura rabbia, contro quelli della lupa, colmi di terrore. “Sei tu che non servi al branco, tu quella inutile.” ripete le stesse parole che sono state dette a me.

Segno che era presente durante il suo bel discorsino. Chissà perché non è intervenuto prima.
Julia lo guarda angosciata, gli occhi spalancati e consapevoli di un qualcosa che mi sfugge ma che deve devastarla. Le tremano le mani, il colorito sembra più pallido del solito e gli alberga una strana luce di consapevolezza nello sguardo.

“Io ti bandisco immediatamente Julia Smith, dal mio branco e dalle mie terre.” sentenzia glaciale Garreth, guardandola dritta negli occhi, senza un barlume di dispiacere o rimorso. “Potrai andare a fare compagnia a tuo cugino, adesso.”

Quindi, anche lui è stato bandito. Beh, se non altro non avremo più a che farci e non ci ritroveremo sgradite sorprese fuori casa.
L’urlo gutturale di disperazione di Julia mi fa venire i brividi ed arretrare di un passo, tanto è inaspettato ed alto.
Si lascia cadere in ginocchio, abbracciandosi e iniziando a piangere come una bambina… come non credevo fosse capace di fare.

“T-ti prego, alfa! Lasciami ri-rimanere.” lo supplica, le lacrime che le rigano pesanti ed amare le guance, i capelli che già le si attaccano alla pelle del viso, come le si è già attaccata la condanna sul corpo e sull’anima.

Garreth la osserva dall’alto in basso, l’espressione del viso immutata. Anzi, forse ancora più indurita di prima, tanto da far paura anche a me.
Non lo avevo mai visto così; veramente furioso, pronto a tutto per difendere il branco, anche a costo di scacciare un membro dello stesso.

“Non credere perché tuo padre ed il mio erano amici, avrai un trattamento di favore. Vattene. Non voglio più vederti.” detto ciò, le da le spalle e si incammina.

“Nooooo…!!! T-ti prego...” singhiozza disperata, rimanendo inginocchiata a terra, le mani a coprire il viso per attutire il pianto.

“Aspetta Garreth!” lo rincorro, fermandolo per un braccio.

Lui si volta verso di me, lo sguardo ancora torvo, incendiato dalla rabbia e da una cocente delusione per essere stato tradito.
Quando mette a fuoco la mia figura, sembra riscuotersi dal torpore dell’ira e gli occhi gli si schiariscono leggermente, tornando quasi i suoi.

“Tu stai bene? Ti ha fatto del male?” domanda, una punta di acredine e premura nella voce, portando una mano sul collo ed accarezzandomelo dolcemente.

“Sì, sto bene, ma...” all’improvviso le parole mi muoiono in gola, senza sapere come fare per parlare, intimorita che possa infervorarsi anche come, per l’idea che ho avuto.

“Ma cosa?” incalza, sospettando che ci sia sotto qualcosa che ha a che fare con Julia e il trattamento da lei ricevuto.

“Non c’è un’altra... soluzione?” domando a bassa voce, intimorita di farlo arrabbiare a mia volta e farlo andare in escandescenza, con la paura che magari possa esiliare pure me, per davvero questa volta, indicando con un cenno fugace della testa la lupa che, ancora in ginocchio, sta piangendo senza dar segno di fermarsi.

“No. Tu vorresti un’altra soluzione?!” sibila adirato.

Involontariamente, muovo un passo indietro.

“Ha tradito il branco, ha tradito ME… e soprattutto, ha fatto del male a te!” mi indica con il dito indice, lanciando lampi dagli occhi.

“Non ti sto contraddicendo.” metto le mani avanti, intimorita. “Dico solo che le potresti dare del… del tempo...” lascio in sospeso la frase, sperando che ci arrivi da solo e che non mi costringa a dir altro. Non ho assolutamente voglia di parlare con un Garreth così adirato.

