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Autore: Lacus Clyne    02/08/2020    4 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Buonasera a tutti!! Seconda parte (e finale) del V capitolo. :) Ringrazio come sempre per le letture e la cara Evee che continua a sopportare la mia follia! XD 

 

 

 

Trascorsi buona parte della giornata in ufficio a rileggere il fascicolo Kenner nella speranza che potesse aiutarmi a mettere insieme qualche idea alla luce di ciò che stava accadendo. Ogni tanto lanciavo uno sguardo a Graham, che, impassibile, con occhi e dita che si muovevano rapidi ed esperti sul laptop, era impegnato a buttar giù un primo report sul caso Bernstein. Da quel che avevo capito, durante la mattina, lui e il detective Wheeler si erano recati, assieme al dottor Howell, presso l'ufficio del rettore Chambers. La presenza del Procuratore avrebbe permesso a quei due di agire tranquillamente evitando le ingerenze del I Dipartimento che possedeva mandato in quella zona. Che questo significasse pestare i piedi ad altri colleghi era ben chiaro, ma data la personalità del caso, nessuno dei tre ex membri del Dark Circus se ne curava. Era emerso che quella donna aveva vissuto all'estero per anni e che soltanto da due mesi aveva fatto ritorno a Boston, lavorando come segretaria nello staff di Chambers. Quest'ultimo, ascoltato sulla figura della stessa, aveva dichiarato di non sapere di eventuali relazioni attuali di Alicia, notoriamente piuttosto riservata, tanto più che si era reso necessario l'intervento del personale sanitario quando gli fu comunicato che si sarebbe proceduto con un sequestro e con gli interrogatori di rito, a costo, a detta di Graham, di mettere sotto torchio fino all'ultima persona presente in quel campus. Quell'eventualità aveva scosso il Rettore, sulle cui spalle già pesava la rivolta del figlio, scandalo che aveva già nuociuto alla sua reputazione, ma l'omicidio di un membro del suo staff sembrava esser stato il colpo di grazia e avrebbe certamente comportato una macchia indelebile su quella che, fino a quel momento, era stata una carriera rispettabile. Senza contare la risonanza dell'evento su una delle più prestigiose università d'America.

Poi fu il turno di Alexis, che ci portò i primi risultati dell’autopsia. Come sempre in via confidenziale, si era raccomandata Selina. Trovammo riscontro sulla tipologia di uccisione. Tre fendenti all’addome, sferrati da mano destra, compatibile con uomo di corporatura media e, post mortem, fratture multiple compatibili con caduta da cinque metri d'altezza. Alicia aveva visto in faccia il suo assassino, ma questi non aveva infierito più del dovuto, avendo reciso, col terzo colpo, l’aorta addominale, provocandone la morte per emorragia interna. E poi, l’aveva gettata giù. Tuttavia, a dispetto degli abiti visibilmente strappati e delle ecchimosi presenti sul suo corpo, non vi era segno tangibile di violenza sessuale. Che avesse solo tentato di stuprarla e che Alicia si fosse opposta al punto da provocarne la reazione? Avrebbe giustificato l’aggressione e i segni su polsi e caviglie. Graham non commentò, limitandosi ad attaccarsi al telefono per avere i risultati dalla Scientifica, mentre io ripensai a quando l’avevamo trovata. Chiunque fosse stato, probabilmente era ancora lì. Se fossimo stati più attenti, forse l’avremmo scovato e catturato, mentre ora, un assassino era libero di aggirarsi per le stanze del college, magari già pregustando la sua prossima vittima. Come il Mago, come tanti altri soggetti ignoti dalla morale perversa che esistevano soltanto per seminare morte. Eppure, in quel momento, al detective Graham non era importato. Guardai le foto del corpo senza vita di Alicia, pensando a quanto fosse stata bella in vita e mi decisi a cercare di andare un po' più a fondo.

– Posso chiederle una cosa, capitano? – chiesi, quando fu libero e ne potei ottenere l’attenzione. – Che tipo era Alicia Bernstein? Insomma, per il vostro gruppo… –

Graham strinse gli occhi per qualche secondo. – Era la donna di Richard. Quei due, al di là di tutto e tutti, erano legati indissolubilmente. Per questo motivo, quando Richard morì, Alicia si allontanò, chiudendosi nel suo dolore e trasferendosi all’estero. In realtà, da allora non ho mai più avuto alcuna notizia sul suo conto, tanto più che, come ci ha detto Chambers, era rientrata in patria soltanto da un paio di mesi, prendendo servizio come segretaria. –

– Perché ha detto “al di là di tutto e tutti”? –

Rifletté sulle sue parole, perplesso della mia domanda, poi sventolò a mezz’aria una mano.

