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Autore: time_wings    27/07/2020    2 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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5. Percorsi

 




Metà novembre, 1981
 
Solitudine.
Non c’era altro. La percepì ancor prima di aprire gli occhi, addirittura prima di riprendere conoscenza.
Nella stanza dalle assi di legno graffiate, un raggio di sole filtrava pigro attraverso le imposte.
Remus Lupin strizzò gli occhi e fece per voltarsi e continuare a dormire, quando una fitta all’altezza del fianco gli mozzò il fiato. Grugnì, di colpo all’erta, e una smorfia di un dolore pungente gli si dipinse in faccia. Corse con una mano a tenersi il fianco, in un istinto a proteggerlo e, lentamente, si costrinse ad aprire gli occhi.
La prima cosa che vide fu quella luce.
Continuava a farsi strada tra gli spifferi della finestra e si stendeva placida e più larga sulle assi di legno graffiate. Pulviscoli di polvere danzavano frizzanti nel suo raggio.
Remus batté gli occhi e si guardò intorno, disorientato.
Erano anni che non soffriva tanto dopo una trasformazione e si chiese perché i suoi amici l’avessero lasciato solo per la prima volta.
In uno scomparto nascosto e segretissimo del suo animo una vocina non aveva fatto altro che ripetergli, sin da quando li aveva incontrati, che prima o poi sarebbe successo. Anche se James si era mostrato aperto e disponibile, anche se lui, forse più di tutti, aveva sempre visto la sua condizione come qualcosa di vagamente simile a un pregio. 
Annusò l’aria e non captò nessuno dei loro odori.
Poi una consapevolezza, più amara e dolorosa dell’abbandono, lo spiazzò con la forza della realizzazione: James Potter era morto, Peter Minus pure e Sirius Black era da qualche parte, a metà tra un tribunale e una condanna a vita ad Azkaban.
Un dolore mille volte più angosciante della fitta al fianco lo colpì al petto e una disperazione incomunicabile gli attraversò lo stomaco, quando si alzò a sedere. Gridò per la frustrazione, perché sapeva che nessuno poteva sentirlo. Gridò fortissimo, con voce raschiata e spezzata per gli ululati inumani della notte precedente e si costrinse a piangere, perché poteva permetterselo e perché sperava che lasciar uscire qualcosa, qualunque cosa, l’avrebbe fatto sentire un po’ meno sopraffatto.
Si guardò di nuovo attorno, il raggio di sole continuava a stendersi imperturbabile sulle assi di legno graffiate dalle unghie del lupo.
Davanti a lui non c’era nessuno. I suoi genitori erano morti, come la maggior parte dei suoi amici, ma credette di impazzire quando il pensiero gli cadde su Sirius.
Sirius che ogni mattina di luna piena, negli ultimi sei anni, anche con la guerra e gli spostamenti segreti, aveva sempre fatto in modo di esserci. Se lo immaginò davanti, la testa inclinata su un lato e lo sguardo divertito a dire qualcosa di estremamente stupido, come ‘buongiorno, stasera ci sentivamo selvaggi’ e che non mancava mai di farlo sorridere, anche debolmente.
Si sentì il fiato mancare, quando ricordò cosa aveva fatto.
La notte di Halloween del 1981, Sirius non aveva tradito solo il suo migliore amico: li aveva distrutti tutti.
Remus si piegò su un lato e vomitò sulle assi di legno graffiate.
 
