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Autore: Pol1709    30/07/2020    1 recensioni
Bentrovati a tutti.
Questa storia è la continuazione de "Il Cavaliere e la Strega", ma si svolge nell'epoca di Oscar. Quest'ultima, dopo aver detto addio alla Guardia Reale, a Conte Fersen ed aver litigato con André (il famoso episodio della camicia strappata...) passa un periodo di riposo in Normandia prima di prendere il comando delle Guardie Francesi di Parigi. Lì viene coinvolta, a causa di una vecchia avversaria, nella caccia a una antica e potentissima arma, inseguita dagli agenti inglesi e affiancata da una antica nemica/amica.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Normandia – Sainte Marie du Mont – loc. La Madeleine (Regno di Francia) XVIII secolo d. C. – Anno 1787
Oscar guardò il mare. I colori del tramonto erano splendidi in quella stagione e mettevano pace. E anche una certa malinconia.
Era passato tanto tempo e tante cose erano accadute: il caso della collana, il ritorno del Conte Von Fersen dalla guerra in America e la sciagurata vicenda del cavaliere nero.
Quando Fersen era tornato e aveva deciso di fermarsi a palazzo Jarjayes per non incontrarsi con la Regina, lei, in cuor suo, aveva gioito. C’era sempre nella sua mente la ricerca dei quella persona che rappresentava il suo e solo suo cavaliere. Aveva sempre nei suoi pensieri una visione di sé stessa in abito femminile bianco e, di fronte, una figura umana inginocchiata che gli baciava la mano. Non sapeva chi era, non riusciva a vederne il volto, ma sapeva che era l’amore della sua vita.
Quando il bel Conte svedese era tornato a Versailles per stare accanto alla sua Regina, lei si era sentita morire dentro. E allora aveva fatto quello che aveva sempre visto in quella sua fugace visione. Aveva indossato un abito da donna bianco, si era pettinata i capelli verso l’alto e si era presentata ad uno dei tanti balli che si tenevano alla reggia. Una volta arrivata nel grande Salone degli Specchi aveva provato la strana e misteriosa voglia di mangiare carne di pecora. Ma lui l’aveva vista, l’aveva invitata a ballare, l’aveva tenuta tra le braccia e gli aveva parlato, di lei. Aveva detto che era, testualmente, il suo “migliore amico” e, a quel punto era scappata via facendosi inevitabilmente riconoscere. Ma lui non era il suo cavaliere. Il suo vero cavaliere l’aveva tenuta tra le braccia e l’aveva fatta volteggiare nel cielo stellato e non ballare il minuetto sotto il soffitto stuccato e decorato di Versailles. E così aveva dovuto abbandonare ogni speranza con lui.
Poi c’era stata la disgraziata vicenda del cavaliere nero. Quel Bernard Chatelet, un giornalista che di notte si divertiva a travestirsi per rubare a casa dei nobili per poi distribuire il maltolto ai poveri. La delusione con Fersen era stata tale che lei si era messa in testa di prendere quel ladro, ovviamente con l’aiuto di André. Ma le cose non erano andate proprio per il verso giusto, André era rimasto ferito all’occhio sinistro e l’aveva irrimediabilmente perso. Una volta catturato Chatelet, poi, lo stesso André le aveva chiesto di liberarlo perché in fondo, lui donava tutta la refurtiva ai più poveri e bisognosi. Aveva anche scoperto un lato del suo amico che non conosceva: André guardava con simpatia le forze politiche che lentamente, ma inesorabilmente, stavano sorgendo in Francia e che si posizionavano dalla parte del popolo oppresso dalla nobiltà e dal clero. Il cavaliere nero, poi gli ricordava vagamente di un’altra figura nera nella sua vita, ma non un uomo: una donna. Paludata di nero da capo a piedi e con la pelle pallida come la luna, che alzava le braccia e diceva mestamente: “Mi dispiace”. Erano in cima a una collina, ma dove?
