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Autore: SnidgetCielo    28/07/2020    0 recensioni
La cosa migliore, era che Sirius Black era stato un cinico sin da quando avesse memoria.
Tutti gli avevano sempre chiesto di credere in qualcosa.
Famiglia.
Purezza.
Onore.
Sé stesso.
Ma non aveva mai permesso a sé stesso di credere in nulla di tutto questo.
La cosa peggiore, è che ci fu un momento in cui Sirius Black credette davvero in qualcosa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartemius Crouch senior, Marlene McKinnon, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa flashfic si riferisce alla mia ff "The Best of Youth", che vi lascio in link.
Liberamente ispirata a "Tyrion Lannister: Hand of the Queen", di TheGaroStudios, ancora una volta in link


Un processo
 

 

Sirius intrappolò lo scarafaggio che fissava da mezz’ora tra l’indice e il polpastrello. 
Aveva passato ormai tre notti a condividere il pavimento di terra e paglia e feci con quei piccoli animali. 
Remus trasalì quando lo vide seduto all’angolo, sotto la piccola finestra sbarrata della sua cella, le braccia appoggiate alle ginocchia, la barba che aveva cominciato a crescere incauta e nera sul viso spigoloso e che, fino a quel momento, era sempre stato ben rasato.
Era venuto a dirgli addio; lo sapeva bene. Forse era venuto per ucciderlo; questo, Sirius, un po' lo sperava.
Certamente, il motivo di quella visita non era chiaro a nessuna delle due figure sedute nella penombra di quella cella, ma non importava.
L’evidenza delle cose esponeva a scapito di Sirius Black, e niente avrebbe potuto cambiare quello che era un processo già scritto. La prima udienza portava già con sé la sentenza.
Forse Remus era venuto ad augurargli un buon viaggio di sola andata per l’inferno. In effetti - se egli fosse stato convinto della colpevolezza di Sirius Black - il suo desiderio di vendetta sarebbe stato maggiormente appagato dal saperlo in balìa dei Dissennatori, piuttosto che da una morte rapida come quella che aveva riservato ai loro amici.
Era un ragazzo sveglio, Remus: lo era sempre stato.
Questo, pensò Sirius, sì, questo forse avrebbe spiegato perché quel licantropo dalla faccia smunta se ne stesse lì, zitto, a fissarlo, da quando aveva visto la sua ombra scagliarsi sui mattoni della cella.
«Ti ricordi quando Ramoso faceva quella cosa al lago?»
La sua voce, stranamente squillante, riecheggiò nella cella, mentre alzava la testa al suo visitatore.
Remus alzò di poco il viso verso di lui, con fare sorpreso. La sua bocca si distese in un sorriso.
«Rimaneva a due piedi dalla riva e cominciava a girarsi intorno, con quei ridicoli zoccoletti, spruzzando acqua da tutte le parti e nitrendo come una puledra in calore»
Remus emise un stridulo verso, muovendo le braccia con i pugni chiusi, avanti e indietro.
Il sorriso di Sirius lo seguì nell’imitazione, interrompendosi di scatto.
«Mi sono sempre chiesto perché lo facesse»
Il ragazzo non sorrideva più.
In un attimo, sembro ricordarsi che non avrebbe mai più visto James esibirsi in quella curiosa danza sul lago.
«Che cosa ne pensi?» gli chiese Sirius, rialzando il viso verso di lui.
Lasciò lo scarafaggio per terra.
«Perché lo faceva?»

 

*

La luce era insopportabile, dopo aver vissuto nell’ombra.
Quando lo prelevarono per portarlo davanti alla Giustizia Magica, indossava ancora gli stessi vestiti di quella notte di Halloween.
Gli era stato concesso un tozzo di pane ogni due giorni, e una ciotola d’acqua al giorno. 
D’altronde, aveva pensato, era l’unico trattamento che meritava un traditore. 
Non aveva neanche finito il suo pane.
Non sapeva spiegarsi dove avesse trovato la forza per alzarsi e camminare a testa alta di fronte all’aula gremita di Maghi impettiti, tronfi porci insaccati nelle loro lunghe e splendenti tuniche, nei cappelli lunghi e scuri che compensavano le loro figure piccole e anonime.

Loro, difesi dalle loro poltrone dorate, che niente sapevano di cos’era la guerra che infestava le strade fuori da quel palazzo di scartoffie e accordi.
Loro che niente avevano potuto, contro il dilagare dell’ombra che era cresciuta persino in quell'edificio di ipocrita burocrazia, e che era arrivata ad annebbiare anche le loro stesse menti.
Bartemius Crouch, il Ministro del Porcile, si era alzato in piedi, e troneggiava la sala, di fronte a lui.
«Sirius Black, vuoi confessare i tuoi crimini?» 
Il suo nome era riecheggiato verso l’enorme ovale di vetro al centro del soffitto. Sirius non era mai stato bravo a nascondere il sorriso, tanto quanto non lo era mai stato a nascondere il suo nome.