***
 
“È praticamente invisibile!” Lupin si alzò di scatto dalla panca per seguire meglio l’azione. Gli occhi saettavano alla velocità vertiginosa di James Potter.
L’ombra di un sorriso passò invisibile sulle labbra di Sirius. “Attento, stai sbavando.”
Remus si voltò per un attimo verso di lui, assottigliò lo sguardo e scosse la testa. “È bravissimo, solo che non posso dirglielo, altrimenti si gonfia d’ego e vola via.”
“E tu negli ultimi due anni hai imparato tutto sul quidditch?” si unì Peter, l’ironia era palpabile anche nella sua voce.
Remus alzò gli occhi al cielo, ma non ebbe modo di rispondere, perché, proprio in quel momento, il cronista gridò esaltato. La pluffa era entrata pulita nell’anello avversario!
James Potter teneva un pugno guantato in alto e un sorriso beffardo gli inondava il viso, mentre si godeva l’esultanza della sua casa.
Remus, in effetti, diede proprio un bel contributo a quell’esultanza, perché gridò a squarciagola, se possibile alzandosi in piedi ancora di più e facendo scoppiare a ridere Peter e Sirius. Oh, più tardi gliel’avrebbe fatta pagare!
Quando tornò a sedersi, con la naturalezza di chi non si era appena fatto venire un quasi-infarto, Sirius gli poggiò una mano su una spalla. “Va tutto bene? Ehi, Remus, a noi puoi dirlo.”
Era poco credibile, davvero, perché il suo sorriso si era affilato e la presa in giro nel tono scalpitava incontrollabile per liberarsi. Remus gli rivolse una veloce occhiataccia, poi tornò a concentrarsi sul gioco. Il principio di un sorriso gli incurvò le labbra. “Sono solo solidale,” ribatté distrattamente, sperando con tutto se stesso che Sirius si desse una mossa a lasciarlo in pace e a concentrarsi anche lui sulla partita.
“Non sei solidale: sei impazzito,” ribatté lui, congiungendo le mani dietro la testa e stravaccandosi con la schiena sul sediolino, correndo anche lui con gli occhi a seguire la pluffa, ma non facendone parola con nessuno.
Non passò molto prima che altri dieci punti fossero assegnati a Grifondoro.
Sirius vide Remus fremere, accanto a lui, pronto a scattare per l’ennesima volta, gli occhi disumanamente brillanti che saltavano da una parte all’altra del campo, totalmente rapiti. Giurò di averlo sentito imprecare in un urlo liberatorio, quando, poco tempo dopo, il Cercatore della loro casa conquistò il boccino, ma non ne fu propriamente sicuro, perché a quel punto gridava anche lui e gli spalti in cui erano stipati esplosero in un boato esaltato.
La partita contro i Tassorosso si concluse con una vittoria schiacciante dei Grifondoro.
James non era un Cercatore, ma, dopo aver esultato con i suoi compagni, volò per il campo come se gli fosse appartenuto e Sirius gli mandò un bacino, soffiando su una mano, quando passò davanti a loro. James finse di afferrarlo al volo e se lo stampò su una guancia, alzando un sopracciglio e leccandosi platealmente le labbra.
Da qualche parte qualcuna sospirò sognante.
 
