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Autore: Gaia Bessie    22/07/2020    2 recensioni
Scorpius Malfoy se la stava mangiando viva, Rose, la stava scarnificando, lentamente, scollandola dalle proprie ossa. E lei non riusciva a lasciarlo andare, forse più per pena e abitudine, che per amore, forse perché lui, in quell’attaccamento senza senso e senza scopo, era riuscito a convincerla di quell’idea così folle e contraria all’evidenza. Che lui l’amasse. Ma come poteva, Malfoy, amare, se era una voragine dove i sentimenti e le emozioni si perdevano. Come poteva pensarsi in grado di prendersi cura di una persona, se era egli stesso una ferita in suppurazione, una cancrena, un arto da amputare sperando che non corrompesse l’anima di chi gli stava vicino.
(...)Un giorno, al pari di Scorpius, Rose sarebbe diventata ella stessa una voragine. E lui avrebbe perso per sempre l’occasione per dirle che l’amava silenziosamente da anni, in maniera dolce e sognante, non nella maniera dolorosa e bulimica di Malfoy.
Lei lo avrebbe mai capito, che solamente James sarebbe stato in grado di salvarla da quel groviglio di sentimenti che provava per Scorpius?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, James Sirius/Rose, Rose/Scorpius
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Unflavoured'
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«Puoi cercare di pensare a qualcosa che non sia te stesso o i tuoi problemi?» urlò Rose, il viso arrossato. «Ti sei limitato a darmi addosso, senza nemmeno chiedermi uno straccio di spiegazione».
«Perché so perfettamente perché lo hai fatto» rispose Scorpius, freddamente. «Non sopporti che io sia diverso da come mi avevi immaginato. Non sopporti che io sia orribile, grasso e…».
«Io non ti trovo orribile e grasso» lo interruppe lei. Aveva gli occhi ricolmi di lacrime. «Ma non ci stai nemmeno provando, a uscirne».
«Non puoi saperlo» sibilò Scorpius, chinando il capo. «Tu non sai niente, di me. Sai solamente ferire le persone che ti amano».
Rose lo guardò, costernata, facendosi violenza per non dirgli che, l’accusa che le muoveva, era costituita dallo stesso pensiero che l’aveva spinta a ferirlo di rimando. Poteva averlo spezzato in due metà diseguali, ma solamente perché, ben prima che lei potesse farlo, Scorpius Malfoy l’aveva frantumata in un migliaio di frammenti infinitesimali.
Puoi perdonare una persona che si fa del male con il solo scopo di ferirti in maniera più profonda di quanto tu non abbia mai fatto?
Rose non avrebbe potuto dare una risposta certa a quella domanda: ma il viso pallido ed emaciato di Scorpius, le occhiaie violacee che sembravano lividi, le nocche spaccate, tutto in lui le ricordava che, in qualunque modo possibile, lui l’avrebbe ferita sempre.
E lei sarebbe rimasta al suo fianco, più per pietà che per amore, senza riuscire a lasciarlo andare: se lo avesse fatto, Scorpius si sarebbe lasciato annegare in un mare di lacrime senza sale.
 
 
Unsalted

 
Tutta Hogwarts mormorava. In Biblioteca, in Sala Grande, perfino nelle Sale Comuni, ogni singolo studente sussurrava a chi gli stava vicino che Scorpius Malfoy c’era caduto di nuovo, con piedi, scarpe e tutto il resto.
Che era finito in infermeria e avevano dovuto ricucirgli l’esofago, lacerato e sfilacciato, che era collassato in un lago di sangue. Che Madama Chips aveva sbuffato, triste e insofferente, mentre il ragazzo gorgogliava qualcosa d’inudibile.
La McGrannitt aveva convocato nel proprio studio i coniugi Malfoy, ma solamente la signora s’era presentata all’appello. Draco Malfoy aveva scritto una lettera al figlio, poche righe che urlavano perché devi ferirci in questo modo, e s’era rinchiuso nel proprio studio, nella soffitta del Manor. Da giorni non parlava con nessuno, sbocconcellava i pasti che gli Elfi gli portavano su un vassoio, e non chiedeva notizie del suo unico figlio.
Asteria Greengrass-Malfoy era accorsa ad Hogwarts in un delicato tailleur color lavanda, ma i capelli arricciati in uno chignon frettoloso tradivano la sorpresa che quella convocazione doveva averle causato. Guardandola da vicino, chiunque avrebbe potuto rendersi conto che le tremavano le mani.
Nell’ufficio della preside, aveva trovato Rose Weasley seduta su una delle sedie, gli occhi gonfi e il naso arrossato: anche lei, al pari della madre di Scorpius, sembrava aver passato diverse ore a piangere.
«Buongiorno, Preside» disse, mestamente, evocando un grazioso pouf viola. «Rose… come stai?».
La ragazza sapeva perfettamente quanto sforzo fosse necessario, ad Asteria Malfoy, per rivolgerle la parola: la donna sarebbe stata sicuramente maggiormente propensa del marito a intrattenere rapporti con lei, se non fosse che, quei rapporti, erano circoscritti alla cadenza, tristemente regolare, con cui Scorpius finiva allettato in infermeria o, ancor peggio, al San Mungo.
«Bene, signora Malfoy» rispose la ragazza, torcendosi le mani. «Lei? Suo marito?».
Asteria sorrise leggermente e la liquidò con un bene, grazie sussurrato. «Professoressa» disse, rivolgendosi alla McGrannitt. «Come sta mio figlio?».
«Sta bene, Madama Chips è riuscita a fermare l’emorragia appena in tempo» disse la preside. «Rose l’ha trovato in bagno, svenuto, che faticava a respirare. Credo che abbia ripreso le vecchie abitudini, Asteria».
La signora Malfoy annuì, aveva uno sguardo così triste e stanco da spezzare il cuore: la professoressa McGrannitt la conosceva bene, parecchi anni prima era stata smistata, con grande rammarico della sorella maggiore, in Grifondoro. E aveva combinato un sufficiente numero di guai che le avevano permesso di guadagnarsi l’astio di gran parte del corpo docente e diverse punizioni dalla stessa professoressa McGrannitt.
«Lo so» convenne Asteria, chinando il capo. «Ma… non so davvero più cosa potrei fare. Non vuole nessun aiuto medico, non vuole parlarmi e…».
Un singhiozzo le ruppe la voce. La professoressa McGrannitt pensò con sgomento che quella donna, così curata ed elegante, aveva un’espressione radicalmente diversa dalla giovane Asteria Greengrass. Era come se la malattia di suo figlio avesse inglobato la gioia di vivere, di scherzare, che l’avevano caratterizzata negli anni della sua adolescenza. Scorpius Malfoy, scavandosi dentro, aveva come gettato un’ombra su sua madre.
«Forse tu e tuo marito potreste valutare di farlo ricoverare al San Mungo» propose la preside, cauta. «Potrebbero aiutarlo meglio di quanto non si possa fare qui».
«Ha diciassette anni» rispose la signora Malfoy, piano. «Questo impedisce a me e Draco di farlo ricoverare contro la sua volontà».
«Signorina Weasley» la professoressa McGrannitt si rivolse verso Rose, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. «Lei cosa ne pensa? D’altronde, è da parecchio tempo che si frequenta con il Signor Malfoy, dovrebbe conoscerlo meglio di qualunque altro».
Rose fece per dire qualcosa, ma era come se le parole si rifiutassero di uscire, per cancellare il sorriso speranzoso dipinto sul bel viso di Asteria Greengrass-Malfoy. Le avrebbe fatto ingrigire i bei capelli biondi, appannare gli occhi azzurri, storcere la bocca impiastrata di rossetto. Se solamente le fossero uscite quelle parole, avrebbe distrutto il tempo, lo spazio, e le speranze.
Vi prego, lasciatelo morire in pace, pensò. Lasciatelo andare.
 