Dopo tutte quelle vicissitudini aveva deciso finalmente chi essere: Oscar François de Jarjayes, un uomo e solo un uomo. Aveva deciso di lasciare la Guardia Reale e la reggia per dimostrare quanto valeva veramente a suo padre, ma soprattutto a sé stessa. E lo aveva detto anche al suo migliore amico. La reazione di André non era stata come si sarebbe aspettata, lei si era immaginata che lui, come amico, l’avrebbe sostenuta nella sua scelta, ma invece non aveva battuto ciglio e aveva detto solo una frase: “Una rosa resta sempre una rosa…E una rosa non sarà mai un lillà”. E che voleva dire? Che una donna rimane sempre e comunque una donna qualunque cosa faccia? Che quindi lei non poteva mai essere un vero uomo nonostante fosse stata educata per anni ad esserlo? Lo aveva schiaffeggiato, con forza e con rabbia e lui…L’aveva presa per i polsi. Non si era mai sentita così debole e indifesa. L’aveva baciata. Aveva appoggiato le labbra sulle sue, in un bacio rubato e non richiesto. Lui non era il suo cavaliere, quello non era il loro bacio. Lei e il suo cavaliere si erano baciati sotto le stelle e lo avevano fatto con amore e passione, non con la violenza. L’aveva letteralmente gettata nel letto sotto il peso del suo corpo e…Aveva sentito un rumore di tessuto strappato. Era la sua camicia di seta bianca che André aveva rotto. E lei era rimasta lì, imbambolata, senza piangere, ma incapace di reagire, debole come un gattino, con la sua femminilità esposta al suo sguardo.
Aveva girato la testa, incapace persino di chiamare aiuto: - E adesso che vuoi fare? – aveva detto piano e stranamente calma. Lui aveva tentennato, aveva lasciato cadere lo scampolo di camicia strappata a terra e aveva abbassato il capo – Perdonami! Perdonami Oscar…Ma io…Io ti amo! Ti ho sempre amato –.
Da quel momento i loro rapporti non erano stati più gli stessi. Quell’amicizia, quel cameratismo che aveva sempre contraddistinto la loro relazione erano venuti meno in un istante. Quando aveva saputo il suo nuovo incarico, quello di comandante del reggimento delle Guardie Francesi di Parigi, gli aveva detto che non aveva più bisogno dei suoi servigi. Null’altro e lui aveva solamente annuito.
E lei era andata nella tenuta di famiglia in Normandia per restare tranquilla e schiarirsi le idee sulla sua nuova vita. E perché in Normandia? Non riusciva a spiegarsi quella scelta. Non le era mai pienamente piaciuta quella proprietà della sua famiglia, anche se era lì, in quelle terre, che la fortuna dei de Jarjayes era iniziata. Aveva sempre preferito la soleggiata e ridente Arras; ogni volta che arrivava alla villa sul mare era preda di incubi ricorrenti su alti muri sulle spiagge, soldati in strane uniformi grigie ed elmi a paiolo calcati sulla testa che correvano gridando “sie kommen”, arrivano, in tedesco e navi lontane che oscuravano l’orizzonte. L’ultima volta che si era recata lì era stato nel 1775, l’anno dopo l’incoronazione di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Doveva essere una vacanza e ci aveva guadagnato solo un gran mal di testa, la sensazione di un vuoto dentro con la ricerca spasmodica di una figura eterea che era, o doveva essere, il suo vero cavaliere, nella mente gli era rimasta impressa la donna in abiti scuri e un libretto nero, una sorta di diario, scritto in fretta a furia in quel periodo che, a distanza di più di un decennio, per lei non aveva alcun senso. Lo aveva trovato in un cassetto della scrivania dello studio, lo aveva riletto, ma non ci aveva capito molto. C’erano dei nomi: Tintagel, Glastonbury, nomi inglesi, uno ancora più strano, Avalon e alcuni disegni fatti dalla sua mano: il profilo di quella che doveva essere una donna dai lunghi capelli neri con una corona in testa, una collina dalla forma rotonda evidentemente artificiale, una strana spada e un complesso di pietre verticali e orizzontali disposte a cerchio. Cosa significavano? Perché li aveva disegnati? Sospirò e si guardò le punte degli stivali sulla sabbia. Dopo qualche istante sollevò lo sguardo e si voltò. Andò verso il suo cavallo, con le briglie legate al relitto di una vecchia barca, le sciolse e salì in sella con un balzo.
Nemmeno cavalcare la rilassava più e pensò che era perché lo faceva in compagnia di André e mai da sola. Cercò di pensare ad altro, ma la sua mente andò di nuovo allo strano libretto nero. Ricordava che in quel periodo aveva cominciato a leggere l’opera di un inglese, un certo Malory, che narrava le mitiche gesta di un grande e antico Re della Britannia. E ne era rimasta talmente affascinata da aver voluto mettere uno dei suoi simboli, una tavola rotonda, a palazzo Jarjayes. Essa rappresentava l’uguaglianza degli uomini e delle donne, tutti seduti e nessuno in una posizione di supremazia. La cosa aveva fatto infuriare suo padre che, malamente, le aveva ordinato di toglierla.
