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Autore: EleWar    28/07/2020    11 recensioni
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione. Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto. Indossava ancora il vestito da sposa.
Non c'è mai pace per i nostri due sweeper tanto amati, cosa succederà in questa mia nuova fic? ;-)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Ed eccoci al number 8 e scusate il leggero ritardo (se n’era accorto nessuno? :D )
Questo è un capitoletto, mi rendo conto, forse un po’ cortino… ma suddividendo la storia mi sono accorta che questo doveva stare da solo (e nel frattempo anziché 10 in totale, sono arrivati a 12).
In ogni caso, spero che vi piaccia anche questo.
Io nel frattempo vi ringrazio per le bellissime rec che mi avete lasciato finora, e perché leggete tanto, anche in ‘silenzioso’ … quindi GRAZIE
Vi lovvo
Eleonora






Cap. 8 Un amore rimandato
 
 
 
In quello stesso momento, nell’appartamento in cui fino a poco tempo prima viveva anche Kaori, era arrivato Mick alla spicciolata, dopo la telefonata di Ryo.
Al telefono lo sweeper era stato breve e conciso, annunciando un’eventualità che era diventata ormai quasi la regola:
 
“Hanno rapito Kaori, ho bisogno del tuo aiuto.”
 
“Arrivo” era stata la risposta altrettanto laconica dell’americano.
Egli sapeva di non dover  perdere tempo al telefono con inutili domande, perché una volta che si fossero confrontati di persona, avrebbero discusso del caso, studiato un piano e, di conseguenza, agito.
 
Appena si furono accomodati sull’ampio divano, Ryo espose la situazione all’amico, che finì per sbuffare con:
 
“Questa non ci voleva!”
 
Perché anche se Mick aveva fatto di tutto per convincere quel testone del suo amico a non lasciarsi sfuggire la sua socia di cui, lo sapeva, era innamorato perso, alla fine aveva dovuto ammettere che, sposando Akira, Kaori si sarebbe allontanata dal pericolo, esaudendo il più grande desiderio di Ryo di saperla in salvo.
Ma Mick, a dispetto della razionalità del ragionamento, non era pronto a perdere la sua Kaori, colei che lo aveva fatto innamorare seriamente e per la prima volta; colei che lo aveva salvato da sé stesso su quella maledetta nave di Kaibara quando, in preda alla potente droga Polvere degli Angeli, stava per ucciderla insieme a Ryo.
No, le doveva tanto, troppo, per pensare di doverle dire addio, e se anche aveva rinunciato a lei come amante, aveva bisogno della sua presenza, della sua amicizia.
 
“Già” aveva risposto Ryo, strappando l’amico dai suoi pensieri; poi aveva proseguito dicendo:
 
“Però ho un sospetto. Io credo che il mandante del rapimento sia quell’ex-fidanzata di Akira, quella… aspetta, come aveva detto che si chiamava? Ah, sì, Fujiko. Perché pensaci: stanno insieme quanto… due anni? Tengono segreta la loro relazione, a causa del lavoro di lei, e mi chiedo che razza di mestiere possa mai fare! Forse la sweeper anche lei?” e gli venne da ridere amaramente, ma poi riprese il suo ragionamento:
 
“Si lasciano e, non molto tempo dopo, lui annuncia il fidanzamento, nonché il matrimonio, con una donna saltata fuori dal nulla, una perfetta sconosciuta. Mettici che Akira è ricco sfondato, forse Fujiko è voluta tornare alla carica ingolosita dai soldi che non potrà più avere, visto che non stanno più insieme, quindi, se è impossibile un ritorno di fiamma, perché non chiedere un riscatto miliardario per rifarsi dello smacco subìto?”
 
“Come ragionamento non fa una piega. E cosa dovrei fare io?”
 
“Dovresti mettere sotto controllo i telefoni di Akira e indagare discretamente sull’identità di questa fantomatica Fujiko. Potrebbe essere una donna che risiede negli Stati Uniti, dove Murakami ha i suoi affari; per quanto possano aver tenuto segreto il loro rapporto, credo che qualcuno sapesse, che qualche traccia l’abbiano lasciata anche loro. Tu hai ancora degli agganci oltreoceano, giusto?”
 
“Of course! Ok, mi muovo subito. E Tu? Tu che farai?”
 