– Fu Richard a proporle di entrare a far parte del nostro gruppo. A quel tempo, quei due stavano insieme da poco e Richard era quello più smanioso di mettersi in mostra, tra noi. Non so se si trattasse di un modo per impressionarla o perché fosse semplicemente un tipo su di giri, ma non ne fui affatto entusiasta. Permettere ad altri, per giunta senza meriti di sorta, di far parte di un’élite non rientrava nei miei progetti iniziali. Eppure Richard contravvenne al mio ordine e in breve, Alicia seppe di noi. Mantenne il riserbo, ma era palesemente a disagio in nostra compagnia. La sola cosa che per lei contava era lui. Diciamo che è stata una... spettatrice passiva. –

Ero senza parole. Ogni tanto, se fortunata, riuscivo a mettere insieme qualche pezzetto a mia volta. E paradossalmente, l’immagine di Richard Kenner mi sovvenne nelle vesti di qualcuno che, probabilmente, sarebbe stato in grado di tenere testa a Graham, al punto da sfidarlo senza temerne la ripicca.

– Immagino sia a mio rischio e pericolo chiederle cosa intende per spettatrice passiva, giusto? –

Gli occhi blu notte di Graham scintillarono e l'angolo esterno delle sue labbra si sollevò in un sorrisetto malevolo. – Non vorrei mai mettere la tua purezza d’animo sul piatto della bilancia dopo aver saputo altri dettagli. –

Avvampai a quel commento, balzando in piedi. Il mio cuore aveva preso a galoppare per l’imbarazzo. – Lei è davvero un… –

Le parole mi rimasero in gola, perché lo sguardo di Graham, in quel momento, aveva lasciato il mio, per spostarsi ben oltre. Mi voltai, stupita, nel vedere Elizabeth Dekker sulla soglia.

– S-Signora Dekker? –

Elizabeth mi rivolse uno sguardo, poi un cenno di saluto, per poi guardare l’uomo che era stato suo marito. Il padre di sua figlia, mi ripetevo.

– Qual buon vento, Elizabeth? –

– Lo sai già. Ho bisogno di parlarti. Da soli. Senza offesa, dottoressa Hastings. –

Scossi la testa. – Non c’è problema… stavo giusto uscendo a prendere un caffè… – mentii, incamminandomi verso la porta. Quando le fui accanto, non potei non notare quanto Elizabeth fosse una donna di classe, elegante nel suo trench color sabbia, Louboutin vertiginose e filo di perle. Per qualche ragione che non riuscivo a spiegarmi, avevo difficoltà a pensare a quei due come coppia. Non che Graham non fosse elegante, a modo suo, ma non c’era, nei suoi modi, la naturale raffinatezza che, ad esempio, contraddistingueva il dottor Howell. Eppure, c’era charme nella sua rudezza… e io, cercando di scacciare dalla mente quei pensieri così inappropriati per quel momento, mi defilai lasciando gli ex coniugi Graham chiusi in ufficio a conversare, probabilmente del biglietto ricevuto da Elizabeth e chissà di cos’altro.

Dato che era quasi ora di pranzo proposi al resto della squadra di uscire a mangiare qualcosa nelle vicinanze, ma uno dopo l’altro, i miei colleghi declinarono, preferendo continuare a lavorare, incuranti persino della presenza di Elizabeth. Persino Jace, che, in condizioni normali, avrebbe mandato in malora la baracca pur di non rinunciare a qualcosa da mangiare in compagnia, si scusò in nome di un importante test d’elaborazione per un qualche software a me ignoto. Sospirai, ma non potevo non pensare che quando Jace si concentrava, aveva qualcosa che mi ricordava il mio Trevor. La sola differenza era nel fatto che la scrivania di Trevor non pullulava di oggetti ispirati a serie tv e a film, aumentati in modo esponenziale da quando aveva cominciato a recuperare Game of Thrones. Mi allontanai per lasciarlo lavorare in pace e ne approfittai per scrivere al mio ragazzo.

