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Autore: _sweet    14/08/2020    0 recensioni
Dal Prologo:
“Remus Lupin smise di essere un bambino la notte del suo quinto compleanno mentre sognava di draghi, foreste incantate e lampi di colorati incantesimi.
La sua innocenza se ne andò per sempre nel giro di pochi secondi, inghiottita assieme al suo sangue, dal lupo mannaro che lacerò, con zanne di veleno, le sue tenere carni.” (…)
Stralci di vita di un bambino costretto a crescere troppo in fretta, di un ragazzo travolto da una guerra più grande di lui e di un uomo morto per ciò in cui credeva.
Il tempo di Remus J. Lupin narrato nell’attimo esatto in cui sta già fuggendo nell’ultimo secondo.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Remus Lupin | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
Capitoli:
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CAPITOLO 9
ROSSO O VERDE
 

 


“Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici.
 Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto.
Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso,
 e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente”.
(Fëdor Dostoevskij)
 


Dicembre 1971
 
Se c’era una cosa in cui si sentiva davvero bravo, quella era la nobile arte di confezionare bugie da vendere come verità indiscusse.
Un’attività che, per alcuni, vantava ben poco di nobile e molto di vile ma, secondo lui, non tutti potevano permettersi di avere la stessa moralità.
Come a tutti i bambini con un’età che può essere contata usando ancora le dita di una sola mano, anche a lui avevano insegnato che le bugie non si devono dire a nessuno in generale e a mamma e papà in particolare.
Fino a qui, niente di strano.
Solo che, come accade a tutti i bambini con un morso non ancora ben cicatrizzato sulla spalla destra e troppo bassi per arrivare a prendere la cioccolata nascosta nelle mensole più in alto della cucina, era arrivato anche per lui il momento di imparare che le bugie non si possono dire ma che, a volte, si devono raccontare “per il bene di tutti”.
Nel suo caso, era toccato a Lyall metterlo al corrente di quella strana eccezione alla regola che, all’inizio, non aveva ben capito.
“Ma allora, è giusto e sbagliato in una volta sola?”
Da qualche parte nella sua memoria, affiorava quella domanda pronunciata in un tono di voce che ricordava un passato quasi dimenticato a cui, sicuramente, aveva fatto seguito un sospiro scivolato sulla lingua del padre.
Con il tempo si era dimenticato la risposta che gli aveva dato e questo poteva stare a significare solo una cosa: non era niente di importante su cui fermarsi a riflettere.
Un po’ come tutte quelle frasi che iniziavano con un “Perché” che risuonava d’accusa; Perché aveva dovuto essere lui quel bambino dal braccio fasciato e la confusione negli occhi, Perché quel Lupo aveva fiutato l’aria proprio al di fuori della sua cameretta e Perché non poteva, semplicemente, starsene sdraiato su uno dei divani della Sala Comune con il sapore della cena ancora sul palato.
Aveva iniziato presto a non mettere più alcun punto di domanda al termine di quelle considerazioni che suonavano inutili anche alle sue orecchie e, alla fine, si era trovato a rispondersi da solo affinando la tecnica di dire bugie che, il più delle volte, riuscivano a convincere persino se stesso.
Il pallore della pelle, il viola delle occhiaie sempre più profonde al di sotto delle ciglia e il tremito della paura che gli aveva arrochito la voce si erano, poi, dimostrati un aiuto più che gradito alla sua esperienza. Innanzi a tutto quello, nessuno dei Grifondoro che conosceva aveva nutrito il benché minimo sospetto.
Nessun sospetto da parte di Lily e nessun sospetto da parte dei ragazzi con cui condivideva il dormitorio.
Da bravo bugiardo quale era sapeva riconoscere, in linea di massima, chi mentiva con la sicurezza di esser creduto e, di conseguenza, non aveva esitato un attimo nel considerare come ognuno di loro avesse ricevuto, senza nessun dubbio, il pacco ben infiocchettato della sua menzogna.
Era stato un sollievo rendersi conto che, nonostante i tre mesi passati assieme, Potter, Black e Minus non si fossero accorti di quel movimento involontario dei denti davanti che, sporgendosi all’infuori, afferravano l’interno del labbro inferiore mordicchiandolo piano.
Forse avrebbe dovuto riconsiderare il fatto di credersi un perfetto bugiardo anche se, in fin dei conti, quelle piccole ferite alla bocca potevano rivelarsi banali danni collaterali da correggere con facilità più avanti.
Probabilmente, si trattava dei rigurgiti della sua coscienza scandalizzata da tutti quegli attacchi consapevoli alla moralità corrente ma, comunque, nulla di preoccupante in grado di svelare il suo segreto.
I corridoi del Castello, a quell’ora della sera, erano immersi in uno strano silenzio e ombre scure si allungavano senza peso sulle pareti di pietra.
Remus soffocò un brivido nella lana del maglione e accelerò il passo, ignorando come meglio poteva la protesta dei muscoli ancora indolenziti.
