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Autore: NPC_Stories    27/07/2020    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Il richiamo del bosco


“Partiamo da qualcosa di semplice, che ne dici? Partiamo da O” propose l’anziano elfo dei boschi.
Jaylah sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma non è la prima lettera.”
“Che signorina sveglia! No, non è la prima lettera, ma molte parole elfiche importanti iniziano con la O. Prima fra tutte… O, che significa genitore” pronunciò l’ultima parola nel linguaggio degli umani, perché la bimba potesse capire meglio. “Da questo ne deriva O’su, il padre, e O’si, la madre.”
La piccola mezzadrow rimase molto colpita da quell’excursus di etimologia.
“Ma il mio papà mi ha sempre detto di chiamarlo Va” obiettò.
“Quella è una parola informale che usano i bambini piccoli” Noraemir Erlathan sorrise con indulgenza. “Posso capire come mai Johlariel ti abbia insegnato a chiamarlo così, ma quando sarai più grande lo dovrai chiamare O’Su.”
Attese qualche secondo per accertarsi che Jaylah avesse capito, poi la bambina fece un cenno d’assenso. “Sì ma io sono già grande!”
“Uhm…” l’elfo non voleva essere maleducato, ma non sapeva come esprimere il suo disaccordo. “Per essere un’elfa, sei ancora giovanissima.”
“Sono grande abbass-tanza per dare la pappa alle galline” replicò tutta convinta. L’ex chierico sollevò un sopracciglio a quella parola pronunciata in lingua umana, ma in effetti non c’era una vera parola elfica per galline.
Tuttavia c’era qualcosa di simile.
Rûn’gyrah” rettificò. “Significa uccello che vive sulla terra.”
“Ah come l’uccellino cicciotto che è troppo rotondo pe’ volare!” Esclamò la piccola, orgogliosa di poter contribuire all’espansione della lingua elfica.
“Uuuuhm…” Noraemir era sempre più convinto di essersi andato a impegolare in qualcosa che non comprendeva del tutto. “Magari su questo punto ci torniamo dopo. Ripartiamo dalla O?”
“O. O’Su e O’Si. E poi so dire anche U’osu e I’osu” recitò, ripetendo le parole elfiche per nonno e nonna. “Ieri, quando sono arrivata qui all’inizio, no’ sapevo dire U’osu e allora ho chiamato il nonno Tazandil Vava, perché… è il papà del mio papà… e lui mi ha guardata con una faccia molto brutta e no’ mi ha parlato pe’ tutto il giorno!”
L’elfo dei boschi stava sorbendo un sorso di tisana e per poco non si strozzò. Era molto difficile rimanere serio con quella bambina intorno.
Vava non esiste, come parola” confermò l’anziano precettore. “Tazandil non è molto flessibile.”
“Eh?”
“Voglio dire, Tazandil è molto severo.”
“È un brutto vecchio bargiabanni” s’immusonì la bimba, ma Noraemir non riuscì a capire quella parola in dialetto umano.
“Un cosa?”
Jaylah si sforzò di riformulare la frase in elfico. “Un… uccello che vive di notte, e che vive pure vicino alle case umane; se li umani fanno rumore di giorno il bargiabanni si svellia e fa dei versacci ridicoli, tutto rabbiato. Se una persona è brontolona, tutti le dicono ‘è notte, vecchio bargiabanni!’, che vuol dire che no’ c’è niente da brontolare.”
Noraemir rimase spiazzato per un lungo momento, alla fine si limitò a commentare: “Affascinante.”
“E poi so dire anche Osi’Tan e Os’Tan ma no’ so che differenza c’è” riprese, tornando all’argomento di partenza. “E Os’Nyr, per la zia Mary.”
“Questo è semplice: Os’Tan significa zio, qualunque zio. Va bene anche per lo zio di un tuo genitore o per il marito di tua zia. Osi’Tan invece vuol dire espressamente fratello della madre, è una parola che esprime un dettaglio in più. Puoi chiamare Daren Osi’Tan e lord Fisdril Os’Tan, oppure puoi chiamarli entrambi Os’Tan.”