 
***
 
Scorpius Malfoy aveva passato tre ore, inerme, a cercare di ricordarsi come si faceva a parlare, che sensazione desse l’aria che attraversava la gola, per scavarsi la propria via verso i polmoni. Non aveva detto una parola a sua madre, che si era seduta sulla sponda del letto dell’infermeria, anche se si vedeva che aveva pianto, e il mascara le si era raggrumato sotto le ciglia inferiori.
«Scorpius» mormorò Asteria Malfoy, carezzando dolcemente il capo biondo del figlio. «Come ti senti?».
Come uno che avrebbe voluto asportarsi l’anima a unghiate, pensò lui, ma non ebbe il cuore di comunicarlo a sua madre. La gola gli doleva, come fosse anch’essa squarciata, i lembi di pelle tiravano dall’interno: aveva faticato, Madama Chips, a ripararlo, questa volta?
«Dov’è Rose?» tossì. «Perché non è qui?».
«Si è fermata a parlare con un suo amico, qui fuori» disse Asteria, atona. «Sta arrivando, tesoro, non agitarti».
Una parte della donna s’agitava, inquieta, contro quel figlio che le stava drenando via la voglia di vivere, che la stava annichilendo con esasperante lentezza. Amava suo figlio, l’aveva desiderato così intensamente che, odiarlo, le risultava impossibile. Ma, certe volte, si rendeva conto come sarebbe potuto risultarle semplice, detestare Scorpius. E di quanto fosse orribile odiare qualcuno così paurosamente malato.
«Con chi stava parlando?» domandò il ragazzo, con astio. «Chi era? Descrivimelo».
Asteria sospirò. Controluce, era come se in quei pochi minuti trascorsi al capezzale del figlio fosse improvvisamente invecchiata. «Un ragazzo alto, con i capelli neri. L’ha chiamato Jem».
Scorpius digrignò i denti così forte che sua madre temette quasi che potesse spezzarseli, riempendosi la bocca di schegge d’osso e sangue.
«Le avevo detto che doveva smetterla di flirtare con suo cugino, è una cosa abominevole» sibilò. «Valla a chiamare».
«Dovresti essere più indulgente con la persona che ami» gli suggerì Asteria, dolcemente. «Rose è una brava ragazza, dovresti avere fiducia».
«Come hai avuto fiducia in mio padre quando hai scoperto che si scopava la zia?» chiese Scorpius, sprezzante. «Grazie mille del suggerimento, mamma».
Asteria incassò il colpo, voltando il capo per non far vedere al figlio che aveva gli occhi lucidi: il grande tradimento di sua sorella era ancora una ferita, che eruttava pus e sangue, nel suo amor proprio. Lei e Draco avevano scelto di fare un tentativo, l’ultimo aveva giurato a sé stessa, per non dover sottoporre quel loro amato figlio, così rotto e disfunzionale, al dispiacere di vedere i suoi genitori farsi la guerra.
«Vado a chiamare Rose» cinguettò Asteria, inghiottendo l’astio che le stava corrodendo il fegato. «Torno subito, tesoro. Dirò a tuo padre di venirti a trovare, appena avrà finito di lavorare».
 
***
 
James Sirius aveva caldi occhi nocciola e un bel sorriso: non aveva la bellezza sfrontata del fratello minore, né l’aria conturbante di sua sorella. Ma, per Rose, James era casa. Era il sorriso di Harry che, la mattina, non riusciva a svegliarsi fino al secondo caffè, era gli occhi gentili di Ginny che l’accoglievano in casa sua, ogni volta che usava la Metropolvere dopo un bisticcio con sua madre.
Era famiglia, un porto sicuro: nonostante il sorrisetto scanzonato e la battuta pronta, era un bravo ascoltatore, nonché una delle persone più ingenue e gentili che Rose avesse mai conosciuto, in tutti i suoi sedici anni di vita. Aveva un solo difetto.
«Dimmi cosa ti ha fatto. Perché ti giuro che questa è la volta buona che lo mando io, in infermeria».
Non gli si poteva nascondere niente. James era naturalmente intuitivo, sebbene non brillasse nello studio come sua cugina, e facilmente irascibile.
«Niente, Jem» mormorò Rose, giocherellando con un anello che portava al mignolo. «Il solito».
James guardò sua cugina, sorprendendosi di quanto fosse diventata pallida e stanca, sebbene fosse solamente novembre. Cosa poteva essere successo, in tre mesi, da annullare totalmente l’effetto benefico delle vacanze estive?
Lui lo sapeva, che quel pallore, che i cerchi scuri sotto gli occhi e il tic nervoso delle mani avevano un nome e un cognome. Scorpius Malfoy.
«Il solito» sibilò. «Cosa ti ha detto?».
«Non mi ha detto niente» rispose lei, ma aveva la voce rotta. «È solo… quello che fa, Jem. Diventa peggio ogni giorno, e… prima non era così».
«Non era un mostro, intendi?» chiese James, con astio. «Scorpius Malfoy è una voragine, Rosie. Se rimarrai con lui vi cadrai dentro. E come farei a riprenderti, se succedesse?».
Lei sorrise, malinconica: James aveva detto bene, Scorpius era esattamente come l’aveva descritto. Una voragine, immensa e sconfinata, che inglobava tutto quello che aveva attorno: cose, persone, persino pensieri. Chiunque gli stava vicino finiva per cadere in quel reticolato di emozioni disfunzionali che aveva creato, dove la compassione per lui era la divinità da venerare.
«Non mi riprenderesti» disse, semplicemente. «Forse dovresti abituarti all’idea che potresti semplicemente lasciarmi andare».
Perché Scorpius era un groviglio di rancore, indirizzato su sé stesso, in primis, e sulle persone che amava. Ma si poteva davvero dire che fosse in grado di amare qualcuno, se aveva una tale noncuranza, se non disprezzo, nei confronti di sé?
E aveva investito anche lei. Quando si era per la prima volta scoperta innamorata di lui, Rose non avrebbe mai potuto immaginare che, nell’arco di pochi mesi, si sarebbe trovata intrappolata in un incubo.
«Non lo farei mai» rispose James, aggressivo. «Piuttosto pongo fine alle sue sofferenze, per davvero. Potrebbe anche essermi grato».
Rose pensò che suo cugino era stato ingiusto: Scorpius non voleva morire, era troppo disperato per volere una cosa del genere. Scorpius voleva scavarsi dentro, trovare vie alternative per sentirsi vuoto come uno splendido vaso di vetro. Lei, all’inizio, era stata cieca, non si era resa conto del potenziale autodistruttivo che il ragazzo covava nelle vene.
Scorpius non sarebbe stato grato, di morire: si sarebbe solamente arrabbiato di più, perché la morte non era altro che l’ennesimo pieno dove lui, invece, avrebbe desiderato essere vuoto. Eppure, la pienezza era il sentimento che Scorpius conosceva meglio, quello che contattava con maggiore frequenza. Davanti a lei, aveva sempre negato, forse per vergogna, forse per costringerla ad indagare da sé in una mente dove era pericoloso addentrarsi.
«Lascia perdere, Jem» disse Rose, ritrovando il proprio abituale contegno. «Scorpius è un bravo ragazzo. È solo… che la sua sofferenza è difficile, da comprendere, e spesso non capisco cosa potrei fare per aiutarlo».
«Scorpius ti sta manipolando» disse James, scandendo le parole, come se la ragazza faticasse a comprenderlo. «Ha dei problemi, ed è innegabile. Ma non può semplicemente riversarli su di te, fregandosene di quanto male riesca a farti».
«Sono io che gli permetto di farmi male» disse lei, con malcelato orgoglio. «Non potrebbe mai ferirmi senza il mio consenso».
Il ragazzo le lanciò uno sguardo triste e, in una certa misura, costernato. «Lo so» ammise. «Il problema è che ti ha convinta a pensare che tu glielo voglia dare, quel consenso».
 
