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Autore: PrincessintheNorth    02/08/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ERAGON
 
 
Rischiare la morte a causa di un pasticcino volante non rientrava nei miei piani: probabilmente era l’unica cosa che non avessi mai visto come un pericolo in tutta la mia vita.  
Eppure fu esattamente ciò che mi capitò quando feci per entrare nelle stanze di Katherine. Se non mi fossi abbassato in tempo, probabilmente il manicaretto bruciato mi avrebbe perforato la fronte, tanta era la forza con cui era stato scagliato.  
«Vuoi per caso vedermi morta? Dillo subito se è così! FUORI!»
«Tranquillo, è sempre così».
Ovviamente l’improvviso arrivo di Murtagh alle mie spalle non aiutò: già ero nervoso per la situazione che avevo appena vissuto e riguardo a cui dovevo chiedere consiglio a Kate! Sinceramente, poteva risparmiarsi quelle sue comparse.
«E tu che ci fai qui?» domandai, rendendomi conto della stupidità della domanda solo dopo averla posta.
Murtagh inarcò un sopracciglio, come a chiedersi se stessi facendo davvero apposta o no. «È il mio castello, questa è la mia camera da letto e quella è mia moglie» osservò. «Tu, invece, che ci fai qui?»
«Mi serve Kate».
«Buona fortuna, allora» mi augurò. «Da una settimana non può praticamente alzarsi dal letto e per tenerla occupata suo padre le ha chiesto di giudicare le pietanze per la festa di compleanno di Evan, che è domani. È incontentabile: con questa gravidanza non le piace praticamente niente, ed i dolcetti men che meno».
«La detesto!» sbottò un pasticciere, uscendo a passo di carica dalle stanze e prendendoci a spallate.
Iniziamo bene.  
La compagna-del-tuo-compagno-di-cova mi diverte, commentò invece Saphira ridacchiando. Abbiamo parlato, in questi giorni. Ha una mente brillante.
«Sono a casa, amore» la salutò Murtagh. «I bambini sono con i nonni … ci vanno con loro, a cena. Killian mi ha detto che non gli stiamo abbastanza simpatici».
Ma lei era distratta, intenta a fissare intensamente e con tanta disapprovazione un altro cuoco.
«Avvicinati» gli fece. Quando lo sguardo dell’uomo si posò sul piatto che lei aveva di fronte, ebbe un fremito. «Cosa ti ricorda questo?»
Katherine sollevò quella che doveva essere, un tempo, una bistecca: era annerita ed estremamente sottile.
«Secondo te mi fa venire voglia di mangiare?»
«No, milady».
«Tu lo assaggeresti?»
« … no, milady».
Kate sospirò. Faticava a contenere la pazienza. «E allora perché vuoi che lo assaggi io? Non lo so, vuoi per caso farmi star male?»
«N-no, mi … milady». Quel cuoco sembrava sull’orlo delle lacrime.
«Allora fila in cucina e vedi di preparare un filetto che almeno sia il giusto taglio di carne. Perché, tanto perché tu lo sappia, questa è coppa. A futura memoria, la coppa mi piace solamente come salume» commentò lei con freddezza.
Il cuoco si voltò e se ne andò, scoppiando in lacrime non appena fu lontano dalla linea di tiro della sua demoniaca padrona.
Kate sbuffò e si lasciò ricadere sui cuscini, incurante di sgualcire la pregiata seta ricamata dell’abito bianco che indossava, già pronta per la festicciola che avremmo tenuto per Evan. Da quanto sapevo, la sua settimana non era stata particolarmente piacevole: era costretta a letto (e ricordavo benissimo quanto, anche nella Du Weldenvarden, avesse odiato il riposo forzato) e doveva fare i conti con l’orrida verità di essere stata vittima di un sortilegio che ne aveva manipolato pensieri ed azioni. Mio fratello però aveva detto che l’avere accanto i propri genitori e le persone che l’amavano la stava aiutando moltissimo: in effetti, migliorava giorno dopo giorno.  
«Di’ a mio padre che questa cosa dell’assaggiatrice non la voglio più fare» brontolò a Murtagh. «Per qualche assurdo motivo sembra che io sia il terrore dei cuochi».
