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Autore: Pawa    02/08/2020    13 recensioni
Il Piombo Ambrato si manifesta di nuovo e inspiegabilmente e Trafalgar Law si trova impossibilitato a utilizzare il suo Frutto del Diavolo.
Costretto dalle circostanze a recarsi su un arcipelago dove divampa un'epidemia dai sintomi più disparati e si verificano omicidi insensati, con l'aiuto e il sostegno della sua ciurma, dovrà trovare una cura per gli isolani e una per se stesso.
Il Piombo Ambrato, però, è più rapido e devastante che mai...
(Dal capitolo I)
Sangue.
Centilitri e centilitri di sangue, misti a sostanze più pastose, che poteva tranquillamente riconoscere come membrane cellulari e carne umana.
"(...)Pen, che diavolo succede?!” Tutti e diciannove i restanti Hearts li avevano raggiunti, ma non li aveva degnati d’attenzione..."
(Dal capitolo II)
“Trafalgar Law, finalmente.” Una voce profonda e fin troppo famigliare gli era giunta dall'imbarcazione vicino la sua.
“Cazzo… ma perché la Marina?”
Genere: Drammatico, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bepo, Penguin, Pirati Heart, Shachi, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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°° Il Mostro Bianco °°

 

 

- Capitolo XII -



     Penguin si era passato un panno fresco sul viso, forse sperando di rinvigorirsi un po’, tuttavia quando aveva posato lo straccio aveva rivelato la stessa espressione esausta che lo aveva caratterizzato per tutto il giorno.
Nonostante la spossatezza, che era certo fosse più psicologica che fisica, si era alzato dalla poltrona della cabina di Law facendo leva con le braccia sulle gambe, e con passo pesante si era diretto verso il baldacchino del suo fratello più giovane.

Quest’ultimo era sdraiato e avvolto in diverse coperte. Gli occhi erano chiusi, ma il medico era sveglio.

“Non fissarmi in quel modo…”

La bassa voce di Law aveva fatto amaramente ghignare il pinguino.

“In che modo, scusa?” Sapeva perfettamente di starlo guardando con preoccupazione e commozione, si chiedevo solo come potesse essersene accorto il compagno.

“Lo sai…” Il moro si era mosso sospirando, facendo scivolare le lenzuola. “Non compatirmi. Risparmia quel minimo di orgoglio che mi è rimasto.”

A quelle parole il debole sorriso di Penguin si era rotto.
Non ce la faceva a vedere Law ridotto in quello stato. Il suo Law, il suo adorato fratellino saccente, intelligente, furbo e testardo ma infinitamente gentile, colui che gli aveva salvato la vita con un’eccellente operazione chirurgica alla tenera età di tredici anni e da allora gli regalava un’esistenza incredibile, a cui non aveva mai auspicato, qualcosa di tanto meraviglioso che a malapena aveva sognato. Se Penguin aveva ancora entrambe le braccia, era solo merito suo e ora che era Law a necessitare di aiuto, Penguin quelle due mani che ancora possedeva le aveva legate. Sapeva solo osservare l'amico di sempre mal trattenendo la propria frustrazione.

La lotta per sconfiggere la malattia era ardua, struggente e una corsa contro il tempo. Purtroppo, finché la cura non fosse stata pronta, gli Hearts avrebbero temuto ogni minimo crollo del loro capitano.
Speravano solo che dopo ogni caduta il Chirurgo della Morte si sarebbe rialzato, come in battaglia.

La metafora che aveva sfiorato i pensieri di Penguin era quasi crudele considerando che le attuali vittime del Piombo Ambrato erano proprio le gambe di Law, ma il pirata di Swallow Island non intendeva cambiare prospettiva.
Il suo capitano si sarebbe rimesso in piedi.
In tutti i sensi.

Penguin aveva sollevato le coperte fin sotto il mento del fratello, spostandogli poi dei ciuffi di capelli dalla fronte fredda eppure sudata. Law aveva presto rovinato l’operato dell’amico, estraendo un braccio dalla coltre di trapunte, facendole aggrovigliare mentre si metteva seduto e tirando un leggero pugno sulla spalla dell’altro.

“Ho riposato abbastanza, smettila di trattenermi in questo dannato letto.”

Shachi si era fatto avanti dall’angolo della cabina di Law che aveva fatto proprio nelle ultime ore. In altre circostanze gli sarebbe parso surreale che lui, un tipo tanto energico e gioviale, avesse potuto intrattenersi per tutto quel tempo semplicemente fissando una delle giallastre cartine geografiche appese alle pareti della cabina. Di fatti, però, nemmeno l'aveva realmente degnata di uno sguardo, giacché tutta la sua attenzione verteva attorno a Law e le sue condizioni fisiche. Dunque, probabilmente, non era stata poi così assurda la sua paziente e silenziosa attesa in quell'angolo angusto tra due librerie dal quale si era appena scostato per avanzare verso i due compagni, finché non aveva poggiato le mani sulle spalle del più giovane di loro.
“Hai avuto una paralisi delle gambe, Law.”

Dritto al punto, senza peli sulla lingua. Non voleva risultare insensibile, ma quel testone del suo capitano non ascoltava volentieri chi girava attorno al fulcro di un argomento. Anzi, solitamente approfittava di certi tipi di tentennamenti per manipolare il discorso e averla vinta. D'altro canto, però, i Pirati Heart potevano giurare che non era ancora nato quello che avrebbe battuto Law nell'arte della dialettica. Secondo Bepo solo il suo stesso sangue poteva avere quel potere e, sapendo di non poter contare sulla prima famiglia di Law, gli Hearts puntavano tutto sui loro futuri nipotini.

