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Autore: GiusyWriter    25/07/2020    1 recensioni
Un tempo lontano...
Una terribile guerra che logora due antichi alleati nella terra di Whad...
Due sorelle in lotta per salvare e tutelare il loro regno insidiato da un nemico indomabile, potente ed oscuro...
Un torto antico che ha risvegliato una tremenda sete di sangue e di vendetta difficile da placare...
Bene e male si fondono in un'unica entità...
Riuscirà la guerriera dal fiore rosso a vincere anche questa battaglia e a portare alla luce una verità sepolta sotto un manto di segreti ed inganni?
Questa è la prima storia che pubblico.
Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni nelle recensioni.
Vi ringrazio e vi auguro una buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOVE La pioggia battente sferzava le cime degli abeti argentati di Arquart, piegati dal gelido vento burrascoso del nord, che gli abitanti di Fhen chiamavano “Imjo”, che nell’antico dialetto settentrionale aveva il significato di “battagliero”. Il cielo notturno era illuminato dai cupi e sinistri bagliori dei lampi, la cui elettricità si diffondeva a tratti nell’aria. Nella zona delle gelide sorgenti regnava una strana quiete, in stridente contrasto con il putiferio che spadroneggiava al di fuori dei confini della foresta nera. I Dewuh si riparavano dalla tempesta in alcune grotte naturali che si biforcavano in cunicoli sotterranei, di cui in passato si erano serviti anche per le loro incursioni notturne in territorio nemico. Quella notte i vampiri se ne stavano in gruppo, fuori dai loro ripari, accanto a due grossi abeti che solitamente usavano come avamposti di osservazione per la loro vista infallibile. La tempesta non li spaventava né preoccupava. La natura aveva smesso da tempo di incutere loro soggezione o, peggio, terrore. Edwig e Thrain se ne stavano in disparte, distaccati dagli altri loro simili, proprio a ridosso delle sorgenti. I loro cappucci neri erano lucidi di pioggia. Edwig era voltato di spalle e si crogiolava nell’assurdo e infinitesimale piacere derivante dal fatto di osservare la superficie dell’acqua incresparsi a causa del vento. Thrain, silenzioso e cupo come al solito, abbassava ogni tanto il proprio cappuccio, lasciando che la furia dell’acqua scivolasse inerme e senza difese sul suo corpo statuario. Gli occhi degli altri Dewuh erano puntati su Edwig. Lui lo sapeva. Lo sapeva molto bene. Poteva percepire la puntigliosità di quello sguardo, sebbene fosse di spalle. Edwig sapeva che il suo popolo gli stava silenziosamente chiedendo delle risposte. Risposte in merito alla scelta che aveva compiuto. Risposte in merito a tutta quell’attesa. Edwig poteva sentire tutte le loro domande martellanti in quel silenzio tombale. Edwig sapeva che molto presto avrebbe dovuto concedere risposte a tutti quegli interrogativi. Sentiva tutto il loro peso, proprio come se quei dubbi e quelle frasi disattese si stessero posando pian piano sulla sua pelle di porcellana. Da ben cinque giorni. Da quando avevano fatto ritorno da Fhen distrutta. Fhen in fiamme. Fhen devastata e corrotta dal tradimento, dalla morte, dalla strage. Il fragore di un tuono echeggiò a lungo nell’aria. Pur nel frastuono, Edwig percepì chiaramente i passi di qualcuno che si stava avvicinando a lui e a Thrain. Non ebbe bisogno di voltarsi per scoprire che si trattava di Delah. La vampira, aggraziata e leggiadra, si accostò a Thrain. La sua mano indugiò sul volto del compagno, concedendogli una lieve carezza. Poi Edwig sentì lo sguardo di lei trapassargli quasi la schiena. Non si voltò neppure questa volta. «Hastùf quwei