Era rimasta anche colpita dalle gesta nobili dei cavalieri e delle dame, dal codice della cavalleria e aveva scoperto, non senza sconcerto, che anche in Francia c’era tutta una narrativa molto prolifica dedicata a quei personaggi e risalente al Medioevo. In tutta la sua vita aveva solo letto le opere dei classici latini e dei contemporanei francesi, come pure testi di strategia militare, quelli che, secondo suo padre, erano più utili ad un soldato. Aveva divorato moltissime opere sull’amor cortese, trovando un discreto parallelismo tra la storia di Lancillotto e Ginevra e quella di Fersen e Maria Antonietta. Quel, nome, Lancillotto, poi, gli suonava stranamente familiare, come pure quello di Ginevra. Non sapeva come spiegarselo, ma nella sua mente vedeva la Regina moglie di Artù come una donna austera e volitiva, non certo passionale come veniva descritta. Ma, nonostante tutto, l’argomento che preferiva era quello originario delle Isole Britanniche: le avventure del Grande Re Artù, le gesta eroiche dei suoi cavalieri e gli scontri con il suo nemico giurato: sua sorella Morgana, detta la Fata, ma nel senso vero e proprio di strega. Aveva provato un brivido quando aveva letto la descrizione della donna: “dalla pelle bianca come la luna e i capelli neri come le piume dei corvi”. Come personaggio, lo aveva sempre trovato, pur nella sua malvagità, estremamente affascinante. La Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles era una donna potente, fiera e combattiva, ma soprattutto indipendente dagli uomini. Una figura non certo paragonabile a quel vampiro succhia soldi che era la Contessa di Polignac o meretrici in cerca di protezione come la Contessa Du Barry. Si era talmente immedesimata nei racconti che aveva persino versato una lacrima pensando a quanto erano ingiusti gli autori a considerare cattiva quella figura femminile.
Ma, come ogni passione giovanile, anche quella era passata. Sepolta dai mille impegni e dal lavoro spossante che era badare senza sosta alla giovane Regina Maria Antonietta. A cui poi si erano aggiunte le preoccupazioni per la sua protetta, Rosalie Lamorlière; le bassezze della Contessa di Polignac; gli intrighi del Duca D’Orleans, cugino del Re; la timidezza esasperante di Re Luigi; nobili e nobildonne che in ogni momento e in ogni luogo volevano avere visibilità; l’affare della collana con la sinistra Jeanne de Valois e poi c’era stato il ballo con Fersen; il cavaliere nero; la perdita dell’occhio di André che l’aveva sconvolta; la decisione di diventare definitivamente un uomo e alla fine…André che le diceva di amarla e la gettava sul letto strappandole i vestiti. Pensò che sarebbe stato bello, per un attimo, possedere i poteri della Fata Morgana, trasformarsi in una possente aquila e volare nel cielo azzurro, senza pensieri, senza problemi. Ma lei non era Morgana, era solamente Oscar de Jarjayes.
 
Il cavallo arrivò al passo sul sentiero che portava alla casa. Un gruppo di contadini la vide e si fece di lato. Si tolsero i loro grandi cappelli di paglia a tesa larga e si inchinarono. Lei sorrise debolmente e fece un cenno con la mano. Il cielo si stava scurendo e lei smontò dalla sella lasciando la cavalcatura a Jerome, il figlio di Roland che, con sua moglie Bertha, accudivano la casa dei de Jarjayes e che, durante le visite dei padroni, si prestavano anche nella veste di stallieri, cuochi e domestici.
Non aveva fame anche se Bertha le aveva preparato un grande vassoio di ostriche della Normandia con contorno di limone e panna acida. Si diresse subito verso il piccolo studio e si sedette dietro la scrivania, accese la lampada e aprì il libro nero. Si chiese in che occasione aveva scritto tutte quelle cose, sembravano appunti privi di senso, come scritti da una persona che cercava di non dimenticare degli avvenimenti. Si versò un abbondante calice di vino bianco fermo e ne bevve un lungo sorso. Si appoggiò allo schienale della sedia, agitò con la mano il bicchiere e osservò le onde prodotte sul liquido. Guardò fuori dalla finestra e vide che stava spuntando la luna piena: “Luna da caccia! Si vede come se fosse giorno” pensò e poi sospirò “Io con le Guardie Francesi…Sarà una bella sfida!” si disse e si chiese se non era persino una sfida troppo grande. Quando era stata convocata per congedarsi dai sovrani le era stato affidato il comando del reggimento di Parigi delle Guardie Francesi, uno dei migliori reparti dell’esercito che, a differenza della Guardia Reale, avevano la responsabilità di sorvegliare l’esterno della reggia di Versailles e aiutavano anche al mantenimento dell’ordine pubblico di Parigi affiancando la polizia. Avevano dei grandi privilegi, tra cui quello di potersi scegliere la posizione sul campo di battaglia, la conduzione dell’assalto dopo l’apertura di una breccia in una città assediata e la prima scelta delle proprie caserme e lei, in qualità di loro colonnello, avrebbe potuto assumere anche il titolo di Maresciallo di Francia. L’altro lato della medaglia era che i soldati e alcuni dei sottufficiali venivano arruolati nei ceti popolari di tutta la Nazione, ma, essendo acquartierati a Versailles, i loro rapporti, nati da matrimoni e conseguenti parentele, li avevano legati in modo indissolubile a Parigi e al suo territorio, nonché al popolo della città. Il suo predecessore aveva stabilito una dura disciplina di tipo prussiano e si vociferava che i soldati fossero alquanto risentiti; poi, come se non bastasse, aveva sentito che gli ufficiali di estrazione aristocratica, che erano la totalità, delegavano tutte le incombenze ai sottufficiali e non avevano alcune interazione con la truppa. Erano cose che doveva risolvere, specie in considerazione del momento particolare che stava vivendo la Francia, con rivolte sempre più numerose e violente contro la Monarchia. Sorrise e prese un’ostrica. Ma alla fine, si disse, il blu pesante della loro uniforme avrebbe fatto risaltare il biondo dei suoi capelli.