Giornata pesante. Ti va di pranzare insieme?”

Meno di un minuto e la risposta di Trevor arrivò.

Sol perché è una giornata pesante?

Quelle parole mi stupirono. Rilessi il mio messaggio, ma non vi trovai nulla che potesse far sottintendere il bisogno di averlo insieme sol perché stavo avendo una giornata del genere.

No. Mi farebbe piacere trascorrere un po’ di tempo insieme, ma sei hai altro da fare, non preoccuparti.

Strinsi lo smartphone tra le mani, guardando verso l’ufficio. La porta era ancora chiusa, ma non c’era ombra di toni alterati, segno che la conversazione stava procedendo tranquillamente, per quanto si potesse pretendere da quei due. Nel frattempo, arrivò un altro messaggio.

Non posso lasciare. Ci vediamo stasera a casa.

Sospirai, mentre lo smartphone segnalava un nuovo arrivo.

Comunque fa piacere anche a me vederci, anche se ultimamente, mi sembra di dover dosare il tempo.”

Rimasi così, a fissare lo schermo a mezz’aria. Era impazzito o cosa? Respirai per qualche istante, cercando di fare mente locale. Trevor sapeva benissimo che il mio lavoro poteva andare oltre i turni, soprattutto a causa delle complicazioni che ultimamente affollavano il nostro Dipartimento. Capivo il suo malumore, ma considerando che avevo cercato, per quanto possibile, di coinvolgerlo, salvo per le questioni legate a Graham e alla sua cricca, la sua uscita mi sembrava incredibilmente fuori luogo.

Ne parliamo stasera. Però ricordati che ti amo.

Visualizzò, poi chiuse la conversazione con un “Anch’io”.

Sola con me stessa, con i pensieri dovuti a un fidanzato che, evidentemente, si sentiva trascurato, mi diressi a prendere un panino da un fast-food nelle vicinanze. Mentre attendevo il mio turno, che si sarebbe detto lungo a causa della classica fila da ora di pranzo, intravidi, dalla vetrata, Elizabeth e Graham uscire insieme dal Dipartimento. Si salutarono senza cerimonie, poi la donna chiamò un taxi e in breve tempo, il mio capo fu di nuovo solo, a guardare nella direzione della sua ex moglie che si allontanava. Poi si voltò a guardarsi intorno e quando incrociammo lo sguardo, feci segno di saluto. Probabilmente non comprese che non avevo altre intenzioni, perché ben presto mi raggiunse e dette un rapido sguardo al locale gremito.

– Se aspetti di mangiare, fai prima a prenotare la cena. – mi informò.

– Non fa niente, in realtà non ho proprio tanto appetito… ero qui giusto per un panino. –

Graham inarcò il sopracciglio. – Vieni con me. –

– Preferisco aspettare, grazie. – Non avevo proprio voglia di seguirlo, a dirla tutta.

– Hastings, hai bisogno di mangiare decentemente. Non posso permettermi di non averti lucida. –

– Prego? –

– Ho bisogno di parlarti, tu hai bisogno di mangiare e conosco un posto tranquillo in cui fare entrambe le cose. –

Sospirai, seccata. – Sul serio? –

Non mi degnò di risposta e si incamminò. Alla fine, mi decisi a seguirlo, lasciandoci alle spalle gente che scalpitava per un posto. Camminammo per una decina di minuti, in silenzio. Normalmente, avrei avuto voglia di chiedergli come fosse andata la sua conversazione, ma immaginavo che me ne avrebbe parlato ugualmente e, in quel momento, il pensiero di Trevor era sufficiente abbastanza per tenere a freno la mia curiosità. Ciononostante, la sua espressione non era tesa come qualche ora prima. Guardinga sempre, ma quantomeno era più gestibile. Ci fermammo davanti a un locale che mi era capitato di vedere di sfuggita passandoci in bus. Avevo pensato che fosse abbastanza lussuoso per le mie tasche, considerando la fine eleganza dell’Art Decò che ne definiva l'architettura. Mi ricordava quelle ville che avevo visto una volta, cercando idee per il viaggio sulla East Coast che avrei voluto fare con Trevor. Era ancora nei nostri progetti, ma aspettavamo tempi migliori. Tempo che non c’era…

Quando Graham varcò la soglia, una piccola parte di me si mise a far calcoli sul contante nel mio portafogli, mentre un’altra rifletté su quanto fosse tranquillamente a suo agio in un luogo del genere, al punto da ottenere subito un tavolo per due.