Non ridere, mi intimò Murtagh. Non fare commenti. Non dire niente ed andrà tutto bene.
«Riferirò» la accontentò. «Vado a salvare i tuoi dai diavoletti».
«E allora perché hai deviato fin qua?» lei chiese stranita. «Ti toccherà farti il giro del castello».
«Dovevo pur controllare che stessi bene» le sorrise, per poi scomparire verso la porta.
Questo fece sì che l’attenzione di Katherine si concentrasse su di me: le bastò uno sguardo alla mia faccia per capire tutto, ed infatti si sfregò le mani con fare ghiotto di pettegolezzi.
«Problemi d’amore?» fece ridacchiando.
«Non sei divertente».
«Non fare così, mi annoi» commentò facendo cenno ad un altro cuoco di entrare e sottoporre la propria pietanza al suo giudizio. «Dimmi che è successo».
Sospirai e mi sedetti sul letto: forse, vista la sua stretta parentela con la mia fidanzata, non era il caso di dirlo proprio a lei, ma era l’unica che fosse a conoscenza della mia situazione sentimentale.
«Arya» dissi, cercando di scacciare il ricordo di poche ore prima che la coinvolgeva. Katherine annuì, mentre assaggiava un meraviglioso piatto di ravioli ripieni di zucca. Dall’espressione che fece, dedussi che dovevano essere deliziosi.
«Assaggia» mi propose porgendomi il piatto. «Sono deliziosi e sei troppo magro. Tu invece sei stato bravissimo, complimenti. Puoi prepararli per domani? Mi rendo conto che chiederti di farli per stasera è insensato» fece rivolgendosi al cuoco.
«Sono già compresi nel menù di stasera, Altezza» il cuoco sorrise visibilmente compiaciuto e sollevato. «Vostra madre, la regina, ha previsto antipasti di terra e di mare, zuppa, ravioli, stinco di maiale e pollo impanato con contorno di patate e verdure fritte».  
«Meraviglioso, perfetto. Arya cosa? Ah, e se non te l’hanno già detto guarda che stasera sei invitato a cena» mi ripeté per la quinta volta in quella settimana (e terza solo quel giorno). «Domani è il compleanno di Evan, ma iniziamo a festeggiare oggi. Quando hai finito di dirmi che succede dillo a Gunnhild, se non lo sa già» fece Kate mentre assaggiavo i ravioli: aveva ragione, erano deliziosi.
«Mi ha baciato» confessai infine. «Lei, non io, sia chiaro. Mi ha detto che doveva dirmi una cosa importante riguardo alla guerra … ma non era vero. Insomma, mi ha portato in una stanza vuota e mi ha baciato. Non dirlo a Gunnhild, ti prego».
Kate non parlò per qualche momento: ovviamente non mi fece particolarmente bene, perché contribuì a farmi sprofondare ancora di più nei sensi di colpa.
«Sì, forse è il caso di non dirglielo» convenne poi. «Potrebbe ammazzare Arya».
«E me».
«Perché dovrebbe ammazzare te? È lei che ha baciato te. Hai per caso ricambiato?»
«No!» esclamai sconvolto. Come faceva anche solo a venirle in mente? Sapeva cosa provavo per Gunnhild! Sapeva che non le avrei mai fatto una cosa simile!
Kate sorrise e scrollò le spalle, dopo aver risposto ad una domestica, che le aveva mormorato qualcosa all’orecchio. «E allora? Tutto a posto. Eppure … mi sembra che tu non ti senta molto bene».
«Mi sembra di averla tradita» mormorai. «Insomma … certo, io non l’ho baciata, ma … avrei dovuto prevederlo. Me l’avevi anche detto, che secondo te lei provava qualcosa. Direi che ci hai azzeccato».
Lei mi guardò dritto negli occhi per qualche momento, un’espressione indecifrabile sul viso, mentre lottavo contro ogni mio istinto che mi portava a fissare insistentemente quella cicatrice rossastra che le deturpava la tempia: dopo pochi secondi, si alzò in piedi.
«Ferma!» mi venne istintivo gridare. «Cosa stai facendo? Non puoi! E se succede qualcosa?!»