“Una paraplegia, per l’esattezza, durata solo pochi minuti.” La precisazione dell'unico vero medico presente aveva riscosso il rosso dal dolce e tuttavia amaro pensiero a cui si stava abbandonando.
I figli del suo capitano. Forse sarebbero stati problematici tanto quanto il padre. Shachi aveva dapprima sperato che prendessero dalla mamma, ma poi aveva scosso il capo. La donna che avrebbe sposato Trafalgar Law non poteva essere del tutto sana di mente. Il corsaro avrebbe sorriso a quella constatazione, se solo non si fosse reso conto che per conoscere i propri futuri nipoti serviva anzitutto che Law sopravvivesse a quella maledetta malattia.

“Intanto l’hai avuta!” La risposta vagamente infantile di Penguin aveva fatto sì che Shachi posasse i propri occhi stanchi su di lui. Dire chi fosse il più esausto tra loro due era davvero arduo. Si domandava come il proprio fratellone potesse non svenire lì in piedi e fosse invece incurvato e irrigidito sul letto di Law, pronto a litigare se il loro fratellino avesse fatto troppo il cocciuto.

“Lo so!” Aveva sottolineato il chirurgo, con tono forse troppo irritato per rivolgerlo alla propria famiglia e infatti aveva poi deglutito con pentimento. Si era lentamente portato le gambe al petto, ancora intorpidite e troppo tremanti. Le aveva abbracciate, facendo riposare la fronte bagnata sulle ginocchia, e aveva inspirato profondamente. “Lo so…” L’aveva ripetuto con tono più dolce, quasi arrendevole e forse con un'implicita richiesta di scuse.
I due compagni, da tanti anni complici del suo instabile comportamento, dovevano aver colto i suoi sentimenti, perché si erano seduti sul suo letto e Penguin lo aveva placidamente invitato a far poggiare la testa sul proprio petto. Shachi si era rannicchiato alla sua sinistra, adagiandosi contro il suo fianco ed erano rimasti tutti e tre in silenzio, a rilassarsi e a godersi il momento fintanto che durava.
Dopo un tempo indefinito, ma Law supponeva fosse stato breve, aveva alzato il viso dal nascondiglio che aveva trovato tra le proprie braccia ancora strette attorno le gambe e il torso del fratello e aveva mormorato quasi come se non avesse voluto disturbare eccessivamente quella quiete che si era creata, qualcosa di estremamente raro in quei tormentati giorni.
“Proprio perché l’ho avuta non voglio stare a letto.” Si era riferito alla paraplegia e non serviva specificarlo. Anzi, i due Hearts nemmeno volevano udire ancora quella parola.
“Mancano tre giorni a…” Aveva esitato, ma solo per poco. “... al mio limite…” Pur non potendoli vedere, era sicuro che i due compagni avessero distolto lo sguardo da lui e aveva distintamente percepito le lenzuola sotto di sé arricciarsi in tante piccole pieghe ed essere tirate, come se qualcuno le avesse strette nel proprio pugno. Aveva continuato, cercando di non badare a quanto le sue parole potessero risultare dure. “... Solo tre giorni… E dovrei passarli nelle vesti di un povero paraplegico? Le paralisi avvengono quando i messaggi del cervello non raggiungono correttamente i muscoli, e tutti noi sappiamo che il Piombo Ambrato mi sta fottendo il cervello. Potrebbe accadere di nuovo o non succedere più, chissà… l'erosione delle mie cellule è discontinua data la manifestazione a macchie della malattia.” Aveva serrato i propri pugni, ora, mentre la propria determinazione a non essere più una zavorra psicologica per il proprio equipaggio tornava a infondergli forza. “Capite, quindi, che è indifferente se sto qui o da un’altra parte, vero? Per il tempo che mi resta, voglio camminare. È uno dei miei passatempi preferiti, lo sapete.”

I due Hearts si erano lanciati un’occhiata rassegnata.
Law non era nel torto, ma assecondarlo sembrava in qualche modo sbagliato. Era quasi, implicitamente, come dargliela vinta chiudendo un occhio, come accontentarlo... come esaudire le sue ultime richieste.

Penguin ci aveva provato un'ultima volta, invano, ne era consapevole.
“Ma se dovesse accadere nuovamente?”

Law aveva sospirato, gettando indietro la testa e poggiandola sulla spalla dell'altro.
“Potrebbe, non lo nego. Tuttavia qualcosa dovrà capitare comunque in questi tre giorni... presto o tardi.” Aveva ghignato tristemente, passandosi una mano diafana tra i capelli altrettanto chiari. “Il guaio di essere un medico tanto capace... è che posso calcolare precisamente quanto mi rimane. Quindi, poiché ho la certezza che non vedrò il sorgere di quattro albe, un collasso dovrò sicuramente subirlo, che sia una nuova paralisi o qualcos'altro e di più grave.” Il termine della frase era stato poco più di un sussurro.
Law non temeva la morte, non si angosciava per la sua imminente dipartita. Era la consapevolezza di saper esattamente quando se ne sarebbe andato che lo abbatteva. Solitamente nessuno è a conoscenza della fine del proprio viaggio. Law invece, per la seconda volta nella propria breve esistenza, sapeva esattamente quando avrebbe dovuto ammainare le vele per l'ultima volta.
Era tutto così simile a Flevance. Anche all'epoca, sbirciando tra le cartelle cliniche scritte dai suoi genitori, aveva compreso quale fosse la data approssimativa della sua morte. Essa, insieme alle tragedie che aveva vissuto e dalle quali a malapena era scampato, l'aveva trasformato in un mostro che portava a sua volta morte ovunque andasse, per le azioni che compiva o per la sua semplice presenza nefasta.

Quel dannato Mostro Bianco.

Il medico era stato scosso da un evidente e incontrollabile brivido a quel pensiero.