– Buon pomeriggio. Se i signori vogliono seguirmi… – ci accolse il maître.

Così, prendemmo posto presso un tavolo tranquillo, grazie anche alla presenza di pochi altri presenti, perlopiù uomini d’affari. Quando ci furono consegnati i menu, sgranai gli occhi nel vedere prezzi e portate, così mi accontentai di chiedere un piatto di crépes, il più economico. Graham optò per una tagliata di carne, poi ordinò del carpaccio di manzo e due contorni di verdure grigliate. Quando il cameriere ci ebbe lasciati da soli, mi decisi a parlare.

– Se aveva intenzione di farmi dilapidare lo stipendio, poteva avvisarmi prima! –

Non rispose alla mia protesta, ma si limitò a un sorrisetto e appoggiò il dorso della mano sotto al mento. – Che succede? –

Lo guardai di sottecchi, pensando che quel suo fare indagatore e dispotico era un tratto di personalità, motivo per cui non avrei mai potuto sperare di vincere contro un tipo del genere. Tanto valeva stare al gioco.

– Trevor pensa che lo stia trascurando… e dopotutto, non ha tutti i torti… –

– Il signor Lynch mi sembra più intelligente di così. Sei certa che sia così? –

Feci spallucce. – Detto da uno che si è fatto portar via la moglie da un altro, non credo che le sue valutazioni in materia di personalità e relazioni siano del tutto attendibili. –

Colto a sorpresa, sgranò sinceramente gli occhi. – Questa non me l’aspettavo. –

– Mi scusi! Non volevo… davvero, le chiedo scusa! Che idiota… – mi affrettai a rispondere, pensando che quelle parole mi erano uscite così, senza pensarci. E per di più, considerando che si trattava di un argomento troppo scottante, mi morsi la lingua al pensiero di aver appena accusato il mio suscettibile capo.

– Sai una cosa, Hastings? – mi richiamò, senza che riuscissi anche solo ad alzare lo sguardo verso di lui. Scossi la testa, in preda alla vergogna. Vedevo solo le sue mani, ora incrociate sul tavolo. Aveva belle mani, anche se con qualche ruvidità.

– Sei diretta. Se hai qualcosa da dire non ti fai particolari problemi. Questo tratto, nella maggior parte delle persone, può essere un limite, ma dal mio punto di vista, trovo che sia una rarità. E non mi dispiace affatto. –

Alzai timidamente lo sguardo, pensando che avesse la febbre. Mi fissava, con quegli occhi indagatori che sembravano scrutarmi dentro, facendomi sentire un’idiota. Cercava di motivarmi, questo l’avevo capito, ma non riuscivo a non pensare che la vera rarità fosse sentire quell’avaro di complimenti del mio capo dire qualcosa di carino sul mio conto.

– G-Grazie… – farfugliai, distogliendo lo sguardo a favore di una enorme pianta tropicale in direzione della cucina.

Mpf. Se ti metto così a disagio con una semplice conversazione tra colleghi, come posso contare su di te per la nostra prossima operazione? –

– Eh?! –

Richiamata tutta la mia attenzione, al di fuori della sfera personale, mi focalizzai sulle sue parole.

Graham riempì i nostri bicchieri di acqua minerale, comunicandomi che in seguito alla visita di Elizabeth, gli ex membri del Dark Circus avevano deciso che sarebbe stato il caso di raccogliere il guanto di sfida e questo, significava partecipare sia al meeting, previsto per quel sabato, che al gala d’apertura della nuova sala casinò. Il problema, per quel che mi riguardava, era che Graham aveva deciso di far partecipare anche me all’evento. La motivazione ufficiale, a suo dire, sarebbe stata la mia capacità d’osservazione. Per qualche ragione, contava su questo più di quanto potessi immaginare, tanto più che era stato ciò che ci aveva permesso di mettere insieme qualche altra informazione sul Mago, l'anno prima. Eppure, non era bastato a salvare la piccola Daisy Ross. La sua morte era sempre lì, a ricordarmi perché avessi voluto intraprendere quella carriera.