Katherine ridacchiò. «Quella era la domestica di mia madre, è venuta a dirmi che la cena è pronta. Sembrerebbe che siamo attesi, quindi … non voglio beccarmi una sgridata, ecco. Mamma odia i ritardatari. Ad ogni modo, se ora ti tirassi un pugno in faccia, te l’aspetteresti?»
«Ora che me l’hai detto sì» risposi stranito.
Ma perché vuole prendermi a pugni?
Saphira sbuffò. Forse dovresti ascoltare, invece che limitarti a sentire.
Sto ascoltando!
Se lo stessi davvero facendo avresti già capito dove vuole andare a parare.
«Ma se non te l’avessi detto non ti aspetteresti un pugno, no?» insistette lei. Camminava molto lentamente e con accortezza, come le avevano suggerito i suoi zii, ma dopo pochi passi le gambe le cedettero: sarebbe caduta se non l’avessi presa al volo.
Accidenti!
«Non è niente …» mormorò Katherine mentre iniziavo a porle domande a raffica per essere sicuro che stesse bene. «Solo stanchezza. A furi a di non muovermi per giorni questo è il risultato, soprattutto con certe scarpe».
«Ma sei sicura di stare bene?»
«Benissimo, non preoccuparti … andiamo» insistette.
Per fortuna le sue stanze non erano molto distanti dall’ingresso principale del giardino privato di Derek e Miranda: ovviamente ci mettemmo il doppio del tempo ad arrivarci, visto che lei doveva stare attenta ad ogni movimento. Nel raggiungere il grande portale di vetro che dava sul giardino incrociammo Nasuada e Gunnhild, che discutevano animatamente di qualcosa, pur non sembrando in disaccordo.
Come sempre rimasi di stucco nel vederla, ma quella sera più del solito: i lunghi capelli biondo chiaro erano stati acconciati in maniera diversa dalla solita treccia che portava quotidianamente, era vestita di un meraviglioso abito verde smeraldo e persino il suo portamento sembrava diverso. Lei, una donna-guerriera, sembrava essersi all’improvviso trasformata nella più aggraziata e nobile delle dame.
È bellissima.
E tu non sembri un uomo, ma uno scoiattolo nella stagione dell’amore, sbuffò Saphira. Per fortuna, non era Gunnhild il problema: al contrario, lei e Saphira andavano d’amore e d’accordo. Due sere prima l’aveva persino portata a volare, da sola! No, a farla sbuffare era il mio comportamento: pareva che fossi o troppo timido, o troppo sdolcinato, o entrambi.
Quando mi si avvicinò, notai che indossava persino dei gioielli: un sottile filo d’oro ornato da un piccolo smeraldo le cingeva la fronte e portava un paio di orecchini, anch’essi d’oro e smeraldi.
«Sei bellissima» quelle due parole mi uscirono dalla bocca prima ancora che avessi intenzione di pronunciarle, e bastarono a chiarire ogni dubbio che potessi aver avuto: era Gunnhild quella che volevo, non Arya, non Katherine. Lei era semplicemente perfetta.
Arrossì non appena le feci quel complimento: non era da lei. Beh, riflettei, non è da lei nemmeno agghindarsi così per una semplice cena in famiglia.
«Sono regali di zia Miranda» sorrise.
In un angolo della mia mente, Saphira ridacchiò. Svelarmi il perché di quel divertimento, tuttavia, non era tra i suoi scopi.
Dovresti baciarla, suggerì invece.
Baciarla? In pubblico? Sarebbe irrispettoso verso di lei e verso gli altri.
Cosa c’è di irrispettoso nel mostrare amore verso qualcuno?
Non sarebbe decoroso, Saphira. Per quanto in maniera informale, siamo invitati a cena dal re e dalla regina del Nord, alla presenza di principi e …
È una cena di famiglia, in verità, osservò. E poi, Murtagh bacia Katherine anche in pubblico.
Certo, sono sposati. Se io baciassi Gunnhild darei ad intendere di averle tolto la purezza!
Per la verità non capivo perché Murtagh si comportasse in maniera così sfacciata con Kate in pubblico. In certi momenti le dava baci anche piuttosto passionali, persino alla presenza dei suoi genitori e dei nostri, per non parlare degli estranei! Non temeva per la reputazione di Katherine? Dopotutto, era una principessa di sangue reale e, per quel poco di galateo che conoscevo, mai si sarebbe dovuta vedere una nobildonna in simili atteggiamenti.