***
 
«Finalmente» Scorpius Malfoy accolse la sua ragazza con un sorriso, che in realtà era più un digrignare i denti. «Ti sei degnata di venire a constatare che sono vivo».
Rose incassò il colpo, sedendosi sulla sponda del letto. «Scusami» disse. «Ho incontrato Jem per i corridoi, mi ha chiesto come ti sentissi».
«Come se a James Sirius Potter potesse importare, come mi sento» commentò il ragazzo, con cattiveria. «So perfettamente cosa stavi facendo, Rose. Non hai bisogno di mentirmi».
Lei lo guardò, gli occhi castani velati di lacrime. «Scorpius» sospirò, come facesse fatica a respirare. «Non ti farei mai una cosa del genere».
Lui la guardò. Era incredibile come riuscisse a sembrare arrabbiato e disperato allo stesso tempo, come se fuoco e tempesta lo stessero consumando nel medesimo istante.
«Io lo so, cosa ti dice» sussurrò, tagliente. «Che cosa ti mette in testa. Che vuoi lasciarmi, che sono orribile, malato e…».
Tossì, producendo un atroce suono raschiato, quasi come se qualcosa gli avesse nuovamente lacerato internamente. Si guardò la mano, con aria trionfante, scoprendola macchiata di sangue.
«Ecco» mormorò, stremato. «Guarda cosa mi fai fare».
«Mi dispiace» disse Rose, meccanicamente, mentre si chinava per prendergli la mano con la propria. «Tu non sei orribile, Scorpius. E potresti guarire, se solo…».
Ci provassi, avrebbe voluto dire, ma si morse la lingua. Una parte di sé, quella più ribelle, quella che Jem Potter conosceva così bene, borbottava e gorgogliava astiosa, sotto il peso delle parole del ragazzo che avrebbe dovuto amarla.
«Se solo tu non ti appartassi nei corridoi con tuo cugino» completò Scorpius, con un sibilo. «I pettegolezzi su di voi mi imbarazzano, lo sai».
Lei chinò il capo, imbarazzata.
Ma, dentro di sé, Rose stava urlando.
 
***
 
«Draco, per cortesia, potresti prestarmi ascolto per due minuti?».
Asteria Greengrass, da quando aveva smesso con la sua antica passione per gli scherzi, era diventata una rispettabile madre di famiglia: dolce, elegante, posata, e rideva perfino molto più raramente di quanto non facesse quando era ancora una ragazzina. Ma, in quei momenti, la tentazione di pietrificare suo marito e spingergli in gola un tronchetto di Torrone Sanguinolento era parecchia.
«Merlino, Asteria» sbuffò suo marito, sollevando lo sguardo dalla Firebolt III che stava modificando. «Non vedi che sono occupato? Possiamo parlare a cena, mancano solamente tre ore».
Asteria lanciò un’occhiataccia a suo marito, mordendosi la lingua per non dirgli cosa pensasse veramente del suo hobby: truccare scope da corsa era stupido, e infantile, ma sapeva perfettamente che, se avesse dato sfogo a quel pensiero, le possibilità di ottenere l’attenzione di suo marito si sarebbero ulteriormente abbassate.
«Draco, nostro figlio si è lacerato l’esofago» disse, scandendo bene le parole. «E tu non sei nemmeno andato a vedere se è ancora vivo, se parla, se sta bene».
Draco Malfoy alzò lo sguardo, come se si fosse accorto solamente in quel momento che sua moglie era lì, a metà strada tra il mettersi a piangere e l’affatturarlo. «Sì, ho capito» disse. «Ma io cosa potrei farci? È una sua scelta, lo sa benissimo che io non sono d’accordo».
Fu quello, il momento esatto in cui, in Asteria Greengrass-Malfoy, qualcosa si ruppe in maniera definitiva: la sua sopportazione, già messa a dura prova dallo scoprire della scappatella di suo marito con sua sorella, era finalmente implosa in una nuvola di polvere.
«Molto bene» disse, con un sorriso che somigliava in maniera impressionante a quello del figlio. «Ti chiedo di farmi avere al più presto le carte del divorzio, mi trasferisco da mia madre».
«Asteria, ma ti pare il caso?» domandò Draco, posando la bacchetta sul tavolo sa lavoro. «Perché devi comportarti sempre in maniera così drammatica».
«Perché sono anni che sono sposata con un emerito stronzo» rispose lei, con un tono angelico che cozzava con le parole che aveva pronunciato. «E nessuno mi toglierà mai dalla testa che sia stato il tuo comportamento, a fare diventare Scorpius quel che è».
«Non gliele metto io, le dita in gola. Ma capisco che vuoi riversare tutta la colpa su di me» commentò Draco, scrollando le spalle. «Non capisco perché mi hai sposato, a queste condizioni».
«Perché pensavo che mi avresti dato indietro tutto quello che la Guerra mi aveva tolto» disse Asteria, con una vena di malinconia che le incrinava la voce. «Ma mi rendo conto che non ti è mai importato nulla, dell’avere una famiglia».
«Le tue accuse non mi toccano» rispose Draco, con noncuranza. «Ho sempre dato a te, e a Scorpius, ogni cosa che mi avete chiesto. Sono stato un padre esemplare, non capisco le tue recriminazioni».
Asteria sospirò, come se quel singolo gesto potesse far defluire tutta la rabbia e il rancore che provava. Ma, ovviamente, non limò nemmeno leggermente tutti gli spuntoni acuminati della propria ira, pronti a infilzare suo marito, lasciandolo morente sul pavimento.
«A malapena ricordi il nome della ragazza di tuo figlio» mormorò. «Di me, poi, non sai niente. Non sai qual è il mio colore preferito, cosa mi piace fare. Perché, al centro del tuo mondo, ci sei solamente tu. E per me, o per chiunque altro, non c’è posto».
Draco Malfoy le rivolse un sorrisetto di scherno, mentre tornava a voltarsi verso la propria scrivania. «Merlino, Asteria, non capisco proprio cos’altro avrei potuto fare, per te» rispose. «Ti ho dato una bella casa, un figlio. E ti ho perfino salvata da tutte quelle macchie sul tuo nome: non tutti abbiamo dimenticata con chi ti sei sporcata».
A quel punto, Asteria si rese conto che non vi sarebbero stati più respiri profondi, né le sarebbe servito contare fino a dieci, quindi fece la cosa più logica: con un movimento della bacchetta, appellò la propria borsa, dove aveva riposto e rimpicciolito le proprie cose. Prima di Smaterializzarsi, lanciò un’ultima occhiata all’uomo che, per anni, era stato suo marito e che, adesso, le causava solamente un moto di fastidio che le riecheggiava tra le ossa.
Draco Malfoy a stento si rese conto che la moglie se ne stava andando, probabilmente per sempre.
 
***
 
Quando seppe che sua madre aveva fatto i bagagli e aveva lasciato suo padre, Scorpius Malfoy, dal letto dell’infermeria, urlò così tanto da indursi il vomito. E gli incantesimi di guarigione, che per miracolo erano riusciti a tenere insieme i lembi sfilacciati dell’esofago, non poterono far niente e semplicemente si dichiararono sconfitti.
Minerva McGrannitt sospirò afflitta e si dovette costringere a convocare, per l’ennesima volta, i coniugi Malfoy ad Hogwarts: e, come tutte le volte in cui si erano verificati simili avvenimenti, di Draco Malfoy non si intravide nemmeno l’ombra. Sua moglie, invece, arrivò immediatamente, in un delicato completo da Strega color pervinca.
Con un veloce cenno alla Preside, Asteria Greengrass si diresse immediatamente al capezzale del figlio. Non si stupì del sorriso trionfante che scorse sul viso di Scorpius, ma non fece commenti, limitandosi ad evocare uno sgabello per sedersi lì vicino.
«Buongiorno» tossì il ragazzo, a fatica. «Mi fa piacere vedere che hai pensato di constatare da te i danni che hai fatto, mamma».
Ma, spiazzandolo, sua madre rise. «Oh, Scorpius» disse, scuotendo il capo. «Mi dispiace comunicarti che, da adesso, le cose devono cambiare: se mi vorrai ancora, al tuo capezzale, dovrei permettermi di chiedere aiuto ad alcuni Guaritori al San Mungo».
«E pensi davvero che mi piegherò ai tuoi ricatti?» domandò Scorpius, con un sorriso macchiato di sangue. «Che autorità potresti mai vantare, su di me?»
«Sono tua madre» rispose la donna, pacatamente. «E voglio il tuo bene: fidati di me, tesoro. Potrai ancora stare bene, se solo…».
«Fossi diverso da ciò che sono. Non è una novità, che ti vergogni di me» sibilò lui, tagliente. «Ma, almeno, potevi evitare la tua fuga romantica».
«Scorpius» lo riprese sua madre, dolcemente. «Capisco che sei arrabbiato, tesoro, ma… il matrimonio tra me e tuo padre era finito da tempo. Ma non vuol dire che non ti vorremo bene ugualmente».
«Certo» rispose Scorpius, con fare ironico. «Se mai mio padre si dovesse ricordare che sto morendo».
Asteria incassò il colpo, ma non si scompose: chinò il capo, mostrando al figlio che la treccia, in cui aveva raccolto i propri capelli, era scarmigliata e scomposta.
«Io sono qui con te, però» mormorò dolcemente. «Puoi dirmi tutto quello che vuoi, ma non ti lascerei mai da solo».
Probabilmente, Asteria sperava di far breccia nella corazza di suo figlio, di renderlo, solamente per una volta, meno insondabile. Ma lo sguardo che Scorpius le regalò era gelido come ghiaccio, l’unico elemento nel suo viso che potesse vagamente ricordare chi fosse suo padre.
«Tu non mi servi» rispose, freddo. «Cosa hai mai fatto, di utile? Ti sei sposata per ripiego. E nemmeno sei stata capace di tenertelo stretto, tuo marito».
Sicuramente avrebbe voluto continuare ma sua madre, per la prima volta da quando era venuto al mondo, lo guardò con indicibile freddezza, che per un attimo Scorpius si chiese se, quella caratteristica che aveva marcato la sua somiglianza con il padre, non l’avesse invece ereditata dalla madre, al pari dei capelli biondi, o della bocca sottile.
Fece per continuare il proprio discorso, provava un piacere insano anche soltanto pensando di poterla ferire, di poter nominare quel nome che, suo padre, aveva bandito da ogni discussione. Ma, quando fece per pronunciare un’altra frase, sua madre lo sorprese nuovamente.
Perché lei, la piccola, composta e pacata Asteria Greengrass-Malfoy, nonostante gli occhi velati di pianto, gli diede uno schiaffo. Quel rumore secco rimbombò nella testa di Scorpius, frastornandolo, facendogli perdere le parole.
 