kiliafstor? (Ci sono cambiamenti?)» si limitò a chiederle. «Koràh. I miei edden uien lost (Sì. Credo che stia arrivando il momento)» rispose lei. «Come è potuto accadere? Sembrava fosse stato tutto inutile nei giorni scorsi» commentò Thrain, accostandosi a Delah e prendendole una mano. «A volte succede, Thrain. È capitato a molti di noi. Nessuno reagisce allo stesso modo, dovresti saperlo» disse lei in tono suadente. «Oh okalnos fertir nosteton (Non hai visto le sue ferite)» replicò lui. «All’inizio ha rifiutato la vita. Adesso, forse, ha imparato ad accettarla» disse lei. «Oy evelnos uhst katuriòh! (Perché qualcuno gliel’ha permesso!)» sbottò Thrain all’improvviso. A quelle parole gli altri Dewuh si voltarono all’unisono verso di loro. Edwig sospirò. Si voltò lentamente verso l’altro vampiro. La pioggia stava calando d’intensità. «Credevo fosse quello che volevi. Credevo che tutti lo volessero» disse in tono secco. «Non così, Edwig. Lo sai. Non a questo prezzo» rispose Thrain duramente. «E cosa avrei dovuto fare, sentiamo…» lo schernì leggermente l’altro. «Per esempio lasciare che le cose seguissero il loro corso. Lasciare che gli umani si facessero a pezzi da soli tra di loro e poi agire» rispose il Dewuh, irrigidendosi. «Fino a quando Meredith Anxel è riuscita a reggere il peso dell’ingerenza occidentale, Hannar non ha mai rappresentato un grosso problema per noi. In fondo si trattava solo di altri esseri umani, ugualmente fastidiosi e nocivi, immeritevoli di qualsiasi senso di pietà, al pari di tutti gli altri. Tuttavia ora le cose sono cambiate. La regina è stata giustiziata. Il principe ereditario avrà subito lo stesso trattamento che è stato riservato a sua madre e, se non è già morto, lo sarà ben presto. Tutti gli antichi sostenitori della regina sono morti o sono stati rinchiusi nelle prigioni di Fhen, che io conosco molto bene, Thrain, non te lo dimenticare. Non era una situazione ottimale per noi. Non era vantaggiosa. Nemmeno lontanamente» parlò Edwig con veemenza. «Invece sì! Avremmo potuto sfruttare la situazione di debolezza e il vuoto politico lasciati dalla morte della regina! Avremmo potuto attaccare battaglia e vincere!» gridò Thrain. «Non avremmo vinto, Thrain». «Questo non puoi saperlo! Il nuovo re non è amato, non ha seguito e non ha un esercito a lui fedele. Non lo aveva nemmeno prima che si scoprisse il suo tradimento». «Nazick Edherson ha stretto un patto di alleanza con Hannar. Ha gli eserciti occidentali a sua disposizione, con i loro equipaggiamenti e la loro perizia tecnica. Gli basteranno quelli. A noi serviva un altro tipo di arma. E l’abbiamo trovata». «Bahlài nos ter! Wertertoren ahs malàk! (Si ribellerà a te! Non riuscirai a controllarla!)» «Nost ferdir umrodden el. Nost faàst ehilà umrodden (Non ho bisogno di controllarla. Non voglio che si controlli)» disse Edwig con una strana luce negli occhi. «Non provare ad incantarmi, Edwig. La verità è che tu hai avuto pietà. Quella donna ha lanciato su di te uno strano incantesimo, sin da quando l’abbiamo conosciuta» sbottò ancora Thrain. A quelle parole Delah e gli altri Dewuh cercarono apprensivamente gli occhi di Edwig, in cerca di quella furia che sarebbe di certo arrivata. Edwig inchiodò Thrain con lo sguardo. Lasciò l’energia dei suoi muscoli fluire liberamente, ma si dominò senza difficoltà, reprimendo la collera per le parole dell’amico. «La tua rabbia sarà la tua rovina, Thrain» gli disse in tono pacato ma incisivo. Gli occhi di Delah indugiarono sul volto di Edwig. Lui ricambiò lo sguardo. Sorrise lievemente, poi si avviò verso una delle grotte, oltrepassando Thrain. L’altro abbassò il suo