***
 
“Signor vincitore, in arrivo il suo premio!”
Nella sala comune dei Grifondoro, dove nessuno si era precluso la possibilità dei sani festeggiamenti che seguivano sempre una vittoria, Sirius alzò un braccio per cingere le spalle del suo migliore amico e si accasciò contro il suo fianco. La burrobirra che reggeva rischiò di colargli addosso, ma non successe, perché Sirius si affrettò a infilare il bordo del boccale in bocca al suo amico, inondandogli la faccia e le guance di schiuma. James rise e tossicchiò, spostandoselo di dosso.
Sirius scrollò le spalle e inclinò il boccale nella sua direzione, prendendo un sorso generoso di burrobirra a sua volta.
Proprio in quel momento Remus e Peter riuscirono a farsi strada attraverso un gruppo di Grifondoro e raggiunsero i loro amici.
Un sorriso enorme spuntò sulla faccia di Peter. “Perché si comporta così?”
“Non lo so, è impazzito,” James si arruffò i capelli e, quando Sirius alzò veloce le sopracciglia, ironico, gli lanciò un’occhiataccia con un retrogusto un po’ divertito.
Remus aggrottò la fronte. “Chi glielo dice che la quantità di alcol in quella cosa è pressoché inesistente?”
Peter e James scrollarono le spalle e Sirius abbassò il boccale e si ripulì la bocca con il dorso della mano. “Non ho mai detto di essere ubriaco,” si difese, porgendo la burrobirra anche a Remus, che declinò con un gesto della mano. Peter, invece, accettò la bevanda di buon grado.
“Scusami,” James prese Sirius per una spalla e lo costrinse a mettersi di fronte a lui, poi lo squadrò da capo a piedi, “ma come ti sei vestito?”
Sirius abbassò lo sguardo su di sé. Ecco come si era vestito: indossava ancora i pantaloni della divisa scolastica, ma al posto della camicia anonima portava una di quelle sgargianti camicie di lino a fantasia floreale che si dovevano portare tanto in America ed era, a detta sua, un autentico tocco di classe. “Un affare, James, l’ho presa appena fuori King’s Cross, non è bellissima?”
I ragazzi si scambiarono uno sguardo veloce, poi Remus si voltò verso Sirius con un sospiro, dalla faccia sembrava quasi che gli dispiacesse dover dire la verità. “È terribile.”
Sirius aggrottò la fronte, e poggiò drammatico una mano sul petto, ferito. “Tu non capisci niente.”
“No, è orrenda davvero,” James trattenne una risata in uno sbuffo e sorrise a Remus, in un plateale sguardo d’intesa.
Sirius aprì la bocca sconcertato dalla gravità dell’affronto. “Pete?” Si voltò verso di lui di scatto, negli occhi una pretesa di sostegno.
Peter prese un po’ troppo seriamente quella chiamata in causa, perché sobbalzò e scrollò sconsolato la testa. Per poco non rovesciò la burrobirra. “Non è il tuo migliore acquisto.”
“Questa roba va di moda tra i babbani, avete ancora tanto da imparare,” decretò Sirius, alzando entrambe le sopracciglia a mo’ di imprenditore e sorridendo sicuro. Remus doveva ammettere che, sebbene quella camicia fosse, altro che un autentico tocco di classe, un autentico pugno nell’occhio, addosso a lui e al suo modo naturalmente disinvolto di muoversi risultava vagamente accettabile, in una maniera che aveva molto poco a che fare con la camicia e virava più sul carisma.
Lo osservò guardarsi attorno, scandagliare la sala e fermarsi con lo sguardo su una persona.
Sirius fece cenno a Marlene di raggiungerli e lei annuì in risposta, coinvolgendo Dorcas, Alice e Mary. Peter si affrettò a eliminare i residui di schiuma di burrobirra dalla sua bocca per rendersi quantomeno presentabile.
“Il secondo goal, James, è stato… da paura,” si complimentò Marlene, avvicinandosi con un sorriso smagliante e congratulandosi con James, il cui sorriso si allargò orgoglioso in una maniera che fece roteare gli occhi di Remus.
“Non lo dovevi dire,” sussurrò il ragazzo, passandosi rassegnato una mano sulla faccia.
Sirius lasciò scivolare un braccio sulle spalle di Marlene con la naturalezza di chi lasciava scivolare braccia sulle spalle delle ragazze ogni giorno e disse qualcosa sul fatto che James era sempre da paura, soprattutto appena sveglio. Lei rise e poi disse l’ultima delle cose che avrebbe dovuto dire, almeno a detta di Remus. “Ehi, la camicia ti sta benissimo!”
Sirius sgranò gli occhi e fissò i suoi amici negli occhi, uno ad uno, poi si voltò di nuovo verso Marlene. “Grazie, continuo a ripeterlo, ma qui qualcuno non mi ascolta!”
Remus alzò gli occhi al cielo, perché fu verso di lui che Sirius si concentrò con lo sguardo, con aria accusatoria.
Solo in quel momento Remus notò che Lily se ne stava in un angolo, non troppo lontana dal gruppo che aveva seguito Marlene. Pensò che Sirius, James e il povero Peter sarebbero stati perfettamente in grado di gestire le ragazze da soli, quindi si allontanò per raggiungerla, congedandosi velocemente.
 