***
 
Jem Potter era inquieto, chiunque avrebbe potuto notarlo: s’aggirava per la Sala Comune di Grifondoro come un’anima in pena, un fantasma, cullato dal rumore dei propri stessi passi. O, più probabilmente, dal fluire dei propri pensieri.
Scorpius Malfoy se la stava mangiando viva, Rose, la stava scarnificando, lentamente, scollandola dalle proprie ossa. E lei non riusciva a lasciarlo andare, forse più per pena e abitudine, che per amore, forse perché lui, in quell’attaccamento senza senso e senza scopo, era riuscito a convincerla di quell’idea così folle e contraria all’evidenza. Che lui l’amasse. Ma come poteva, Malfoy, amare, se era una voragine dove i sentimenti e le emozioni si perdevano. Come poteva pensarsi in grado di prendersi cura di una persona, se era egli stesso una ferita in suppurazione, una cancrena, un arto da amputare sperando che non corrompesse l’anima di chi gli stava vicino.
Una volta, sfogandosi con sua madre, che da tempo era diventata la sua confidente preferita, Ginny Potter gli aveva detto che, probabilmente, Scorpius Malfoy era bulimico di sentimenti: ne assorbiva così tanti, fino a sentirsi dolorosamente pieno, ma non ne assimilava nessuno. Sua madre provava quasi pena, per quell’esistenza imperfetta. Guarda la sua famiglia, gli aveva detto una volta, è un covo di infelici.
Lo sapevano tutti, che Draco Malfoy aveva corteggiato spietatamente la moglie, cercando di riabilitare il proprio nome macchiato dalla Guerra, ma che, dopo la nascita di quell’unico figlio, si era già stancato di lei. E, d’altronde, chiunque avrebbe potuto dire ad Asteria Greengrass che Malfoy, in sei mesi o cent’anni, l’avrebbe solamente fatta sentire inadeguata: l’avrebbe sempre paragonata alla grazia algida di sua madre, Narcissa Black, le avrebbe rinfacciato il suo essere imperfetta. Quella macchia per cui aveva deciso di sposarla, in pochi mesi aveva inglobato tutto ciò che di bello aveva visto in Asteria, divenendo la sua unica caratteristica.
Jem aveva domandato a sua madre cosa avrebbe mai potuto fare, la madre di Scorpius, di così grave da esser disprezzata dal marito, ma Ginny non si era mai sbilanciata: Draco Malfoy non ha mai compreso che amare non può essere un crimine, si era lasciata sfuggire una volta. Nessuno di noi ha il diritto di giudicarla.
Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere di più, ma i tasselli che riguardavano Asteria Greengrass nella sua mente si univano, cercando di creare la giusta combinazione: cosa aveva potuto spingere una ragazza di buona famiglia, così disgustosamente Grifondoro, a convolare a nozze con un ex Mangiamorte? E perché quel matrimonio era stato in grado di rendere Scorpius Malfoy un mostro?
Se Rose fosse stata con lui, l’avrebbe rimproverato, dicendogli che Scorpius non era un mostro, era semplicemente indicibilmente malato. E che lei ci stava provando, a farlo tornare in sé, ma era tremendamente difficile.
L’aveva mai avuto, Malfoy, un sé, o era sempre stato quella spaventosa voragine in grado d’inghiottire chiunque si avvicinasse troppo?
Perché Scorpius Malfoy era uno di quei terribili casi in cui la persona diviene un tutt’uno con la propria malattia, in cui non vi è più una netta scissione tra personalità e sintomi, ma diventano la medesima essenza. E, così, la definizione di sua madre era perfetta: Scorpius Malfoy era davvero bulimico di sentimenti, anche quelli che non gli appartenevano. Era un sinistro covo di rancori, di pensieri, che riversava prontamente sulla persona che diceva di amare.
Lei non gliel’aveva mai confessato, ma Jem sapeva perfettamente che Scorpius le vomitava addosso la sua insoddisfazione, con cattiveria, che la manipolava come un burattino privo di fili. E, soprattutto, che Scorpius sapeva perfettamente quanto lui l’amasse, Rose, silenziosamente.
Che lui, James Sirius Potter, che solitamente era una persona chiassosa e appariscente, era capace di amare senza dire una parola, senza farlo notare, accontentandosi di semplice luce riflessa. A Rose, non gliel’aveva mai detto. Che senso avrebbe avuto, poi, confessarle qualcosa che avrebbe potuto squarciare in due la famiglia?
Che senso avrebbe avuto, provare a farla uscire da quel buco nero che era Scorpius Malfoy, salvarla su un cavallo bianco su cui, lei, si rifiutava con decisione di salire. Vieni a patti con il fatto che non puoi salvare tutti, Jem, aveva detto sua madre.
Ma Rose si faceva ogni giorno più magra e nevrotica, perfino sedere a tavola era diventato l’ennesima, inutile, fatica. Come respirare: James se n’era reso conto solamente guardandola, che Rose annaspava, come se l’aria fosse solamente un peso superfluo in grado di opprimerle il torace. E, il più delle volte, anche a lui mancava l’aria, nel momento in cui si rendeva conto che sua madre aveva ragione: salvare Rose sarebbe stato impossibile, finché si fosse pensata innamorata di Scorpius.
Romanticamente, più volte aveva pensato che l’avrebbe aspettata per sempre: che, quando lei fosse rinsavita, lui le avrebbe sorriso dolcemente e le avrebbe detto sono secoli che ti aspetto, sorprendendola. Ma, ogni giorno, poneva una distanza sempre più incolmabile tra lui e Rose, s’accorciava quella corda che, se solamente lei si fosse convinta ad afferrarla, avrebbe potuto permettergli di tirarla via dalla voragine. Un giorno, realizzò Jem con orrore, avrebbe perso la forza necessaria per portarla via di lì.
Un giorno, al pari di Scorpius, Rose sarebbe diventata ella stessa una voragine. E lui avrebbe perso per sempre l’occasione per dirle che l’amava silenziosamente da anni, in maniera dolce e sognante, non nella maniera dolorosa e bulimica di Malfoy.
Lei lo avrebbe mai capito, che solamente James sarebbe stato in grado di salvarla da quel groviglio di sentimenti che provava per Scorpius?
Jem la osservava, Rose, mentre sbocconcellava senza espressione una fetta di pane, quasi come se la crosta del pane potesse essere, con le sue briciole, in grado di soffocarla. Sospirò.
Rose non se ne sarebbe mai resa conto.
 