Ad ogni modo, alla reputazione di Gunnhild ci tenevo (anche perché era da pochissimo che era entrata a corte), quindi mi limitai a baciarle il dorso della mano e ad accompagnarla verso il giardino, preceduti da Nasuada e dal suo accompagnatore. Non lo conoscevo, ma sapevo che era un lord vassallo di mio padre, e che da giorni insisteva presso di lui perché convincesse Murtagh a prendere suo nipote come scudiero.
Per fortuna, Arya non era in vista.
Godiamoci la festa.
 
EVAN
 
 
La mamma mi prese in braccio contro la mia volontà: e come se non bastasse, mi stampò un bacino sulla faccia!
«Mamma piantala!» protestai agitandomi per scendere. «Non le voglio le coccole! Sono pel le femmine!»
La mamma fece una faccia strana, però potevo vedere che ridacchiava. «E chi l’avrebbe detto, scusa?»
«Lo sanno tutti!» sbuffai. Come faceva a non saperlo? Lei di solito le sapeva, le cose. Ne sapeva tantissime.
«Ma guarda un po’» commentò. «Lascia che ti dica una cosa, piccolo: io sono la tua mamma e nessuno potrà mai impedirmi di riempirti di coccole. Nemmeno … il nonno Derek, che è il re».
«Lasciami!» protestai. Quella era la mia festa e c’erano anche tutti gli altri: a me piaceva quando la mamma mi faceva le coccole, ma non se c’erano anche gli altri! Bard, che era il mio amico preferito, lo diceva sempre, che suo zio gli diceva che le coccole e i bacini erano per le femminucce, cosa che io non ero assolutamente. Secondo me non era tanto vero, perché a volte anche papà si faceva abbracciare dalla mamma … e papà non era una femminuccia. Alla sera si sdraiava sempre con la testa sulla pancia della mamma, vicino al fratellino, e lei gli faceva le coccole. Lui e il nonno Morzan e lo zio Eragon combattevano con la spada tutte le sere e riusciva sempre a sconfiggere lo zio (ma mai il nonno: lui era troppo bravissimo! E anche lui si faceva fare le coccole dalla nonna).
Quella sera Bard non c’era, perché era a casa sua a mangiare con la sua mamma e il suo papà (che era il mio amico soldato) e la sua sorellina piccola, però c’era April, la mia zia piccola che la mamma diceva che era più come una cugina: lei non era per niente simpatica e da quando, pochi giorni prima, mi aveva visto in braccio alla mamma dopo che mi ero fatto malissimo aveva iniziato a prendermi in giro dandomi della femminuccia e del piccoletto.
Per fortuna arrivo papà, che mi tirò via dalla mamma e mi rimise per terra. «Lascialo stare» le disse sorridendo. «Non lo sai? Nessun uomo vuole le coccole della mamma … in pubblico. In quanto a te …» e si abbassò per parlarmi. «Non trattare così tua madre. Se fossi stato più attento ti saresti accorto che ti ha messo in tasca un regalo».
Cosa?
Non era possibile. Il mio compleanno era domani, non oggi! Va bene che facevamo una festa comunque, ma era il giorno sbagliato!
Eppure, mettendo la mano in tasca, mi resi conto che non era vuota. Dentro c’era qualcosa di freddo, piccolo e un po’ spigoloso … e tirandolo fuori rimasi completamente senza parole.
Era un piccolo drago di stagno, tutto verde! Del mio colore preferito! Sembrava il drago di Arya, l’amica di mamma, che aveva delle bellissime squame di tutte le tonalità del verde.
«Va a giocare, amore» la mamma sorrise e mi scompigliò i capelli. «E divertiti».
«Glazie mamma» la ringraziai (però non la abbracciai: forse l’avrei fatto dopo) e corsi via.