cappuccio. La pioggia scorreva sui loro volti. «La tua rovina, invece, sarà lei» mormorò allusivamente ma quasi stancamente. A quelle parole Edwig si fermò, senza voltarsi. Un lieve sorriso increspò le sue labbra perfette. «Vedremo» sibilò minacciosamente, prima di proseguire per la sua strada. Per tutto il tempo gli occhi di Delah lo seguirono. Il cuore di Eileen batteva freneticamente. La guerriera di Fhen allungò una mano nell’oscurità, tentando ripetutamente e disperatamente di afferrare qualcosa, ma trovandosi di fatto sempre a stringere buio. Buio aveva tra le dita. Buio imperlava il suo corpo. Buio la circondava. Non aveva percezione d’altro, se non del dolore. Non esisteva tempo, non esisteva spazio in quella specie di limbo dove si trovava o dove presumeva di trovarsi. Non c’erano uno sprazzo di luce o macchie di colore o punti di fuga o crepe che potessero rivelarle la presenza dello scorrere del tempo o del cambiamento del luogo dove si trovava o dove presumeva di trovarsi. Non c’erano sensazioni di alcun tipo. Non c’erano odori. Non c’erano sapori. Non c’erano sorrisi. Non c’erano lacrime. Una infinitesimale parte della sua coscienza, ancora vigile seppure a livelli minimi, si trovava inquieta a domandarsi il motivo per cui il proprio corpo non riuscisse a muoversi, ma sembrasse così legato, così impacciato, così avvinto da quel dolore… in quella macchia oscura e tenebrosa che la schiacciava e la opprimeva senza darle modo nemmeno di abituarsi alla sua presenza. L’unica costante di quella condizione assurda, alla quale non c’erano risposte, era il dolore. Il dolore la investiva in pieno, ad ondate. Ondate di gelo che la facevano rabbrividire, rivestite, però, di una patina incandescente che la torturava con il suo caldo rovente. La mente di Eileen turbinava, ribellandosi a quella condizione di ignoranza. Perché si trovava lì? Avrebbe dovuto essere morta, invece che essere lì? Non lo rammentava con esattezza. Tutto era offuscato. Una piccolissima parte del suo cervello le urlava che poteva essere vero… che doveva essere vero… Paradossalmente, pur nell’oscurità in cui si trovava, la guerriera ricordava con folle precisione millimetrica gli ultimi istanti di sangue della sua vita, prima che chiudesse gli occhi e quel velo impenetrabile le scivolasse addosso, impedendole così ogni movimento. Perché era lì? Perché era prigioniera di quell’oscurità? Da quanto tempo si trovava in quella condizione di obnubilamento? Poi, all’improvviso, il dolore cambiò e cominciò a pungolarla, con una cascata di visioni che le agghiacciavano il sangue nelle vene e la riempivano di terrore. Lampi di visione. Caotici ma netti. Lampi di immagini, urla, sangue e… morte. La testa di Meredith che ruzzolava nella cesta sotto il patibolo… quello era terrore allo stato puro. Era come sfregiarsi le vene di un polso con una lamina di vetro. Il ricordo della morte di Meredith aveva quello stesso tipo di dolore. Suscitava quello stesso tipo di sofferenza. Le urla di Feridyr. La punta del suo calzare sulla botola che avrebbe dovuto portarli alla salvezza. I sui piedi sgambettanti nel vuoto, tirati indietro da una violenza misteriosa… Il volto di Nazick. Le frecce scoccate sulla fragile pelle di Eileen. La spada affondata fino all’elsa nel suo ventre… Una scarica di dolore acuto la rintronò, facendole scricchiolare le ossa fino alle giunture. Dove erano finiti tutti? Meredith… Feridyr… Jean… Jean. Il punto fisso della sua vita. Dove era finito? Era morto anche lui? Caduto. Caduto a terra. Riverso sulla sua schiena, con lacrime di morte su un volto pallido di morte… Una lingua di fuoco improvvisa venne a tormentare