Shachi gli aveva passato una mano sulla schiena senza neanche sapere che quel semplice gesto aveva scacciato la crudele maldicenza che aveva tormentato la mente di un giovanissimo Law e che, ora, aveva rischiato di minacciare nuovamente la sua coscienza.

Il capitano aveva stretto le palpebre, maledicendo la malattia che faceva vacillare la sua psiche alla più piccola breccia nella sua compostezza, e ripetendosi per l'ennesima volta che doveva dire addio al suo ruolo da vittima, perché non poteva essere un peso per i propri uomini e perché questi mai lo avevano considerato e mai lo avrebbero definito il Mostro Bianco.

Lui, per loro, era solo il Captain, e come tale doveva comportarsi.

Non era un flagello, non un appestato.
Era la persona a cui gli Hearts tenevano di più al mondo e per cui avrebbero fatto di tutto, perfino miracoli o, per meglio dire, una cura miracolosa per un malanno inguaribile.
Sì, erano pronti a tutto per il loro comandante. Anche a cedere alle sue richieste meno salubri, se questo significava donargli un minimo di serenità in circostanze che di lieto avevano alcunché.

Il rosso aveva rialzato lo sguardo sull'amico convalescente, cercando di convincersi che non stava assecondando il suo ultimo desiderio. Gli stava solo facendo un favore.
“Va bene, dai... come abbiamo già detto nei giorni scorsi che tu ti muova o che tu rimanga a letto è indifferente. Fintanto che puoi camminare, fallo, ma sappi che avrai la scorta.”

“Come un VIP.” Aveva subito aggiunto il maggiore dei tre, uscendosene con una battuta tanto inaspettata che forse era proprio per quello che aveva fatto ridere gli altri due.

Law aveva smesso di ridacchiare solo per alimentare quella debole nota di ilarità che si era instaurata all'improvviso.
“Io sono un VIP. D'altronde, il mio nome e il mio volto sono piuttosto famosi, volete negare?”

I fratelli avevano risposto affermativamente nonostante i sussulti delle loro risate.

Erano certi che quanto si stavano dicendo non facesse così ridere, ma evidentemente erano tutti e tre troppo prossimi all'esaurimento per reagire adeguatamente. Effettivamente, le loro risa erano quasi isteriche, ma non facevano male.
Erano liberatorie.

“Allora, andiamo?”

I pirati di Swallow avevano poi guardato il loro capitano con leggera sorpresa.
“Subito?”

“Beh...” Aveva incominciato Law, alzando le spalle. “... non è che abbia tutto sto tempo da perdere, sapete.”

Si era sentito tirare un leggero schiaffo sulla nuca da Penguin.
“Dio, Law, non parlarne così a cuor leggero. Però sì, ci prepariamo e usciamo.”

Shachi si era subito messo in piedi, ma aveva deciso di non rinunciare a quella vaga spensieratezza che si era diffusa nella cabina. Quindi aveva spinto all'indietro il proprio fratellino, che era ricaduto supino sul letto, e gli aveva poi afferrato e sollevato le gambe.

“Che cazzo fai, Shachi?” Law aveva alzato il busto puntando i gomiti sul materasso e avrebbe volentieri squadrato male il compagno.

“Che ne sapevi che sono io e non Penguin?”

Il chirurgo aveva alzato un sopracciglio.
“Stai facendo una minchiata. E chi fa minchiate su questo sottomarino?”

“Touche.” La resa a quel breve dibattito non aveva fatto però demordere il rosso, che aveva costretto Law a piegare le gambe e con movimenti lenti e calcolati gli stava facendo mimare una pedalata. “È ora della fisioterapia! O non farai neanche un passo fuori di qui. Hai le gambe così deboli...”

Trafalgar Law era rimasto inerte per diversi attimi, poi aveva soffocato una risata per assumere un cipiglio contrariato e con la minima e residua forza negli arti inferiori, aveva provato a divincolarsi da quell'imbarazzante situazione.
“Cretino! Lasciami! Non si fa così la fisioterapia!”

“Cosa dice, dottor Penguin, dovremmo dar retta al paziente?”

L'interpellato aveva finto di ponderare la domanda, portandosi una mano sotto al mento in una posa falsissima che doveva farlo apparire pensieroso. Si dispiaceva solo che Law non potesse vedere la sua ridicola recita.
“Mh, continui pure dottor Shachi. È evidente che il nostro paziente non abbia idea di cosa sia meglio per lui.”

Law gli aveva dato del traditore, ma entrambi i ragazzi lo avevano ignorato, continuando quell'insulsa ginnastica per le sue gambe, che pian piano Shachi aveva tramutato in vera fisioterapia, mentre Penguin l'aveva aiutato a cambiarsi.

Il medico aveva smesso di opporsi. D'altronde faticava a vestirsi autonomamente e non solo per la cecità, ma pure per la sua fiacchezza fisica, e stava ricevendo un vero trattamento di fisioterapia. Sebbene un'unica seduta poteva fare ben poco per le sue povere gambe, male di sicuro non faceva.

Inoltre l'atmosfera che si era creata era proprio quella che si era ripromesso di avere fintanto che la malattia non lo avrebbe definitivamente sconfitto; spensierata, perché era così che erano i suoi uomini e diversamente non li voleva vedere.
 
***

     L'andatura che i quattro Pirati Heart stavano tenendo lungo il bagnasciuga era così diversa rispetto al solito.