“Vorrei restare qui ancora un altro po’, nel caso Kaori riesca a contattarmi, poi mi metterò a pedinare Akira per vedere se nasconde qualcosa, anche se sembra essere pulito. Però, magari, scopro se c’è qualcuno che lo tiene d’occhio; agirò nell’ombra, come sempre.”
 
“No, io intendevo cosa farai quando troverai Kaori. La riporterai a casa con te?”
 
“No-non lo so… o comunque non credo” rispose Ryo, confuso e sorpreso dalla domanda dell’amico.
Perché finché si parlava di lavoro, di pianificare l’azione, era sicuro di sé, freddo e concentrato… ma ora, quella domanda lo riportava al punto di partenza, e lo destabilizzava.
 
“Amico…” riprese Mick ammorbidendo il tono “…ancora nulla è perduto. Lei non si è ancora sposata, è qui in Giappone, e aspetta te! E non aspetta solo che tu vada a liberarla, ma che le dica finalmente che la ami! E se proprio non riesci a dirglielo, faglielo capire, trova il modo! Non lasciare che il tuo stupido orgoglio rovini tutto… per sempre” e dopo una pausa: “Ti prego!”
 
Quell’appello accorato lo scosse profondamente, molto di più di tutte le volte che lo aveva insultato per farlo reagire, e fulmineo gli attraversò la mente quello che gli aveva detto Akira a proposito della sua relazione con quella donna: che non gli aveva mai detto ti amo, e alla fine lui si era stancato anche di quello.
Possibile?
Possibile fosse così importante dirlo?
E lui, ci sarebbe mai riuscito?
Però forse aveva ragione Mick, doveva almeno farglielo capire, doveva convincere Kaori che lui l’amava; a modo suo, ma l’amava.
Profondamente.
 
Perché, da che era iniziata quella storia, lui si era sentito ferito nell’orgoglio quando lei l’aveva presentato solo come “partner di lavoro”, anche se alla fin fine, questa era la verità.
Si era comportato come un bambino capriccioso che non sapeva bene cosa voleva: un attimo prima era convinto che, per il bene di Kaori, sarebbe stato meglio se lei si fosse trovato un altro, e soprattutto se avesse intrapreso un’altra vita, diversa da quella in cui l’aveva costretta a vivere lui; poi, quando questa possibilità si era materializzata nella persona di Akira Murakami, lui si metteva a sperare che lei non la cogliesse al volo, e anzi rinunciasse a tutto per stare con lui, senza peraltro dirle niente per convincerla…
Era stato un egoista, tanto più che aveva fatto di tutto per evitarla e parlare seriamente, eppure aveva desiderato fermamente che fosse lei, ad andare da lui per dirgli che sarebbe rimasta comunque.
Ma in nome di che cosa, poi?
Con che diritto pretendeva un tale comportamento da parte della sua socia, quando lui era stato così avaro di parole, e soprattutto di manifestazioni d’affetto?
Le aveva mai fatto capire chiaramente, che era innamorato di lei e che la desiderava?
No.
 
Quando quella sera Kaori era rincasata, dopo aver passato l’intera giornata fuori con Akira, aveva trovato il socio nell’appartamento, ed era giunta fin davanti alla sua porta; stranamente si era fermata sul limitare, non era entrata con la sua solita esuberanza, e lui, che l’aveva sentita, a quel punto, cosa aveva pensato bene di fare?
Aveva spento addirittura la luce, pur ripetendosi:
 
Avanti entra… avanti, entra…
 
Ma non era successo.
E pensare che per tutto il giorno l’aveva seguita e spiata, perfino quando era andata con Akira dalla matriarca, e lui, appollaiato fra i rami di un albero, li aveva tenuti d’occhio da lontano con un binocolo, ed era stato uno vero strazio vederli passeggiare mano nella mano e amoreggiare per il parco di famiglia.
 
Forse aveva ragione Mick, aveva ancora un’ultima carta da giocare; se non la voleva perdere per sempre, doveva farle capire quanto fosse importante per lui, in barba a quello stupido desiderio di allontanarla per il suo bene, quando la stessa vita lo stava mettendo di fronte all’evidenza che, potenzialmente, tutti possono correre dei pericoli; e che solo vivendole accanto, sarebbe stato in grado di proteggerla come meritava, e prendersi cura di lei.
 