il cuore di Eileen, aumentando d’intensità i battiti del suo cuore, che crebbero freneticamente. I pensieri si annebbiarono. Tutto si fece confuso. Quell’oscuramento la fece infuriare ed ella reagì battendo il braccio con tutta la forza che aveva su una superficie dura che, forse, giaceva sotto di lei, in quella maledetta prigione. La potenza dell’urto e l’intensità con la quale aveva dato quel colpo misero per un attimo Eileen in difficoltà. Come era possibile, si chiese nella frazione di un secondo, che lei fosse così forte? Non avrebbe dovuto essere in grado di fare quelle cose e di colpire con un’energia così prorompente, lei che aveva due frecce conficcate nella spalla e una spada infissa nel ventre. Forse era uno strano maleficio di quel luogo maledetto. Ma lei era morta. Di questo era assolutamente ed inevitabilmente sicura. Non poteva essere vero il contrario. Una continuazione… un seppur minimo prolungamento della vita dopo aver riportato tutte quelle tremende ferite suonava come un affronto alle leggi della natura. Un fenomeno strano, inspiegabile, impossibile… Aveva lentamente accettato il fatto di essere morta. Per quanto questo l’avesse atterrita e riempita di rabbia, alla fine l’aveva accettato… forse mille anni o mille giorni prima… da quando era stata imprigionata lì. Visto da quell’angolazione il dolore aveva un senso. Il dolore poteva avere un senso. Tuttavia, proprio ora che l’aveva accettato, il dolore era cambiato di nuovo… Con stupore e lieve compiacimento, di minuto in minuto, Eileen si accorse che il suo corpo non era più avviluppato in quella cappa di invisibilità, né tantomeno era costretto in quella posizione da mille legacci invisibili come fino a poco tempo prima. Le sensazioni erano mutate. Ne arrivavano sempre di più, in quantità inverosimili. Un tale eccesso di informazioni esterne avrebbe potuto stordirla, invece la sua mente lavorava serenamente alla decifrazione di quei nuovi messaggi e di quei nuovi segnali, senza subire alcun tipo di trauma. Emozioni come paura o annebbiamento stavano lentamente scomparendo, così come il dolore fisico si stava gradualmente ritirando dalle sue membra, lasciandole incredibilmente fresche, asciutte e compatte, come se una nuova vita stesse risorgendo. Eileen percepì distintamente un’ondata di forza straordinaria che fluttuava in lei, ma non osò aprire gli occhi né muovere nemmeno un centimetro della sua pelle. Sapeva di essere adagiata su qualcosa di spigoloso e di duro, probabilmente un masso appuntito, ma era altrettanto sicura di non aver riportato ferite dal contatto con le pietre del luogo. Avrebbe dovuto essere morta ma incredibilmente era viva e, ancor più inverosimilmente, era forte come prima. Se non di più. Questo pensiero la confuse, ma fu solo per un istante. La percezione di tatto e udito si erano affinate sensibilmente, visto che ora Eileen poteva udire distintamente i battiti del suo cuore, deboli e quasi impercettibili. Un’ondata elettrica di paura mista ad eccitazione la paralizzò. Non avrebbe dovuto essere così. Lei avrebbe dovuto essere morta. Avrebbe dovuto giacere in una pozza del suo stesso sangue. Sangue. Quel pensiero andò a stuzzicare ossessivamente la sua mente. Un’ondata di arsura investì la sua gola, confondendola ancor di più. Poi, all’improvviso, rapido come la morte, il suo cuore si arrestò. Per un decimo di secondo risuonarono i deboli aneliti finali del suo ultimo battito. Poi, più nulla. La nebbia e l’oscurità si erano diradate, sparite in fretta proprio come il cuore di Eileen aveva consumato sé stesso in un rapido momento. La guerriera dal fiore rosso irrigidì tutti i muscoli