Aggrottò la fronte sentendo del trambusto. Piedi che correvano e porte che sbattevano. Si pulì la bocca con il tovagliolo e fece per alzarsi, quando una mano pesante bussò alla porta: – Avanti! – disse Oscar.
Entrò Roland, il marito di Bertha, un uomo basso, calvo e con un ventre prominente: - Perdonate Signor Oscar…Abbiamo cercato di fermare quel pazzo, ma non vuole sentire ragioni –
Oscar si alzò e si avvicinò a lui – Con calma Roland, di chi stai parlando? Chi viene qui di sera? –
L’uomo sospirò – E’ un giovane, potrà avere al massimo venti anni, ma insiste per parlare con voi, Signor Oscar, ha cominciato a bussare come un forsennato! Gli abbiamo detto di andarsene, ma vuole parlare con voi –
Oscar aggrottò la fronte – Sai di chi si tratta? –
L’altro tentennò – Il nome non lo so, ma dice di venire da Sainte-Mère-Eglise, qui a Nord…E…Signor Oscar…Lui dice di conoscervi –
Lei strinse le labbra e uscì dalla stanza seguita da Roland. Uscirono nel cortile della casa a forma di ferro di cavallo e vide Jerome accanto a un ragazzo dai capelli biondi che stringeva il cappello che aveva in mano in modo convulso. Non appena il giovane la vide il suo volto si illuminò – Signor Oscar…Mademoiselle Oscar… -
Lei si avvicinò con la fronte aggrottata e il giovane si inchinò profondamente – Signor Oscar…Io…Voi non mi conoscete, ma forse conoscete mia sorella minore: Anne Moreau –
Oscar sorrise debolmente – Mi dispiace, ma il nome di tua sorella non mi dice nulla – disse e si girò verso Roland. Pensò che fosse scappato di casa e stava per ordinare di sfamarlo e di dargli qualche soldo, quando lui la prese per l’avambraccio. Roland e suo figlio si irrigidirono e si mossero verso il ragazzo, ma Oscar li fermò con un gesto. Deglutì, in altre occasione ci avrebbe pensato André a difenderla, ma lui lì non c’era e doveva vedersela da sola. Mise una mano su quella del ragazzo e sorrise di nuovo – Se vuoi mangiare abbiamo tutto quello che vuoi –
Lui tentennò – Non voglio mangiare! Non so quanto tempo ho prima che mi raggiungano e devo assolutamente…Devo…Parlare con voi Signor Oscar…Anne mi ha detto che voi siete una persona importante alla reggia di Versailles –
Lei strinse le labbra e annuì – Lo sono…Lo ero…Come ti chiami? –
Il ragazzo sospirò – Il mio nome è Pierre…Pierre Moreau, Signor Oscar –
Oscar sospirò, guardò gli altri uomini e annuì. Indicò a Pierre la porta della casa – Andiamo nel mio studio –
Roland si avvicinò – Signor Oscar…Permettetemi di venire con voi –
Lei gli mise una mano sulla spalla – Io sono un soldato, Roland, non dimenticarlo e posso benissimo gestire questo ragazzo – disse solo e poi entrò con Pierre.
Il giovane si mise seduto sulla punta del sedile di fronte alla scrivania. Oscar si accomodò sulla poltrona dell’altro lato, chiuse il libretto nero e sorrise di nuovo – Dunque dimmi, Pierre Moreau, fratello di Anne, perché sei venuto qui? –
Lui deglutì – Io…Io non so davvero da dove cominciare…Ma…Ecco… - disse e mise una mano nella giacca del vestito. Lei, istintivamente, allungò la mano verso il pugnale che usava come tagliacarte, ma si rilassò vedendo che Pierre aveva in mano un piccolo sacchetto grigio. Il giovane aprì l’involucro sulla scrivania e apparve una pietra rossa, un grosso gioiello.