Jaylah si raccolse in meditazione per un lungo momento.
“O’Si, Osi’Tan… quando c’è una i da qualche parte, c’entra una mamma. E invece O’Su, U’osu… se c’è una u c’entra un papà. Però… se c’è una i e anche una u come in I’osu, mamma del papà, me lo devo ricordare a memoria perché… è troppo difficile” si arrese, guardando l’elfo con aria triste.
Noraemir si rese conto con meraviglia che quello che Jaylah intendeva dire era non ci arrivo con un ragionamento, perché la presenza di caratteri maschili e femminili in una stessa parola la confondeva ed era troppo difficile per lei ricordare la corretta posizione delle lettere, e quindi fare distinzione fra concetti come nonna paterna o nonno materno. Poteva solo imparare a memoria le parole corrispondenti.
Cioè come tutti i bambini.
“Tesoro, nessuno si aspetta che tu comprenda con la logica le parole elfiche in base a come sono costruite. Tutti quanti abbiamo imparato queste parole solo grazie all’uso e alla ripetizione… non ho mai visto una bambina della tua età cercare di comprendere l’etimologia.”
Jaylah lo guardò senza capire. “È un tipo di magia?”
L’anziano scosse la testa.
“No, non importa. Perdona un vecchio sciocco che parla a vanvera.” Le sorrise con benevolenza. “È normale che tu abbia un approccio diverso, l’elfico non è la tua prima lingua.”
“Papà mi parlava sempre in elfico anche ieri quando ero piccola” lo corresse lei.
“Ah… ieri non va bene per esprimere qualsiasi momento nel passato. Ieri si riferisce solo al giorno appena trascorso, prima di andare a riposare.”
La bambina sembrò all’improvviso mortificata di aver sempre usato la parola sbagliata.
“Molti-ieri?” Tentò, speranzosa.
L’elfo rise di nuovo, sempre più affascinato dalla giovane mente della sua allieva.
“La parola giusta è afea. Significa prima di ora o genericamente prima” spiegò, aggiungendo una traduzione in lingua umana.
“Allora è giusto se dico… Amin irma lisserim afea kail’adoe?
“Se stai cercando di dire che vuoi dei dolci prima di andare a letto” tradusse in lingua Comune “hai usato correttamente la parola afea, ma il plurale di lisse è lisser, non lisserim.”
“No. Lisserim. Non solo ‘dei dolci’, ma tantissimi dolci!” Chiarì lei, restando sulla sua posizione.
“Uhm. Allora lo hai detto bene, ma troppi dolci fanno male alla salute, quindi non è una buona idea.”
Jaylah sembrò nuovamente abbattuta da questa scoperta, ma si riprese quasi subito:
“Se ‘tantissimi dolci’ fanno male, allora devo dire a nonno Tazandil di dammeli per punizione!”
Lo disse in tono così convinto ed entusiasta che il vecchio elfo non poté fare a meno di ridere di nuovo.

Daren aveva lasciato la Casa degli Scapoli pronto a ripartire verso la foresta e i suoi doveri, ma prima voleva andare a salutare Jaylah. Quella si rivelò una specie di missione, perché andato alla casa di Tazandil e Hinistel non trovò la veggente né la bambina, e un elfo di passaggio lo informò di aver visto Hinistel dirigersi verso il tempio di Solonor Thelandira. Daren allora andò a cercarla al tempio, ma lì gli dissero che la dama elfa era venuta a pregare per la sua salute e per quella della sua famiglia e poi se n’era andata.
A quel punto cominciò una breve ricerca per ricapitolare gli spostamenti dell’elfa. Il drow era sempre più perplesso, al tempio non avevano fatto menzione di Jaylah, eppure se non era con Hinistel dove mai poteva essere?
Alla fine individuò la madre di Johel in una radura secondaria, mentre calava un secchio in un pozzo per riempire il proprio otre.
“Lascia che ti aiuti” la fermò, avvicinandosi a grandi passi. “Non dovresti affaticarti!”