Sembrava l’inizio di una di quelle barzellette che non facevano mai ridere sul serio e che Hagrid, il guardiacaccia, pensava di saper raccontare con la giusta dose di ironia: “In una notte buia e tempestosa, un giovane lupo mannaro che desiderava il sangue di vittime innocenti, aveva paura del buio …”
Perché di quello, in effetti, si trattava; di un ragazzino di undici anni con pelo e zanne, spaventato dalle ombre della sera e dai chilometri che lo separavano da casa.
In quella situazione, non gli sarebbe dispiaciuto neppure il miagolio di Mrs. Purr o il passo zoppicante di Gazza, sempre pronto a scovare il prossimo studente fuori dal letto per il quale chiedere al Preside il permesso di rimettere in funzione manette e segrete non meglio identificate.
Anche Gazza andava bene e, ora che ci pensava con maggior attenzione reprimendo un nuovo brivido, anche un’inedita barzelletta del guardiacaccia non sarebbe stata tanto male. Anche se avrebbe riso per finta, non sarebbe stato solo.
Quando mancavano ormai un piano e qualche corridoio a separalo dalla sua destinazione, un suono simile a un singhiozzo malamente trattenuto giunse distintamente da dietro un angolo, amplificato dalla quiete che regnava tutto attorno.
Il primo impulso che prese Remus fu quello di girarsi dalla parte opposta e darsela a gambe.
Il secondo fu all’insegna di una maggiore razionalità e di quel coraggio che aveva spinto il Capello a smistarlo tra i Grifondoro.
Se quel singhiozzo non era frutto della sua immaginazione e dei nervi messi sotto pressione, allora c’era qualcuno che stava piangendo all’insaputa dell’intera popolazione di Hogwarts.
E chi mai si sarebbe trascinato fuori dalla propria Sala Comune per dar sfogo a lacrime e singulti, rischiando di guadagnarsi una bella punizione per aver infranto il coprifuoco?
L’unica spiegazione possibile era che, chiunque si fosse rintanato in quel corridoio, lo avesse fatto per non essere visto in quelle condizioni dai suoi compagni di Casa o da qualsiasi altro individuo di sua conoscenza.
Remus avrebbe volentieri invertito la rotta e salito un’altra rampa di scale per stendersi sul comodo letto a baldacchino che lo attendeva accanto al respiro pesante di Peter, con le lenzuola candide e le cortine di velluto cremisi. Il problema era che non conosceva altre rotte o rampe di scale se non quelle che gli avevano mostrato i Prefetti il primo giorno di scuola e che, sfortunatamente, si trovavano proprio alla fine di quel passaggio.
L’angoscia di sapersi in balia delle tenebre vinse sull’idea di cercare una strada alternativa per la Torre di Grifondoro; sarebbe passato in fretta scivolando lungo il muro e senza fare il minimo rumore. In quel modo, non avrebbe arrecato alcun disturbo alla tristezza dello studente in preda al pianto.
Risoluto nella decisione a cui era approdato, si sistemò nervoso il colletto della camicia allacciata in fretta ─ per timore che Madama Chips cambiasse idea all’ultimo minuto costringendolo a fermarsi anche quella notte in Infermeria ─ svoltò l’angolo e accelerò il passo.
«Sirius?»
Non avrebbe voluto guardarsi attorno alla ricerca della fonte dei singhiozzi che continuavano a riecheggiare con prepotenza, ma la curiosità aveva avuto la meglio sulla sua discrezione e resistere all’invito di lanciare solo un’occhiata di ricognizione a destra e sinistra si era rivelato al di fuori della sua portata.
«Ramsey?»
I suoi occhi grigi rilucevano di lacrime alla luce delle torce e da una delle tasche della vestaglia, ricamata con le sue iniziali lungo il risvolto dei polsini, spuntava una busta di pergamena tutta sgualcita.
Remus rimase immobile, quasi al centro del corridoio, con lo sguardo fisso sul ragazzo che si stava alzando dal pavimento aggrappandosi al muro alle sue spalle.
«Che diamine ci fai qui, a quest’ora?»
«Potrei farti la stessa domanda.»
Sirius si passò il dorso della mano sulle guance per nascondere le ultime tracce di pianto. «Come, non si vede?» Disse, tentando di ritrovare il suo solito tono di arrogante supponenza, «mi stavo dedicando alla nobile arte di osservare le costellazioni.»
Fece un cenno verso l’ampia finestra che gli si apriva davanti, con il vetro spalancato sul cielo della notte.
«L’Astronomia ha bisogno di un bel tempo e questa sera le nuvole sono troppe; lo so che non stavi guardando le stelle.»
«Ah, davvero?» Sibilò l’altro, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso ancora un po’ tremolante, «e che cos’è che stavo facendo?»
Remus aprì la bocca per rispondere un secco “Stavi piangendo, proprio come ha fatto Peter pochi giorni fa perché aveva nostalgia della sua famiglia; tu lo hai preso in giro, ma adesso ti trovi nella stessa situazione”, quando un miagolio fin troppo conosciuto gli fece morire le parole sulle labbra.