Il suo nome, il suo più grande onore.
La sua più grande maledizione.


Il volto di sua madre era così vicino che gli parve di poterlo sfiorare alzano una mano. Urlava e inveiva contro di lui, sangue del suo sangue, mentre si aggrappava con le lunghe unghie sulle pareti.
“Maligna creatura malsana”: così lo appellava, negli ultimi tempi. Aveva appena compiuto sedici anni.


«Confessare, dice?» aveva sospirato, ancora col sorriso stampato in faccia. 
Crouch gli serbò uno sguardo di evidente disprezzo.
«Confessa l’omicidio di Peter Minus e di 12 Babbani con un Incanto Esplosivo la notte del 31 ottobre 1981?»

 

«Sei un abominio, pieno di invidia, lussuria e stupidità» gli aveva urlato, mentre Orion Black era rimasto seduto, nella poltrona che prima di lui era appartenuta a suo padre. 


Tronfio, come lo erano tutti quei “giudici”, quella mattina di metà autunno.

La cosa migliore, era che Sirius Black era stato un cinico sin da quando avesse memoria.
Tutti gli avevano sempre chiesto di credere in qualcosa.

Famiglia.
Purezza.
Onore.
Sé stesso.

Ma non aveva mai permesso a sé stesso di credere in nulla di tutto questo.

«Si, signor Giudice, voglio confessare»

Ai tempi della scuola, aveva potuto credere in James. In Remus e Peter. Si era ricordato come fosse avere dei fratelli. 
Aveva creduto nelle notti di luna piena che sembrava non avrebbero mai conosciuto il calore dell’alba.
Per la prima volta in vita sua, Sirius sentiva di appartenere a qualcosa. 
Aveva tenuto stretto quel momento, lo aveva custodito gelosamente dietro ad uno scudo di distaccata superficialità e  
apparente freddezza, e non aveva permesso a nessuno di avvicinarsi a quel suo attimo eterno.

Ma una parte di lui sapeva che non sarebbe durata per sempre. La scuola sarebbe finita, e lui non avrebbe più potuto credere in loro. Sapeva che qualcosa si sarebbe rotto dall’interno, per sempre e inesorabilmente. La vita sarebbe proseguita solitaria per lui, e avrebbe dovuto dire addio al mondo che conosceva e che per sette anni gli aveva permesso di assaporare un briciolo di quella serenità che sin da piccolo gli era stata negata.
Si convinse che non avrebbe più creduto neanche in James Potter, quando lo vide baciare Lily Evans sotto il portico di Zonko. 

La cosa peggiore, è che ci fu un momento in cui Sirius Black credette davvero in qualcosa.

Aveva cercato di allontanare la sua figura per molto tempo, qualcosa di troppo diverso per essere accettato, troppo bello per essere vero. Ma più la scacciava, più i suoi occhi scuri e caldi sembravano vicini. 

Tutta l’Aula era esplosa in un brusio incomprensibile, sordo e supponente come gli occhi di Bartemius Crouch.
«Sono colpevole di essere un Black» aveva aggiunto Sirius, socchiudendo le iridi di ghiaccio sul piccolo uomo che lo sovrastava, con il coraggio che solo i disperati possono scoprire di avere.
«Sono processato per questo da tutta la vita» 

Aveva creduto in lei più di quanto avesse mai potuto credere in James.
Aveva creduto in lei più di quanto non avesse mai creduto che l’unica scelta sensata era quella di non credere.
Aveva creduto in lei quando l’aveva guardata cadere dai gradini della Sala Grande, dopo l’assegnazione del Cappello Parlante alla sua stessa Casa, e l’aveva aiutata a rialzarla.
Aveva creduto in lei quando la vide arrossire dalla rabbia dopo che aveva provato l’incantesimo del Fuoco sul suo libro di Rune Antiche. 


«Vorrei tanto» aveva urlato, aveva urlato all’interno di quell’aula senza giustizia, all'interno di un teatrino politico di cui figurava al contempo come attore principale e ospite disatteso, vittima e carnefice.
«Vorrei tanto essere il mostro che pensate io sia»

Aveva creduto in lei quando ascoltava le sue amiche che parlottavano su come avesse pianto sotto le lenzuola, per tutta la notte, per colpa sua - solo colpa sua.
Aveva creduto in lei anche quando si era innamorata di suo fratello - quando lui aveva capito che avrebbe pianto per un altro Black, di lì, in avanti.