Oscar rimase interdetta e avvicinò lo sguardo: era un grande rubino, di un rosso brillante, anche se all’interno della struttura si potevano vedere delle linee bianche, ma non casuali, come se fossero dei disegni. Guardò Pierre – Dove lo hai trovato? –
Lui sospirò – Anne, mia sorella…E’ stata a servizio a Parigi presso una famiglia nobile fino all’anno scorso, Signore…Era stata nel vostro palazzo –
Oscar inarcò le sopracciglia, non aveva mai fatto troppo caso alla servitù di palazzo Jarjayes, dopotutto era Marie, in qualità di Governante, che si occupava delle assunzioni e degli alloggi; sapeva che c’era un grande via vai di ragazze che passavano da un servizio ad un altro, alcune addirittura si sposavano in città. Ce n’era una sola che gli era rimasta impressa: una certa Louise, una donna dai capelli rossi come fiamme che sbucavano anche al di fuori della cuffia da cameriera che, chissà perché, attirava le simpatie di André. Li aveva sentiti ogni tanto ridere assieme nella cucina e, stranamente, lei aveva provato la terribile sensazione di venire sbudellata da una lama. Ma poi Louise si era sposata e si era trasferita a Beauvais, a Nord di Parigi e André aveva continuato a vivere lo stesso. Scacciò quel pensiero dalla testa e indicò la pietra – E quindi? Mi stai dicendo che questo gioiello viene da palazzo Jarjayes? – disse intuendo quello che il giovane stava per dire.
Lui annuì – Io…Anne mi ha raccontato quello che è successo…E’ stato l’anno scorso, quando voi siete tornata da un posto chiamato Saverne –
Oscar aprì la bocca; era avvenuto alla fine dell’avventura del famoso “caso della collana”, quando erano morti Jeanne de Valois e suo marito Nicholas de la Motte. Guardò di nuovo il gioiello, in effetti aveva letto un rapporto che descriveva dettagliatamente la famosa collana al centro del complotto. Ne aveva visto anche una riproduzione in un disegno e al centro c’era un pendaglio con una grande pietra rossa. Sbatté le palpebre – E come faceva tua sorella ad avere questo rubino? –
Lui abbassò lo sguardo, come in preda alla vergogna – Ecco…Signor Oscar…Anne ha detto che, quando siete tornata, vi siete tolta la giacca e poi siete stata accompagnata dalla vostra Governante a fare un bagno caldo…Mia sorella ha preso la vostra giacca e l’ha agitata perché era impolverata e ha notato che qualcosa era volato via, cadendo a terra e rotolando sotto il letto –
Oscar aggrottò la fronte – Vuoi dire…Che questa pietra era nella mia uniforme? –
Lui deglutì – Io…E’ quello che ha detto mia sorella Anne…Ha preso la pietra ed è andata a dormire…Se qualcuno avesse parlato del gioiello le lo avrebbe immediatamente restituito…Così ha detto…Ma quando si è svegliata ha ricominciato a lavorare e nessuno è venuto a chiederle nulla…Ha preso congedo dalla Governante ed è tornata alla nostra casa, a Sainte-Mère-Eglise. Noi siamo orfani, i nostri genitori sono morti molti anni fa e ci siamo sempre aiutati. Io lavoro nei campi, ma so leggere, anche se non bene e so scrivere il mio nome…Anne ha deciso di aumentare le nostre rendite andando a servizio a palazzo Jarjayes…Era felice di andare a Versailles, di vedere Parigi e di alloggiare nel…Nel vostro palazzo, Signor Oscar –
Oscar strinse le labbra – Ma ha deciso che il gioiello era una rendita più che sufficiente per tutti e due –
Lui abbassò lo sguardo – L’idea era quella…Non lo nego…Abbiamo avuto paura…Non siamo mai stati dei criminali, mi deve credere Signor Oscar…Anne si è subito pentita di quello che aveva fatto, ma aveva troppa vergogna di tornare da voi e ha messo la pietra in una scatola e la scatola in una nicchia del pavimento, al sicuro…Così credevamo…Poi mia sorella ha cominciato a sentirsi male…Ha cominciato a tossire sangue e a perdere molto peso –
Oscar strinse le labbra – La tisi! Tua sorella si è ammalata di tubercolosi – disse e provò una strana pesantezza al petto. Lui annuì    - Conoscevamo quella malattia…Si è portata via nostro padre e poi nostra madre…Ma volevo che lei fosse curata al meglio e allora ho deciso di approfittare di quella pietra, l’ho presa dal suo nascondiglio e ho cercato di venderla –
Lei strinse i pugni, non si poteva certo vendere un gioiello di quelle dimensioni a chiunque senza possedere agganci e conoscenze nel mondo criminale e cominciava a capire il motivo della visita di quel giovane – Come sta tua sorella? – chiese improvvisamente.