– Se non te la senti, Hastings, lo capirò. Non voglio metterti in una situazione scomoda, ma se te ne parlo è perché non voglio che ci siano segreti. Quando mi hai detto che saresti stata con me, sono rimasto sinceramente stupito. Non mi aspettavo che fossi così risoluta, ma le tue azioni me ne danno prova. E seppure, da una parte, mi rendo conto che questo esuli dal tuo contratto, sapere di poter contare sul tuo aiuto è… confortante. –

Mentre parlava, le nostre ordinazioni arrivarono a destinazione e i profumi del pranzo allettarono i sensi, riportandomi al momento. Quantomeno non era un sogno che Graham mi stesse considerando importante per la squadra.

– Ho bisogno di parlarne con Trevor, però… so bene quel che mi ha detto, ma temo che se non faccio qualcosa, dovrà finire col fare a meno di me. Non gli parlerò di… beh, quel che sappiamo, ma almeno mi permetta di dirgli che sarò assente per un giorno intero a causa di un’operazione. – contrattai, impugnando le posate. Se voleva il mio aiuto, doveva cedere su qualcosa.

Graham ci pensò, poi prese a tagliare la carne nel suo invitante piatto. – Va bene. Mi voglio fidare di te. Ora però mangia. E, già che ci sei… – continuò, allungando il piatto col carpaccio di manzo. – C’è anche questo. Hai bisogno di proteine. –

Sgranai gli occhi, mi venne da ridere. – Sta scherzando? –

– Affatto. Mangia e non preoccuparti del conto. Jenkins è un vecchio amico, prezzo di favore. –

A quel punto, subentrò l’incredulità. – Sul serio? Un amico? Ecco perché si può permettere un posto del genere. –

Sul suo volto comparve quel sogghigno con aria da sufficienza che avevo imparato a conoscere.

– Forse è più corretto dire che è lui a potersi permettere la mia presenza. –

Una vecchia conoscenza. Era ufficiale: Alexander Graham non aveva affatto dismesso i panni del leader del Dark Circus.


***

 

Dopo il lavoro, in qualche modo rinfrancata dalle parole del capo, che, in fin dei conti, sapeva avere qualche barlume d’umanità quando voleva, proprio come Selina mi aveva detto, decisi di fare una sorpresa a Trevor. Non andavo spesso a casa sua da quando avevo cominciato il mio lavoro, a causa della reperibilità. E poi, dovevo ammetterlo: la mia versione pigra preferiva crogiolarsi nella routine, in un certo senso, pertanto, trovavo più comodo raggiungere il lavoro senza dover fare scalo a casa per fare rifornimento. Dopotutto, forse Trevor non aveva tutti i torti sul fatto che lo stessi trascurando e quel senso di colpa che per qualche ora mi aveva dato tregua, stava ricominciando a farsi sentire. Riflettendo, strada facendo, sul modo più efficace per affrontare la conversazione, mi venne in mente che quando ero piccola, ogni tanto capitava di vedere i miei genitori discutere tra loro. Niente di trascendentale, dato che erano sempre andati abbastanza d’accordo, ma si sa, l’amore non è bello se non è litigarello. Avevo una mamma che non faceva passare nemmeno una mosca sotto al suo naso. E il mio papà, paciere per natura con lei, sapeva che il modo migliore per metter calma dopo un momento di tensione era portare alla mamma una Sacher Torte, la sua preferita. Quel dolce aveva la capacità di smorzare qualunque agitazione, riportando entrambi verso porti più tranquilli e, di rimando, viziare la loro unica figlia con della squisita torta al cioccolato.