Hinistel sobbalzò, perché non si era accorta della sua presenza, ma poi gli sorrise con gratitudine. “Apprezzo il tuo intervento, ma non sono un’invalida” scherzò, dandosi una piccola pacca sul ventre. “Potrebbero mancare dei mesi.”
L’elfo scuro afferrò la manovella del pozzo e cominciò a issare il secchio pieno d’acqua.
“Non so nulla dei misteri della gravidanza, ma penso che non dovresti compiere sforzi, non è che contraendo i muscoli poi corri il rischio che… insomma… che nasca qui e ora?”
La veggente rimase senza parole per quell’ipotesi assurda e riuscì a trattenere una risata solo grazie alla sua grande forza di volontà. “Non credo, non per aver sforzato i muscoli delle braccia. Ma vai avanti a descrivere il tuo scenario improbabile, pensi che la bambina potrebbe rimbalzare a terra e cadere nel pozzo?” Lo prese in giro bonariamente, perché in realtà apprezzava la sua preoccupazione.
“Bambina?” Il drow sollevò le sopracciglia, confuso. “Hai usato i tuoi poteri di veggente per scoprire che sarà femmina?”
Hinistel arrossì, perché quello sarebbe stato un modo ben stupido di usare i suoi poteri; per gli elfi, un figlio o una figlia erano un dono ugualmente grande, non esistevano differenze di status fra i generi. “L’ho scoperto per caso” si difese, a mezza voce. “Sono abbastanza sicura che sarà una bimba.”
“E allora, dal momento che porti in grembo la sorellina di Johel, lascia che ti dica una cosa: non so nulla dell’elasticità dei neonati, non so se potrebbe rimbalzare e cadere nel pozzo, ma so che se ti lasciassi muovere un dito quando posso farlo al tuo posto Johel non la prenderebbe bene. Adesso è il mio capo, finché non torna Tazandil” le rammentò, alzando gli occhi al cielo “quindi ha l’autorità per inventare modi astrusi per punirmi. Piuttosto che niente mi farebbe scavare le latrine, quindi no grazie.”
Ormai il secchio era arrivato in cima al pozzo, quindi Daren lo prese e lo poggiò sul muretto perché Hinistel potesse riempire il suo otre e bere.
“Allora ti ringrazio a nome di mio figlio per aver compiuto il tuo dovere civile” affermò lei, con gran solennità. Poi tornò a sorridere. “Immagino che tu stia cercando Jaylah?”

Raggiungere la casa elfica che Hinistel gli aveva indicato fu straordinariamente difficile, perché era considerato maleducazione arrampicarsi sul tronco della casa di qualcun altro senza farsi annunciare, ma la veggente gli aveva rivelato che il nuovo precettore di Jaylah era anziano e un po’ duro d’orecchi e viveva molto in alto su un albero quindi non era nemmeno possibile annunciarsi. Ormai il suo fisico non gli permetteva più di scalare agilmente gli alberi, quindi ogni stanza della sua casa era stata collegata alla rete di ponti sospesi della città, ed era possibile arrivare dal terreno al suo salotto con un largo giro di passerelle in leggera pendenza. Un largo giro non proprio intuitivo.
Ma che diamine, e poi la gente crede che orientarsi nei cunicoli sia difficile? Qui è anche peggio, riesco a vedere i maledetti ponti ma non capisco come si colleghino fra loro…
Il drow stava quasi per gettare la spugna, quando per fortuna sentì la vocetta squillante di Jaylah: “devo dire a nonno Tazandil di dammeli per punizione!”
Il drow si rimise in cammino facendo del suo meglio per orientarsi su quei ponti sospesi, avendo ora ben chiara la sua destinazione.

"Ora che abbiamo ripassato tutte le parole che indicano la parentela, vorrei che tornassimo a O, genitore. Tu di sicuro sai che per indicare il plurale di una parola, cioè per indicare che c'è più di un soggetto, ci sono diversi modi. Uno di questi e aggiungere la lettera r alla fine della parola. Or quindi significa genitori, ma…" l'anziano elfo si chinò verso la bambina con l'aria di volerle rivelare un segreto "Or significa anche bosco. Noi siamo gli Or'Tel'quessir, elfi dei boschi. Capisci cosa significa?"