Perché si sa, l’odio genera altro odio e si nutre di sè stesso, finché non diventa troppo grande ed ingovernabile; impossibile da gestire. Ma dobbiamo mettere un freno a questo malsano e malato sentimento, prima che attecchisca dentro al cuore di ognuno di noi, o questa storia non finirà mai.
Aspetto qualche secondo, sperando che Garreth comprenda le mie intenzioni, ma, ahimè, è pur sempre un uomo, e dal sopracciglio alzato deduco che non ha capito a cosa io mi stessi riferendo.

Magnifico.

“Per fare i bagagli… salutare gli amici...” dico in un bisbiglio, alzando le spalle senza sapere come continuare.

Mi guarda per un attimo che pare eterno, indeciso se lasciarsi convincere dalla mia proposta o proseguire con il suo ordine.

Poi sospira, rassegnato, socchiudendo gli occhi e quando li riapre per puntarli nuovamente su di me, il suo sguardo è di nuovo addolcito.

“E va bene.”

Fa marcia indietro, ma si ferma quando si accorge che non lo sto seguendo.

“Forza, seguimi.” non è un consiglio ma un ordine.

Ed io non me la sento di sfidare ancora la sorte, quindi anche se a malincuore, lo seguo in silenzio, ritornando dalla donna, alla quale non si è avvicinato nessuno ma, anzi, si sono allontanati tutti, come se fosse malata e dovessero tenersi alla larga, come a prova tangibile, istantanea, del suo allontanamento dal branco.
Garreth si ferma a pochi passi da lei ed io subito dietro di lui, provando una gran pena per la ragazza che, spogliata di tutto il suo potere e la sua importanza, non fa più paura come mezz’ora fa.

“Hai un’ora.” laconico e glaciale.

Julia alza la testa, gli occhi rossi e gonfi per il pianto che l’ha scombussolata, i segni delle lacrime ancora sulle guance, con qualche singhiozzo che le sconquassa la gabbia toracica.
Lo guarda, un attimo spaesata, appena capisce a cosa si riferisce, altre lacrime le riaffiorano e premono per uscire, lo sguardo si addolcisce ed i lineamenti si rilassano.

“Grazie alfa. G-grazie...” singhiozza, commossa dall’inaspettato ordine magnanimo.

“Non devi ringraziare me.” mi lancia uno sguardo veloce per far sì, che anche Julia mi guardi e capisca da chi deriva questo piccolo cambio di programma a suo favore.

Non diciamo più niente, l’attimo dopo Garreth se ne va, incitando me a fare lo stesso e seguirlo.
La mia andatura rallenta all’aumentare dell’attacco di emicrania, il lamento soffocato che emetto non passa inosservato al licantropo che subito si ferma, facendomi alzare il viso verso il suo, accertandosi che non sia ferita.
Mi guarda con aria interrogativa, non capendo dove il mio problema.

“Attacco di emicrania. Ho bisogno della mia medicina.”

“Ce l’hai con te?”

“No, l’ho lasciata a casa di Anna. Tu dov’eri finito?” gli chiedo preoccupata per la sua lunga assenza.

Mi poggia una mano sulla spalla, spostandola poi sul collo ed infine sulla guancia, scrutandomi con i suoi occhi indagatori ed imperscrutabili.
Il calore della sua pelle paradossalmente mi fa rabbrividire, e al tempo stesso è estremamente confortevole.

“Forza, andiamo a casa.”

Una volta dentro le mura dell’appartamento di Anna, Garreth mi fa sedere sul divano, invitandomi – ordinandomi – di non muovermi. Ed è quello che faccio, non tanto per una vera e propria intenzione di obbedirgli, ma per l’emicrania che mi fa avere capogiri e nausea.
Cerco di non pensare a quello che è successo tra me e Julia e tra lei con Garreth, ma nella mente mi si proiettano come dolorosi flash le immagini, le minacce ed il suo pianto ed a niente valgono i miei tentativi di concentrarmi sul battito del cuore o sul silenzio che regna in casa.
Mi porto le ginocchia al petto e vi nascondo il viso, tentando in tutti i modi di trovare un pochino di sollievo, ma la testa pulsa ed il malessere si sta espandendo al viso.

“Dove la tieni?” domanda dopo un attimo di smarrimento, rendendosi conto di non saperlo.