Quando si riscosse dai suoi pensieri, si accorse che il suo amico se ne era già andato.
 
Sospirò e si accese una sigaretta, l’aspirò con voluttà e disperazione; troppe cose erano andate storte nella sua tormentata esistenza, ma di quante non era direttamente responsabile?
Poche.
Se Kaori non fosse stata rapita, da lì a due giorni si sarebbe celebrato il suo matrimonio, e lui non avrebbe fatto niente per impedirlo, lasciando che gli scivolasse via dalle mani.
Ma ora si era deciso: non appena l’avesse ritrovata, avrebbe fatto in modo di farle capire i suoi sentimenti.
 
Recuperò la borsetta della socia, con cura l’aprì, e ne riversò il contenuto sopra il tavolino della cucina.
Passò le dita delicatamente su ogni oggetto, quasi con timore reverenziale: si sentiva come se stesse profanando qualcosa di sacro e intimo.
Pur vivendo con lei da tanti anni, e nonostante la familiarità e la confidenza che aveva con la ragazza, e a dispetto perfino dei suoi atteggiamenti a volte spudorati, c’erano cose su cui lui non posava né gli occhi né le mani – anche se non era il caso della sua biancheria intima.
Frugare nella sua borsetta rientrava in una di queste, ed ora era totalmente affascinato dalla varietà degli oggetti lì contenuti, che raccontavano così tanto della vita e dei segreti della collega, che si accorse di aver solo creduto di conoscere.
Sapeva così poche cose di lei.
 
Già scoprire l’esistenza di questo Akira, del suo fidanzato quindi - che se anche non lo era stato materialmente per gli ultimi sette anni, lo era stato comunque prima, prima che lei entrasse nella sua sgangherata vita da sweeper - lo aveva stupito enormemente, perché lei non gliene aveva mai parlato, eppure aveva avuto un’enorme importanza per lei in passato.
Ma non solo!
Vedendola sempre così timida e impacciata, soprattutto per quanto si trattava di sesso e relazioni amorose, l’uomo si era persuaso che non avesse mai avuto una storia, che non sapesse niente dell’amore…
Almeno così come l’intendeva lui, e cioè avventure galanti di breve durata, che si consumavano nell’arco di una sola nottata, e che al mattino ti lasciavano come ti avevano preso: senza legami e senza pensieri, ma anche con lo stesso vuoto, intatto e dolente, e che avevano l’innegabile pregio di sollazzare e divertire, sfogare certi bisogni, ma nulla più.
 
E invece la sua socia aveva capito già tutto, fin da subito, da sempre.
Sapeva benissimo qual era la faccia del vero amore, anzi le molteplici facce che assume: quando si china sul ferito, sul sofferente; quando salva, quando aiuta, quando si sacrifica per la salvezza dell’altro; quando ama senza chiedere nulla in cambio.
Quello era l’amore, l’unico che potesse dirsi tale, il resto era solo parvenza.
Perché lei amava sempre, amava intensamente… Amava perfino lui!
 
Eppure lei aveva amato anche qualcun altro prima di lui, e quel suo sentimento era rimasto a covare sotto la cenere, evidentemente, se aveva deciso, dopo tutti quegli anni, di legarsi a quel Murakami, e di mantenere quella piccola promessa che si erano fatti quando erano poco più che due ragazzini.
 
Già Murakami.
Anche lui l’amava, e si sarebbe stupito del contrario, perché tutti finivano per innamorarsi di lei; ma non solo: lui la rispettava, la considerava, le dimostrava la sua stima, la sua vicinanza, come non aveva mai fatto Ryo.
 
E com’era diversa, Kaori, quando era in sua compagnia!
Sembrava un’altra, e non era più la sua irascibile, deliziosa coinquilina e partner di lavoro.
 
Quando li aveva pedinati, meschinamente come un volgare guardone, aveva sopportato le pene dell’inferno, vedendoli così complici e felici insieme; perché Kaori rideva sempre, o sorrideva serena, e per ogni sorriso lui aveva provato una terribile fitta al cuore, poiché non erano rivolti a lui, né ne era la causa.
Tuttavia bastava così poco per divertirla e farla ridere, e lui lo sapeva molto bene.
 