«Mrs. Purr.» Disse, puntando i suoi occhi in quelli gialli e tondi della gatta più temuta dagli studenti di Hogwarts.
Quella agitò la lunga coda, emettendo un nuovo miagolio più prolungato del precedente a cui fecero eco i passi strascicati del Custode, mai troppo lontano dall’amato felino.
«È Gazza.» Sirius rimase per qualche secondo in ascolto, come per decretare con più precisione possibile da quale direzione giungesse il rumore, poi si portò un dito alle labbra per intimargli di fare silenzio, avviandosi nella direzione da cui lui era appena arrivato.
«Guarda che ti stai sbagliando, la Sala Comune è dall’altra parte.»
«Ma vuoi stare zitto?!» lo sgridò Sirius, ripetendo il gesto con le dita quasi come se si stesse rivolgendo a un bambino un po’ duro di comprendonio. «Se sapessi usare le orecchie, sapresti anche tu che è più sicuro filarcela seguendo la strada che dico io. Comunque, se preferisci restartene qui a farti prendere fuori dal letto, sei liberissimo di farlo. Io, me ne vado.»
Quello che Sirius ignorava – per la fortuna di entrambi ─ era che, se c’era uno studente che poteva rischiare di farsi sorprendere, quella sera, a bighellonare per i corridoi senza dover temere di venir trascinato per un orecchio al cospetto della furia della McGranitt, quello era proprio lui. Un privilegio che gli aveva accordato una riluttante Madama Chips, non ancora pienamente convinta del fatto che fosse una cosa prudente lasciarlo uscire dal suo regno di Pozioni e cerotti.
«Va bene, ti seguo.»
«Alla buon’ora! La prossima volta, vuoi anche un tè con i biscotti mentre decidi che cosa è meglio fare?»
Sarebbe stato bello poter rivelare a Sirius che, per quanto lo riguardava, non aveva affatto bisogno di affannarsi a scappare da nessuna “Caccia allo studente fuori dal Dormitorio”, ma non era di sicuro la cosa migliore da fare in quel momento; il segreto che doveva nascondere a tutti i costi gli impediva di prendersi quella piccola rivincita.
Era meglio fare buon viso a cattivo gioco e non far sorgere nemmeno l’ombra del sospetto nella mente di nessuno.
Non appena la suola delle sue scarpe finì di calpestare l’ultimo metro del corridoio sorvegliato da Mrs. Purr, sentirono chiaramente la voce di Gazza domandarle con affetto da che parte fossero andati quei ragazzi tanto irrispettosi delle regole della scuola da dover essere “appesi per i pollici per il resto dell’anno scolastico”.
«Che ti avevo detto? Stava arrivando dall’altro lato, se facevamo a modo tuo gli saremmo andati incontro!» Esultò Sirius in un borbottio sommesso, girandosi a guardarlo con aria vittoriosa prima di rimettersi a correre.
Imboccarono un nuovo corridoio sulla destra, poi presero a salire una rampa di scale che, alla luce soffusa delle torce, sembravano quelle che conducevano all’aula di Incantesimi.
«Per di qua.» Indicò Sirius, aprendo una porta e rimettendosi a correre come se avesse un Dissennatore alle calcagna.
Remus arrancò con ben poca grazia nella sua scia, un turbine di velluto verde e argento, non riuscendo a tener testa alla sua andatura veloce che non doveva trascinarsi dietro il carico di nessuno zaino riempito con felpe e pantaloni mai utilizzati che avevano, come unica funzione, quella di aumentare la credibilità della copertura che si era inventato.
Sentiva il sudore imperlargli la fronte e la milza pulsare dolorosamente sotto le dita; le gambe gli si facevano sempre più pesanti mentre gli sembrava di scorgere, a ogni battito di ciglia, la rotondità perfetta della luna sorridere di scherno per quella sua debolezza che, ne era orgogliosa e consapevole, dipendeva dall’influsso ancora presente della sua luce.
«Mannaggia a tutti i Goblin e alle orecchie dei Folletti.»
La voce di Sirius gli giungeva sempre più lontana e, se solo non fosse stato terrorizzato a morte all’idea di trovarsi in un’ala del Castello in cui non era mai stato prima, si sarebbe volentieri lasciato scivolare a terra, con i polmoni che bruciavano per lo sforzo di far passare una nuova boccata d’aria.
«Non so dove siamo andati a finire, pensavo che quella fosse l’aula di Vitous e invece, a quanto pare, in questo posto ogni corridoio è uguale all’altro.» Si arrestò all’improvviso per fare il punto della situazione, non scorse Remus nelle immediate vicinanze e si mise a percorre quell’ultimo tratto di strada soffocando un’imprecazione tra i denti. «Ramsey! Maledizione, dove ti sei andato a cacciare? Non si vede niente con queste inutili torce, mi vuoi dare un segno della tua presenza o preferisci che me ne vada?»
Non dovette cercare tanto; lo trovò poco più giù rispetto a dove si era fermato, con le mani premute sul petto e in preda a ondeggiamenti poco rassicuranti.
«Ramsey! Hai bevuto un po’ troppo Whisky Incendiario?»