Law era sempre stato un tipo col passo svelto. Gli piaceva passeggiare e si godeva sia la camminata sia i luoghi che visitava passando, tuttavia per bearsi di questi elementi non aveva mai avuto bisogno di rallentare il suo ritmo. Sin da bambino era stato in testa al gruppo, e non solo perché aveva il titolo di capitano. I suoi primi tre compagni, gli stessi che ora lo stavano accompagnando, si erano ritrovati a rincorrere quei passetti veloci e precisi, mai vacillanti o insicuri. Col passare del tempo, per quanto riguardava l'equipaggio, le cose non erano che degenerate. Di fatti, ora la ciurma doveva inseguire oltre un metro e novanta di uomo dal passo lesto e nonostante la statura di alcuni, come Uni e Jean Bart, la cosa era tutt'altro che facile.

Stavolta, però, la faccenda era ben diversa.

Il comandante degli Hearts camminava piano e con fatica. Si reggeva con una mano alla schiena di Bepo, che aveva scelto di muoversi a quattro zampe per essere un facile appoggio per il proprio migliore amico. Shachi e Penguin erano dietro di loro e intrattenevano il piccolo gruppo con chiacchiere leggere su un argomento a cui Law non stava davvero prestando attenzione. Il ragazzo era molto più concentrato a mettere un piede davanti all'altro senza inciampare. Era sfiancate, leggermente doloroso, ma il chirurgo non si pentiva di essere uscito a passeggiare.
Era uno dei suoi passatempi preferiti e quando avrebbe dovuto rinunciarvi allora sì che sarebbe giunta la sua ora.
Nonostante la difficoltà, si stava godendo quella camminata con gli amici coi piedi nudi sulla sabbia umida. Sapeva che Penguin non era entusiasta all'idea di fargli bagnare i piedi nell'acqua fredda dell'oceano, rischiando di fargli abbassare ulteriormente la temperatura corporea, ma anche quello era uno sfizio che Law amava concedersi, come ogni pirata, d'altronde. Inoltre, era proprio Penguin che si era offerto di reggere i suoi stivaletti neri.

“Fratellone!”

I corsari si erano tutti voltati in direzione della vocina acuta che ormai sapevano perfettamente riconoscere. Law aveva atteso ad occhi chiusi che Mara si avvicinasse a loro, ma al posto di sentire la manina di lei che gli stringeva i pantaloni come ormai era consona fare, si era sentito dare una poderosa pacca sulla spalla da una mano grande, estremamente forte ma gentile.
Gli era quasi venuto da ghignare.
“Nonno?”

Sengoku aveva scosso il capo udendo un tono fin troppo giocoso lasciare le labbra del medico. Chissà quando avrebbe incominciato a chiamarlo “nonno” senza farlo sembrare la più grande presa per il culo dell'Era d'oro della pirateria.
“Non mi aspettavo di vederti gironzolare per l'isola.”

“Ed io...” Aveva incalzato Law nel momento in cui Mara l'aveva finalmente affiancato, palesandogli la propria presenza aggrappandosi ai suoi vestiti. “... non avevo capito che ti stavi dando alla carriera del babysitter. Prima me, ora la mocciosa...” Aveva volutamente lasciato la frase in sospeso e aveva udito i suoi fratelli trattenere le risate. Doveva sicuramente essere uno spettacolo esilarante quello del Chirurgo della Morte che prendeva affettuosamente in giro il suo nonnino ex Grandammiraglio della Marina Militare.
Sengoku, invece, aveva sospirato, benché non se la fosse davvero presa.

“Sono felice di vederti!”

L'allegro tono di Mara aveva richiamato l'attenzione dei due uomini e aveva impedito al soldato di difendersi dalla velata frecciatina del nipote impertinente.

“Di solito i marmocchi mi stanno alla larga...” Law aveva ripreso a camminare e alla biondina si erano illuminati gli occhi alle sue parole. In quei pochi giorni di frequentazione aveva imparato a conoscere il chirurgo e sapeva che quanto le aveva detto era un implicito invito a parlare un po' con lui.

“Stai un po' meglio?”

L'innocente domanda non aveva nemmeno colto alla sprovvista il comandante dei Pirati del Cuore. Ormai anche lui, sebbene il tempo insieme fosse stato poco, aveva imparato a comprendere l'animo di quella bambina dal cuore gentile.
Era preoccupata per lui ed era troppo piccola per capire che certe domande, per quanto apprensive, talvolta potevano essere indiscrete.
A Law, però, non importava e le avrebbe risposto con sincerità.

“Rispetto stamattina sto molto meglio. In generale, non me la passo benissimo...”

Aveva udito Mara mormorare delle scuse, mentre Sengoku chiedeva sottovoce ai suoi fratelli cosa fosse successo. Era interessante come nel giro di poco tempo il suo rapporto con il marine fosse tanto cambiato. Prima di quella disavventura su quell'arcipelago, Law non avrebbe mai permesso che il vecchio o qualcun altro di affiliato al Governo venisse a conoscenza dei suoi problemi di salute. Perfino la sua confidenza con la piccoletta petulante lo intrigava e distrattamente si chiedeva se, nel pieno delle sue energie, sarebbe stato altrettanto gentile e chiacchierone con lei.
Beh, la marmocchia era in gamba, quindi forse l'avrebbe egualmente tollerata.

“Non devi dispiacerti.” Law aveva placidamente ripreso la bambina, che aveva stretto la presa sulla sua giacca e continuava il proprio sconclusionato discorso su quanto fosse triste che lui fosse malato. Il ragazzo non poteva vederla, ma lei aveva addirittura chinato il paffuto visino.

“Invece sì che mi dispiace! Tu sei stato tanto buono con noi e non è giusto che ora tu stia male.”

La risolutezza con cui aveva pronunciato quelle parole aveva attirato l'attenzione del resto dei presenti.
Law aveva ghignato, mentre Bepo lo aiutava a fare i gradini che portavano a un lungo molo di legno.
“Tanto buono chi? Io? Mocciosetta, guarda che ho una pessima reputazione da difendere. Vedi di non raccontarlo in giro!”