Lui si passò una mano sotto il naso – E’…E’ morta, Signor Oscar, ma non di malattia. Avevo cercato dei compratori per la pietra, fino a Saint-Lo…Una notte mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo, dapprima credetti a un errore, ma poi li vidi: erano uomini con delle lunghe cappe nere…Sono tornato a casa, ma ho trovato il corpo di Anne nel pavimento, con una ferita profonda al petto, l’avevano torturata e uccisa sicuramente per farle dire dov’era la pietra – disse e si fermò un attimo grattandosi gli occhi lucidi con il polso – Ho avuto solo il tempo di seppellirla accanto ai nostri genitori…Mi aveva detto che la vostra famiglia ha una casa qui e sono venuto…Non speravo proprio di incontrarvi, ma solo di vedere qualche dipendente dei de Jarjayes a cui dare quel maledetto gioiello che ha portato tanta sfortuna alla mia famiglia –
Oscar aprì la bocca, ma non disse nulla. Quanta ingenuità che c’era in quel ragazzo, si disse e poi aggrottò la fronte – Un momento…Hai detto che degli uomini vestiti di nero ti hanno inseguito…Che hanno ucciso tua sorella…Ma quindi…Potrebbero averti seguito anche qui –
Lui rimase a bocca aperta – Io…Io sono stato attento, Signor Oscar… Vi assicuro che… - disse, ma fu interrotto da un rumore sordo che proveniva da fuori la porta. Pierre fece per alzarsi, ma Oscar lo fermò con un gesto della mano, si portò l’indice alle labbra per dirgli di fare silenzio e prese la pietra rossa mettendosela in tasca. Afferrò il pugnale e andò vicino alla porta dello studio. Fece cenno a Pierre di abbassarsi accanto alla scrivania e lui eseguì tremando come una foglia.
Sentì dei passi pesanti nel corridoio e poi, improvvisamente, la porta si spalancò. Entrò una figura vestita di nero con una sciarpa tirata su fino agli occhi. Si guardò attorno e vide, a terra, il ragazzo. Oscar balzò su di lui e gli puntò la lama alla gola – Adesso dimmi chi sei e cosa vuoi qui! –
L’uomo emise un grugnito e prese il braccio di Oscar girando su sé stesso. Lei rimase per un attimo sorpresa, ma cercò di colpirlo. Lui bloccò ancora il suo braccio e la spinse contro il muro. In quel momento arrivarono altri due uomini che rimasero di sasso nel vedere Oscar e l’altro che lottavano. L’uomo che teneva le braccia della padrona di casa emise un ringhio – Che aspettate! Prendete quel ragazzo! – disse e avvicinò il suo volto a quello di lei.
Oscar cercava di liberarsi, ma la presa di quell’uomo era come una morsa. Poteva vedere il colore verde dei suoi occhi e la sua bocca, anche se nascosta dalla sciarpa, piegarsi in un sorriso maligno. Digrignò i denti e pensò di chiamare André, ma si rese conto, di nuovo, che lui non era lì. Doveva necessariamente cavarsela da sola, come un vero uomo, come un soldato. – Come un          soldato! – disse piano. Fece ruotare l’elsa del pugnale con le dita della mano e, con la lama, fece una ferita sulla mano dell’uomo che lanciò un grido e si ritirò. Oscar si gettò subito contro gli altri due che, intanto, avevano già preso per le braccia Pierre e lo stavano alzando. Uno di loro la fronteggiò, ma venne ferito al braccio. L’altro si mise di fronte a lei e il ragazzo, veloce come il vento, fuggì dalla stanza.