del suo corpo, come se avesse paura di interrompere quell’oblio che per tutto quel tempo l’aveva protetta. Nella frazione di un secondo, la paura si dileguò. Tutto era silenzioso. Tutto era calmo. Eileen aprì allora gli occhi… di un terrificante ma incantevole colore dell’ametista. Edwig camminava a passo rapido nell’intrico dei cunicoli sotterranei delle grotte di Arquart. Si muoveva speditamente nella galleria silenziosa, dove risuonava solo il leggero tintinnio dell’acqua che scivolava dalle pareti a terra, formando un piccolo laghetto a terra. Edwig si muoveva in modo leggiadro, pur con l’acqua alle caviglie. La tempesta stava per placarsi. Il rombo dei tuoni si stava lentamente spegnendo all’orizzonte e lo scrosciare della pioggia all’esterno stava rapidamente diminuendo d’intensità. Il Dewuh poteva ancora percepire il sentore elettrico dei fulmini nell’aria. La sua mente vagava inquieta. Erano molti i pensieri che lo tormentavano. Più di una volta, in quei cinque giorni, si era chiesto se la rabbia di Thrain fosse giustificabile. Una piccolissima parte, in lui, forse comprendeva le ragioni della preoccupazione del suo migliore amico, ma non riusciva ad ammetterle completamente, soprattutto a sé stesso, men che meno con gli altri. Forse Thrain aveva ragione. Fiore Rosso poteva rivelarsi una variabile impazzita. Era pur sempre una Anxel. Era stata per anni nemica del suo popolo, fiera oppositrice di esseri che ella aveva sempre considerato fetide sanguisughe indegne di qualsiasi traccia di pietà. Indegne di vivere. Era stata tradita e uccisa barbaramente da qualcuno che, solo fino a pochi giorni prima, reputava un proprio alleato. Malgrado ciò e la rabbia che sicuramente Eileen avrebbe provato dentro di sé, non era assolutamente certo che ella fosse disposta a votarsi interamente alla causa dei Dewuh, se non altro per vendicarsi di Nazick e degli odiati Edherson. Non c’era, dunque, alcuna garanzia di riuscita per il suo piano. Forse, a conti fatti, Edwig non aveva mai avuto un vero piano. Forse ogni piano era naufragato e scomparso nel momento esatto in cui il Dewuh aveva visto l’antica nemica a terra, in una pozza del suo stesso sangue. Eileen Anxel, Comandante supremo degli eserciti di Imska, membro della famiglia reale… tradita da un indegno usurpatore, una serpe velenosa che aveva tramato nel suo stesso seno per anni e anni. Aveva perso tutto. L’amore per sua sorella, per suo nipote, per la sua terra… tutto era perduto. Non sarebbe più tornato indietro. Meredith era morta. Feridyr sarebbe stato ucciso ben presto, qualora Nazick non l’avesse già condannato alla decapitazione in quei cinque giorni trascorsi dall’assedio di Fhen. Jean era caduto per difendere la guerriera dal fiore rosso, unicamente per devozione e per un bene dai contorni immensi e quasi terrificanti. Il giovane Dhorur aveva dato la sua vita per salvare la sua migliore amica, la donna che amava e che avrebbe sempre amato, fino all’ultimo respiro… Edwig si era ritrovato a capire quell’uomo e il suo gesto… Diversi anni prima, in quella che gli sembrava una vita distinta e ormai cristallizzata nel tempo dell’assurdo, aveva desiderato la stessa cosa. Per una donna. La sua donna. Aveva desiderato offrire la sua vita, la sua esistenza dannata, la sua anima nera per lei. Per Elyreneh. Era stato tutto vano. Lei l’aveva lasciato, era morta… senza nemmeno avere la possibilità di accomiatarsi da lui. Era morta a causa di violenza e tradimento e sopruso e inganno… Forse era davvero bastato questo a fargli prendere la decisione di salvare la sua peggior nemica, che – Edwig lo sapeva benissimo – avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederlo agonizzante o morte. Era mai possibile questo? Era possibile che l’immagine di Elyreneh gli avesse offuscato la mente e si fosse sovrapposta a quella di Eileen… di Fiore Rosso, distesa a terra, agonizzante e coperta del suo stesso sangue? Era stato questo a indurlo a morderla, per salvarla dall’oblio della morte, per permetterle di ricominciare e per darle una nuova possibilità? Edwig si fermò. La collera di quei pensieri lo colpì all’improvviso. Strinse le mani a pugno. No. Non era stato questo. Non era per via di Elyreneh… Non era stata pietà, non era stata compassione. Eileen sarebbe stata la loro arma. Eileen sarebbe stata la loro belva in caccia. E avrebbe cacciato. Avrebbe ucciso. Per loro. Un lontano rumore lo distolse da quelle idee corrosive. Un cuore e un corpo in lenta trasformazione. Cento, novanta, ottanta, settanta, cinquanta, venti, dieci battiti… Poi un unico lontano penoso rimbombo lontano. Infine, più nulla. Era dunque finita. Un sorriso compiaciuto gli si dipinse agli angoli della bocca perfetta. Edwig affrettò il passo. Eileen aprì gli occhi, leggermente stordita e confusa. Le sue iridi riuscirono a cogliere, seppure nella parziale luce della grotta in cui si trovava, le mille piccole increspature e le aperture alle pareti, da cui filtrava un lieve rigagnolo d’acqua. Le sue orecchie colsero in lontananza il boato morente di un tuono e il lieve ticchettio della pioggia sulla caverna. Eileen era adagiata su un piccolo giaciglio ritagliato nella roccia, compatta e asciutta. Il rumore della pioggia la compiaceva inconsciamente. Poi la guerriera pensò di stendere un braccio e istantaneamente si ritrovò quello destro già piegato in avanti. Non era occorso altro che un decimo di secondo, forse, fra il pensiero e l’azione. Pur meravigliandosi molto di quella straordinaria rapidità, Eileen si perse nella contemplazione della sua mano. La colpì da subito la linea morbida e sinuosa dell’arto e la sua consistenza di porcellana. Istintivamente sorrise, deliziata da tanta perfezione. All’improvviso un’ondata imprevista di arsura avvolse le sue membra, annebbiandole per un istante la mente e i sensi. Bastò questo a sconvolgerla. Con una strana irritazione scattò subitaneamente in piedi, drizzandosi fiera e maestosa. In piedi percepiva una strana energia fluirle quasi allo stato liquido nei muscoli delle gambe tornite, scultoree e incredibilmente delicate. Uno strano bagliore attrasse improvvisamente l’attenzione di Eileen, che, in un sedicesimo di secondo, si avvicinò alle pareti della grotta, su cui campeggiavano diverse piccole luci azzurrognole, delle quali poteva percepire il riflesso adamantino nell’ampio spettro di colori che le si dispiegava di fronte alla sua nuova vista infallibile. La precisione e l’immediatezza dei suoi movimenti nonché dei suoi gesti la sorpresero ancor di più. Appoggiò un orecchio alla parete della caverna, cercando di carpire ogni possibile rumore che fosse chiaramente udibile, ma di nuovo un delicato sciabordio proveniente dalle sue spalle la colpì. Si voltò di scatto e i suoi occhi contemplarono il riflesso di un piccolo laghetto sotterraneo, che si snodava a destra, in una piccola galleria di pietra attigua a quella in cui si trovava lei. Spinta da una curiosità insaziabile, Eileen si avvicinò all’acqua e scorse la sua immagine nel riflesso. Quello che vide la impressionò e, nello stesso tempo, la terrorizzò. Chi era quell’essere di cui scorgeva l’immagine nello specchio d’acqua? Era una creatura indiscutibilmente bellissima. Meravigliosa. Era alta, longilinea e leggiadra anche da ferma. La colpì soprattutto