***
 
Rose aveva trascorso la notte in infermeria, dormicchiando per qualche ora su una sedia, di fianco al letto di Scorpius. Gli aveva tenuto la mano, fragile come una foglia secca, finché non si era addormentato, rannicchiato su sé stesso, a notte fonda.
Mentre era perso nel suo mondo di sogni, Scorpius sembrava solamente innocente e indifeso, e Rose dimenticava, per quegli attimi, tutto ciò che, ogni giorno, le faceva passare. All’inizio, era stato bravo a dissimulare: spesso, lei si era rimproverata per non avere colto i segnali, pensando che, qualora se ne fosse accorta prima, in qualche modo avrebbe potuto aiutarlo, avrebbe potuto impedire tutto quello che stavano passando.
Quando aveva parlato per la prima volta con Scorpius, durante una lezione di Pozioni del terzo anno, sembrava solamente un ragazzo timido e introverso: non avrebbe mai potuto immaginare, Rose, che nell’armadio della mente di Scorpius non vi fosse uno scheletro, ma un vero e proprio cimitero. In pochi mesi, avevano costruito una solida amicizia e lei si era domandata come mai non l’avesse notato prima, nonostante fossero stati smistati entrambi in Corvonero, quel ragazzo che parlava come se temesse il suono delle sue stesse parole.
Ma, già alla fine di quell’anno, Scorpius si era slargato e sformato, trasformandosi in quella voragine che l’aveva inghiottita senza pietà. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli cosa aveva innescato quel cambiamento: se la crisi tra i suoi genitori, sua madre che aveva detto a sua sorella che per lei era come se fosse morta, se le continue prese in giro riguardanti il suo peso. Rose non gliel’aveva mai detto, ma per lei non aveva mai avuto importanza, che Scorpius fosse sovrappeso, almeno finché non aveva capito quanto fosse malsano, il rapporto che aveva con il cibo.
Rose sapeva delle abbuffate notturne. Non se n’era accorta immediatamente, che Scorpius ogni sera compieva un vero e proprio pellegrinaggio verso le cucine, che aveva carte dei dolci di Mielandia nascoste nel baule; se n’era resa conto quando, nonostante mangiasse talmente poco a tavola, aveva constatato che il peso del ragazzo continuasse a lievitare. E, a ogni kilogrammo messo su, Scorpius diventava più irritabile, e stanco, frustrato da quei numeri che rappresentavano un vero e proprio fallimento personale.
Poi, un giorno, qualcosa era cambiato. Rose non avrebbe saputo dire con certezza quale fosse stato, quel secondo punto di rottura, cosa avesse spinto Scorpius ad accovacciarsi sul pavimento del bagno e a scavarsi la gola con le dita. Ma si era chiesta, in una dolorosa ripiegatura della propria mente, cosa lo avesse fatto divenire talmente tanto disperato da volersi estirpare l’anima in una maniera così dolorosa, che patto sacro avesse infranto, con sé stesso, Scorpius, per perdere ogni brandello di controllo. In realtà, si era detta, guardandolo mentre si agitava sotto il malefico influsso di un incubo, il problema non era la perdita di controllo, ma l’averne troppo.
«Non lasciarmi» bofonchiò Scorpius nel sonno, voltandosi verso di lei.
Era incredibile come riuscisse a sembrare tormentato anche in quel momento: il suo viso, così simile a quello di sua madre, era contratto in un’espressione sofferente, quasi come se la ferita si fosse aperta ancora una volta. Quanto sangue avrebbe dovuto perdere, ancora?
Non era la prima volta che Scorpius si faceva del male con le sue stesse mani: una parte di Rose si era sempre domandata come mai, il ragazzo preferisse usare le dita, e non una semplice pozione o delle Pasticche Vomitose. Poi, il giorno in cui aveva visto Scorpius riversare addosso a sua madre tutto il proprio astio, aveva capito: era solamente uno dei modi in cui sperava di ferire suo padre, un modo così Babbano che sperava si fosse impresso, per più di una manciata di secondi, nella mente di Draco Malfoy.
Era ammirevole, la perseveranza con cui Scorpius continuava a farsi male, cercando di trascinare tutti coloro che amava, e odiava, in quel vortice di intricata disperazione che gli era fiorito dentro, come un’edera velenosa. Aveva avvelenato anche lei, in maniera così lenta che Rose se n’era accorta solamente nel momento in cui ogni brandello di razionalità che era sopravvissuto le urlava di allontanarsi e lei, nonostante tutto, aveva perso la forza necessaria per farlo.
S’era avvelenata con la stessa facilità con cui, in pochi mesi, Scorpius era dimagrito: a chiunque lo chiedesse, diceva di stare seguendo una dieta molto rigorosa, ma in molti avevano intuito la verità. Malfoy aveva sempre dei graffi sull’indice e sul medio, che non si rimarginavano mai. Come quel buco che aveva dentro, che s’espandeva e si slargava seguendo il ritmo dei suoi respiri, con la pressione delle dita ad espanderlo lì, tra le costole e lo stomaco. E, alla fine, Scorpius era diventato lui stesso un buco, una voragine immensa che chissà su cosa s’affacciava.
Rose non aveva idea di come fare per uscirne, e nemmeno se volesse farlo: ogni volta che ci pensava, il viso di suo cugino Jem veniva proiettato negli antri bui della sua mente. Le urlava di scappare, che Scorpius l’avrebbe gettata in quel posto oscuro e pericoloso da cui proveniva.
Ma lei, ogni singola volta, sopprimeva quella fantasia.
«Non ti lascio» mormorò a Scorpius addormentato, carezzandogli il capo. «Io non ti lascerò mai».
E allora come mai, dentro di sé, a volte pregava che semplicemente Scorpius potesse lasciarsi scivolare via, per non soffrire più?
 