“Non ti unisci a loro?” Remus aveva il tono forzatamente rilassato di chi non era rilassato neanche un po’. Era comunque un passo avanti rispetto al riservato ragazzino dell’anno precedente che neanche ci provava. Forse il carisma dei suoi amici aveva finito per rimbalzare, a lungo andare, anche su di lui.
Lily si voltò. “E sentire Black e Potter gonfiarsi a vicenda? No, grazie, sto meglio qui.”
Remus rise genuino e Lily l’osservò per un attimo, vagamente sorpresa del fatto che non si fosse affrettato a difenderli o almeno a ribattere. Quando lo vide annuire consapevole e con un pizzico di rassegnazione, si stupì del tutto. “Non posso negarlo.”
Lily lo studiò per la prima volta da quando era entrata in quella scuola. Lui e Peter erano sempre e solo stati gli amici di Sirius e James. Sapeva che non erano come loro, ma non aveva mai preso in considerazione l’idea di approfondire la conoscenza di nessuno dei due. Non seppe bene perché, ma Remus le sembrò di colpo interessante.
La domanda che più premeva le uscì di bocca prima di poterci pensare un secondo di più e valutare l’idea che, forse, lo stava offendendo: “Posso chiederti che ci vedi in loro? Insomma, perché ci passi il tempo?”
Di nuovo, Remus non sembrò ferito, dispiaciuto né tantomeno offeso. Un luccichio incuriosito gli brillò negli occhi e Lily non poté fare a meno di lasciar scivolare lo sguardo da lì a una lunga cicatrice che gli percorreva lo zigomo diagonalmente. “Non sono così male come credi,” rispose semplicemente, scrollando le spalle.
Lily si sentì un po’ in difetto. 
Si era sempre proclamata la prima degli indifferenti, nei riguardi di James, Sirius, Peter e Remus, una di quelle persone che aveva bellamente ignorato i commenti che passavano ormai di bocca in bocca su di loro, una delle poche, addirittura, che non si era mai interessata alla vita sentimentale di James Potter e Sirius Black, cosa che ultimamente pareva andare di moda; però in quel momento iniziò a credere che, più che incurante, era stata semplicemente categorica. E forse anche un po’ ottusa.
La leggerezza con cui Remus l’aveva messa davanti al suo pregiudizio la colpì con più chiarezza di quanto potessero fare Sirius e James con mille delle loro scenate plateali. Lo guardò esitando, perché quel ragazzo le dava l’impressione di avere una certa inclinazione ad essere sempre nel giusto. “Non devo credere, mi basta vedere.”
“Non vedi tutto,” continuò Remus, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Lily alzò un sopracciglio, scettica, ma lui continuò: “Ci sono sempre stati, anche quando le cose si sono messe male. So che ce l’hai con loro per la questione di Moccio…” Lily si voltò a guardarlo di scatto. “Piton, scusa,” un sorriso divertito gli incurvò le labbra anche dopo la correzione, “ma…”
“È il mio migliore amico, cosa dovrei pensare?”
Remus sembrò mordersi la lingua, come astenendosi dal sottolineare il numero di volte in cui Severus aveva contrattaccato, mostrandosi un po’ meno per il ragazzino innocente che Lily si ostinava a difendere. Alla fine si limitò a scrollare le spalle. “Non ho detto che ti devi innamorare di James e sposarlo,” puntualizzò, ironico. “Tu mi hai chiesto cosa ci vedo in loro, io ti ho risposto.”
Lily si acquietò. Remus non era della sua stessa idea su Piton, ma era la prima volta che qualcuno, parlando di lui, non cercava di dissuaderla dall’essergli amica. “Già, e una parte di me continua a non capirlo. Immagino quante volte avrai provato a fermarli per lo scherzo della fontana di fuochi d’artificio,” iniziò Lily, riferendosi a una delle loro ultime opere in ambito di scherzi distruttivi.
Remus rise e, con un colpo di reni, lasciò il muro a cui si era appoggiato. “Oh, neanche una volta,” ribatté, divertito dall’espressione confusa di Lily, “avresti dovuto vedere come gli è piaciuto quando l’ho proposto.”
Lily sgranò gli occhi. Passò solo un attimo, poi rise e scosse la testa. Non condivideva una virgola delle sue parole fino a quel momento, ma, in un certo modo contorto, Remus Lupin aveva appena guadagnato la sua stima. Solo perché l’aveva sorpresa.
 