La piccola mezzadrow era rimasta a bocca spalancata, sentiva che c'era una rivelazione appena oltre la sua comprensione ma non riusciva proprio ad indovinare cosa fosse. Fece un cenno di diniego con la testa sperando che il suo precettore le spiegasse meglio.
Noraemir sorrise con soddisfazione e si appoggiò allo schienale della sedia. "Significa che noi consideriamo il bosco nostro padre e nostra madre. Noi siamo nati dal bosco e viviamo grazie ad esso, vi apparteniamo."
Jaylah spalancò gli occhi per la sorpresa ma allo stesso tempo si fece scettica. "Ma io ho un papà e una mamma. Loro no' sono alberi! E anche il mio papà… lui ha nonno Tazandil e nonna Hinistel. Soltanto mio ratello sembra un albero, ma io mica diventerò così da grande?"
L'anziano precettore in parte si aspettava quell'obiezione, anche se non capì molto bene quel commento sulla persona che sembrava un albero. Decise di catalogarla come una fantasticheria infantile.
"Non intendo dire che ciascuno di noi sia fisicamente nato dal bosco. Noi siamo figli del bosco in senso spirituale."
Jaylah esibì un'espressione ancora più confusa ed era chiaro che stesse per fare una domanda, ma qualcuno li interruppe bussando alla porta.
Noraermir non aspettava nessuno, se non Hinistel che prima o poi sarebbe tornata a prendere Jaylah, ma avevano concordato che la bambina sarebbe rimasta fino a mezzogiorno. Non sapeva cosa aspettarsi, ma a Myth Dyraalis le persone vivevano tranquillamente nella convinzione di essere al sicuro da ogni pericolo, e l’anziano elfo sapeva che chiunque avesse bussato doveva essere un amico.
“Avanti, prego” chiamò ad alta voce, sporgendosi per vedere chi sarebbe entrato dalla porta.
"Mastro Erlathan" annunciò invece una voce da fuori la porta, "sono Daren, lo zio di Jaylah. Vorrei salutare mia nipote prima di andare in pattuglia."
"Zio Daren!" Esclamò la bambina tutta felice, e si lasciò scivolare giù dalla sedia. Scattò di corsa verso la porta, ma altrettanto repentinamente si fermò. "Maestro, posso aprire allo zio?"
"Ho già detto che può entrare" ripeté il vecchio sacerdote con un sorriso. "Non chiedo a nessuno di dichiarare la sua identità e le sue intenzioni" disse ad alta voce, a beneficio del drow.
L'uscio si aprì lentamente, rivelando la figura del guerriero sulla soglia.
"Vi ringrazio, Mastro Erlathan" cominciò Daren, ma venne interrotto da un'entusiasta Jaylah che gli si lanciò addosso abbracciandolo alla vita.
"Zio! C'è anche papà?" Chiese subito, tutta agitata.
Daren si adombrò per un attimo, perché purtroppo avrebbe dovuto dare una brutta notizia alla nipotina.
"No, cucciola. Tuo padre sta proteggendo la foresta finché nonno Tazandil non torna. So che vorrebbe venire a trovarti, ma tante cose dipendono da lui in questo momento."
Jaylah prevedibilmente ci rimase male.
"Oh" abbassò gli occhi, ma senza sciogliere Daren dall'abbraccio. "Mi diss-piace. Puoi dare tu un abbraccio al mio papà e dire che è da parte mia?"
Nemmeno se mi ammazzi a colpi di fichi molli, stava per rispondere, ma si morse la lingua perché la bambina sembrava davvero delusa.
"Se proprio ci tieni… anche Johel ti manda un abbraccio, anzi mi ha detto di abbracciarti due volte: una per lui e una per me."
Si piegò su un ginocchio per essere all'altezza della nipotina e la strinse fra le braccia, non troppo forte perché indossava già l'armatura di cuoio.