D’improvviso si rese conto che erano mesi che non succedeva più, fra di loro.
Come si erano ridotti così?
Perché anche se non si potevano definire una coppia in quel senso, amici lo erano sicuramente, e quando ci si mettevano erano veramente due stupidi, e se la spassavano alla grande, come quando si facevano il solletico e si stuzzicavano, o bisticciavano per il piacere di farlo.
 
Riportò la sua attenzione agli oggetti sparsi sul tavolo: oltre alla solita dotazione di bombe a mano che sempre portava con sé la socia, e che lo fecero sorridere divertito, c’erano tutti gli accessori tipici di una ragazza, addirittura un piccolo specchietto, un vezzo di femminilità che non pensava di ritrovare anche in lei, il suo maschiaccio.
 
Aprì il portafoglio rosa, su cui campeggiava un buffissimo panda sorridente, e ne controllò il magro contenuto in carta moneta; e dovette ammettere che veramente la partner, pur essendo sempre a corto di liquidi, tra l’altro per colpa dei suoi hobbies costosi, riusciva a fare miracoli con il poco denaro a disposizione.
E aveva ragione quando gli gridava dietro di essere uno spendaccione e un’incosciente, perché da quello dipendeva il benessere di entrambi.
Si sentì doppiamente in colpa.
 
Poi, in una taschina del portafogli, trovò una copia spiegazzata di una fotografia, che riconobbe essere stata scattata al compleanno di Kazue.
Ritraeva loro due, seduti uno accanto all’altra che si guardavano ridendo; o meglio, solo lei rideva, perché lui aveva una fetta di torta spiaccicata sulla faccia, dopo che Umi lo aveva punito per aver insidiato, ancora una volta, sua moglie.
Ricordava molto bene quel momento, ma ignorava che fossero stati immortalati in quella posa.
E si ricordò anche di un’altra cosa: non era vero che sorrideva solo lei, perché anche lui lo stava facendo, al riparo di quella cortina di panna e crema; e anzi, la guardava con occhi sognanti e pieni d’amore, sicuro che lei non se ne sarebbe accorta.
O forse sì?
Se aveva tenuto per sé quella foto, come un tesoro geloso, probabilmente l’aveva visto anche lei il sentimento che traspariva, ma aveva considerato quel fatto così raro, e così unico, da volerlo conservare in fondo al cuore e fra gli effetti personali.
Una nuova stilettata si aggiunse a quelle che si stava auto-infliggendo già da un po’, con tutte queste dolorose ammissioni.
Quando però dietro la foto trovò un piccolissimo pezzo di carta, ripiegato con cura e logorato sui bordi, e lo aprì, rimase senza fiato.
 
Scostandone i lembi, con la punta delle dita, immaginando che potesse contenere qualcosa di estremamente prezioso per la ragazza, aveva rinvenuto un fiore essiccato.
Non uno qualsiasi, ma un tricyrtis, uno di quelli che componeva lo sfortunato bouquet di Miki: lo stesso fiore che lui aveva colto per lei nella radura e che, con una piccola bugia, le aveva fatto credere di aver trovato sullo scollo della sua giacchetta.
 
Si sentì male di fronte a quella sorta di reliquia.
 
Kaori non aveva dimenticato; ma lui sì.
 
Quel fiore voleva dire tanto, e non solo per il significato che gli veniva attribuito nel linguaggio dei fiori, e cioè per sempre tua, ma per quello che rappresentava per lei, per loro.
Come da tradizione, la donna che prendeva al volo il bouquet lanciato dalla sposa, sarebbe stata la prossima a sposarsi; e Kaori, infatti, lo stava giusto afferrando, quando una raffica di proiettili lo aveva falciato, poco prima di colpire l’amica.
 
Poi Kaori era stata sedata, rapita, portata via rudemente, e poi ancora legata ad un palo, in attesa di morire o di veder morire lui.
E quando si erano finalmente riabbracciati nella radura, lui le aveva detto quelle parole, e porgendole quel fiore le aveva anche fatto capire che, da quel momento in poi, lui sarebbe stato per sempre suo e che la tradizione sarebbe stata rispettata, con lei prossima sposa.
E invece…
Quell’implicita promessa, quell’ammissione, quella sua resa definitiva, erano state nuovamente disconosciute, tradite, calpestate.
 