***
 
“È carino, Mary, ma non m’interessa.”
Marlene era stesa sul suo letto e fissava il soffitto come se ci avesse voluto intrattenere una conversazione. Mary palesò il suo scetticismo con uno sbuffo ironico. “Sì, certo e lui è stato un sacco… fisico,” rincarò la dose, fissando uno sguardo sicuro su Marlene, nonostante lei guardasse ancora il soffitto.
“Secondo me stai esagerando,” ribatté Dorcas, che si era appena infilata sotto le coperte e aveva una gran voglia solo di dormire.
“Grazie!” disse soddisfatta Marlene, lasciando cadere drammaticamente le braccia sul materasso e alzando appena il busto per incontrare gli occhi di Dorcas e lanciarle un’occhiata colma di gratitudine.
“È anche vero, però,” continuò Dorcas, un sorriso divertito si faceva già strada sul volto stanco.
“Oh, no.”
“Che quando ti ha messo un braccio attorno alle spalle sei arrossita.”
“Ma non è vero!” si difese Marlene, questa volta alzandosi a sedere sul materasso, perché l’affronto l’aveva punta sul vivo.
“È un po’ vero,” si intromise Alice, sorridendole gentile e ridacchiando un po’, “avete anche ballato.”
“Va bene, ehi, Marlene?” Lily si alzò a sedere proprio sul finire dell’osservazione di Alice. Scosse la testa indignata, ma un sorriso divertito la tradì. “Ascolta me: no,” Lily mosse la testa molto lentamente a destra e a sinistra e Marlene aggrottò la fronte, cercando di non ridere. “Tutti, davvero, vanno bene tutti, ma non Black.”
“Allora Potter…” la provocò Mary, che già conosceva la risposta.
“Neanche lui!” la interruppe prevedibilmente Lily. “Sto ridendo, ma sono seria.”
Non ci fu molto da fare, perché tempo un secondo e tutte le ragazze scoppiarono a ridere. Lily mandò al diavolo quel briciolo di autocontrollo che la tratteneva e si unì alle risate.
 