Dei miei amici quella sera c’era solo il mio quasi-cugino Tornac, perché il suo papà era il migliore amico del mio, di papà, quindi andai a giocare insieme a lui, che mi aspettava vicino alla coperta che la sua mamma aveva messo per terra per farci giocare con i soldatini, che erano il mio gioco preferito e anche il suo. Dopo vennero a giocare con noi anche Belle, Ismira, Susie e Lily, la sorella più grande di Tornac, anche se non era tanto grande. Cercai Killian, perché mancava solo lui, ma vidi che era in braccio alla mamma e mangiava qualcosa. In piedi di fronte a lei c’era lo zio Alec, che le stava dicendo qualcosa. Sembrava molto triste.
Posso andale a consolallo?, chiesi ad Antares, la dragonessa della mamma, perché mi dispiaceva molto vederlo triste.
Non ora, piccolo drago, lei mi disse. Ci penserà tua madre.
Allora ripresi a giocare con i miei amici, ma dopo pochissimo tempo il nonno Derek disse che era ora di mangiare e quindi ci toccò mollare lì i soldatini.
Quando arrivai fino dal papà, però, mi resi conto di essermi dimenticato il mio nuovo drago sul tappeto insieme ai soldatini: e se qualcuno, tipo Killian, me l’avesse rubato? A lui piacevano tantissimo, fin troppo, i miei giochi e cercava sempre di rubarmeli.
«Vado a plendele il dlago» dissi alla mamma, che era lì vicino a papà. Lei annuì (non mi fece nessuna coccola, per fortuna) e io tornai verso la coperta dove avevamo giocato, che era appena dietro l’angolo: quando lo svoltai, però, mi trovai la strada bloccata da parecchie persone.
C’erano alcune guardie, che conoscevo, ma tutti gli altri erano estranei, e non mi piacevano molto gli estranei: alcuni erano molto molto bassi, notai. Questi signori bassi si muovevano in gruppo e davanti a loro c’era un tizio basso con un lungo mantello argenteo, dello stesso colore del drago del nonno Derek: lui mi sorrise e si abbassò, non di molto, per parlarmi.
Allontanati, cucciolo, il drago grosso di papà mi suggerì. Era lì vicino, notai, e guardava gli stranieri con molta cattiveria.
«Ciao, ragazzino» il tizio mi disse. «Mi sembri un tipo sveglio. Sei in grado di condurci dal tuo signore?»
Che signore? Riflettendoci, ricordai che molta gente chiamava papà signore, ma chiamavano così anche i nonni … però io non li chiamavo così. Non erano signori, loro. Erano il papà ed i nonni.
«Il papà?» chiesi dunque.
«Dipende. Chi è tuo padre?» domandò lui.
«Muttagh». Avevo imparato a dire bene i nomi della mamma e del papà il giorno prima, ma dovevo ancora perfezionare la tecnica: quello di papà mi riusciva meglio, ma il nome completo della mamma era difficile, perciò aveva detto che “Katie” andava bene uguale. «Invece la mamma si chiama Katie e di lavolo fa la plicipessa e guida le navi».
«Oh, capisco» il signore basso disse. «Devi essere il piccolo Evan …»
«Non sono piccolo» precisai. «Killian lo è. Io domani compio tle anni».
«Addirittura? Allora hai ragione, sei grande, così grande che credevo fossi già un paggetto. Io invece mi chiamo Orik».
Orik … quel nome l’avevo già sentito. La mamma era molto arrabbiata quando l’aveva detto, ma poi era stata contenta, anche se non ricordavo perché. E lo zio Eragon una volta mi aveva detto che era una sorta di suo fratello … ma io sapevo che era il papà il fratello dello zio Eragon, proprio come me e Killian.
«Ciao» dissi allora, perché era maleducato non salutare. La nonna Selena lo diceva sempre.
«Ciao» sorrise anche lui. Era educato. «Mi piacerebbe molto parlare con tuo padre e tuo nonno, il re» fece.  
«Evan?» la mamma mi chiamò e l’attimo dopo comparve da dietro l’angolo. Quando vide i signori, però, si fermò e sul volto le venne un’espressione non molto contenta. «Cosa ci fate qui voi?» ringhiò infatti come quando si arrabbiava con qualcuno. Poi mi prese la mano e mi fece cenno di mettermi dietro a lei, come mi aveva insegnato a fare papà in caso di pericolo. Erano cattivi, i signori bassi?