Remus scosse la testa, appoggiando la schiena contro il muro e fissandolo con il respiro affannoso.
«Sì, magari.» Biascicò in un tono di voce appena udibile che fece gelare il sangue nelle vene di Sirius; perché doveva trovarsi lui, in quell’assurda situazione?
Si allontanò i capelli dagli occhi in un gesto agitato che tradiva tutto il suo nervosismo. «Ehi, ti senti bene?»
Remus abbassò per un attimo le palpebre, nel tentativo di fermare il vorticare delle pareti circostanti. «Certo, credo di essere solo un po’ stanco per il viaggio, sai com’è.»
Riaprì gli occhi e trovò Sirius e le sue sopracciglia aggrottate nella penombra.
«Giusto, mi ero dimenticato che eri tornato a casa…è per tua madre, vero?»
Remus si morse il labbro, sentendo in bocca il sapore ferroso del sangue. «Sì, non sta molto bene e quindi vado spesso a trovarla.»
Mentre parlava, l’immagine del volto di Hope gli danzò a pochi centimetri dal naso e il suo stomaco venne stretto da una morsa di tristezza mista al rammarico per non aver saputo ideare una panzana migliore per giustificare le sue assenze mensili.
La domanda di Peter, però, l’aveva colto alla sprovvista e la paura di commettere un passo falso nella direzione sbagliata gli aveva confuso le idee.
Sirius si schiarì la voce, rompendo il silenzio che aveva fatto seguito a quelle parole. «Ascolta, io dico di entrare nella prima aula vuota che incontriamo, riposare un po’ e tornare al dormitorio.» Gli scoccò un’occhiata preoccupata tendendogli la mano per aiutarlo a reggersi in piedi, «tanto, ormai dovremmo aver messo abbastanza distanza tra noi e quel gattaccio infernale.»
Remus accolse con gratitudine la mano che gli veniva offerta e si sforzò di muovere qualche passo incerto sul lato opposto del corridoio; Sirius provò ad aprire tutte le porte che gli si pararono vicino e dovette attendere la quinta, o la sesta, prima che una di queste si spalancasse con un cigolio non proprio invitante.
«Abbastanza squallido, ma non possiamo di certo lamentarci.» Approvò a malincuore, aiutandolo a sedersi su una sedia traballante dietro la prima fila di banchi rimasti inutilizzati da tempo.
Al sicuro, tra la polvere accumulatasi negli anni sulla cattedra e sulla superficie crepata della lavagna, sentì il battito del cuore rallentare nel petto e il respiro sfrigolare con minor intensità lungo la trachea.
«Grazie.»
Sirius si mosse a disagio nella stanza e prese a percorrerne l’intero perimetro, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
«Be’, immagino che lasciarti a boccheggiare là fuori, alla lunga, avrebbe attirato l’attenzione anche su di me.» Disse, «magari saresti andato dal Preside a piagnucolare sul fatto che ti avevo scagliato contro una fattura o una roba del genere.»
«Lo so che non stavi guardando le stelle, prima.»
L’aveva detto senza pensarci e, nella semi oscurità di quella classe dimenticata, Sirius arrestò di colpo la sua marcia. Sentì, prima di vederlo, il suono smorzato delle sue pantofole in tinta con la vestaglia fermarsi definitivamente nell’ultimo passo, a pochi centimetri da lui.
Avrebbe potuto restare in silenzio e fare finta di nulla ma, in un modo che non sapeva spiegare, voleva che Sirius sapesse che lui sapeva che aveva pianto, rintanato nelle ombre di quel corridoio di pietra.
Solo fino a pochi minuti prima, quel ragazzo dai ricci troppo lunghi e il sarcasmo affilato come una spada era semplicemente Black, quello che dormiva nel letto accanto a James e si divertiva a storpiare il suo nome perché sapeva che aveva il potere di infastidirlo; l’unico a non aver mostrato il minimo interessamento al suo dileguarsi sospetto e che, quando James gli aveva chiesto se avesse avuto voglia di partecipare allo scherzo ordito ai danni di Piton, aveva commentato che, sicuramente, sarebbe andato a riferire tutto all’ “unticcio Serpeverde”.
Adesso, però, Sirius era il ragazzino che aveva sorpreso a celare la sua debolezza, che si era voltato a controllare che non avesse preso un corridoio sbagliato; gli aveva teso la mano rinunciando a cercare la giusta direzione per il dormitorio e, nonostante lo avesse fatto passare per un atto dovuto, nessuno lo aveva obbligato a fermarsi per fargli riprendere le forze.
«Se lo sai già, puoi anche fare a meno di chiedermelo.»
«Posso sapere perché piangevi?»
Diretta e concisa: una domanda del genere non si poteva liquidare con una sola alzata di spalle. Tanto più dopo che le dita di Sirius si erano serrate attorno alla sua divisa di seconda mano; si trovavano in bilico su una linea invisibile e dovevano solo decidere se andare avanti o arretrare senza mai tornare indietro.