Gli altri avevano ridacchiato, tuttavia Mara aveva mantenuto la propria espressione seria e aveva serrato la presa con cui si aggrappava a Law fino al punto di far divenire bianche le piccole nocche del suo pugnetto.
Il medico aveva percepito quella stretta farsi più forte e le risa dei compagni scemare.
Aveva abbandonato a propria volta il sorriso ironico con cui aveva parlato fino a quel momento.
“Ci sediamo?”

Lei aveva annuito, dimentica che il pirata non potesse vederla. Si era poi diretta verso il bordo del molo tirando la giacca bruna di Law e quindi costringendo il ragazzo a seguirla.

Trafalgar Law era rimasto in silenzio, aspettando che fosse la biondina a parlare e intrattenendosi in quei pochi secondi di attesa grattando Bepo dietro l'orecchio. Il visone aveva emesso un leggero grugnito di piacere.

“La tua ripetizione è falsa... no, reputazione. La tua reputazione è falsa.”
Così aveva esordito Mara.
Senza tentennamenti, tralasciando quel capitombolo con “ripetizione”, subito corretto, e senza girarci intorno. Law sarebbe stato fiero di lei per essere stata tanto diretta e per essersi finalmente accorta dell'errore di pronuncia per la prima volta da quando la conosceva se solo il significato di quella frase non lo avesse lasciato interdetto.

“Cosa intendi dire?”

“Io lo so che sei buono. Ne ho avuto le prove e non importa cosa dicono in giro sul Chirurgo della Morte. Sei gentile.”

Law aveva ascoltato con attenzione la piccola in via di guarigione. Tutto un tratto le sembrava così matura rispetto a prima sia per ciò che diceva sia per la fermezza della voce con cui esprimeva i propri saldi pensieri. Se non ricordava male, quando l'aveva incontrata, la biondina aveva detto qualcosa che era in netto contrasto con le sue attuali affermazioni.
Il medico aveva sorriso, mentre la tiepida luce del sole che tramontava gli riscaldava leggermente il viso pallido.
“Non eri tu a sostenere che i soldati sono i buoni e i pirati i cattivi? Io sono un pirata, e pure un capitano. Sono il peggio del peggio.”

Mara era leggermente arrossita al ricordo delle sue parole di ormai diverse mattine fa. Aveva affermato che il banchiere del Governo non poteva essere un militare, perché lui era cattivo, ma i marines erano buoni. Di conseguenza, i predoni dei mari erano malvagi.
Aveva gonfiato le guance, come sempre faceva quando era a disagio o era contrariata.

Poi la sua voce aveva raggiunto le orecchie di Law con un'intonazione insolitamente dolce.
“Papà diceva che “giustizia” e “legge” non coincidono sempre…”

Sengoku e gli altri due pirati Heart, poggiati al muro di pietra sporco di sabbia e salsedine che costeggiava il molo, si erano voltati a fissare con curiosità la piccola interlocutrice del loro Doc.

“Prima non capivo… adesso sì. E non è solo perché ho scoperto che papà stesso era un pirata... no. Quella è solo stata la conferma. Devo ringraziare te se ora posso avere a cuore il suo più grande insegnamento.”

Law era rimasto in silenzio, tanto colpito dalle parole della bambina che aveva lentamente aperto gli occhi, come sperando di poterla fissare incredulo e, sotto sotto, onorato.
Davvero qualcuno gli stava attribuendo un tale merito?
Davvero era grazie a lui se una bimba del genere, che un giorno sarebbe diventata una donna rispettabilissima, aveva compreso la più importante e profonda lezione del suo genitore ormai defunto?

Non era abituato a fare la parte “dell'eroe”, di colui al quale, alla fine di una peripezia, le persone facevano i propri ringraziamenti.
Non sapeva nemmeno come reagire.

Aveva riabbassato le palpebre, anche se ancora sorpreso.

“Sei molto meno scema di quel che credevo!” Quella era letteralmente la frase più stupida e inappropriata che fosse mai uscita dalle labbra di Trafalgar D Water Law, l'uomo con il vertiginoso QI mai eguagliato da altri nella storia dell'umanità.
Eppure, per quanto idiota fosse stata la frase e fosse stato lui stesso nel dirla, Mara stava ridendo di gusto.

“Hai visto? Sono riuscita a sorprenderti!”

Bepo era stato il primo ad unirsi alle risate della bambina, ma presto anche gli altri si erano abbandonati a quel momento.
Probabilmente era colpa del Piombo Ambrato se il medico non era riuscito a dire qualcosa di adeguato in risposta a quella tenera confessione, ma vista la reazione di tutti, poco importava.

Law aveva stiracchiato le gambe lasciate a penzoloni dal pontile, con la punta dei piedi nudi che sfiorava l'irregolare superficie dell'acqua e talvolta veniva colpita dagli schizzi, beandosi dell'aria serale che cominciava a soffiare dal mare.
Avrebbe volentieri prolungato quel piacevole attimo di tranquilla serenità, tutt'al più che dal momento in cui si era ritrovato senza parole si era sentito davvero spossato, e ringraziava mentalmente Bepo che gli fungeva da schienale, ma la piccola Mara aveva una curiosità inestinguibile.

“Fratellone, me la sai dire un'altra cosa?”

“Dipende da cosa mi vuoi chiedere.”

“Tu sai perché è morto il nostro medico?”

Law si era dovuto impegnare per elaborare la domanda e fare mente locale tra tutti i propri pensieri. Non si era aspettato quel cambio di argomento. Ad ogni modo era sicuro di conoscere la risposta, solo che, per qualche motivo, faticava a rammentarla.