"Ma zio" boccheggiò Jaylah "tu no' mi abbracci mai".
Era vero. Il drow la prendeva in braccio di frequente, questo sì, e spesso riusciva a dissimulare un abbraccio con la scusa di doverla trasportare, ma non la stringeva mai in un gesto d'affetto fine a se stesso.
"È vero, ma tuo padre me l'ha ordinato. Adesso lui è il mio capo al posto di nonno Tazandil, quindi se mi dà un ordine devo obbedire."
Jaylah rimase a bocca aperta, di nuovo.
"Ma se ti dice di saltare, devi saltare?"
"Come un grig." Raccontò, anche se non era proprio così. Johel non era così pazzo da dargli ordini inutili. Sapeva che il suo ruolo di comando ad interim non sarebbe durato per sempre, e che alla fine avrebbero fatto i conti.
La piccola invece non poteva capire quelle sfumature.
"Ora sono la figlia del tuo capo" affermo con un grande sorriso, districandosi dall'abbraccio. "Devi fare anche tutto quello che dico io?"
"Sei la figlia di mia sorella, quindi eri già la figlia del mio capo anche prima" scherzò Daren. "Non prendo ordini da te, mocciosetta! Sei tu che devi obbedire agli adulti, devi fare quello che ti dice nonna Hinistel… devi fare la brava bambina."
"Sono moltissimo brava" rispose Jaylah con la sua grammatica elfica ancora zoppicante, ma con una certa alterigia. "Chiedi a Maestro Nomimí, che io ss-to imparando bene l'elfico così poi nonno Tazandil è contento. Li scriverò una lettera! Li dirò tante cose con le parole giuss-te."
Daren abbracciò una seconda volta la bambina, come aveva promesso di fare, poi si alzò tenendola tra le braccia e si avvicinò all'anziano elfo.
"Vi ringrazio per quello che state facendo per mia nipote" cominciò, non sapendo bene come intavolare un discorso delicato.
"È un piacere e un privilegio. Questa ragazzina è intelligente e possiede una certa intuizione, in certe cose la definirei precoce. È chiaro che ha delle lacune per quanto riguarda la cultura di suo padre ed è indietro con la padronanza della lingua rispetto ai suoi coetanei, ma mi sembra perfettamente in grado di recuperare. I timori di lady Hinistel sono infondati, secondo la mia opinione."
Il drow sbatté le palpebre un paio di volte. "I timori?"
"Che la bambina potesse essere predisposta ad uno sviluppo più lento rispetto al normale." Lo disse in tono completamente tranquillo, privo di giudizio. Gli elfi potevano necessitare di molti anni per svilupparsi e nessuno si preoccupava se un bambino aveva bisogno dei suoi tempi. L'importante era capirlo.
"Mia sorella ha avuto molti figli e ognuno di loro ha avuto i suoi tempi" Daren si strinse nelle spalle, per nulla preoccupato. "Naturalmente un elfo si svilupperà più lentamente di un mezzumano, ma anche fra i suoi figli di razza elfica si sono evidenziate delle differenze. Non mi stupirebbe se Jaylah mostrasse più talento in certi ambiti e più difficoltà in altri. Per quanto io voglia bene a mia sorella e a Johlariel, nessuno dei due ha esattamente la stoffa dell'arcimago" sollevò entrambe le sopracciglia con espressione eloquente "se capite che intendo."
"Siete senza pietà!" Il vecchio sacerdote si fece una risata.
"Non sto dicendo che manchino in qualcosa" specificò Daren con un sorriso di scuse. "Solo che le mie aspettative per Jaylah sono nella media, e le ritengo ragionevoli. In effetti non desidero nulla più che una vita normale e felice per lei."
"Credo che abbiate un'idea un po' viziata di cosa sia la media" ribatté l'elfo dei boschi, per nulla scomposto. "Ma il vostro desiderio è comprensibile."