Silente avrebbe parlato di un certo tipo di Magie che non si possono imparare sui libri di testo e del coraggio che occorre per mostrarsi privi di trucchi o inganni sotto lo sguardo di un probabile, nuovo amico.
Loro, però, non sapevano un bel nulla di Sortilegi antichi e segreti o paroloni a effetto; sapevano solo che erano in una classe vuota e dai banchi ammonticchiati alla rinfusa sul fondo, nel silenzio della scuola che stava scivolando nel sonno, a scoprirsi più simili di quanto avessero mai immaginato prima.
«Ho ricevuto una lettera, stamattina.» la voce di Sirius era priva della ben nota sicurezza e ogni sillaba sembrava essere tirata fuori a forza. «Una lettera da casa.»
«Capisco.»
«No, non credo che tu possa capirlo.»
Infatti non lo capiva e la sua affermazione era risultata abbastanza inutile e fuori luogo anche alle sue orecchie; se ci fosse stato un premio per la constatazione più idiota nella storia delle constatazioni più idiote di sempre, l’avrebbe vinto di sicuro.
«Hai ragione. Non lo capisco.» Ammise poi, «e non avrei dovuto chiederti niente, scusa.»
Sirius si sedette con un balzo su un banco accanto a lui, lasciando dondolare le gambe oltre il bordo e scuotendo piano la testa. «Certo che sei un tipetto strano, Ramsey.»
«Ah, quindi quello strano sarei io?»
Sirius gli rivolse uno sguardo abbastanza eloquente, ritrovando il suo sorrisetto storto. «Sì, direi che tu sei quello più strano. Anche solo per questa mania che hai di rispondere a qualsiasi cosa con un’altra domanda e, infine, non voler più ascoltare la risposta.»
«Non è vero.» Rispose Remus, sorpreso e piccato per essere finito ancora una volta in una posizione di netto svantaggio. «Solo che, a differenza tua, capisco quando sono stato troppo invadente ed è meglio chiudere la bocca. Lo trovi davvero coì sbagliato?»
Sirius non sembrò affatto colpito dalla sua affermazione e il sorriso gli si ampliò ancora di più.
«Vedi? Mi hai appena fatto una domanda per evitare una risposta scomoda.»
«Anche tu stai evitando di rispondere a una mia domanda, però.»
«Sì, ma solo perché tu mi hai appena detto di non volerne sapere nulla.»
Il silenzio scese tra i due e Remus registrò distrattamente di essersi fregato da solo.
Doveva riconoscerlo; Sirius sapeva come rigirare ogni cosa a suo vantaggio e dietro a quella mascella squadrata e al naso dritto celava sicuramente qualcosa che voleva rimanesse un segreto.
Il silenzio era talmente profondo che si poteva sentire il vento al di fuori del vetro e il crepitio del legno delle vecchie sedie in un’aria che sembrava, più del solito, vibrare di piccole particelle elettriche.
Magia o, magri, solo polvere che nessuno si era dato la pena di pulire.
Di qualunque cosa si trattasse, Remus era sicuro che anche Sirius la percepisse perché il suo volto era di nuovo serio e le sue labbra, leggermente dischiuse, apparivano ancora incerte sulla prossima mossa.
Infine, optarono per aprirsi del tutto.
«Mi hanno scritto di tornare a casa per le vacanze di Natale, ma non so se mi va di farlo.» Mormorò, muovendo appena la bocca e giocherellando con l’orlo del pigiama. «Non pensavo che mi sarebbe piaciuto tanto stare qui e forse, se lo dico a James, resterà anche lui per farmi compagnia.»
Remus ebbe la spiacevole sensazione di essersi perso un pezzo fondamentale dell’intero discorso. «Ma i tuoi genitori ti vogliono a casa, se ti hanno scritto per…»
«Sto per caso parlando al muro?» Sbuffò Sirius, coprendo la parte finale della frase e assottigliando gli occhi. «Ho detto che non so se mi va di starli ad ascoltare; sono un Grifondoro io, non un Serpeverde come l’intera e pura famigliola.»
«E questo è così importante? Insomma, sono solo delle Case!»
«Non è solo importante, Ramsey. È fondamentale
Era stato James, pochi giorni dopo l’inizio delle lezioni, a spiegare a lui e a Peter quanto fosse stato strano lo Smistamento di Sirius, ma non riusciva comunque a credere che i colori su uno stupido cravattino potessero arrivare a minare gli equilibri all’interno di una famiglia. Quando aveva cercato di spiegare all’amico il suo ragionamento, lui aveva dato una spintarella un po’ più vigorosa del solito agli occhiali affermando che il rosso e il verde non erano soltanto tinte sulla stoffa, ma due mondi completamente diversi nei quali vivere. In realtà, aveva usato i verbi “ruggire” e “strisciare” e, a quel punto, Remus aveva capito che non era il caso di aggiungere altro.
«Non posso tornare a casa e…non voglio.» Continuò dopo un attimo di silenzio, tirando su col naso come per scongiurare nuove lacrime a scivolargli dalle ciglia, «James potrebbe sembrare un gran deficiente ma, sotto a quei capelli da pazzo, ha un cervello niente male. Ci pensi che è stato lui ad avere l’idea di lanciare tutte quelle Caccabombe, l’altro giorno?»