Inconsapevolmente la bambina gli aveva dato ulteriore tempo per riflettere.
“Ho sentito la mia mamma parlare con altri adulti e hanno detto che il dottore era troppo giovane per morire, perché tu hai spiegato che... mh...” Si era grattata la testa, assumendo un'aria pensierosa.

“Che i giovani in salute hanno tante difese immunitarie, per cui sono stati gli ultimi ad essere minacciati dalla vostra epidemia. Le prime e uniche vittime erano i neonati e gli anziani.” Bepo era intervenuto in soccorso di Mara e lei aveva annuito con vigore.

“Giusto! Quindi in teoria il dottore non doveva morire. Io non me n'ero accorta di questa cosa strana, però sentendo la mamma mi sono resa conto pure io che c'è qualcosa di sbagliato!”

Il chirurgo aveva assunto un'aria incerta. Sapeva che la morte del suo collega aveva insospettito pure lui ed era certo di aver indagato al riguardo, eppure non riusciva a ricordare niente. Inoltre, più si sforzava, più percepiva delle fitte alla testa.
“Ecco... credo che... credo... Shachi!”

Già il tentennamento di Law aveva attirato gli sguardi dei suoi nakama, ma era stato con quell'esplicito richiamo che il rosso si era raddrizzato e scostato dal muro, la schiena coperta dalla divisa impolverata dalla sabbia.
“Sì, capitano?”

“Per caso vi ho parlato della morte del medico dell'isola?”

Shachi si era voltato a guardare perplesso Penguin, prima di girarsi nuovamente a fissare le spalle del proprio fratellino.
“Sì, Law... ci hai spiegato tu cosa è successo. Si è trattato dell'ennesimo omicidio dei soldati corrotti.”

Sengoku era sussultato a quella notizia, ma non aveva interrotto il racconto.

“Completamente ignari di quanto fosse potente e complicata l'epidemia, hanno deciso di togliere di mezzo il dottore onde evitare che trovasse una cura. D'altronde lo scopo del Governo era quello di appropriarsi dei possedimenti degli isolani che sarebbero deceduti a causa della malattia e dovevano fare in modo che ci fossero più vittime possibili.” Aveva ricercato lo sguardo di Mara, che lo osservava con attenzione. “Per loro sfortuna, sono stati a loro volta contagiati nel momento in cui hanno rilasciato la malattia sull'arcipelago. A quel punto, contattata la base, hanno richiesto il nostro intervento.”

La biondina aveva fatto un cenno col capo, per far intendere che aveva compreso la breve seppur esauriente spiegazione del pirata. Quest'ultimo era tornato a concentrarsi su Law.

“Cap', non ricordavi di aver scoperto anche questo intrico?”

Il medico era rimasto in silenzio e immobile, rimanendo voltato verso il tramonto ormai inghiottito dalla scura massa del mare.

“Capitano?” Penguin aveva affiancato Shachi ed era già pronto a scattare verso il loro comandante, quando finalmente Law aveva reagito. Aveva poggiato una mano in testa a Bepo e pareva starvi imprimendo la forza necessaria per alzarsi.
La gamba che aveva piegato sotto di sé per rimettersi in piedi aveva cercato di fare forza, ma aveva ceduto e gli era ricaduta oltre il bordo del molo, facendolo cascare in avanti.

“Fratellone!” Mara era stata in procinto di sostenere il busto di Law, ma era stata anticipata da Bepo.

“No, non me lo ricordavo.” Come se il suo momento di debolezza potesse essere passato inosservato, Law aveva risposto alla domanda di Shachi senza neanche badare al tremore nei suoi arti, e ignorando l'apprensione dei presenti. “Così come tante altre novità di questi giorni...” La sua voce si era resa appena udibile, il suo viso perfetto era rovinato da un'espressione indecifrabile, ma che forse poteva essere definita come affranta. “...era un'informazione che sapevo di avere, ma che non riuscivo a recuperare.”

Il visone aveva aiutato il proprio migliore amico a rimettersi seduto.
“Mi dispiace, capitano. Va tutto bene?”

Law aveva sorriso debolmente, senza neanche sapere il perché. La voce del suo navigatore gli era giunta in modo così ovattato. Sentiva una strana sensazione di vuoto attorno a sé. Gli pareva come di essere sott'acqua, dove i rumori esterni erano attutiti, mentre altri li percepiva molto più forti.

Il battito del suo cuore era così intenso.
Gli piaceva udirlo.

Si dispiaceva solo che, ogni tanto, un battito gli pareva mancargli.

Law si era alzato con un vigore che non sapeva di avere, lasciando interdetti i presenti e voltandosi verso dove supponeva ci fossero i propri fratelli.
“Sono stanco, andiamo a casa?”

Shachi e Penguin avevano annuito automaticamente, senza badare al fatto che quel gesto non potesse essere colto da Law, in quanto non vedente, e troppo estraniati dal comportamento bizzarro del loro fratellino.

Penguin stava per chiedergli se stesse bene, quando Mara aveva urlato terrorizzata.

Troppo sangue colava indisturbato da naso e bocca del capitano degli Hearts, poco prima che questi collassasse cadendo all'indietro.

Se Bepo non l'avesse preso sarebbe caduto in mare.
 
***

     Si era sentito mancare un altro battito.
Sembrava come se gli fosse stato strappato da una forza invisibile, che lo aveva lasciato parzialmente collegato ad esso e di fatti lo percepiva palpitare ancora, sebbene fosse lontano dal suo cuore.
In un altro organo... poi in un altro corpo.
Presto ogni sua contrazione cardiaca rimbombava all’interno di qualcosa che non era la sua gabbia toracica. Qualcosa che non lo riguardava, che non riconosceva o tanto meno gli apparteneva, e paradossalmente gli era collegato, gli era affine.