Quel pensiero mi fece sorridere e optai per la stessa strategia, con la sola differenza che il dolce scelto non sarebbe stato la Sacher, ma una più abbordabile torta al limone, la preferita del mio fidanzato. Cercandola tra le tante esposte, mi cadde lo sguardo su una stupenda torta nuziale a cinque piani che tre addetti stavano confezionando. Una cascata di delicatissime rose di zucchero avvolgeva i piani bianchi con eleganza, mentre sulla cima, una coppia di sposi, nella migliore delle tradizioni, troneggiava benaugurante. Avevo sempre sognato il matrimonio, ma a tempo debito. Avevo di recente trovato lavoro dopo tanto studio e volevo prima consolidare la mia posizione. Questo, nella più rosea delle ipotesi, avrebbe richiesto almeno altri quattro o cinque anni. Per giunta, non avevo gran fretta, essendo ancora così giovane. Ma mentre guardavo quella coppia lassù, riproduzione di una coppia che nella vita era a un passo così dal suggellare l’inizio di una vita insieme, fui scossa da emozioni diverse. Da una parte, la tenerezza e il sogno di una ragazzina di indossare un abito bianco mentre il proprio principe azzurro la attendeva sul fondo della navata. Dall’altra, e fu ciò che mi fece bruscamente tornare alla realtà, fu l’immaginare un più giovane Graham, il volto di chi aveva visto il suo sogno di una famiglia distrutto, attendere all’altare una sposa che l’aveva tradito.

Mi affrettai ad acquistare la torta per Trevor e uscii quanto prima potevo dalla pasticceria, maledicendo me stessa e quei pensieri intrusivi che da qualche tempo si affacciavano alla mia mente nei momenti meno opportuni. Quando raggiunsi il condominio in cui abitava il mio ragazzo, però, quell’immagine era andata via. Dovevo concentrarmi sul da farsi e perciò, ripensai alle fossette sul viso di papà, quando il suo sorriso si apriva in una richiesta di bandiera bianca. Quando suonai il campanello del suo appartamento, erano almeno le 19:45. Trevor doveva esser tornato a casa da poco e sperai che non fosse sotto la doccia… almeno, avremmo avuto qualcosa di ulteriormente piacevole da fare insieme. Quando aprì, aveva un asciugamano in tela sulla testa e una vecchia tuta Adidas blu scuro che risaliva ai suoi tempi del college, con buona pace della mia idea, e con un’espressione stupita nei suoi occhi verdi. Almeno la sorpresa era riuscita.

– Kate? –

– Scusa! – esclamai, parando la confezione dorata nello spazio tra noi.

Trevor era perplesso, ma poi scoppiò a ridere. – Che hai combinato? – chiese, scostandosi per farmi entrare dopo aver preso la torta. Gli passai davanti, rincuorata dalla sua risata spontanea e dal suo tono giocoso, tanto più che mi vennero le lacrime agli occhi.

– Ne possiamo parlare con calma? Se poi posassi quella torta e mi abbracciassi prima che scoppi a piangere inondando il tuo pianerottolo, te ne sarei infinitamente grata. –

Scosse la testa con un mugugno divertito, prima di fare come gli avevo suggerito. E quando le sue braccia furono intorno alla mia vita e la mia guancia accomodata sul suo petto, così che potessi abbracciarlo con tutta la forza che avevo, mi sentii tremendamente felice… e anche sollevata dalle paranoie.

– La tua giornata è stata davvero dura, eh, amore mio? – mi domandò, cullandomi mentre ci accompagnavamo l’un l’altra sull’enorme e morbido divano a strisce bianche e bordeaux che dominava il suo soggiorno, per poi fiondarci e salutarci per bene con un lungo bacio. Incontrai i suoi occhi alla mia altezza, annuendo. Profumava di bagnoschiuma e shampoo appena fatto e mi inebriai di essi, mentre carezzavo i suoi capelli ancora umidi.

– So che ti trascuro… so di non essere la fidanzata più presente di questo mondo e questo mi fa sentire in colpa più di quanto immagini… ma ti amo, Trevor e voglio che tu sappia che sei nei miei pensieri sempre… – confessai, sentendo le guance accaldate.

Un sorriso dolcissimo attraversò il volto del mio ragazzo, che annuì.

– E io devo delle scuse a te. Stavo rileggendo i nostri messaggi prima e mi sono reso conto che i toni erano un po’ fraintendibili. Ero davvero molto impegnato, Kate, e mi dispiace di averti dato l’impressione di non voler pranzare con te… sono un po’ sotto pressione in questo periodo, ma se tutto va bene e il mio progetto viene approvato, potremo respirare. –

Il suo progetto… il software di riconoscimento a cui stava lavorando da mesi ormai. Quanto impegno ci metteva. Se fosse andato tutto a buon fine, avrebbe avuto l’opportunità di ottenere un posto di tutto rispetto nell’azienda di Home Security in cui lavorava. Annuii, speranzosa.