Uno degli uomini tirò fuori una pistola dalle pieghe dell’abito, ma quello con gli occhi verdi e che aveva lottato con Oscar lo bloccò – No! Non lei! Prendete quel ragazzo, svelti! – disse e gli altri obbedirono correndo fuori. Oscar si fermò un attimo – Chi siete voi! –
L’uomo con gli occhi verdi piegò leggermente la testa – Non è affare tuo comandante! Vuoi un consiglio? Dimentica subito questa storia – disse e fece qualche passo all’indietro, poi si girò e si dileguò nel corridoio. Ma l’uomo, che evidentemente conosceva la sua fama, non la conosceva di persona, perché altrimenti avrebbe saputo che Oscar non si sarebbe di certo fermata. Si gettò all’inseguimento e poi si fermò di colpo sentendo il rumore di uno sparo. Si sentì persa per un attimo, ma poi riprese a correre e uscì nel cortile della villa. C’erano molti uomini con delle torce in mano, in cerchio attorno ad un punto e guardavano a terra. I contadini dei dintorni erano arrivati, probabilmente chiamati in aiuto da Jerome. Roland la vide e si portò le mani al petto, aveva un vistoso ematoma sulla fronte, il segno evidente che anche lui aveva lottato. L’uomo piegò le labbra – Signor Oscar…Sono lieto che stiate bene…Io e la mia vecchia Bertha abbiamo provato a fermare quella gente, ma…Quei delinquenti sono fuggiti e mio figlio è corso a chiamare aiuto…Abbiamo sentito lo sparo…Io… - disse e abbassò lo sguardo.
Oscar deglutì e si avvicinò al punto in cui gli uomini si erano raccolti, loro gli fecero spazio e lei vide, steso a terra, il giovane Pierre. Dal foro nel petto stava sgorgando sangue, i suoi occhi erano spalancati verso il cielo e guardavano vuoti la luna e le stelle. Oscar si sentì sfinita, quel ragazzo era venuto da lei a chiedere protezione e invece aveva trovato la morte. Mise un ginocchio a terra, allungò una mano sul viso del giovane e gli chiuse gli occhi – Mi dispiace…Mi dispiace tante per te e tua    sorella – disse e si rialzò. Guardò il cielo terzo e la luna piena che brillava illuminando il cortile a giorno. La luna…Oscar sbattè le palpebre e toccò la tasca nella quale aveva riposto la pietra rossa. Pierre le aveva detto che esponendo il gioiello alla luce della luna piena esso rivelava il suo segreto. Deglutì e guardò Roland – Fate in modo che il corpo del ragazzo sia composto in modo decente…Io…Io devo vedere cosa mi hanno distrutto nello studio –
Roland chinò il capo – Si…Signor Oscar –
Oscar rientrò velocemente nello studio, chiuse la porta a chiave e i battenti delle finestre che davano sul cortile. Si portò all’unica finestra che dava sulla campagna circostante e dalla quale si vedeva bene la luna piena. Sospirò, prese la pietra dalla tasca, per un attimo ne guardò i riflessi rossi e poi la sollevò tenendola tra il pollice e l’indice della mano destra e la mise davanti alla luna. Per un attimo si sentì ridicola, visto che non accadeva nulla, ma poi, improvvisamente, la pietra cominciò a brillare, dapprima lentamente e poi sempre di più finché tutto lo studio fu illuminato. Oscar si sposò di lato e si fece ombra agli occhi con la mano sulla fronte. Dal gioiello emerse un unico e forte raggio che andò sul pavimento e lei, sorridendo, vide finalmente il suo segreto.
 
Il giorno dopo il Borgomastro di Sainte-Marie-Du-Mont, dalla quale dipendeva la località di La Madeleine, arrivò alla villa dei de Jarjayes per presentarsi a Oscar. L’uomo era piccolo e rotondo, con la testa pelata che grondava sudore mentre parlava con la padrona di casa. Oscar sorrise ascoltando le rassicurazioni del borgomastro sul fatto che erano state avvertite le massime autorità della zona e che i delinquenti sarebbero stati presto catturati.
Lei dubitava che quelli fossero semplici ladri, sapevano cosa e chi cercare, erano arrivati e se ne erano andati senza alcuna traccia. Di un’altra cosa era sicura: l’uomo con cui aveva lottato, quello con gli occhi verdi, aveva parlato in un francese fluente, ma su certe parole e su alcune espressioni aveva tradito l’accento della sua lingua madre, che era sicuramente l’inglese. Sospirò e mise una mano sulla spalla dell’uomo – Vi ringrazio Borgomastro, ho lasciato disposizione al custode della casa, il buon Roland, di pagare a nome della famiglia de Jarjayes le esequie per il giovane morto qui. Inoltre voglio che il corpo venga riportato a Sainte-Mère-Eglise e che sia seppellito accanto a sua sorella Anne Moreau e ai suoi genitori…Ovviamente tutto a spese della mia famiglia –
Il Borgomastro si passò, per l’ennesima volta, il fazzoletto sulla testa pelata – Come desiderate Madame…Signor Oscar…Quando…Quando tornerete a Parigi spero che vogliate dire al generale vostro padre che non lasceremo impunito questo delitto –
Lei strinse le labbra – Senza alcun dubbio! – disse e in quel momento si avvicinò Roland – Signor Oscar…La carrozza è pronta –
Lei annuì – Bene! E’ il momento di tornare a casa…Vogliate perdonarmi Borgomastro –
L’uomo si profuse in altri inchini, ma lei lo lasciò e andò alla carrozza che Roland e suo figlio avevano tirato fuori dalla rimessa della villa. Era una vecchia vettura, lasciata lì solo ed esclusivamente nel caso in cui i padroni di casa non avrebbero potuto cavalcare ed era anche di dimensioni modeste rispetto a quelle di palazzo Jarjayes. La vernice era scrostata in più punti, ma Oscar sorrise nel vedere che Roland aveva fatto quello che lei aveva chiesto: lo stemma della famiglia Jarjayes, in rilievo sulle portiere, brillava lucido alla luce del sole.