Era così strano, troppo disagevole.

Era vagamente doloroso.

Sicuramente lo faceva star male.

Law aveva boccheggiato spaesato quando aveva ripreso un poco di conoscenza in più. Aveva così richiamato l'attenzione di tutti i suoi compagni riuniti nella sua stanza.

“Capitano!”

Il medico aveva riconosciuto le voci, aveva riconosciuto le coperte che lo avvolgevano, ma ancora non riusciva a capire dove stesse realmente palpitando il suo cuore.

Perché provava quell'assurda e gravosa sensazione?

Aveva provato a parlare, ma invano. Non era stato in grado articolare una sola parola. La lingua gli sembrava gonfia, la gola secca.

Aveva incominciato ad ansimare.

“Capitano, ecco, bevi un po'.” Clione aveva parlato quasi come se avesse avuto paura di disturbarlo e si era avvicinato timidamente. Gli aveva gentilmente sollevato il capo e gli aveva portato un bicchiere alle labbra. Il pirata Heart aveva represso un brivido.
Law era troppo freddo.
Troppo.

Aveva inghiottito a fatica, tremando leggermente. Era uno sforzo perfino mandar giù della semplicissima acqua.

Gli erano sfuggiti dei deboli colpi di tosse e aveva fatto una smorfia, ma stavolta non aveva rinunciato a parlare.
Doveva almeno tentarci.

Non poteva rinunciarvi a quel punto.

“S-siete...” Non era doloroso come si era aspettato, ma era difficile. Inspiegabilmente difficoltoso. “... siete tutti qui?”

La sua voce non era mai stata tanto lieve e ruvida al contempo. Era appena udibile e qualcuno tra i pirati aveva trattenuto il fiato, temendo di sovrastare le parole di Law con un'espirazione eccessivamente forte.

White aveva appena dischiuso le labbra per rispondergli, ma la grossa zampa di Bepo, scossa da fremiti e singulti, lo aveva toccato sulla spalla e il più saggio degli Hearts non aveva osato emettere alcun suono.
A cosa serviva dirgli che Ikkaku era in laboratorio, mentre Penguin e il loro cuoco erano corsi al mercato dell'isola per cercare alcune erbe che avrebbero potuto dare sollievo a Law?
Perché dare quella delusione al loro adorato capitano?

Per una volta, per la prima volta dacché portavano con fierezza il loro jolly roger sul petto, credevano fosse giusto mentirgli.

“Ci siamo tutti.”

White aveva osservato Shachi che aveva risposto a nome di tutti e col sostegno di ognuno di loro. Lo invidiava per essere riuscito a mantenere la voce ferma.

Come faceva a non crollare davanti ai valori dell'elettrocardiogramma?
E quanto cazzo ci stava impiegando Ikkaku?

“Bene...” Il mormorio di Law aveva richiamato l'attenzione del meccanico di bordo. Il comandante respirava lentamente e pesantemente.
“V-vorrei...”

Un altro battito disperso chissà dove.

“V-vorrei parlarvi… uno per uno...”

La sensazione di vuoto sempre più opprimente.
Ora la percepiva anche dentro di sé.

“... ma non farei in tempo.”

Un'altra contrazione cardiaca del tutto sbagliata.
Un'altra agonia invano mascherata dal viso di Law veniva presentata a tutti.

Shachi aveva preso a tremare. Aveva fatto un paio di passi indietro, come se destabilizzato, ma poi era avanzato verso il baldacchino del fratello, cadendo in ginocchio al suo capezzale.

“Non dirlo... non dirlo nemmeno, capito?” Il suo labbro inferiore era così tremolante e nonostante gli occhiali da sole, tutti avevano scorto le lacrime che gli inumidivano le ciglia. “Ikkaku è di là in laboratorio. Ci siamo quasi!” Si era appena contraddetto con quanto aveva affermato poco prima, rivelando che non erano davvero tutti lì, ma la sua menzogna non contava al momento. Aveva afferrato la mano ghiacciata di Law, ormai talmente bianca che i tatuaggi erano quasi irriconoscibili.
“Devi resistere i sette dannati giorni che ci avevi promesso!”

Il pianto che a malapena tratteneva era stato preannunciato dal suo tono rotto, disperato.

Sul viso stanchissimo di Law si era formato il più fragile sorriso, mentre col pollice mimava delle deboli carezze sul dorso della mano dell'amico.
“Mi dispiace...”

Quelle due parole erano state troppo dolorose per l'equipaggio.
Uni aveva preso a singhiozzare e Clione lo avrebbe rimproverato se attraverso le lacrime avesse saputo riconoscere la sua alta figura.

Law odiava quella situazione.
Detestava essere il motivo di abbattimento dei suoi compagni. Aveva tenuto duro a lungo, aveva cercato di essere un sostegno, per quel che poteva, e si era ripromesso di recitare il proprio ruolo allegro fino alla fine.
Amaramente, aveva concluso, aveva mantenuto la propria promessa.

Erano giunti alla fine.

“Non piangete...” Aveva dovuto prendere un profondo e tremante respiro.

“E mi dici come faccio a non piangere?!” Ormai Shachi era esploso insieme al suo pianto. Stringeva con entrambe le mani quella del fratello e lo malediceva per non star mantenendo la parola data. Erano alla fine del quarto giorno, non del settimo!

Law avrebbe ridacchiato se un nodo in gola non glielo avesse impedito.
“Siete pirati... uomini forti, non dovreste piangere.”

“Tu ci hai resi forti!”