Remus rimase in silenzio, inghiottendo tutte le domande che gli si stavano affollando in gola. Il collegamento tra James e il dover trascorrere le vacanze di Natale a casa non gli era per nulla chiaro, ma Sirius sembrava avere una strana urgenza di parlare e i suoi dubbi potevano attendere un altro po’.
«La madre di Peter fa quel dolce alle mele stratosferico, eppure scommetto che il marito non ha mai visto nemmeno il disegno di un elfo domestico. E tu» aggiunse, alzando lo sguardo dalle proprie ginocchia e cercando quello perplesso di Remus, «sì, bè’, tu sei stato l’unico della classe a trasformare tutti quei fiammiferi in degli aghi. I miei, di fiammiferi, non avevano neanche la punta argentata e quelli di James sono diventati rosa.»
Remus si ritrovò a sorridere, suo malgrado, al ricordo dell’ultima lezione di Trasfigurazione dove aveva guadagnato ben dieci punti per Grifondoro e un’occhiata compiaciuta da parte della professoressa.
«Non era poi così difficile. Penso che il tuo errore sia stato piccolissimo, magari tenevi solo il polso un po’ troppo rigido.»
Sirius batté un paio di volte le palpebre, confuso. «Se fosse stato facile, ci saremmo riusciti tutti.»
«Comunque sia,» disse Remus, parlando più veloce del solito per il desiderio di allontanare l’attenzione da sé, «non riesco a capire che cosa intendi. Insomma, la torta di mele e le Caccabombe c’entrano qualcosa con l’essere un Serpeverde?»
«Di sicuro c’entrano tutto con l’essere un Black.» Rispose Sirius, stringendosi nelle spalle e riprendendo a dondolare le gambe oltre il bordo del banco. «Io so a memoria tutte le famiglie Purosangue della Gran Bretagna e il tuo cognome, quello di Minus e di quella ragazzina insopportabile che fa sempre delle pozioni perfette, non ci sono.»
«Perché io, Peter e Lily siamo imparentati con i Babbani.» Precisò Remus con ovvietà, «e con questo?»
Le labbra di Sirius si arricciarono in una smorfia che, con un pizzico di immaginazione, avrebbe potuto passare per un sorriso. «Quando hai trascorso pomeriggi interi a ripetere una lunga sfilza di nomi di persone morte secoli fa, pensi sul serio che la cosa abbia un senso.» Scosse il capo e si passò una mano dietro la nuca, «ma la verità è che sono solo un mucchio di cavolate e io ho perso un sacco di tempo. Se mia madre avesse ragione, Evans non dovrebbe avere una bacchetta e io dovrei essere più bravo di te in ogni dannata materia. Se mio padre avesse ragione, James dovrebbe andarsene in giro vergognandosi anche solo di respirare, visto il modo in cui la sua famiglia considera i Babbani, ma non mi sembra poi così mortificato.»
Remus avrebbe potuto giurare di sentire il suo cervello mettersi in moto con un click improvviso, mentre le parole di Sirius iniziavano a illuminarsi di una luce diversa che brillava di consapevolezza.
«È stata tutta un’enorme bugia e, se torno a casa, non riuscirei a fare finta di niente. Già adesso, mi sento fuori posto ma qui, almeno, posso ancora ignorarli tutti.»
«Già, immagino come ti senti.»
Sirius alzò di scatto il capo e scoppiò a ridere. «Tu? Tu “immagini come mi sento”?»
Aveva una mano premuta contro la bocca per soffocare il suono dell’improvviso divertimento e gli occhi brillanti d’incredulità.
«Non ci credo.» Boccheggiò, tra un risolino e l’altro, «tu che sai come mi sento!»
Remus lo guardò senza capire che cosa avesse mai detto di tanto spassoso, con un sopracciglio inarcato in una muta richiesta di spiegazione.
«Oh, avanti Ramsey!» Esclamò Sirius, schiarendosi la voce cercando di ritornare serio. «Tu sei quello che piega il pigiama sotto al cuscino ogni mattina e che scatta come un Ungaro Spinato se qualcuno urta per sbaglio la boccetta d’inchiostro dal tuo lato del banco, spostandola di un solo centimetro rispetto a come l’avevi messa prima.» Allargò le braccia per sottolineare l’evidenza di un fatto già sotto gli occhi di tutti che spiegasse il motivo delle sue risate, «come posso pensare che uno così, uno che tiene i calzini ripiegati per colore nel baule, sappia mentire? È impossibile, proprio come ritrovare tutta la mia dignità dopo queste struggenti confessioni a cuore aperto.»
E dunque, lui era quello che non sapeva dire bugie solamente perché non lanciava vestiti sul pavimento della loro stanza? La rivelazione aveva un che di inquietante che Remus registrò distrattamente; il suo cervello, tornato in azione poco prima, era impegnato ad arrovellarsi nel trovare un qualcosa da dire per alleggerire l’atmosfera e, in un colpo solo, allontanare il velo di tristezza negli occhi di Sirius.