«Principessa Katherine» Orik disse e fece un sorriso anche a lei. «Sono qua per due motivi principali. Scusarmi per il comportamento che ho tenuto nei vostri confronti l’ultima volta che sono stato qui e confermare l’alleanza del mio popolo e del vostro contro il nostro comune nemico, Galbatorix».
 
 
KATHERINE
 
Io non avevo voglia di beghe politiche, quella sera: apparentemente, però, mi piovevano addosso come se stessi ballando sotto un temporale.
Avevo solo voglia di cenare in pace e festeggiare con il resto della famiglia la vigilia del compleanno di Evan. Volevamo celebrare quella ricorrenza come si doveva: mentre si trovavano ad Uru’Baen a Murtagh non era permesso fargli regali o festeggiarne il compleanno, dunque lo faceva di nascosto. Aspettava che calasse la notte per imbucarsi nelle cucine e rubare una fetta stantia di torta e lo faceva addormentare cantandogli sottovoce “buon compleanno”. Evan non poteva ricordarsi i suoi primi due compleanni, ma ormai li associava ad un clima di paura e segretezza, cosa che volevamo sradicare. Nessuno dovrebbe vivere così il proprio compleanno, dopotutto: vedere che c’era una festa così grande per lui gli faceva molto piacere, ma lo rendeva anche un po’ insicuro.
Ma ovviamente, figurarsi se potevo passare un’intera giornata dedicandomi esclusivamente al mio bambino: fin verso le cinque e mezza del pomeriggio ce l’avevo fatta, ma poi erano arrivati i cuochi a sottopormi alcune delle loro pietanze per la cena del giorno seguente, che sarebbe stato il vero compleanno di Evan, così lui era andato a giocare.
Quando mi ero trovata davanti la doppia delegazione di nani ed emissari del Congresso avevo temuto il peggio, ma alla fine la cosa si era risolta piuttosto in fretta: Orik era venuto a sotterrare l’ascia di guerra ed, anzi, ad offrirci l’alleanza dei nani per la guerra. Si era scusato con Murtagh e Morzan (anche se nessuno dei due era sembrato molto convinto) e così papà gli aveva esteso l’invito alla “piccola” cena in onore di Ev. Almeno ai piccoli i nani erano piaciuti molto: si erano premurati di portare un giocattolo nuovo per ciascuno di loro, e la qualità dei giochi di fattura nanica era ben nota in tutta Alagaesia. Quando cadevano i loro compleanni mandavo sempre un messaggero a Tronjheim per commissionare i loro regali.
A rendere spiacevole il tutto ci avevano pensato i delegati del Congresso, giunti fino a lì solamente per dirci che sarebbero stati loro a decidere chi, tra me ed Alec, sarebbe salito al trono una volta che papà avrebbe deciso di abdicare o, gli dei non lo volessero, ci avrebbe lasciati. Sinceramente avrei fatto volentieri a meno di dovermi ricordare anche della questione della successione dinastica: dopo aver scoperto di essere stata sotto il controllo di Galbatorix per mesi, i pensieri nella mia testa erano ben altri.
Da quando papà e Morzan (e Murtagh, perché non sia mai che si fidi del giudizio di qualcuno più esperto) avevano definitivamente appurato che non ero più sotto il controllo di Galbatorix (perché chiaramente di lui si trattava) mi ero sentita bene come non mi sentivo da mesi: finalmente ero tornata me stessa. Potevo guardarmi allo specchio e vedere la Kate che ero sempre stata, e riflettere sulla persona che la maledizione mi aveva fatto diventare. Questo mi aveva permesso di capire molte cose, sia sulla vera me che sul comportamento che avevo sostanzialmente obbligato gli altri a tenere mentre ero fuori di me: era logico che ai miei genitori fosse venuto in mente di separarmi, con calma e pazienza, dai bambini. Conoscendomi da prima che nascessi loro dovevano aver notato prima di chiunque altro il mio cambiamento, e da nonni avevano subito pensato di proteggere i piccoli.
Quest’esperienza mi aveva anche permesso di comprendere meglio il mio carattere: dopotutto non si finiva mai d’imparare, ed il percorso di accettazione di ogni lato di sé non finiva mai. Certo, conoscevo il mio vero nome e dunque la sintesi della mia persona, ma ciò non voleva dire che comprendessi appieno ogni singolo lato di essa. Sentivo di poter finalmente dire: so chi sono. Non me ne vanto, né me ne vergogno. Ciò non voleva dire che non potessi migliorare: al contrario. Avendo più consapevolezza di me sapevo esattamente, ora, su quali aspetti lavorare.