– Andrà tutto bene, ne son certa! Se c’è qualcosa che so è che non hai rivali quando si tratta di informatica! –

Trevor voltò gli occhi al cielo, poi mi baciò nuovamente. Risposi con un po’ troppa foga, ma ero entusiasta all’idea che potesse farcela. Poco alla volta, stavamo mettendo insieme dei tasselli importanti delle nostre vite lavorative.

– Mh… comunque, se tu sei qui, le rose che ho mandato a casa tua saranno in mano di Lucy a quest’ora, eh? –

Sgranai gli occhi stupita. Era il mio turno di ricevere sorprese, evidentemente. Scoppiai a ridere al pensiero di Lucy che si ritrovava davanti il fattorino con un mazzo di rose. In realtà non ci sarebbe stato nulla di divertente, ma l’atmosfera era così ilare, forse a causa della tensione che si scioglieva, che non potei farci nulla. Rimanemmo così, a chiacchierare con aria giocosa, intervallando il tutto con deliziose coccole, fino a che l’orologio non ci ricordò che era ora di cena.

– Che ne dici di rimanere qui stasera? C’è un dolce che attende ancora di essere aperto. – mi propose, aprendo il frigorifero pieno. Mi guardai intorno, pensando che la sua cucina fosse decisamente più ordinata della mia e il suo frigo non piangesse miseria come il nostro da quando Jace si era piazzato da noi. Acconsentii di buon grado, sedendomi al tavolo a due posti che occupava quel piccolo spazio, perfetto per una coppia. Trevor tirò fuori tutto l’occorrente per delle omelettes. Vivendo solo, spesso si arrangiava, ma dovevo ammettere che il suo cavallo di battaglia era irresistibile tanto quanto il vederlo all’opera. Attendendo che l’olio sfrigolasse, mi detti da fare anch’io, preparando un’insalatona.

– Cos’hai mangiato, poi? Spero non un panino al volo. –

Sorrisi, scuotendo la testa. – No, affatto. Hai presente Jenkins’ Villa Restaurant? –

– Quel ristorante da ricchi dalle parti del Dipartimento? –

Condii l’insalata mentre Trevor cuoceva le uova con maestria.

– Ci ho fatto un salto. A dire il vero è stato Graham a portarmici, visto che voleva parlarmi di un caso, e così… utile e dilettevole. – spiegai, sperando di non renderla sospetta.

Un cipiglio quasi impercettibile segnò per un secondo la fronte di Trevor.

– Quantomeno hai mangiato decentemente… –

Ne approfittai per apparecchiar tavola, sventolando un tovagliolo davanti al suo naso.

– Sì, però è un po’ troppo caro per i miei gusti… preferisco qualcosa di più tranquillo, in cui non lasciarci un rene. –

Spadellò le nostre omelettes, facendo spallucce. – Ti ha invitato e non ha offerto il pranzo? Lo facevo più cortese. –

Mentalmente, ripensai a quel suo prezzo di favore, ma considerando che non potevo parlare a Trevor dei trascorsi del mio capo, mi sedetti in attesa.

– A dire il vero l’ha fatto. Graham avrà tanti difetti, ma non è affatto quel tipo di persona… insomma, è arrogante e se ne frega delle regole, ma a me ci tiene… cioè, come collega, naturalmente! –

Mhh… – mugugnò, servendoci la cena. Prese posto di fronte a me, guardandomi di sottecchi.

– Finché mantiene le distanze e si limita alla professionalità, non ne dubito. –

Aggrottai le sopracciglia. – Che vuoi dire? –

– È soltanto che a volte mi dà l’impressione di tenerci in un modo che va oltre… e non sono geloso, mi fido di te, ma c’è qualcosa in quell’uomo che non capisco… –

Tra i piatti fumanti, osservai a fondo Trevor. Come potevo dargli torto? C’era tanto di Alexander Graham che non capivo nemmeno io… però una cosa era certa: se c’era qualcuno a cui lui teneva in un modo che andava oltre, non ero io, ma la sua ex moglie. Presi la mano di Trevor, cercando le parole giuste per rassicurarlo.