"Sapevo che avreste capito, perché avete esperienza con le persone e mi hanno detto che per anni la vostra saggezza ha dato un contributo alla società" cominciò il drow, felice di aver trovato un modo per introdurre un argomento spinoso. "A proposito di vita normale: in questo momento non posso spiegarvene il motivo, ma è desiderio di Johlariel e di mia sorella che la piccola Jaylah non venga accostata al concetto di religione, almeno per ora. Vogliono che da grande sia libera di scegliere."
Mastro Erlathan rimase un po' sorpreso da quella strana richiesta.
"Mi è stato chiesto di insegnare alla bambina la nostra cultura, e la religione fa parte di quella cultura. Non è mai stata mia intenzione indottrinarla, ma so che i nostri déi l'accoglierebbero."
"Non sto mettendo in discussione la vostra buona fede o quella dei vostri dèi" rispose, anche se non era così sicuro su quest'ultima affermazione. "Ma purtroppo la bambina condivide la sventura della mia famiglia: una volta accesa la fede in un dio, diciamo che ci è quasi impossibile cambiare idea. Neppure mia sorella le ha mai parlato della dea della Natura, in cui ripone tanta fiducia e amore. I genitori di Jaylah vogliono che la bambina rimanga al riparo da certe questioni finché non avrà l'età per scegliere" ripeté, senza cedere di un palmo.
Noraemir un tempo era stato il sacerdote responsabile del tempio di Solonor Theladira, e forse a quel tempo avrebbe insistito. Adesso era molto più vecchio, più saggio, e soprattutto aveva smesso la tonaca clericale per vestire i panni del precettore. Se quella era la volontà dei genitori l'avrebbe rispettata.
"Se ciò che dite è vero, perdonate la curiosità di un vecchio dalla mente ormai debole, voi come avete fatto a sfuggire alla fede nella crudele dea del vostro popolo?"
Era una domanda niente affatto da vecchio dalla mente debole, ma Daren sorrise apprezzando quell'ultima difesa dialettica di un vecchio prete fiero della sua professione.
"Non è stato necessario, non mi ero mai avvicinato a quella dea, non con il cuore. In quanto maschio di scarsa posizione sociale, mi era chiesto solo di mostrare una fede di facciata e stare al mio posto nei confronti delle femmine."
"Quello è il mio poss-to" interloquí Jaylah, che come al solito ascoltava solo una frase ogni tanto, quando parlavano gli adulti. Stava puntando il ditino verso la sedia che aveva occupato fino a poco prima. "È il mio poss-to perché c'è sopra un cuscino. Sono troppo bassa pe' ss-tare seduta bene al tavolo." Confessò con aria un po' mogia.
"Tesoro, sei mezza drow" Daren la riappoggiò sulla sua sedia munita di cuscino. "Sarà meglio che ti abitui ad essere bassa."

"C'è un limite a quello che posso sperimentare in città. Posso assicurarti che in settantacinque anni di vita ho esplorato questo posto da cima a fondo, mamma, conosco Myth Dyraalis come il palmo della mia mano, so esattamente quali alberi vi crescono e quali muschi crescono su quegli alberi. Potrei dare un nome ad ogni ago di conifera."
"Benissimo, allora fallo" invitò Amyl, senza cedere di un passo davanti alle richieste del figlio.
"Ma mamma!"
"Ma mamma niente. L'ultima volta che sei uscito dalla città sei quasi morto. Fintanto che le forze dei ranger sono ridotte al minimo, tu non te ne andrai a zonzo a giocare al piccolo druido esploratore in mezzo ai mostri. Nelle ultime settimane sono stati avvistati troll e hobgoblin."
"Solo un gruppetto di hobgoblin, e sono stati tutti uccisi o messi in fuga. Mamma, non puoi tenermi qui dentro per sempre."
"Non uscirai senza essere scortato e nessuno ora può dirsi disponibile a scortarti. Santo cielo Navar, hai sentito Raerlan. Sei destinato a vivere una vita molto lunga, fammi il sacrosanto piacere di esercitare la pazienza!"
"Anche tu hai sentito Raerlan e dovresti sapere che la pazienza non si sposa bene con il sangue fatato."