Ecco, a questo ragionamento ero arrivata soltanto il giorno prima: i giorni precedenti non erano stati proprio così idilliaci, e dubitavo che li avrei mai superati se non fosse stato per le persone intorno a me.
Una di queste, che aveva compiuto un vero e proprio miracolo, era Nasuada, che ora sedeva a pochi posti di distanza da me ed era riuscita dove io avevo fallito. Non appena aveva saputo da Eragon ciò che mi era capitato era subito venuta a trovarmi per offrirmi il suo sostegno. Quello, insieme al costante supporto dei miei ed il dovermi occupare dei bambini, era stato ciò che mi aveva permesso di rialzarmi: per i primi due giorni, a causa del trauma che sentivo di aver subito, non ero riuscita nemmeno a mangiare, nonostante la minaccia di Murtagh di ficcarmi il cibo in gola con un imbuto. C’era voluto il pollo impanato di mia madre, accompagnato da peperoni grigliati e salsa agrodolce, per farmi riprendere a mangiare.
A farmi stare veramente male era il senso di colpa che provavo nel sentirmi così violata e traumatizzata: dopotutto Morzan aveva subito la stessa cosa per quasi un secolo, Murtagh e Nasuada per anni. Non trovavo giusto sentirmi così a pezzi per essere stata sotto quell’incantesimo solo pochi mesi, nonostante i loro tentativi di rassicurarmi. Era stata Nasuada a farmi capire di non dovermi vergognare per ciò che provavo: che fosse durato anni o mesi, un incantesimo di quel genere faceva male in ogni caso. Sii felice, mi aveva detto, perché è durato poco. Io sono felice che tu non abbia dovuto sopportarlo a lungo. Non pensare che sia un’ingiustizia verso Murtagh o me, o che per aver ragione di starci male tu debba soffrire ancor di più.
A distogliermi dai quei pensieri e a riportarmi alla realtà fu Evan, che mi diede una leggera tirata di manica: non parlò, ma era chiaro che voleva che lo seguissi. I suoi occhi esprimevano un terribile disagio.
Murtagh?, lo chiamai. Era seduto a due posti di distanza da me, così che potessimo aiutare tutti e tre i bambini con la cena, ma c’era talmente tanto rumore che non mi avrebbe mai sentita se avessi parlato ad alta voce.
Dimmi.
Porto via Evan per cinque minuti, lo avvisai. Vista la situazione, se ci avesse visti scomparire all’improvviso avrebbe dato di matto.
Immediatamente la sua espressione si fece corrucciata. Che gli prende?
Non lo so, non mi sembra molto a suo agio. Adesso la risolvo e poi vedo se gli va di tornare.
D’accordo.
«Andiamo» dissi allora al piccolo prendendolo per mano. Papà, che mi aveva tenuta d’occhio tutto il tempo (oramai il controllare cosa combinassi era diventata la sua principale occupazione: vista la situazione che avevo creato, non potevo lamentarmene), annuì.
Evan volle essere preso in braccio una volta lontano da occhi indiscreti, ma non parlò finché non fummo ben nascosti dalle fronde di un salice. Per qualche minuto preferì solamente restare accoccolato tra le mie braccia, con la testolina appoggiata alla mia spalla: ad un certo punto, sentendolo così immobile, iniziai a pensare che si fosse addormentato.
«Amore?»
«Non mi piacciono quelli signoli» brontolò. Era sveglio.
Come avevo pensato, era infastidito dalla presenza di troppi estranei a quella che doveva essere una semplice cena di famiglia dedicata a lui.
«Quali? I nani?»
Lui scosse la testa. «Quelli sono buffi» fece. «E simpatici e mi piacciono pecchè Olik mi ha legalato il mio gioco nuovo. Quelli alti nommali pelò sono blutti. Non mi hanno neanche detto ciao … e la nonna Selena dice che bisogna semple salutale, sennò si è maleducati».