Potrei fargli la lista di tutti i luoghi dove tengo quel medicinale, in caso venga colpita da attacchi come questi, peggio di un tossico in piena crisi di astinenza, ma evito di fare del sarcasmo e gli indico il posto più vicino.

“L’astuccio verde fluo, in camera mia.” gli dico anche come si chiama e lo vedo recarsi al piano superiore, il suono dei suoi passi attutito alla moquette, per poi riscendere e dirigersi in cucina per prendere un bicchiere d’acqua.

Quando me lo porge, la polvere si sta ancora sciogliendo. La mando giù in un solo sorso, troppo nauseata dall’odore e dal sapore, ringraziandolo con un flebile “Grazie.”

“Stai meglio?” mi chiede dopo neanche dieci secondi, impaziente come sempre.

“Starò meglio tra un po'.” alzo le spalle, poggiando la testa allo schienale del divano.

Fortunatamente fuori è ormai già buio, così da non dovermi alzare ad accostare le tende per non far filtrare la luce.

“Ho visto quello che hai fatto e Josh me ne ha dato conferma.” mi fa sapere, sedendosi accanto a me. “Lo apprezzo davvero tanto. E anche loro.”

Gli rivolgo un sorriso stanco ed un po' triste.

“E’ vero che Edoardo è stato morso?” chiede neutro, guardandomi di sottecchi.

È la prima volta che lo chiama per nome, spero sia un buon segno perché non sono assolutamente nelle condizioni di litigare.
Annuisco, incapace di proferir parola, ma c’è una domanda che mi alberga la mente e gliela devo fare.

“Diventerà uno di voi, adesso?” chiedo in un bisbiglio. Non tanto per il male alla testa, quanto per il timore della risposta.

“No, non lo farà. Ma potrebbe non farcela.”

Sento il cuore sprofondare nel baratro.

“Avevi ragione tu, sai? Dovevamo andarcene quando ce lo hai ordinato. Quando eravamo ancora in tempo.” esalo rattristata, incapace di versare altre lacrime.

Garreth sospira, allunga il braccio e mi fa scivolare accanto a lui, tenendomi stretta al suo corpo caldo.
Non faccio resistenza, non mi oppongo. Mi rilasso sentendo il suo calore, ascoltando il respiro calmo e regolare, trovandolo un ottimo diversivo dal dolore; gli poggio una mano sul torace, accomodandomi meglio al suo fianco, chiudendo gli occhi, pronta a lasciarmi cullare dalle sue mani che hanno iniziato a vagare lungo il mio braccio in blande carezze.

“Io ho davvero un odore così cattivo?” gli domando dal niente, ricordandomi la frase detta con tanta crudeltà da Julia, senza sapere se crederci o meno.

Garreth smette di accarezzarmi, guardandomi intensamente negli occhi ed avvicinandosi pericolosamente al mio volto, con uno strano sguardo tra il serio ed il malizioso.

“Vuoi davvero che ti faccia vedere quale effetto ha su di me il tuo odore?” lo dice ad un soffio dalle mie labbra, così vicine che ne percepisco il calore, il fiato che mi solletica la pelle.

I brividi che si espandono dal collo, fino alla schiena.

“Mh mh...”

Sento il suo naso giocare con il mio, le sue labbra sfiorare le mie e quando mi prende con entrambe le mani il collo, per avvicinarmi definitivamente a lui, chiudo gli occhi arrendevole.
Il silenzio viene squarciato brutalmente dalla suoneria del telefono di casa, che si mette a strillare come se avesse il Diavolo in persona ad inseguirlo.
Salto sul posto, il cuore in gola e le guance in fiamme.
Ci stacchiamo immediatamente e prima che uno dei due possa dire qualcosa, Garreth mi fa la gentilezza di andare a rispondere al telefono.
L’attimo successivo torna da me, con una strana espressione dipinta in volto.
Se non lo conoscessi bene, direi che mi pare quasi spaventato.

“E’ tua cugina.”

In questo momento, vorrei solo emigrare.







- Angolino mio - 
Mi farò perdonare per questa assenza prolungata....
Volemose bene <3
Un bacione

  
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