***
 
“Taglia, veloce,” Sirius si guardò alle spalle all’erta, ma tutto, attorno a loro, sembrava tacere. Neanche il vento che rombava tra le mura esterne del castello si curò di far rumore, anzi, anche quando passava tra le campane, tutto ciò che rimbombava era il silenzio.
I ragazzi si strinsero nei mantelli: erano nella serra, al chiuso, ma il freddo pungente di novembre si insinuava tra le pieghe dei vestiti solo per far loro un dispetto.
Peter era sul punto di scoppiare. Certo, anche Sirius si guardava intorno con fare pratico e spiccio, ma Peter era assolutamente paralizzato dalla paura. Un conto era andare in giro a far scherzi e rischiare al massimo due settimane della peggiore detenzione… un altro conto era Azkaban. Per un attimo ammirò la leggerezza con cui James e Sirius stavano rubando le piante dalla serra.
In un impeto di coraggio, mosso da un intimo desiderio di non passare per l’inutile ragazzino che si appoggiava allo studio degli altri, Peter si chinò in avanti e afferrò la Mandragora per il tronco… o per il busto e cercò di imitare il tono più sicuro di Sirius che gli venne in mente, quando finalmente parlò. “Ma scusate, perché non prenderne una e portar…”
“NO!”
James si allungò sul tavolo delle Mandragore fino a stendervisi sopra e pose la mano su quella di Peter, spingendo verso il basso.
Un grido ovattato si diffuse come un’eco nel silenzio delle serre, ma erano fuori pericolo. La Mandragora era rientrata perfettamente nel terreno proprio un attimo prima del disastro.
Sirius incrociò le braccia al petto e sospirò. “Secondo anno, Pete, le Mandragore gridano se dissotterrate e da adulte possono anche ucciderti.”
Sirius che diceva qualcosa di effettivamente utile, di solito, era un evento più unico che raro, ma aveva usato un tono seccato e tagliente, che faceva sembrare quella frase, più che una lezione, un’osservazione acida.
“Tranquillo, per fortuna non è successo niente,” James si ripulì del terriccio che aveva raccolto stendendosi sul tavolo e rivolse un sorriso autentico a Peter. “E tu preparati, perché sei il primo a banchettare,” aggiunse, questa volta rivolgendosi a Sirius.
“Che? Perché io?”
Sirius non ebbe molto tempo per parlare, perché James recise una foglia dal ramo della Mandragora che Peter aveva afferrato, sussurrò sottovoce un incantesimo che potesse pulirla e gliela cacciò in mano senza troppe cerimonie. Poi si affrettò a fare lo stesso per se stesso e per Peter, ma senza tutta quella irruenza.
I tre ragazzi si presero un attimo per osservare la foglia in silenzio. Non si guardarono, non parlarono, trattennero il fiato, probabilmente. Sirius fu il primo ad alzare lo sguardo sugli altri, sospirando per attirare la loro attenzione.
James e Peter recepirono il messaggio e si scambiarono un’occhiata tesa. La luce del tramonto filtrava attraverso i vetri oscurati della serra, risultando più verdina che arancione.
“Un mese?” domandò Peter, più per incredulità che per conferma. I due ragazzi annuirono in silenzio e alzarono la foglia all’altezza della bocca.
“Per Remus,” annunciò James; negli occhi gli brillò una luce totalmente nuova che aveva più il riflesso della determinazione. Peter e Sirius annuirono, influenzati da quelle parole e improvvisamente più decisi.
James annuì a sua volta e fu il primo ad agire. Spiegò la foglia davanti ai suoi occhi e se la cacciò in bocca, facendola aderire alla parte interna della guancia, poi impugnò nuovamente la bacchetta e pronunciò un incantesimo di adesione biascicato: aveva ancora la bocca aperta.
Sirius avrebbe riso di lui, se non fosse stato troppo occupato a reprimere un conato di vomito. Peter, invece, ci mise un attimo.
“Okay.”
Dopo qualche attimo di assestamento, James batté piano con la lingua contro la guancia, per assicurarsi che la foglia avesse aderito, poi guardò i suoi amici annuire. “L’avete attaccata?”
“Sì,” disse Peter, con la faccia grigia.
Sirius, invece, aggrottò le sopracciglia confuso. “Attaccata?”
“No, sai che ti dico? Lasciala così, magari ti ci soffochi nel sonno.”
Sirius lo guardò contrariato, le sopracciglia scure ancora aggrottate, ma non più per la confusione. James sospirò e si avvicinò puntandogli contro la bacchetta. “Ehi, ehi, che vuoi fare? Giù le mani, Potter,” Sirius indietreggiò buffamente, colpendo con i piedi qualche secchio di latta impilato, che cadde con un fracasso micidiale.
“Te la voglio attaccare, idiota, apri la bocca.”
“James, non so dove te la sei messa quella bacchetta!” Sirius, ora spalle al muro, alzò entrambe le mani per difendersi.