Roland congiunse le mani – Abbiamo fatto quello che avete detto, Signor Oscar, ma siete sicura di usare questa vecchia carrozza? Dentro è sporca e i sedili sono rovinati…E credo che anche le sospensioni siano da cambiare…Se ci aveste lasciato più tempo avremmo anche potuto sistemarla meglio…Non capisco perché ci avete detto di lucidare solo le portiere –
Oscar si piegò e accarezzò lo stemma sulla portiera. Si rialzò e sorrise – Oh…No Roland…Va bene così…Adesso usciamo e facciamo in modo che tutti ci vedano passare –
 
Da un’altura una figura in vesti nere abbassò un lungo cannocchiale. L’uomo dagli occhi verdi che aveva lottato con Oscar si passò una mano sotto il mento pensieroso. In quel momento arrivò un altro uomo ansimando – Il colonnello de Jarjayes sta tornando a Parigi. La sua carrozza ha lasciato la casa e si sta dirigendo a Sud –
L’altro annuì – Lo vedo – disse e indicò la carrozza lontana – Una vecchia vettura sulla quale brilla lo stemma del casato dei de Jarjayes –
L’uomo al suo fianco aggrottò la fronte – Dobbiamo seguirli? Ci prepariamo per andare a Parigi? Lo sai che sarà tutto più difficile laggiù…Hai capito quello che ho detto Nesby? –
Nesby socchiuse gli occhi – Forse…O forse no…Guarda laggiù – disse e indicò un punto dalla parte opposta porgendogli in cannocchiale.
L’altro si portò lo strumento all’occhio destro e guardò – E cosa c’è? Vedo solo un contadino intabarrato con un vecchio mantello e un cappellaccio a tesa larga che porta un carretto trainato da un asino decrepito…Cosa intendi dire? –
Nesby sospirò – Dorian…Dorian…Guarda bene i suoi abiti…Cosa indossa ai piedi quel contadino? –
Dorian aggrottò la fronte e poi capì – Ma…Non sono gli squallidi zoccoli di un contadino francese…Sono stivali…Stivali da cavalleria e di ottima fattura per di più –
Nesby sorrise – Esatto…Astuta! Ha lasciato partire una carrozza con lo stemma della sua famiglia e lei va da un’altra parte…Ma la sai la cosa più divertente? Viene proprio in braccio a noi –
Dorian lo guardò perplesso e Nesby sbuffò – Oh! Andiamo…A Sud c’è la Francia e Parigi…Ma a Nord… -
L’altro sbatté le palpebre, poi capì – A Nord non c’è nulla…Il mare…E l’Inghilterra – disse e poi comprese. Nesby annuì sorridendo  - L’Inghilterra…Quella donna sta venendo proprio da noi e ci sta portando la pietra a domicilio –
Dorian aggrottò la fronte – E come facciamo a sapere dove sbarcherà? Qualcuno dovrebbe seguirla passo a passo –
L’altro tentennò – Non serve…La guerra è finita da quattro anni, ma la situazione tra Francia e Inghilterra non è mai migliorata…L’unico porto attrezzato qui in Normandia è Cherbourg a Nord e le navi francesi, ora come ora, possono attraccare in un solo porto inglese: Plymouth (n.d.a.: le ostilità a cui si riferisce Nesby sono quelle della Guerra di Indipendenza Americana, iniziata nel 1777 per la Francia con l’invio di un corpo di spedizione terrestre e navale di appoggio alle truppe continentali di Washington e terminate, nel continente americano, con la caduta della roccaforte inglese di Yorktown nel 1781. Le battaglie continuarono in mare con la flotta francese, affiancata da quella spagnola, impegnata a contrastare la Royal Navy e si conclusero formalmente nel 1783 con la firma del Trattato di Parigi). Quella donna è importante, qui e ha amici influenti, a cominciare dalla Regina Maria Antonietta. Aspettiamo che sia in territorio inglese…E poi prendiamo quella pietra! – disse passando la mano destra sulla cicatrice di una ferita di pugnale della mano sinistra.
   
 
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