il pallore pronunciato della sua pelle. Il suo viso, delizioso come un bocciolo di rosa, era di un bianco sorprendentemente acceso e radioso e ricordava le eleganti sfumature della neve. Il ventre era piatto e la vita affusolata come quella di un giglio. Le gambe erano incredibilmente dritte e forti. Eileen si avvicinò ancora di più al proprio riflesso. Dalla gola le uscì un sibilo a metà fra il meravigliato e l’impaziente. Aveva lunghissimi capelli che le arrivavano a metà schiena, di un castano acceso, nel quale si ritrovavano antiche sfumature del colore del cioccolato a latte. E poi Eileen si soffermò sugli occhi… i suoi occhi. Ma come poteva credere a quello che vedeva? Un’ondata di paura la investì e retrocesse lentamente, sotto il profilo tagliente e magnetico delle sue stesse iridi color ametista, screziate da profonde venature di un nero ardente, acceso e sfavillante. Gli occhi viola dei Dewuh. Gli occhi viola dei vampiri. «Vedo che mi è stato negato il privilegio di portarti gradualmente alla scoperta della nuova te stessa» le giunse una voce suadente e delicata alle spalle. Non ci potevano essere margini d’errore. Quella era la sua voce. Eileen si voltò, sorpresa e spaesata. Edwig era lì in piedi accanto a lei e la osservava in modo intenso, quasi rapace. «Tu…» mormorò lei come in preda ad una specie di delirio. Una nuova ondata di paura la oppresse, dopo aver udito il suono argentino e incantevole della sua voce, accresciuta di due ottave. «Che c’è, Fiore Rosso? Sei confusa dalle tue nuove potenzialità?» le si rivolse lui. «Cosa… cosa mi è successo?» chiese di rimando lei, toccandosi la gola con una mano. «Credo che tu abbia sete» le disse lui in modo sardonico, sorridendo. A quelle parole Eileen avvertì un tremito scomposto che si impadronì del suo corpo. La gola le bruciava, ardendo incommensurabilmente. Aveva sete. Una sete tremenda. Aveva sete di sangue. I suoi occhi incrociarono quelli di Edwig. D’improvviso comprese. Una scarica di collera la attraversò, irradiandosi nelle sue membra come un uragano. Senza alcun freno si scagliò verso Edwig e lo afferrò al collo con forza sovrumana. Edwig chiuse gli occhi, senza smettere di sorridere, lasciandola fare benché quella stretta gli facesse male, seppure in minima parte. Eileen era davvero forte. Un’arma potenzialmente letale. «Il tuo sogno più riposto» le sussurrò in modo soave. Eileen registrò la presa sul suo collo. Un ringhio minaccioso le sgorgò dalla gola riarsa. «Cosa mi hai fatto!?» sibilò velenosamente, ma un’ondata di arsura più potente delle altre le diede una fitta di dolore improvvisa, costringendola a lasciare la presa sul Dewuh. Si portò nuovamente una mano alla gola, percependo un pulsare frenetico all’interno di essa. Edwig la fissava intensamente, godendosi ogni sfaccettatura delle sue espressioni. «Sono certo che tu abbia compreso cosa significhi tutto questo» le disse poi. Lei lo trapassò con il proprio sguardo. Retrocesse di qualche passo nella caverna. «Non è possibile…» mormorò più a sé stessa che all’altro. Gli occhi di Edwig si persero di nuovo nella contemplazione di Eileen… la nuova Dewuh che lui stesso aveva creato. Un brivido a metà fra paura e piacere lo colse nel profondo. «Sei una di noi, ora» le disse inesorabilmente. Gli occhi di Eileen sembrarono avvampare di un sentimento dai contorni imprecisi e sfumati, ma la furia in lei era straripante. «Mi hai trasformata in un mostro!» gridò con la sua voce adorabile alterata dalla collera. «Già… Immagino che l’idea di sopravvivere come mostro sia esecrabile rispetto all’immagine di te ridotta in una poltiglia sanguinolenta per mano del marito