Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    09/08/2020    27 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
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Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come
I don’t need you





Le parole di Yoongi, le poche che gli aveva rivolto prima di mostrarsi al solito affidabile anche se distante, si muovevano ininterrottamente nella sua testa: Jungkook aveva visto passare le ore restanti della giornata in modo rapido, troppo per i suoi gusti. Poco aveva fatto, e niente era riuscito a concludere in maniera soddisfacente.
L’acqua quasi rovente della doccia dopo l’allenamento, alternata a getti sporadici di tiepido tepore, l’aveva risvegliato completamente dalle fatiche dell’allenamento senza dare un minimo dei risultati sperati. Certo, il suo lavoro prevedeva una preparazione notevole e costante, una cura del corpo e dell’aspetto esteriore ed emotivo in continua mascheratura di problemi e difetti, così come gli era stato inculcato durante l’infanzia, affacciato troppo presto allo spiraglio di un mondo crudele fatto di apparenza e giudizio; una preparazione che ormai era diventata routine quotidiana, a cui odiava sottrarsi.
Di solito.
Turbato com’era, s’era ritrovato a maledirsi d’aver deciso di allenarsi quello stesso pomeriggio. Se non l’avesse fatto, non avrebbe subìto la frecciatina per nulla velata del collega e non avrebbe avuto pensieri complessi e ridondanti. Come riuscire a dormire in un momento simile? Decise così di non recarsi immediatamente in camera propria bensì prendere una boccata d’aria, una camminata che si sarebbe trasformata inevitabilmente in una corsa senza meta, fino a svuotare la capienza dei polmoni boccheggiando in cerca di ossigeno e di risposte.
Uscì così, confuso, stupito di sé e della propria incapacità di muoversi verso ciò che diceva il cuore da anni; i passi lenti seguivano un percorso dettato dal caso, più una scappatoia dall’abitazione comune. E fu lì, nell’anonimato di un traffico che mano a mano calava d’intensità, che si rese conto di quanto poco tempo ancora avrebbe potuto trascorrere assieme a colui che l’aveva visto crescere, musicalmente e non solo; una carriera condivisa, gli anni difficili dell’adolescenza superati assieme seppur in fasi diverse. Rise pensando a quante volte s’erano scontrati, incontrati ancora, rise delle scaramucce idiote e impulsive, rise di quel senso dell’umorismo alle volte becero e insensato che era solito sopportare. Certo, neppure lui era perfetto anche se non altrettanto egocentrico, ma ne era consapevole: tanti difetti da parte di entrambi, un equilibrio al centro.
Un equilibrio che tanto avrebbe voluto mantenere.
Era per questo motivo per nulla superficiale che aveva deciso tempo prima di non rivelare nulla dei propri pensieri, mascherando i rossori e l’imbarazzo con parole ipocrite e vivendo lo scorrere delle giornate in un ambito lavorativo dove la vicinanza era ordinaria amministrazione. I contatti ripetuti erano divenuti pesanti momenti di nodi allo stomaco da sciogliere e scosse elettriche al cervello da evitare. Non poteva farci assolutamente nulla, non più ormai: stare accanto a Jin era ogni giorno sempre più difficile.
Tenere a freno i propri istinti ancora di più.
Vederlo partire forse avrebbe riportato un po’ di insana quiete data dal niente che sarebbe rimasto dei suoi sentimenti. Parlarne avrebbe fatto male, non farlo invece avrebbe fatto cadere tutto quanto in un angolo della testa, seppellito tra le delusioni, i rimpianti, ed il falso coraggio.


Jin si svegliò insolitamente inquieto.
Qualcosa nel sonno lo aveva turbato, ma non riusciva a collegare immagini confuse a parole dimenticate: ricordava solamente il volto di Jungkook in lacrime a chiedergli di non andare, un sorriso amaro bagnato da quelle stesse perle salate che gli rigavano gli zigomi senza alcuna pietà. Quello si era stampato in maniera nitida nei neuroni tanto da destarlo dall’incubo. Anche il suo inconscio stava lavorando sulle possibili conseguenze della sua partenza, come se non fosse bastato torturarsi di giorno cercando di rimandare una conversazione indispensabile. Avrebbe dovuto parlarne con Jungkook.
«Stupido sogno…» Si alzò controvoglia, incapace d’addormentarsi. Ci aveva provato, voltandosi e rigirandosi sul letto senza alcuna efficacia. «Come fosse lui lo stupido, certo.» Mugugnò scendendo le scale del primo piano nella speranza di trovare il modo di rilassarsi prima di rovesciare il materasso a terra e provare a dormirci sopra così, senza lenzuola né coperte a mostrare una falsa sensazione di comodità. Si accasciò sul divano accendendo la televisione, cambiando canali uno dopo l’altro senza dare la minima attenzione ad ogni singolo contenuto: sport, film erotico, pubblicità di prodotti inutili che spacciavano per indispensabili, chat dal vivo con personcine non proprio deliziose che vendevano il tempo del loro corpo, di nuovo pubblicità.
Niente, neanche per sbaglio.
Nessun contenuto interessante, anche perché se avesse dovuto scegliere il modo di spendere i propri minuti a pagamento, avrebbe optato per un’altra faccia. Avvampò al pensiero improvviso che lo colse, il petto di Jungkook scosso da respiri accelerati, accaldato, le palpebre chiuse a sopportare un dolore che sarebbe presto sfociato in pura e coinvolgente eccitazione. Si ricompose cancellando quel pensiero, risistemandosi goffamente sul sofà in un pudico quanto non necessario tentativo di nascondere un’erezione fastidiosa. Non gli aveva fatto bene eliminare l’abitudine di masturbarsi nell’ultimo periodo, anzi: avrebbe dovuto ricominciare anche solo per distrazione, sfogo, bisogno.
Sì, non sarebbe stata affatto una cattiva idea, se non fosse per la scena che continuava a mostrarsi stampata nelle iridi: gli occhi scuri liquidi, le mani a sfiorarsi nel darsi piacere a sopportare le spinte sempre più rapide e spasmodiche… avrebbe dovuto tagliare i ponti con il suo collega di modo da liberarsi del suo pensiero, delle sue parole. Avrebbe parlato con Jungkook a breve, così da poter partire ricominciando da zero.
Due anni sarebbero passati in fretta, e sarebbero bastati a cancellare l’ossessivo bisogno di averlo sempre all’interno della mente. Sarebbe poi tornato, trascinandosi lontane quelle sensazioni tese e onnipresenti che lo avevano schiacciato durante la permanenza al dormitorio.
Sarebbe cambiato tutto.



   
 
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