«Anche se pensi che non sia vero, io lo so quello che vuol dire impegnarsi per far finta di niente.» Gli disse, accennando un sorriso e arrendendosi al fatto di non saper fare di meglio, mentre i lembi di pelle della cicatrice sulla guancia tornavano a bruciare come se si fossero riaperti all’improvviso. «Non è sicuramente qualcosa di piacevole, dover nascondere ciò che si è sul serio a chi ti sta vicino.»
«Sei davvero pieno di sorprese, Ramsey!»
Remus sentì un fremito di paura percorrere la spina dorsale e insinuarsi con prepotenza nelle vene delle mani, facendole tremolare appena. «No, certo che no!» Farfugliò, forzando gli angoli delle labbra a sollevarsi verso l’alto, «è solo che immagino come potrebbe essere difficile, per te, tornare in un posto dove non puoi essere te stesso perché nessuno lo capirebbe.»
«Un riassunto niente male.» Approvò Sirius, scendendo dal banco con un saltello e tirando verso l’altro un lembo della vestaglia. «James ha provato a farla diventare rossa, ma è solo riuscito a sfilacciare buona parte del colletto.»
«Il tuo spirito di ribellione ti suggerisce di cambiare colore alla vestaglia?»
«Solo fino a quando non arriverà l’estate e sarò costretto a tornare a Londra.» Spiegò Sirius con leggerezza, sfregando vigorosamente con il pollice e l’indice sulle iniziali del suo nome ricamate con filo argentato su una delle maniche. «Poi sì che dovrò pensare a qualcosa di più incisivo per far capire l’illuminazione che mi ha folgorato stasera.»
«Giusto.» Disse Remus con cautela, «e l’illuminazione sarebbe…»
«Che essere un Black è quasi…essere normali.» Concluse Sirius al suo posto, rivolgendo una smorfia di disgusto al verde della stoffa in cui era avvolto.
Remus provò un inaspettato moto d’affetto per il ragazzino che gli stava accanto, completamente assorto nel suo lavoro inutile con cui si sarebbe di sicuro staccato la pelle dei polpastrelli, tanta era la forza con cui li passava su quelle lettere ricamate con maestria.
«Se vuoi, posso provare io.»
Sirius interruppe ciò che stava facendo, rivolgendogli un’occhiata interrogativa. «Provare a fare che cosa, esattamente?»
«A cambiare il colore della tua vestaglia ed eliminare quelle scritte.» Spiegò Remus, felice di potersi rendere utile per la prima volta dall’inizio di quella assurda serata.
«Sicuro di saperlo fare? Non è che mi dai fuoco?» Gli chiese Sirius, visibilmente contento della proposta ma abituato da sempre a saper contenere le proprie emozioni, «per caso, sai anche usare queste insulse lettere per scrivere qualcosa di più utile di S.O.B.?»
Remus non riuscì a nascondere un sorriso davanti a quell’entusiasmo malamente trattenuto e si abbassò a cercare la bacchetta nello zaino per nasconderlo. «Non so se ne sono capace e di sicuro non ho idea di come scrivere qualcosa con la magia.»
«Va bene, facciamo una prova.» Decise Sirius prendendo una sedia e sedendosi in tutta fretta, «naturalmente ne possiamo fare anche più di una. James ha continuato a borbottare parole a caso per un’ora, prima di accettare la sconfitta.»
Remus fece un respiro profondo e appoggiò la punta della bacchetta su un lembo della vestaglia che, nell’oscurità, sembrava quasi nera. In realtà non sapeva affatto come riuscire nell’impresa per la quale si era proposto e lo sguardo pieno di aspettativa, che aveva sostituito la tristezza negli occhi di Sirius, era solo un ulteriore fattore pronto ad aumentare la sua ansia.
«Potresti non fissarmi, per favore?»
«E che cosa dovrei guardare, scusa?»
Remus sospirò frustrato, riservandogli la sua migliore occhiata di rimprovero. «Qualunque altra cosa che non sia io, per esempio?»
La risposta di Sirius si perse in un borbottio risentito e le sue pupille si incatenarono con ostinazione al soffitto dell’aula mentre Remus tornava a concentrare l’attenzione sul verde del tessuto.
Era abbastanza certo di non aver letto da nessuna parte formule in grado di modificare colori e parole, ma il ricordo del se stesso di qualche mese prima, privo di bacchetta o libri di incantesimi e ugualmente capace di far levitare oggetti, gli affiorò alla mente con precisione.
Forse, alla fine, parole e bacchette non erano poi così fondamentali.
Chiuse gli occhi e passò le dita sul velluto della vestaglia, sentendolo morbido e arrendevole alla magia che percepiva sempre più forte sotto la pelle.
«Funziona, funziona davvero!»
Il verde della stoffa iniziò a sciogliersi in sottili rivoli rossi che scivolavano gli uno sugli altri in macchie di colore sempre più grandi mentre l’argento della S, della O e della B si ritraeva nelle cuciture, sostituito da un sottile filo dorato.