La mente straziata di Law non aveva saputo identificare la voce di chi aveva urlato
“Io vi ho solo reclutato... nemmeno vi ho promesso il One Piece. Quello è stato un sogno che è sopraggiunto in seguito.” Un sorriso sincero e un poco più ampio gli aveva abbellito i lineamenti. “Eravamo tutti disagiati ed emarginati.” I lontani ricordi di come aveva conosciuto ognuno dei suoi amici erano ancora nitidi, nonostante la malattia.

“E con te abbiamo avuto una vita magnifica! Il grande tesoro sarebbe stato solo un di più... qualcosa che noi volevamo per te, perché te lo meritavi! E...” Bepo aveva singhiozzato. “... e abbiamo ancora tanti anni davanti! Quindi mi dispiace, ma non puoi fare così.”

Il cuore del medico aveva rallentato il proprio ritmo e Law aveva sospirato colto da fremiti.
“Ho solo pensato che e-eravamo simili. Schiavi di qualcosa... o qualcuno.”

La sua voce sempre più lieve.

“Credevo che insieme ci saremmo riscattati... e che s-saremmo potuti diventare la famiglia di cui tutti noi avevamo bisogno.”

“E abbiamo fatto tutto!” Shachi non era più in grado di controllarsi. Le sue lacrime bagnavano le diverse coperte del letto e i suoi occhiali da sole erano caduti a terra a causa dei suoi forti singhiozzi. “Ci siamo fatti un nome, una fama... siamo tornati a essere liberi! Abbiamo iniziato a inseguire il sogno di tutti i pirati per te.”

Law si era sforzato di udire le parole del compagno, tentando di ovviare quella sensazione di vuoto che lo attanagliava.
Poi, per qualche motivo, aveva distintamente sentito l'ultimo grido del fratello.

“E siamo diventati una famiglia!”

Stavolta il sorriso che gli aveva piegato le labbra era grande, vero.
Felice.

“Sono così contento che lo pensiate davvero...” Anche il suo labbro inferiore aveva preso a tremare, ma il sorriso non lo aveva abbandonato, non si era ridotto. Era sempre ampio e in qualche modo le lacrime che minacciavano di cadergli dagli occhi chiusi lo rendevano ancora più bello.

“Voi... siete il mio One Piece.”
 
***

     Mentre Ikkaku correva per i corridoi del Polar Tang, diretta verso la cabina del suo capitano, Penguin si muoveva veloce e frenetico tra una bancarella e l'altra del mercato dell'isola.
Aveva una strana sensazione, una chiusura allo stomaco che lo faceva star male anche solo deglutendo e udiva una sorta di tonfo nelle orecchie, un rumore ritmico e continuo che pareva generarsi lì in mezzo alla piazza, ma che allo stesso tempo proveniva da un luogo molto più distante.
Voleva sbrigarsi a recuperare quelle erbe medicinali e tornare da Law.
Soltanto quello.

Camminava a testa china, ormai sopraffatto da quello strambo malessere, quando si era scontrato con la schiena del suo compagno.

Il cuoco era immobile, completamente sbiancato. Fissava innanzi a sé qualcosa e le punte delle sue dita tremanti erano l'unico segno che fosse ancora vivo.

Penguin aveva a fatica alzato lo sguardo, portandolo sulla bancarella della frutta che avevano di fronte.

Il cuore di Penguin si era fermato.

Gemiti rotti, spezzati, incontrollati lo avevano sopraffatto mentre quei battiti che gli rimbombavano in testa si facevano più forti e assordanti, devastandolo.
Era caduto in ginocchio piangendo disperatamente, scavando con le unghie nella terra, spezzandole, facendole sanguinare.

I mercanti non avevano potuto che avvicinarsi angosciati ai loro salvatori in preda al panico e alla più crudele disperazione.

L’ultima cosa che Penguin aveva visto prima di lasciare che quell'atroce agonia soffocasse la sua coscienza era la pulsazione finale, che coglieva il frutto sulla bancarella, tramutandolo crudelmente davanti ai suoi occhi colmi di strazio.

L’Ope Ope No Mi era rinato.

 
FINE CAPITOLO
 


Solitamente nelle note sono scherzosa, ma stavolta non me la sento.

Questo capitolo è stato importantissimo per me.
Ho pianto nello scriverlo ed essere riuscita a emozionare me stessa ha significato molto. Ciò che più mi preme, però, è che sia riuscita a commuovere anche voi. Come ben sapete far entrare i lettori in empatia coi personaggi della mia fiction è sempre stato l'obiettivo della mia storia, sin dal primo capitolo.

Ho cercato di descrivere al meglio i sentimenti dei protagonisti, sperando di trasmetterli direttamente a voi lettori.

Vi prego con tutto il cuore di farmi sapere se ci sono riuscita. Questo è davvero il capitolo su cui puntavo tutto per raggiungere il mio scopo.

Fatemi sapere cosa ne pensate ♥
Anche solo due righe, sono sempre ben accette! Vecchi lettori, nuovi lettori... non fatevi problemi! Leggo e rispondo sempre con piacere e, inutile ripetermi, in questo caso ci tengo più che mai!

E mi raccomando, appuntamento AL PROSSIMO CAPITOLO!

La storia non è finita ♥ e i Pirati del Cuore hanno bisogno del vostro supporto, ora più che mai!

Non abbandonateli *-*

Passando a toni più leggeri, avete notato la nuova grafica che caratterizza tutti i capitoli? Se EFP me lo avesse concesso, avrei usato un font molto più carino per le lettere maiuscole di inizio paragrafo, ma anche così non è male, no?

A presto miei cari, ci conto!

Baci

Pawa


P.S Se volete seguire i miei disegni, talvolta relativi alle mie fanfiction, ecco il mio Instagram: https://www.instagram.com/pawa_art/?hl=it
Potete seguirmi e mandarmi liberamente messaggi anche lì, sono sempre disponibile a rispondere!
   
 
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