***
 
La mattina dopo, nel corridoio adiacente alla Sala Grande, Jem Potter la stava aspettando: Rose comprese immediatamente che stava aspettando lei, l’aveva come dipinto in fronte, insieme a una ruga di preoccupazione che gli sfregiava la fronte, al pari della cicatrice di suo padre.
«Rose» la chiamò, come se lei avesse potuto davvero non notarlo. «Possiamo parlarne?».
«Cosa dovrei dirti, Jem?» chiese Rose, atona. «Lo so, che pensi che dovrei semplicemente lasciarlo perdere. Ma io non potrei mai».
James Sirius Potter sospirò: forse era il sole che faticava a sorgere ma, controluce, a Rose sembrò disperato al pari di Scorpius.
«Perché pensi che sia l’unico in grado di amarti» osservò. «E che nessuno ti amerà mai quanto lo fa lui, e non capisci… che se ti distrugge, non ha senso dire che ti ama».
«Tu non sai niente, di noi» sibilò lei, voltandogli le spalle. «Scorpius soffre cose che non posso nemmeno ambire a comprendere. Non puoi giudicarlo per questo».
«Lo giudico eccome» mormorò Jem, chinando il capo. «Perché fa male a una persona che amo».
Rose spalancò gli occhi, disorientata, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma semplicemente non le vennero le parole. Una parte di lei, invasiva e importante, continuava a ripeterle che, allora, tutte le accuse di Scorpius su di lei e il cugino erano tremendamente e spaventosamente sensate, che era lei, quella ad avere torto ogni volta che aveva negato che tra di loro vi fosse un coinvolgimento di quel tipo.
«No» riuscì a tossire, guardando James con aria sconvolta. «Tu non…».
«Io sono innamorato di te, praticamente da sempre» confermò invece lui, scrollando le spalle. «E capisco tutte le obiezioni che potresti muovermi, ma non cambia la realtà: io sono innamorato di te. E non posso sopportare che tu crolli sotto il peso dei problemi di Malfoy».
«James» sussurrò lei, come se il pronunciare il suo nome fosse in grado di drenarle via ogni forza. «Non possiamo».
«Lui non può amarti per davvero, non riesce nemmeno ad amare sé stesso» rispose Jem, sfiorandole la mano con la propria. «Io… io posso farlo, Rose. Amarti come meriti, come vorresti che facesse lui».
Lei lo guardò, boccheggiando come se le mancasse l’aria, mentre invece era letteralmente la prima volta in cui respirava con facilità e non come se il fluire dell’ossigeno nei polmoni non fosse solo un altro peso superfluo.
Forse, avrebbe potuto dire qualcosa, urlare, dire che stava sbagliando a giudicare Scorpius, piangere, andare via. Ma era come cristallizzata in quella porzione di corridoio, incapace di muoversi, riuscendo solamente a constatare che suo cugino le si era sensibilmente avvicinato, così tanto che i loro corpi si sfioravano.
«Potrei aiutarti a uscirne» mormorò lui, dolcemente. «Se solamente mi permettessi di tentare».
«Sei mio cugino, Jem» rispose lei. James notò con sgomento che le tremavano le mani. «Scorpius dice che è…».
«Disgustoso e innaturale» completò Jem, con un sorriso forzato. «Che sono le stesse parole che userei io per descrivere il suo comportamento».
«Se lo lasciassi, lui…» sussurrò Rose, la voce incrinata dalle lacrime. «Jem, non potrei mai sopportare che lui morisse per colpa mia».
«Scorpius ha bisogno di aiuto, Rose» convenne lui, serio. «Ma non è un aiuto che puoi dargli tu».
Lei ormai piangeva apertamente, senza vergogna, ed era tutta un tremito che la faceva apparire come un’invasata.
«Non so cosa fare, Jem» pronunciò il suo nome una svergognata richiesta di aiuto. «Non posso pensare che, per colpa mia, potrebbe stare peggio».
«Devi allontanarti da lui» rispose James, carezzandole il capo. «O ti porterà in quel posto da dove proviene e io… come farei a portarti via da lì?».
Rose lo guardò, annegata in un lago di lacrime dolciastre, aggrappandosi alle sue spalle per non cadere giù, risucchiata dal pavimento. «Puoi davvero portarmi via di qui?» domandò. «Potrei davvero, semplicemente, lasciarlo andare via?».
Jem Potter non fece nemmeno in tempo a rispondere affermativamente, che la ragazza gli sfiorò le labbra con le proprie. Poi accorgendosi di cosa aveva fatto, Rose Weasley spalancò gli occhi, orripilata, e corse via.
Una parte di James, che aveva la voce di sua madre, gli disse che probabilmente, ancora prima di averla con sé, l’aveva già persa per sempre.
 
***
 
 Asteria Greengrass era tornata solamente un’altra volta, al capezzale del figlio: o, per essere più precisi, era tornata ad Hogwarts e si era fossilizzata per più di un’ora dietro alla porta dell’infermeria, senza riuscire ad entrare. Se l’avesse fatto, temeva, avrebbe solamente legittimato suo figlio a detestarla una volta in più, a disprezzarla per quelle soluzioni che non era stata in grado di trovare, per non aver mai costretto Draco Malfoy ad essere quel padre che Scorpius, fin da quando era un infante, aveva sognato. Non ci era mai riuscito, suo figlio, a scindere il padre che viveva negli antri bui del suo cervello da Draco Malfoy, caricandolo di aspettative e sogni infranti. E, le delusioni che lui gli causava erano tutte perdonate e prontamente appiccicate su sua madre, al pari di un ingombrante portaspilli.
«Signora Malfoy?».
Il pigolio di Rose Weasley la scosse dai suoi pensieri: la ragazza aveva i capelli scarmigliati, di un rosso indicibile, e gli occhi gonfi di pianto. Vederla faceva contrarre dolorosamente il cuore, come se non fosse abbastanza forte per tollerare quell’immagine e, insieme alla mente, volesse semplicemente spingerla via come un rifiuto nella corrente marina.
«Buongiorno, Rose» la salutò Asteria, garbatamente. «Ma temo di non essere più la signora Malfoy. Dimmi, stavi andando a trovare Scorpius?».
Rose chinò il capo, con aria colpevole, e prese a giocherellare con il lembo del maglione che indossava, l’ennesimo regalo di nonna Molly.
«In realtà, no» ammise la ragazza. «Io… stavo solo cercando delle parole».
Asteria Greengrass alzò un sopracciglio color sabbia, perplessa. «Per dirgli cosa?» domandò, cauta. «Magari posso aiutarti».
Sicuramente, la madre di Scorpius non s’aspettava di vederla sciogliersi in un fiume di lacrime. Eppure, Asteria, che era stata descritta dal figlio come fredda e indifferente, si sporse per abbracciare Rose, carezzandole il capo.
«Vuoi lasciarlo andare, non è vero?» domandò, con una vena di comprensione che non riuscì a soffocare. «Lo capisco. Scorpius è…».
Esplosivo. Avrebbe voluto dirle. Rischia continuamente di ferire chiunque gli stia attorno, in una pioggia di vetri rotti e calcinacci.
«Ho baciato un altro» tossì Rose, strofinandosi gli occhi. «Io… mi sento così impotente, e ho fatto una cosa talmente sbagliata…».
Asteria Greengrass le sorrise, luminosa come una perla, con una comprensione che la disorientò. «Lascialo andare» disse, semplicemente. «Se gli permetterai di trascinarti, diventerai come lui».
«Ma come può dirmi una cosa del genere?» domandò Rose, piano. «Come può dirmi che va bene lasciarlo andare?».
«Perché Scorpius non è in grado di rendere felice nessuno, nemmeno sé stesso» rispose la donna, quietamente. «Lo sa. E non vuole fare niente per farsi aiutare, vuole solo… coinvolgere più persone possibili nella sua caduta».
Asteria sospirò, ricacciando dietro l’orecchio una ciocca di capelli che sfuggiva dal suo chignon. «Ho provato a convincerlo a passare un periodo di tempo al San Mungo» continuò. «Ma non vuole. E non vorrà mai, penso che voglia fare, farsi, il peggior male possibile mentre si schianta contro il suolo».
«E lei vuole permetterglielo?» domandò Rose, sgomentata. «Non vuole nemmeno tentare di risollevarlo?».
«Certo che voglio» rispose Asteria, ma non sembrava convinta. «E sarà lunga, difficile, ma ti giuro che proverò a far tornare Scorpius indietro. Ma non posso riuscirci, se tu rimarrai con lui: Scorpius si nutre, della sofferenza che ti causa».
«E lei come fa a esserne così sicura?» sibilò la ragazza, assottigliando lo sguardo. «Lei… come può sapere qualcosa di noi?».
«Perché conosco suo padre» commentò la madre di Scorpius, scrollando le spalle. «E, poi, tu non ami Scorpius. Tu per lui provi pena, che è diverso».
Rose fece per risponderle, per dirle che non era vero, che lei amava Scorpius di un amore da fiaba, con una sola, sconfinata, ombra. Un mostro senza nome e senza volto che prendeva possesso di lui, che lo costringeva a odiarsi, a voler sentire del vuoto in ogni suo pieno. Che l’aveva trasformato in una voragine buia e oscura, dove nemmeno un Lumus poteva rischiararne le tenebre.
Ma non le vennero le parole. Non riuscì a difendere Scorpius, a dire che, da qualche parte in quel groviglio sconclusionato di emozioni esasperate, lui l’amava. Non riuscì a dire che baciare Jem non era stato tradimento, bensì un errore, che aveva peccato di ingenuità e si era lasciata rassicurare dalle parole sbagliate.
E, sul finire, non riuscì nemmeno a smettere di piangere.
«Mi dispiace» singhiozzò. «Io non voglio che stia male perché io e Jem… non voglio essere la causa per…».
Asteria le sorrise, con fare materno. «Lascialo andare» disse, dolcemente. «In qualche modo riuscirò a ricostruire mio figlio e allora, se mai dovessi volerlo, tornerai da lui, se smetterai mai di amare Jem».
«Lui…» bisbigliò Rose, domandandosi perché Asteria Malfoy si comportasse come una sua amica, o una zia, con quella dolcezza disorientante. «È mio cugino».
La madre di Scorpius la guardò, senza riuscire a soffocare quella malinconia che le velava gli occhi azzurri. «È terribile, quando amiamo qualcuno che non possiamo tenere con noi» commentò. «Fa spezzare il cuore».
Rose la guardò, perplessa, mentre Asteria elegantemente si asciugava quella singola lacrima che le aveva sbavato il trucco. La donna sorrise, ma sembrava più un’incrinatura sul suo viso ancora giovane, ancora bello.
«Non puoi tenere con te qualcuno che non può rimanere» disse, come fosse una spiegazione. «O che non vuole. A volte devi semplicemente… lasciare andare».
Un’incrinatura che aveva un nome e un cognome, quel che la guerra le aveva tolto, i cocci che Draco Malfoy aveva ripetutamente calpestato.
«Adesso devo andare, cara» disse Asteria Greengrass, riassettandosi la giacca color pervinca. «Dì a Scorpius che passerò a trovarlo domani mattina».
«Chi era?» domandò Rose, impulsivamente.
Quelle poche lettere scavarono una ruga, l’ennesima incrinatura, sul viso della madre di Scorpius che, per un attimo, vide intaccarsi quell’aurea di perfezione che aveva costruito, negli anni del suo matrimonio con Draco Malfoy.
«Qualcuno che non posso far tornare indietro, anche se lo vorrei con tutte le mie forze» sussurrò Asteria, con il rimpianto che le lordava la voce. «Saremmo state parenti, in un’altra vita».
Se soltanto l’avessimo davvero, un’altra vita, pensò.
Rose, in un lampo di comprensione, spalancò gli occhi, sorpresa, ma Asteria Greengrass si limitò a farle un cenno con il capo, prima di affrettarsi fuori dal castello. Il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento ricordava le lancette di un orologio che aveva troppa fretta.
«Rose!».
La voce di Jem Potter precedette i suoi passi ma, quando la raggiunse, Rose stava guardando il pavimento come se potesse darle delle risposte.
«Fred» mormorò, infine, quando il ragazzo la raggiunse.
«No, sono sempre io» sbuffò James, scompigliandosi i capelli. «Ma se hai bisogno di Freddie, posso andare a cercarlo».
«No» mormorò Rose, stupefatta. «Lei… intendeva zio Fred».
Jem la guardò come se temesse per la sua salute mentale e le sfiorò, incerto un braccio con la punta delle dita. Sorprendentemente, lei non si ritrasse.
«Per questo non poteva tenerlo con sé» continuò. «Non… non era perché lui non voleva, lei… Merlino, Jem, non posso crederci».
Parve accorgersi solamente in quel momento che James era lì, con lei, che la guardava con un misto di divertimento e preoccupazione. Lei sorrise, dolcemente, e pronunciò parole che, di dolce, non avevano niente.
«Devo parlare con Scorpius» disse. «Io… penso di doverlo lasciare andare, Jem».
Lui ricambiò il sorriso.
Ma era solamente l’ennesima incrinatura.
 