– Trevor Lynch, se il nostro fosse stato un grande amore, noi fossimo stati sposati e a causa di vicissitudini negative e circostanze drammatiche, ci fossimo lasciati, tu smetteresti di tenere a me? –

Sentì la presa della sua mano stringersi intorno alle mie dita. – Il nostro è un grande amore, non siamo ancora sposati, spero che la nostra sarà una lunga e felice vita insieme e no, non smetterei mai di tenere a te, Kate. –

– Trevor… – sussurrai, colpita sinceramente da quelle parole. – Io… –

Sorrise dolcemente, per poi baciarmi la mano. Al contatto delle sue labbra, la mia pelle mi sembrò caldissima. – Ti amo. Ma ora ceniamo, perché le omelettes fredde rovinano l’atmosfera. –

Ridacchiai a quel commento poetico, poi cenammo lasciando scivolarci addosso quei dubbi. Solo dopo la cena, accoccolati sul divano a guardare la TV e a spiluccare la deliziosa torta al limone, mi sovvenne, causa servizio tg, di dovergli parlare dell’operazione. L’anchorman presentava la settima edizione del Charity Meeting, che avrebbe avuto luogo proprio quel sabato presso il Four Seasons. Sarebbero intervenute personalità del jet set e dell’alta finanza di Boston. Trevor borbottò qualcosa sul quanto l’apparenza avrebbe fatto di quell’evento una vetrina, soprattutto considerando che l’apertura della sala casinò che sarebbe seguita altro non era se non una presa in giro. Denaro versato a favor di paparazzi e dell’azzardo. Cercai di essere quanto più asettica possibile nel comunicargli che avrei preso parte all’evento, tanto più che nel suo sincero shock mi preoccupai di come avrebbe potuto prendere il resto.

– Il procuratore Howell, per via del prestigio della famiglia, è stato invitato a partecipare insieme alla sua compagna, Selina. Dal momento che c’è carenza di personale e sono figure in vista, saremo di guardia. –

– Kate, tu sei una psicologa, non un agente operativo. Che senso ha? Che facciano affidamento su gente qualificata. –

Ok, non aveva torto. Cosa potevo inventarmi per non mandare all’aria la copertura?

– Missione segreta: stiamo indagando su un caso e credo che il colpevole possa trovarsi tra gli intervenuti… e prima che tu dica qualunque cosa, ho già accettato. Lo so, non sono un’agente operativa, ma è un modo per agire su campo. Inoltre, essendo un evento di risonanza, non correrò alcun rischio. –

Sospirò contrariato e la sua mascella si irrigidì. – Sabato… –

– Perché? C’è qualcos’altro? – chiesi, accarezzandogli la guancia scolpita.

– Presenterò il mio progetto. Sapere che tu sarai lontana e in mezzo a un’indagine non mi aiuta affatto a star tranquillo. –

Fermai il tocco lasciando scivolare la mano, pensando che questa coincidenza non ci sarebbe proprio voluta. – Mi dispiace, non credevo… –

Distolse lo sguardo. – Kate, è sempre questo il problema. Prendi decisioni senza consultarmi… capisco che per te sia importante, ma anche il mio lavoro lo è. Siamo una coppia, non mi sembra così difficile chiedere un parere prima, no? –

Aveva ragione e io ero affrettata nelle mie decisioni, ma non potevo davvero fare diversamente in quel momento. Mi riproposi di rimediare al danno chiedendo qualche giorno per noi, dopo l’operazione. Trevor lo meritava, visto che, a tutti gli effetti, mi stavo comportando da negligente.

– Prometto che ci penserò due volte prima di accettare, la prossima volta… ma ora ho bisogno di sapere che avrò il tuo appoggio… è importante per me… –

Per qualche secondo rimase a fissarmi, con un’espressione serissima sul volto. – E va bene. E se tutto va come spero vada, magari riusciremo a sistemare questa situazione una volta per tutte. –

Lo guardai perplessa. – Che vuoi dire? –

Il suo cruccio si ammorbidì, sollevando le sopracciglia. – Aspetta e vedrai. Ma ora, raccontami qualcosa in più. Ho davvero bisogno di affrontare tutto questo nel modo più sereno possibile… per quanto ci si possa aspettare da te, signorinella. –

Quando mi chiamava in quel modo, mi faceva sorridere. E così, ignara dei suoi progetti, ma sollevata all’idea di avere il suo supporto, gli raccontai ciò che doveva sapere.

 

 

  
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