Rimasero tutti e due in silenzio a osservare le ultime tracce di verde ricoprirsi di rosso, poi Sirius corse alla finestra per osservare il proprio riflesso sul vetro.
«Non male.» Decretò, studiandosi con attenzione da tutte le angolature, «penso che la tonalità di rosso sia meno accesa rispetto a quella del vero colore di Grifondoro, ma non mi dispiace. Come ci sei riuscito?»
«Io…non lo so.» Disse Remus, ancora incredulo del risultato ottenuto, «non penso di essere in grado di rifarlo, comunque. Probabilmente ho avuto una bella dose di fortuna.»
«Si può dire che la fortuna sia stata tutta mia.» Aggiunse Sirius, allontanandosi dalla finestra e chinandosi a terra per afferrare lo zaino, «è meglio se andiamo; si sta facendo tardi.»
Come già avvenuto quasi un’ora prima, Remus si ritrovò ad accettare la silenziosa offerta d’aiuto di Sirius senza opporre resistenza e attorno a quel gesto ─ una spalla che si piegava sotto un peso che non era il suo ─ percepì l’aria farsi più pesante ed elettrica del solito.
Quando la porta dell’aula si richiuse dietro di loro con un tonfo sordo Sirius tentennò un istante, con una mano infilata in tasca serrata attorno alla pergamena della lettera. «Tutto quello che ci siamo detti stasera deve rimanere tra di noi, va bene?»
A un cenno affermativo di Remus, Sirius si schiarì la voce prima di continuare. «Tu mantieni il segreto su di me e io lo mantengo su di te.»
«Ma io non ho segreti.» Si affrettò a dire, passandosi nervoso la lingua sul labbro inferiore.
«Ah, certo, come vuoi.» Ammiccò Sirius, riprendendo a camminare al suo fianco come se nulla fosse, «solo…grazie, Remus
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Come è che si dice? “Chi non muore si rivede” o, in questi casi, “Chi non muore si rilegge”!
Spero che il nuovo capitolo abbia meritato l’attesa…
 
Note:
 
  1. Secondo me, il rapporto di amicizia tra Remus e Sirius è sempre stato abbastanza particolare; solo per fare un esempio, sarà proprio di Remus che Sirius andrà a sospettare negli ultimi mesi di vita dei Potter, credendolo una spia. Un caso? Io non credo. Detto ciò, mi sembrava giusto farli avvicinare e conoscere con calma, in un insieme di cose dette e non dette che sta aprendo una possibile via di comunicazione tra i due.
  2. Scrivere di un personaggio a cui si tiene in modo particolare non è mai semplice, per questo motivo immedesimarsi nell’animo tormentato e giovane di Sirius è risultato più difficile del previsto. Spero di aver dato un’immagine convincente del difficile dramma familiare in cui si ritrova a vivere. I suoi sono discorsi all’apparenza semplici e banali, ma non dimentichiamo che ha pur sempre undici anni. Insomma, è ancora poco più di un bambino che arriva a scuola e trova simpatica gente che i suoi genitori gli hanno sempre insegnato a odiare; credo sia credibile il suo sentirsi perso e incapace di darsi una spiegazione razionale della situazione. Quindi, si comporta (o almeno spero) come il ragazzino confuso che è e l’unico atto di ribellione che gli salta in testa è quello di cambiare il colore della vestaglia. Un’anticipazione di come ridurrà la stanza andando avanti con gli anni, ecco…
  3. Il sistema magico descritto dalla Rowling non è molto chiaro, o almeno a me non lo è del tutto. Non è una critica alla scrittrice perché il tutto potrebbe essere frutto di una mia mancanza di attenzione ai dettagli, ma nella storia ci sono maghi e streghe che possono fare magie anche senza bacchetta. Ora, penso che non sia strano che uno come Remus, che si è sempre “esercitato” con la magia involontaria, possa essere riuscito ad accontentare Sirius. D’altra parte, viene detto spesso che Lupin era un mago molto dotato, non a caso Silente lo sceglierà come insegnante di Difesa.
  4. James diventerà un Animagus a soli quindici anni, quindi penso che le sue doti in Trasfigurazione potessero essere molto più avanzate rispetto a quelle degli altri ragazzi. Però, a questo punto della storia, lui non ha ancora provato a mutare aspetto e non so, me lo immagino troppo impegnato a combinare disastri assieme al suo nuovo migliore amico per impegnarsi chissà quanto nelle lezioni… ecco il motivo per cui i suoi fiammiferi diventano rosa e non aghi.
  5. Mi sono soffermata a pensare a quanti anni potesse avere il gatto di Gazza e…sono tanti, forse troppi per un normale felino. Quindi, stavo per fare di Gazza il padrone di un nuovo gatto, ma poi il mio animo da fan mi ha fermata. Gazza senza Mrs. Purr non sarebbe Gazza; quindi lasciamo stare le sottigliezze biologiche e ammiriamo la straordinaria longevità di questo esemplare.
 
Con la speranza che sia stata una lettura gradevole,
alla prossima!
 
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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