"Per questo ti ho suggerito di fare uno sforzo" Amyl rispose con un sorriso angelico. "Aspetta che tornino i ranger e poi chiederò a qualcuno di scortarti dove vuoi, ti concederò un'uscita di un intero ciclo di luna. Che ne dici?"
"Dico che ho settantacinque anni e sono quasi un adulto, non ho bisogno che mia madre mi faccia concessioni" si adombrò lui.
Amyl prese un profondo respiro, per un momento fu quasi sopraffatta dallo sconforto e la sua mente scartò fuori dal suo controllo verso ricordi lontani. Le tornarono in mente flash del passato, della sua giovinezza di emozioni assolute, ricordò il desiderio bruciante che aveva di concepire un bambino. Sul momento non capì il perché di quei ricordi involontari ma fu inevitabile chiedersi: Perché volevo così tanto un figlio? L'adolescenza è un tale incubo!
Sapeva che quello non era un pensiero serio, ma si scoprì comunque a guardare Navar con una punta di senso di colpa. Altri ricordi le salirono alla mente, di quando Navar era bambino, sempre pronto a sgattaiolare fuori dal suo controllo, sempre infilato in qualche tana di animale o sul fondo del pozzo a cercare tesori. Era sempre stato un piccolo esploratore, ribelle, incontenibile. Adesso non era diverso, era solo più grande e più in diritto di pretendere la libertà.
"Non intendo tenerti alla catena per sempre" sospirò infine, stanca di quella discussione. "Non potrei farlo e comunque non sarebbe giusto. Ma cerca di capire che tu sei la persona più importante della mia vita. Non sai come mi sono sentita quando sei tornato a casa ferito e ho saputo che avevi rischiato la vita. Ti sto chiedendo solo di aspettare qualche mese fino al ritorno dei nostri ranger, puoi sopportare un po' di noia se l'alternativa è far morire di preoccupazione tua madre?"
"Oh, mamma! È un ricatto morale" insistette lui, incrociando le braccia tutto imbronciato.
"D'accordo allora" la locandiera decise di giocarsi il tutto per tutto. "Se ci tieni tanto a uscire dalla città vuol dire che verrò con te."
Navar rimase a bocca aperta, preso in contropiede da quella svolta negli eventi. "Ma non puoi!"
"Ah non posso?" Amyl inarcò un sopracciglio.
"Mamma, con tutto il dovuto rispetto, sei una cameriera! Cosa pensi di fare se incontrassimo un mostro, offrirgli una camomilla?"
"E tu invece che cosa potresti fare se incontrassi un mostro?"
Navar non aveva una risposta. Credeva, per se stesso, che la buona fortuna l'avrebbe protetto. Certo non avrebbe potuto fare nulla contro un mostro o un hobgoblin o un troll, era soltanto un apprendista druido, ma gli veniva naturale allontanare la preoccupazione con una scrollata di spalle pensando che tanto era improbabile che succedesse. Se si trattava però di immaginarsi a esplorare la foresta insieme a sua madre, perfetta cittadina inerme incapace di sollevare un'arma più pesante di un coltello da cucina, improvvisamente tutta quella fiducia nella fortuna cominciava a venire meno.
"Oh. Ooooh. Adesso capisco." Il giovane elfo si massaggiò le tempie con le mani, capendo finalmente il trucchetto di Amaryll. "Mi hai costretto a vedere le cose dal tuo punto di vista. Molto arguta."
L'elfa sorrise, perché ormai sapeva di avere vinto. Il figlio aveva compreso la sua preoccupazione, il fatto che avesse radici nell'amore.
"Solo finché non tornano i ranger, tesoro" gli ripeté per l'ennesima volta. "Nel frattempo ti consiglio di goderti le tue ultime settimane da giovanotto libero. Vai a trovare gli amici, sperimenta con qualche ragazza, fai cena con i dolci della colazione, puoi perfino fare scherzi alla gente se ne hai voglia. Quando potrai di nuovo uscire dalla città mi aspetto che tu ti dedichi con tutta l'anima ai tuoi studi da druido, e non avrai più tempo per i giochi infantili."