Scosse la testa, furente con sé stesso.
 
Richiuse il piccolo involto, e giurò sulla memoria di Makimura che avrebbe fatto in modo di far rinascere quel fiore.
O non si sarebbe più chiamato Ryo Saeba.
 
Stava per rimettere tutto nella borsetta, quando pensò di aprire anche il portamonete, e si stupì non poco di trovarci dentro l’anello che proprio Hideyuki aveva lasciato a Kaori morendo.
Quello era un segno, e lo sweeper sorrise ironicamente.
In qualsiasi posto fosse il suo migliore amico, ancora una volta gli stava suggerendo ciò che era giusto fare, e gli dava il suo benestare.
Maki gli aveva affidato la sua sorellina perché lui la rendesse felice, e lei lo sarebbe stata solo accanto a lui… quindi basta!
Era finito il tempo dell’incertezza: doveva mantenere quella promessa, fino in fondo!
 
 
Troppo agitato per dormire si stese sul divano, e ad occhi chiusi provò a distendere i nervi tesi; ora che aveva fatto chiarezza nei suoi sentimenti ed era pronto ad agire, non gli restava che una cosa sola da fare: trovare Kaori e riportarla da lui.
 
 
***
 
 
 
Quando Kaori rientrò nella grande villa, si diresse istintivamente al pianoforte e ne sfiorò leggermente la superficie di legno laccato lucido; il suo dito lasciò una scia nella polvere, e si trattenne dal cercare uno straccio per spolverare.
Ridacchiò fra sé e sé.
Si sedette al piano, sullo sgabello di velluto imbottito, e ne alzò il coperchio facendo attenzione a che non le scivolasse dalle mani e ricadesse giù malamente.
Per un attimo immaginò di essere una pianista famosa, una cantautrice come Naoko, e timidamente pigiò un tasto.
Subito la sala fu invasa da quell’unica nota squillante e quasi trasalì, scossa da quel suono che veniva a turbare un silenzio quasi perfetto.
 
Poi i suoi occhi caddero sul pentagramma di fronte a lei, scarabocchiato, sgualcito, con numerose cancellature; sembrava proprio che Naoko stesse componendo una nuova canzone.
Sfogliò le pagine e s’imbatté anche nel testo letterale, e rimase affascinata dalle parole che vi lesse.
La composizione era una preghiera rivolta al drago dagli occhi verdi, perché le riportasse l’amore di un tempo, e alla sweeper tornò in mente il bellissimo anello che la ragazza sempre indossava, e pensò che in qualche modo c’entrasse quello.
Magari era un regalo di Akira, del suo Akira, perché ormai non aveva più dubbi che loro due avessero avuto una storia in passato.
 
Sospirò.
 
La canzone era così accorata, che Kaori si ritrovò profondamente commossa e turbata.
 
Dannazione, lei voleva solo la sua piccola parte di felicità, ma non a costo della sofferenza di qualcun altro.
 
Richiuse il piano con lentezza e continuò il giro della grande villa; per quanto grande, l’aveva ormai ispezionata tutta e non c’era più molto da vedere.
 
Tornò in cucina e si preparò un tè, sgranocchiò gli ultimi biscotti rimasti, e poi si ritirò nella sua stanza.
In quella casa non c’erano orologi, e in solitudine perdeva la cognizione del tempo.
Faticava a rimanere ottimista e a mantenere alto l’umore.
Provava un senso di impotenza e inutilità e non sapeva cosa fare; essere tagliata fuori dal mondo, la faceva sentire piccola e insignificante.
Stesa sul letto, si raggomitolò in posizione fetale, e sussurrando il nome di Ryo finì per addormentarsi sfinita e sfranta.
 
 
 
 
Diverse ore dopo, ma non seppe dire quando, sentì Naoko trafficare nella stanza accanto, segno che era tornata, ma la cantante non s’intrufolò nel suo letto come la notte precedente, e gliene fu grata, per un sacco di motivi.
Quando non udì più nessun rumore provenire al di là della parete, immaginò che si fosse messa a dormire anche lei, e Kaori si riaddormentò.
Quella notte, per la prima volta dopo più di un mese, non ebbe i soliti incubi; e quando sognò Ryo, lui le sorrideva, riempiendole il cuore di gioia.
   
 
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