di Meredith!» esclamò lui stuzzicandola. Eileen si accucciò in posizione di caccia e ritrasse il labbro inferiore in una smorfia di disgusto e di ferocia. «Non pronunciare mai quel nome» lo ammonì con voce gelida. «Mi ha sempre affascinato la tua aggressività latente. Nelle tue nuove condizioni sarà sicuramente una caratteristica affascinante» disse lui con voce suadente. «Non ci sarà nessuna nuova condizione» rispose lei lapidariamente. «Ah davvero? E cosa pensi di fare? Pensi di rinunciare alla vita, a questa nuova possibilità che ti è stata offerta? Pensi di lasciarti morire di sete?» la incalzò lui di prepotenza. A quelle parole una nuova ondata di arsura trapassò la gola di Eileen. Edwig se ne accorse e sorrise lievemente. «Lo vedi? Non puoi negare la tua nuova natura. Se solo ci provassi, lei ti ricorderebbe che non è possibile» le disse poi gravemente. Eileen si ritrasse, ribellandosi. «Non ucciderò mai il mio popolo per nutrirmi del suo sangue» dichiarò poi. «Nobile gesto il tuo, senza dubbio. Ne riparleremo quando la sete sarà talmente forte ed intensa ed ottenebrante che la tua mente non ti ordinerà altro se non di trovare un modo e una gola con cui soddisfarla. Allora forse ti renderai conto del fatto che quegli uomini verso i quali provi così tanto amore e rispetto non ti considerano altro che una fetida sanguisuga. D’altronde sono gli stessi individui che hanno distrutto il regno degli Anxel, decapitato tua sorella, ammazzato tuo nipote, massacrato il giovane Dhorur e condannato te ad una vita che aborrisci…» disse lui. La mano di Eileen si abbatté nuovamente sulla spalla di Edwig, ma questa volta quello fu più veloce e reagì afferrandole un polso e sbattendola contro la parete della caverna. L’urto della schiena contro la nuda roccia avrebbe ferito qualsiasi essere umano, ma Eileen non provò alcuna fitta di dolore. La sete la dominava senza scampo. «Jokma, Ohs Kevaroth (Calma, Fiore Rosso)» le sussurrò lui sensualmente. Lei sgranò gli occhi per la sorpresa. Aveva compreso istintivamente quello che Edwig le aveva detto e questo la mandò in confusione, agghiacciandola fin nel profondo. «Mi darò la morte con l’oricalco» esalò poi velenosamente. Edwig le tenne in alto i polsi con una mano e con l’altra le toccò una guancia. «Sarebbe un tale spreco…» le mormorò ad un centimetro dalla bocca. Eileen si perse per un attimo nei suoi meravigliosi occhi viola. «So cosa ti proponi di fare, verme». «E cosa mi propongo di fare, Eileen?» Lei lo guardò di nuovo negli occhi. Si divincolò dalla sua stretta. «Non avrai alcuna soddisfazione da me» gli disse, senza però allontanarsi da lui. Edwig la guardò di rimando e sorrise piacevolmente. «Hai tempo per riflettere, Eileen. Quando tornerò magari avrai deciso di parlare con me e, soprattutto, di andare a caccia per soddisfare la tua sete». «Mai. Mai, sozzura» lo insultò lei gelidamente. Edwig le toccò ancora una volta una mano di porcellana, solo per pochi istanti, poi si ritrasse e si avviò verso l’uscita della caverna. «Non immagini nemmeno quanta pazienza sia celata dentro di me, Eileen. La mia perseveranza è antica di secoli» le disse in modo allusivo. «La tua insolenza sarà stroncata dalla mia intransigenza» sibilò lei. Edwig si voltò a guardarla. I suoi occhi brillarono di una strana luce, intensa e calda. «Hai già alterato completamente il mio essere, Eileen. Non temo certo la tua intransigenza» le disse prima di darle le spalle e uscire dalla camera sotterranea. Gli occhi di Eileen lo seguirono a lungo prima che lui si dileguasse nell’oscurità dei cunicoli della caverna.
   
 
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