***
 
Scorpius Malfoy era ritornato nel proprio dormitorio, silenzioso e con la gola che ancora gli prudeva per gli incantesimi di guarigione. Rose l’aveva trovato seduto sul proprio letto, con aria indifferente, mentre sfogliava un libro con aria annoiata: se non l’avesse conosciuto in ogni sua ripiegatura, probabilmente, Scorpius sarebbe riuscito ad ingannarla. Ma lei lo sapeva così bene, come funzionava la sua mente che, nel momento in cui la vide guardarla come se s’aspettasse di vederla lì, nel dormitorio maschile, l’unica cosa che Rose notò fu che aveva una macchia di cioccolato sul palmo della mano.
Non si sorprese minimamente: una parte di sé, più razionale delle altre, le aveva urlato per diverso tempo che le persone non sempre sono disposte a cambiare. E, Scorpius Malfoy, che da sempre rifiutava con orgoglio ogni qualsivoglia tipo di aiuto gli venisse offerto, non era di certo diverso.
Distrattamente, Rose si disse che, per essere così calmo, probabilmente si era già cavato via dallo stomaco buona parte della sua abbuffata: quando qualcuno provava a impedirgli di ferirsi ulteriormente, Scorpius diveniva inquieto, paranoico, con un tremolio che gli scuoteva ogni nervo. Era un’esigenza, la sua, una voce che gli urlava fallo, qualunque cosa pur di eliminare quel misto tra disagio e senso di colpa che gli ribolliva tra le viscere.
«Scorpius» mormorò Rose e, per la prima volta da quando si conoscevano, la sua voce tradiva un’improvvisa esasperazione. «Sei a malapena tornato dall’Infermeria».
Lui la guardò, senza parole, quasi come se non si aspettasse quel velato rimprovero. «E quindi?» domandò, secco. «Cosa puoi capirne, tu?».
A quel punto, Rose fece una cosa che, nel medesimo istante, ebbe l’effetto di ingarbugliargli ancora un po’ tutte le emozioni che confusamente popolavano il suo stomaco. E di togliergli le parole, e le speranze.
Perché Rose Weasley, che aveva ereditato qualcosa dell’antica fiamma dei Weasley di Grifondoro, non aveva mai pianto davanti a lui: aveva sbuffato, si era arrabbiata, era perfino scolorita pur di non fargli vedere quanto lui fosse in grado di ferirla dall’interno. Fino a quel momento.
«Ora basta» disse la ragazza, semplicemente. «Io non ce la faccio più, a vederti così, io non… non posso essere la tua infermiera, Scorpius. Hai bisogno di aiuto».
«Bella scusa, che hai trovato, per lasciarmi» commentò il ragazzo, atono. «Ma credo di conoscerlo, di vista o poco più, il vero motivo».
«Ho sbagliato» ammise Rose, con la voce incrinata. «Ma io… da quando sei diventato così, io non riesco più a…».
«Ad amarmi?» sibilò Scorpius. «Alla fine, Jem Potter è davvero riuscito a convincerti, temo».
«Non mi ha convinta» mormorò lei, chinando il capo. Un impalpabile rossore le tingeva le guance. «È solo… che sono stata così occupata nel cercare di aiutarti che, alla fine, non ero più innamorata di te, perché hai smesso di esserci».
Perché Scorpius Malfoy era stato divorato dalla sua malattia, e non c’era espediente, dita o pozioni, che potesse farlo riemergere da lì. Probabilmente, sul fondo della voragine in cui era sprofondato, il vero Scorpius, quello di cui lei s’era innamorata in un battito di ciglia, nemmeno riusciva a udire le sue parole.
«Tu mi stai lasciando perché sono malato» la accusò, pieno di rancore. «Non perché sei innamorata di lui, quelle sono tutte cose di cui cerchi di convincerti per giustificarti. Sei ridicola».
«Io lo amo per davvero» mormorò Rose, asciugandosi il viso ancora umido di lacrime. «Non… ho sempre pensato a soffocare tutto questo, ma adesso…».
Era stato come tornare a respirare, pensò. Tutti i problemi che avrebbe comportato il suo permettersi di amare Jem erano comunque infinitamente più piccoli, quasi sorvolabili, rispetto alle quotidiane guerre con Scorpius: non era niente, il pensiero di dover ammettere davanti ai suoi genitori, ai suoi zii, che un giorno si era scoperta, si era riscoperta, innamorata di lui. Non era niente abituarsi all’idea così folle e sconsiderata che potevano davvero vivere una vita insieme, lei e suo cugino.
«Potevi farti sbattere una o due volte, ti avrei perdonata comunque» commentò Scorpius, con cattiveria. «Perché io, a differenza tua, ti amo per davvero. Sei tu che vedi in me solamente qualcuno di orribilmente malato e…».
«Puoi cercare di pensare a qualcosa che non sia te stesso o i tuoi problemi?» urlò Rose, il viso arrossato. «Ti sei limitato a darmi addosso, senza nemmeno chiedermi uno straccio di spiegazione».
«Perché so perfettamente perché lo hai fatto» rispose Scorpius, freddamente. «Non sopporti che io sia diverso da come mi avevi immaginato. Non sopporti che io sia orribile, grasso e…».
«Io non ti trovo orribile e grasso» lo interruppe lei. Aveva gli occhi ricolmi di lacrime. «Ma non ci stai nemmeno provando, a uscirne».
«Non puoi saperlo» sibilò Scorpius, chinando il capo. «Tu non sai niente, di me. Sai solamente ferire le persone che ti amano».
Rose lo guardò, costernata, facendosi violenza per non dirgli che, l’accusa che le muoveva, era costituita dallo stesso pensiero che l’aveva spinta a ferirlo di rimando. Poteva averlo spezzato in due metà diseguali, ma solamente perché, ben prima che lei potesse farlo, Scorpius Malfoy l’aveva frantumata in un migliaio di frammenti infinitesimali.
Puoi perdonare una persona che si fa del male con il solo scopo di ferirti in maniera più profonda di quanto tu non abbia mai fatto?
Rose non avrebbe potuto dare una risposta certa a quella domanda: ma il viso pallido ed emaciato di Scorpius, le occhiaie violacee che sembravano lividi, le nocche spaccate, tutto in lui le ricordava che, in qualunque modo possibile, lui l’avrebbe ferita sempre.
E lei sarebbe rimasta al suo fianco, più per pietà che per amore, senza riuscire a lasciarlo andare: se lo avesse fatto, Scorpius si sarebbe lasciato annegare in un mare di lacrime senza sale. Ma adesso, pensò con orrore, aveva sperimentato cosa volesse dire tornare a respirare: Jem era una boccata d’aria pura, quando Scorpius era una cappa d’aria pesante e stantia in cui lasciarsi annegare.
«Io lo amo davvero» mormorò, stanca. «Non avrei mai voluto farti niente del genere».
«Cambia qualcosa?» domandò lui, con freddezza. «Mi hai tradito con una persona che detesto, Rose, e vorresti addirittura la mia comprensione, magari anche il mio dispiacere?».
La ragazza chinò il capo, per non fargli vedere quelle lacrime che iniziavano a bruciarle le ciglia. Ma Scorpius se ne accorse comunque, la conosceva troppo bene per lasciarsi sfuggire un dettaglio così fondamentale come il fatto che, ancora una volta, fosse riuscito a portarla fino al pianto.
«Non sei poi così diversa da lei» concluse, tornando a sfogliare il libro che aveva in grembo.
Rose non disse niente, ma sapeva perfettamente che Scorpius si stava riferendo a sua madre.
 