«È vero» concordai cercando di nascondere la rabbia. Evan era un bimbo estremamente perspicace e sensibile, ma i rappresentanti del Congresso non avevano fatto nulla per nascondere la loro ostilità e lo sdegno verso di lui: come si poteva comportarsi così verso un bambino? «E puzzano anche un po’ di cacca. È un bene che il nonno non li abbia invitati a mangiare con noi, no?»
Lentamente, annuì e fece un sorriso: era in quella fase dell’infanzia in cui ogni cosa legata alla cacca ed affini lo faceva ridere. 
«Adesso» proseguii. «Apri bene le orecchie. Non devi aver paura di quella gente, perché tu sei un principe: vuol dire che tu sei più importante e che loro devono obbedirti. Sono loro a dover avere paura di te. Non lasciarti intimorire, d’accordo?»
«Va bene mamma» replicò con serietà dopo qualche istante.  Qualcosa nel suo sguardo era cambiato: mostrava una nuova consapevolezza, un’aria di solenne e pacata dignità.
Sembrava, mi resi conto con un brivido, lo sguardo di mio padre, uno sguardo che poteva definirsi solamente regale. Fortunatamente quell’aria da adulto scomparve poco dopo, sostituita dalla meraviglia e dalla curiosità suscitate da un tordo che era venuto a posarsi proprio sui rami del salice.
Rimanemmo lì ancora qualche minuto, per poi avviarci verso i nostri commensali. Sentii Belle allungare un filo di pensiero verso di me: iniziava a chiedersi dove fossimo finiti.
Stiamo tornando, amore, la rassicurai.
No ma mamma pecchè qui papà e i nonni stanno finendo la pancetta, mi informò preoccupata. Se non ti muovi non te la lascio quella che ho nascosto pel te!
Un sorriso mi affiorò in volto nel sentire quella frase: era raro che una bimba della sua età si preoccupasse degli altri, eppure lei aveva sempre un occhio di riguardo per le persone che amava. Era impossibile non volerle bene.
Grazie, Belle.
«Mamma?» Evan mi richiamò e mi strattonò la mano perché lo prendessi in braccio. «Devo ditti ancola due cose: la plima è che vollei molto anche io un animaletto come Mellie. La seconda è che … beh, Belle ha detto che si licodda di quando ela nel pancione … pelò io no».
Un terribile gelo mi intrappolò il petto mentre mi impegnavo per rimanere il più calma possibile: era dunque arrivato il momento in cui avrei dovuto rivelare ad Ev la verità sulle proprie origini? No, non era ancora pronto … se avesse scoperto ora che non ero stata io a donargli la vita si sarebbe sentito da meno rispetto a Belle e Killian, o almeno era ciò che temevo. Di sicuro avrebbe iniziato a farsi domande sulla sua vera madre: come dirgli che era morta non appena lui era nato? Una rivelazione simile lo avrebbe segnato per tutta la vita.
«Cos’è che si ricorda Belle?» la salvezza arrivò sotto le vesti di mio padre, che doveva essere venuto a cercarci. Nel vederlo (e soprattutto nel rendersi conto che aveva un pacco regalo nascosto dietro la schiena) Evan sorrise e gli corse incontro, per poi raccontargli che Belle diceva di aver avuto, nel pancione, un sacco di giocattoli. «Sai, anche tua madre lo diceva» gli rispose suo nonno facendolo accomodare sulle sue spalle.
«Davvero?» il piccolo domandò incuriosito.
«Certo, ma sono cose che sia lei che Belle si sono inventate. Vedi, Evan, i bimbi nel pancione non hanno giocattoli …» iniziò, per poi lanciarsi in una spiegazione molto semplice e a portata di bambino su come fosse l’alloggio di un feto all’interno del corpo della mamma. Venne fuori che avevo una piscinetta in pancia.
 


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Buonasera a tutti! Mi scuso per l'immenso ritardo, ma le vacanze hanno avuto la meglio :)
Ad ogni modo: spero che la storia vi stia piacendo, anche se ha preso un corso diverso rispetto alla storia originale, che il capitolo vi sia piaciuto ... e tenetevi pronti per il prossimo, perchè sarà un capitolo dove succedono COSE (no, non quelle. Che pensavate, porcellini? ;) )
Un bacione e ... Alla prossima!
   
 
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