“Oh, ti faccio vedere dove te la infilo se non la pianti.”
“La Mandragora?” scherzò Peter, che si sentiva più leggero per non essere quello che stava dando problemi.
“Bella questa, Pete,” Sirius rise nervoso, occhieggiando il ragazzino con una vena di terrore negli occhi, “James, hai sentito la battuta di Peter?”
“Apri e smettila di parlare,” il tono di James sarebbe stato parecchio perentorio se solo non avesse avuto quello sguardo minaccioso da una parte e una risata a fior di labbra che scalpitava per uscire dall’altra.
Sirius si arrese e aprì la bocca riluttante, alzò la lingua contro il palato e scoprì la zona appena dietro i denti, poi guardò Peter negli occhi, cercando un appiglio alla realtà. Peccato che il ragazzo si tenesse la pancia dal ridere.
Dopo qualche secondo Sirius cercò di dire qualcosa, ma la lingua bloccata sul palato non si rivelò utile al dialogo, quindi James e Peter non capirono altro che una serie di versi. Sirius si spazientì e roteò gli occhi.
“Hai chiesto se ho fatto?”
James non dovette aspettare molto perché lui annuisse energico.
“Ah, sì, da un bel po’, ma facevi ridere così.”
Sirius chiuse la bocca di scatto, facendo schioccare i denti, e lo guardò male. “Sai, secondo me la tua forma da Animagus sarà una iena,” considerò, mentre, silenziosi come non lo erano stati per tutto il resto del tempo, i tre iniziarono a dirigersi di nuovo al castello.
“Dici? Secondo me più qualcosa di imponente e maestoso, come un leone.”
Peter, alle loro spalle, rise di gusto. “O una puzzola.”
“E se qualcuno di noi fosse un elefante?” domandò Sirius, concentrandosi momentaneamente sui reali risvolti inaspettati che avrebbe potuto prendere la faccenda.
“Con la quantità di fastidio che dai e la grandezza del tuo cervello, il massimo che ci possiamo aspettare da te è una zanzara,” dichiarò James.
“Oggi hai preso il posto di Remus in fatto di sarcasmo?”
“Qualcuno si deve sporcare le mani,” James fece spallucce e si accinse a oltrepassare la soglia del passaggio che li avrebbe condotti alle porte della Sala Grande.
“Noto quanto ti pesa.”
Risero insieme e tornarono alla luce artificiale delle fiaccole disposte lungo le pareti.
Il sapore amaro della foglia aveva portato un po’ di nervosismo nell’animo dei ragazzi. Il processo era ancora del tutto reversibile, bastava sputarla, in fin dei conti, ma passare l’intera estate a prepararsi, a progettare e pianificare, soprattutto all’insaputa di Remus, era sembrato un gioco per tutti e tre. Tenere in bocca quella foglia di Mandragora per un mese, invece, aveva messo in moto l’intera procedura e la cosa sembrava improvvisamente un po’ più concreta.
C’erano un milione di cose che sarebbero potute andare storte nel processo per diventare Animagi; dal rischio di una forma ibrida alla perdita della ragione, fino ad arrivare a storie terrificanti di persone che avevano passato le ultime ore della loro vita a ululare dal dolore per un arto rimasto invariato o per un organo mutato e permanentemente compromesso.
Per non parlare delle implicazioni legali della faccenda: sarebbero stati destinati a non poterne fare parola con nessuno, perché registrarsi era fuori discussione e un viaggio ad Azkaban era l’ultimo dei sogni dei ragazzi, soprattutto di James.
Stranamente, però, proprio lui sembrava il più tranquillo.
Non importava cosa comportasse, quando James voleva qualcosa non c’era verso di levargliela dalla testa. Avrebbe lottato fino alla morte per la più stupida delle idee, per la più irraggiungibile, ammesso che lui la ritenesse nobile. Era testardo fino allo sfinimento, ma nessuno era mai morto per estrema caparbietà o almeno non che Peter sapesse. In più era un tipo anche abbastanza convincente e, con un fomentatore di folle come Sirius al suo fianco, non c’era storia. Non c’era verso che Remus rimanesse solo a ogni trasformazione.
L’avevano deciso insieme, una sera piovosa di qualche mese prima.
Peter, invece, si sentì utile e importante.
Era entrato in qualcosa che stentava ancora a credere di poter avere e, sebbene percepisse la paura appendersi alle ossa e rischiare di tirarlo giù, una parte di lui era grata, perché quella era la prova che fosse davvero uno di loro, l’ultima di una serie di conferme che sentiva di dover avere continuamente. Fare qualcosa di bello per qualcuno era una sensazione impagabile e Peter lasciò che questa nascondesse come sotto un tappeto la paura folle di morire o di essere incarcerati, perché era nelle mani di Sirius e James e loro erano fenomenali.
 