***
 
Il giorno dopo, Scorpius Malfoy sparì da Hogwarts: non che ci fosse veramente qualcuno intenzionato a esplorare ogni corridoio buio, ogni angolo, per trovarlo. Qualche Serpeverde mise in giro la voce che, probabilmente, l’erede di Malfoy si era finalmente squarciato a metà scavandosi con le proprie stesse dita. Ma, la versione più apprezzata della storia di come Scorpius fosse scomparso dalla circolazione, la fornì una ragazzina del primo anno, una Tassorosso romantica e sognatrice che, vedendo Rose Weasley sedere accanto ai suoi cugini, senza che nessuna espressione le animasse il volto, pronunciò parole granitiche.
A Scorpius Malfoy hanno semplicemente spezzato il cuore. E lo sapevano tutti, in fondo, che Jem Potter aveva riscattato la ragazza che amava da una vita da un’esistenza sciapa e imperfetta, fatta di ferite che nessuno, fino a quel momento, si era mai sognato di provare a ricucire.
Ma lei, Rose Weasley, era colei che aveva fatto sparire nel nulla Scorpius Malfoy: qualcuno affermava che doveva essere morto, altri che il padre lo aveva spedito a Durmstrang sperando di forgiargli il carattere. Lei non rispondeva mai, a quelle insinuazioni, trincerandosi in un silenzio che minacciava di spaccarle i timpani, tant’era assordante.
Poi, un giorno di sei mesi dopo, Asteria Greengrass accorse ad Hogwarts, per l’ultima volta quell’anno percorse i corridoi del castello, che ticchettavano sotto le scarpe con il tacco basso. Nessuno si fece domande sul motivo della sua visita: il baule di Scorpius Malfoy era rimasto ai piedi del suo letto, testimone delle chiacchiere dei suoi compagni. Ma, quando la madre di Malfoy entrò nel dormitorio di Corvonero, si diresse tra le camere femminili. O, più precisamente, in quella di Rose Weasley.
«Ciao» la donna si accomodò sulla sponda del letto, accavallando le gambe. «Spero tu possa perdonare questa mia piccola intrusione».
«Signora Malfoy» balbettò Rose, sorpresa. «Io… cosa… cosa ci fa qui?».
«Passavo a prendere il baule di Scorpius» spiegò Asteria, scrollando le spalle. «E ho colto l’occasione per venire a fare una chiacchierata. Ho parlato con tua madre, ieri, al Ministero, e mi ha detto che non te la passi molto bene, qui».
«Al Ministero?» domandò la ragazza, perplessa. «Cosa ha fatto…?».
L’ex signora Malfoy rise, in un delicato scampanellio. «Oh, no, non era per Scorpius, lui sta bene» lo disse con una felicità tale che anche Rose si ritrovò a sorridere. «Io lavoro lì, adesso. Sono solamente una segretaria, ma almeno riesco a pagare le cure di Scorpius senza dover chiedere a Draco».
«Oh» mormorò Rose, con sollievo. «Sono contenta che Scorpius stia meglio».
Asteria Greengrass annuì, giocherellando con l’orlo della gonna. «Non so bene cosa sia successo» ammise. «Ma, qualche giorno dopo che ha scoperto di te e James, mi ha scritto una lettera».
Pronunciò il nome di Jem come se quelle poche lettere potessero ustionarle, se le rigirò in bocca come se soffiandoci sopra potesse essere in grado di raffreddarle.
«Era delirante» ammise la donna, a disagio. «Ma solamente una cosa era inequivocabile: Scorpius ha scelto di passare un periodo al San Mungo. E, sai, si sta impegnando per davvero, a guarire».
Rose si trovò incapace di dire niente: rimase a fissare la madre di Scorpius, in un silenzio stupito, facendola sorridere.
«Mi ha detto di dirti che vi rivedrete, un giorno, e ti farà cambiare idea» disse Asteria. «Che si farà vivo quando smetterà di essere una voragine, ha detto così, testuali parole».
«Quindi tornerà?» domandò Rose, con la voce che tremava. «Io, davvero, non posso…».
«Ha detto che proverà a farti dimenticare tutto questo» continuò l’ex signora Malfoy. «Che cercherà di farti ricordare com’era prima di tutto questo».
Rose pensò a Jem, a com’era tornata a respirare, al dolore che aveva provato quando finalmente era riuscita a staccarsi da Scorpius. E si sciolse in un fiume di lacrime.

 
Lo so. Ho scritto il finale più aperto nella storia dei finali aperti, ma c'è una motivazione: quando mi sono resa conto che questa OS stava divenendo decisamente invadente, mi sono trovata a compiere una scelta: finirla o trasformarla in una long. Ma, attualmente, non ho il tempo materiale per organizzare una long che superi i 4/5 capitoli (ma ci sto lavorando), e nemmeno volevo dare una conclusione "netta" a questa vicenda. Così ho optato per un finale che mi permetterà, in un futuro molto prossimo, di riprendere questi personaggi e dare un seguito (e due prequel, woops) a questa storia.
Per il resto, vi lascio alcune note che avevo scritto dopo aver terminato la storia:

Questa storia è terribile: scriverla mi ha spinta a toccare con mano alcune tematiche che ho sempre cercato di evitare. In ogni modo, quando mi sono iscritta al contest, mesi fa, questa trama si è pian piano scavata il proprio posto nella mia mente, così ho deciso di metterla per iscritto.
È una storia di un intreccio di tradimenti: quello di Draco con Daphne, che segna l’inizio del tracollo di Scorpius, quello di Asteria (che mentalmente non è mai stata libera di sposare Draco) e, infine, quello che nella prima parte della storia Scorpius teme e che, nella seconda parte, dà il via a una serie di tremende conseguenze per i protagonisti.
Un’ulteriore spiegazione necessaria è il titolo: unsalted, senza sale, è un riferimento all’esistenza senza tono e sciapa che ha vissuto Rose, da quando è diventata la crocerossina di Scorpius, ed anche un velato riferimento al fatto che Scorpius, nelle sue abbuffate, mangi così tanto da non sentire il sapore di ciò che mangia.

Come al solito, grazie a chiunque sia arrivato fin qui.
Gaia
   
 
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