«Avremmo dovuto lasciare che Voldemort si prendesse le vostre inutili vite tempo fa!»
«Portatelo via!» urlò Melinda Jorkins, alzandosi in piedi. 
Ma Sirius Black vide Barty Crouch tremare, immobilizzato nel suo piedistallo di carta, mentre inveiva contro di lui.

Aveva creduto in lei quando era tornata, coi capelli più corti dei suoi, e una ferita mortale sul ventre, dopo essere scampata per miracolo da quella notte di sangue e di terrore.
E quando l’aveva vista nuda la prima volta, e aveva baciato quella cicatrice lunga e profonda sotto al suo ombelico. Quel segno indelebile di un odio che l’aveva marchiata col fuoco.


«Sono colpevole! È questo che volete sentirvi dire? Sono colpevole di essere la persona ideale da togliere di mezzo, in questo momento. Non ho ucciso Peter Minus, ma avrei tanto voluto farlo!» 


«Tu non sei mi figlio!» urlava Walburga Black, con gli occhi inietati di sangue e i boccoli neri che scappavano dalla crocchia austera.
«Tu non sei mio figlio!»
Sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che vedeva sua madre.
Forse, pensò, non volle negarle un ultimo, amaro sorriso, mentre girava per l’ultima volta il pomello d’ottone del portone 12 di Grimmauld Place; né un'ultima lacrima, che arrivò a bagnargli l'iride, ma non riuscì mai a scendere dal suo occhio.
«Sono sempre stato tuo figlio»


Sirius sentiva le sue corde vocali tendersi, e gocce di sputo che gli uscivano dalle labbra.
«Vorrei tanto, vorrei tanto averlo fatto! Vorrei tanto avervi visto esplodere al posto di quei Babbani, quella sera!»

Credeva in lei ogni volta che si urlavano contro bestemmie e insulti, e andavano al turno di ronda in silenzio.
Muti, ad ascoltare l’uno i pensieri dell’altra.

Quando, per sfuggire a dei Mangiamorte, si erano buttati da un dirupo, ed erano atterrati sul letto di un fiume. Quando, da una grotta bagnata dalla stessa acqua fredda su cui erano precipitai, era uscito un Gallese Verde, e in tutta la sua magnificenza li aveva fiutati come fa un lupo con la sua preda. Quando lei gli aveva ordinato di rimanere giù, in silenzio, dietro il suo corpo, ed era rimasta ferma di fronte a quel gigante di fuoco fatto carne, e si era inchinata, abbassando la nuca. Quando quel drago si era avvicinata a lei digrignando i denti d’argento e sbuffando vapore caldo, e aveva cercato la sua mano con le narici grosse come due Bolidi.

Aveva creduto che Marlene potesse salvarlo dal sincero scetticismo che Sirius Black aveva provato per tutta la vita. Aveva creduto che la guerra sarebbe finita, e se ne sarebbero andati lontani, in un posto meno freddo e meno bagnato dell’unico che avevano conosciuto.
Aveva creduto che Marlene avrebbe avuto dei bambini, nonostante il veleno della lama che, quella notte, l'aveva privata per sempre di quel sogno. Aveva creduto che quei bambini sarebbero stati suoi.

Ma Marlene era morta, una notte d’estate, in mezzo alla strada, mentre si trascinava fuori da casa sua, e il sangue scivolava via dal suo corpo in maniera irrefrenabile; più velocemente di quanto Sirius potesse fare per fermarlo. E Sirius Black aveva urlato, aveva pianto e maledetto chi aveva voluto per lui che venisse al mondo. Ma Marlene rimaneva morta.


E così erano morti i suoi amici. E così stava morendo lui, mentre il brusio si trasformava in chiacchera, e la chiacchera in urla, mentre continuava a bestemmiare contro il Wizengamot, in un processo che non c era e ci sarebbe mai stato.
Bartemius Crouch trovò appena il coraggio di tendere la mano sudata verso il martello, e colpire nervosamente due volte sulla tavola di legno che aveva davanti, mentre la Corte funesta impazzava contro Sirius Black il traditore.
«La dichiaro.. c-colpevole dell’om-omicidio di Peter Minus e dei dodici Babbani…»
Sirius continuava a sorridere, ardente e folle di fronte all’Inferno che aveva scatenato nell’aula. Due Auror lo scortarono di nuovo nella sua cella, in attesa dell’ultimo viaggio della sua vita.

 

*

«Perché lo faceva, secondo te?» chiese una seconda volta a Remus.
Il licantropo lo guardò ancora una volta. I piccoli occhi castani sembrarono sparire quando si socchiusero sulla figura del carcerato.
«Non lo so» rispose; alzò gli occhi verso la finestra sopra di loro, e così fece anche Sirius.
Per un attimo, gli sembrò di sentire il rumore dell’acqua, e vedere le corna ramose di un cervo tagliare la luna d’argento del cielo notturno.

   
 
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