***
 
Spero che quando leggerai queste parole sarà tutto finito. Spero che riuscirai a provare sollievo, in qualche modo. Lo spero per te, dico davvero. 
Perché certe cose, anche se ti spezzano l’anima, finiscono in qualche modo per avere una loro funzionalità.
Sono sicuro che avrai appreso i più importanti valori che un essere umano possa seguire e rispettare. C’è chi li comprende solo in punto di morte, ma, vedi, sono pochi quelli che ci riescono in tempo per farsi cambiare.
Io provo un enorme rispetto per quelle persone, lo so perché ho avuto la possibilità di conoscerne qualcuna e mi sono reso conto solo nel punto di morte di un altro che c’era qualcosa di più, oltre alla vista oltre il mio naso.
Spero che lo capirò appieno anch’io quando arriverà il momento, perché non ci sono riuscito quando ero in tempo per cambiare.
Spero con tutto me stesso che, quando leggerai queste parole, ti potrai rendere conto che hai in mano un tesoro, anche se sei circondato da vetri rotti.
Ti chiedo espressamente di non mollare, anche se sei stanco, perché mi fido ciecamente di te e ne ho conosciuto solo un altro col tuo fegato. Altri due, a dire il vero. Mi è sembrato assurdo vedere che c’era rimasto ancora qualcuno con certe qualità, ma loro erano lì, davanti a me, a dimostrarmelo sempre. 
Spero soprattutto che tu non ne abbia già pianti troppi.
E prego, anche dalla terra, che tu non abbia rimpianti.
 



 
Note di Elveloci. Allora volevo solo dire che la scena in cui le ragazze parlano di Marlene e Sirius non vuole accusare nessuna ragazza di essere frivola e leggera nei suoi discorsi. Anche perché i discrosi dei malandrini non mi paiono neanche questo grande pozzo di scienza, quindi, ecco, volevo mettere in chiaro le cose. So che questo capitolo è un po' "sì, ma, boh, perché siamo qui?" solo che senza almeno due di queste cose non si poteva andare avanti, quindi ecco, era anche necessario. Sono una fan sfegatata di Remus che sclera alle partite di James. Non mi chiedete perché, ma è una cosa che non vedo mai nelle fic e mi dispiace, quindi mi sentivo in dovere di contribuire. La mia anima scientifica si sente in dovere di comunicarvi che la "zona dietro i denti" si chiama pavimento orale, ma sarebbe stato ridicolo da scrivere così, però era giusto chiamare le cose col loro nome. INOLTRE, i passaggi per diventare Animagus seguono una guida ufficiale e spero con tutta me stessa che si capiranno bene man mano. La parte finale dovrebbe rendervi chiaro cosa sono queste sporadiche cose in corsivo ;)
Scusate il ritardo e grazie AAAAA tantissimo di aver letto.
A domenica!
Adieu,

El.

   
   
 
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