Il ragazzo sorrise, accettando quel compromesso. Non vedeva l'ora di tornare a dedicarsi ai suoi studi, ma la proposta di sua madre non era così male, un po' di caro vecchio ozio condito di divertimento era l'ideale per sopportare quella lunga prigionia in città.

Navar andò in camera sua a prendere il suo blocco di fogli di carta. La carta prodotta dagli elfi era un supporto simile alla pergamena degli umani, ma molto più fragile perché veniva ricavata intrecciando fibre vegetali. I fogli di carta non avevano la stessa durata delle pergamene, e verrebbe da pensare che il lavoro necessario per produrli in fin dei conti non valesse la pena, ma gli elfi non avevano a disposizione molti animali dalle cui pelli si potessero ricavare pergamene. Per abitudine gli elfi dei boschi non praticavano l'allevamento, se mangiavano carne era solo a seguito della caccia, ed era più frequente che trovassero conigli o volatili piuttosto che cervi o daini, e men che meno capre, che vivevano allo stato brado solo in alto sulle montagne dove la foresta lasciava il posto a prati e sterpaglie. Per questa ragione usavano soprattutto surrogati della pergamena di origine vegetale, e anche se la loro resistenza e durata erano inferiori andavano benissimo se lo scopo era farne un album per degli schizzi e appunti. Navar aveva un discreto talento per il disegno e nel tempo aveva collezionato riproduzioni di fiori, pigne, dettagli di corteccia, tutto quello che potesse aiutarlo a memorizzare le differenze fra le varie specie di conifere della foresta, che magari un profano (come ad esempio Daren) avrebbe trovato quasi identiche fra loro.
Questa volta il suo quaderno degli schizzi gli sarebbe servito per una pratica più dilettevole, ritrarre persone o animali o qualunque cosa gli capitasse a tiro. Magari avrebbe disegnato anche qualche caricatura.
Recuperò dalla sua scrivania il blocco di fogli tenuti insieme da lacci di fortuna, prese anche alcuni carbonici e buttò tutto nella sua borsa a tracolla. Scese le scale rapidamente per uscire all'aperto e sfruttare al meglio il poco tempo che gli restava prima del pranzo del mezzogiorno. Forse avrebbe anche potuto saltare il pranzo visto che non prevedeva di fare esercizio fisico e di sprecare energie. Sì, magari sarebbe semplicemente rimasto all'esterno fino al calare della notte; sua madre non si sarebbe preoccupata, fintanto che fosse rimasto nella città protetta.
Arrivato al pianterreno spalancò con foga la porta della locanda, trovandosi davanti un elfo che stava per bussare.
Per qualche istante, nessuno dei due disse nulla.
"Ehm… buongiorno. Tu sei il cugino di mia madre, vero?" Domandò, per rompere l'imbarazzo.
L'elfo dai lunghi capelli neri rimase ancora per un momento con il pugno sollevato, quasi nell'atto di bussare, poi abbassò il braccio.
"Uh, sì. È qui per caso?"
"È qui, non per caso. Sta per iniziare il suo turno. Devo dirle che la stai cercando? O vuoi parlarle direttamente?"
Navar non aveva avuto ancora modo di stringere conoscenza con questo particolare cugino, ma l'aveva visto un paio di volte e gli era sembrato un tipo dalla parlantina spigliata, anche troppo, uno che era più difficile da far star zitto che da far parlare. Eppure in quel momento aprì e richiuse la bocca come un pesce rosso.
"No, se sta per mettersi al lavoro non la disturberò. Tornerò più tardi. O magari domattina." A Navar sembrava tanto che stesse cercando una scusa per andarsene. "Ehm, arrivederci… Navar?"
Il biondino annuì, un po' perplesso, incapace di riportare alla mente il nome di quel parente; avrebbe voluto ricambiare almeno la cortesia di mostrare di averlo riconosciuto. L'elfo però girò i tacchi e se ne andò prima che potesse dire altro.

           

   
 
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