Capitolo secondo
Even
if you'll be
Miles away from me
You don't have to feel lost
I'll be thinking of you
Everytime I put my trust in you
I look for your sincere hug, it is so healing…
(“Side by side” –
Temperance)
La scuola era iniziata da
una ventina di giorni, ormai, e Peter si rendeva conto che quello sarebbe stato
un anno particolarmente duro per lui. Non poteva farci niente, del resto se
l’era voluta lui e poteva dare la colpa solo a se stesso. Com’era prevedibile
non si era fatto nuove amicizie, la classe era già insieme da quattro anni, i
ragazzi avevano condiviso feste, primi amori e scherzi e non sembravano molto
disponibili ad includere uno sfigato come
lui. Anzi, specialmente i primi giorni erano fioccate battutine del genere Ma questo Peter Parker non era tanto
geniale? Allora com’è che si è trovato a ripetere l’anno mentre tutti i suoi
compagni sono al college?
Il ragazzo aveva preso
l’abitudine, quindi, di non uscire da scuola insieme ai compagni e agli altri
studenti, tra i quali si sentiva un pesce fuor d’acqua molto più di quanto si
fosse mai sentito prima. Quando suonava la campanella, aspettava che i ragazzi
uscissero e poi se ne andava in biblioteca, dove sapeva di poter restare almeno
fino alle cinque, quando passava il custode per le pulizie. Ne approfittava per
studiare e iniziare a fare i compiti per il giorno successivo. Zia May era
stata informata della sua abitudine e così non si preoccupava se tardava a
tornare a casa.
Anche quel giorno, dunque,
Peter era rimasto in biblioteca a studiare e, poco prima delle cinque, aveva
riposto libri e quaderni nello zaino e si era incamminato verso l’uscita. Aveva
salutato gentilmente il custode che lo aveva guardato con aria malinconica: in
tanti anni di servizio nelle scuole non gli era mai capitato di vedere un
ragazzo che restasse a studiare per così tanto tempo dopo l’orario e
comprendeva che i motivi erano ben altri rispetto al desiderio di prendere bei
voti o essere il primo della classe.
Aveva capito che Peter
voleva restare da solo. Forse c’era un problema di bullismo o chissà cosa, ma
lui era solo un custode, non lo avrebbero ascoltato, per queste cose c’erano i
professori. O almeno avrebbero dovuto…
Peter uscì dall’edificio.
Doveva andare a prendere la metropolitana per tornare a casa, ma quello era un
bel pomeriggio di fine settembre e, stranamente, gli era venuta voglia di fare
due passi. Del resto aveva già fatto tutti i compiti per il giorno successivo e
poteva permettersi di perdere una mezz’ora facendo il giro più lungo e passando
accanto al campo sportivo e alla pista di atletica. Sapeva che quel giorno non
c’era nessuno ad allenarsi, era venerdì pomeriggio e i ragazzi e le ragazze si
preparavano per una serata fuori.
Non correva il rischio di
incontrare nessuno.
O, almeno, così pensava lui.
In fondo al viale, in piedi
con le braccia conserte e lo sguardo rivolto verso le gradinate deserte, c’era
un uomo che pareva aspettare proprio lui.
Il cuore di Peter sprofondò
sotto le scarpe quando si accorse che quell’uomo era Tony Stark.
Cosa poteva fare? Tony aveva
scelto proprio quel momento per voltarsi verso di lui, perciò non aveva più il
tempo di cambiare strada e andarsene in fretta verso la metropolitana. E poi,
chissà perché, pensava che sarebbe stato inutile: in qualche modo l’uomo aveva
saputo che lui sarebbe passato di lì e si era messo ad aspettarlo proprio
perché voleva parlargli. Non lo avrebbe lasciato in pace. Se avesse cercato di
ritornare indietro e prendere la via più breve per la metropolitana, Stark lo
avrebbe seguito.
Peter non aveva scelta,
doveva andare avanti e affrontarlo.
Sospirò e riprese a
camminare, cercando di mostrarsi tranquillo.
Tony gli andò incontro,
sfoggiando il suo sorriso migliore.
“Ciao, Peter” gli disse con
calore. “E’ molto tempo che non ti vedo, come stai? Speravo che ci saremmo
incontrati, prima o poi, ma tu non ti sei mai fatto vivo e… sai come si dice,
no? Se Maometto non va alla montagna eccetera eccetera!”
“Buonasera, signor Stark. Io
sto bene, grazie” rispose Peter, con lo stesso tono che avrebbe usato per
parlare con uno dei suoi insegnanti.
“Speravo che ti saresti
fatto vedere al quartier generale degli Avengers” riprese Stark, fingendo di
non notare il modo di fare volutamente distaccato del giovane. “E poi che ci
fai ancora qui? La scuola non finisce alle tre e mezza?”
“Sì, ma io rimango sempre in
biblioteca a studiare” replicò Peter, “zia May lo sa e non si preoccupa.”
“A studiare dopo l’orario
delle lezioni? Ragazzo, ma è venerdì pomeriggio!”
“E allora?” tagliò corto
Peter. Per lui non faceva differenza. A dire il vero, non ne aveva mai fatta
nemmeno prima, non era certo uno di quelli che aspettava il weekend per uscire
con gli amici.
“Beh, pensavo che, visto che
è iniziato il weekend, potremmo fare un giro insieme” propose Tony, ostentando
entusiasmo. In effetti il disfattismo di Peter era deprimente, ma lui doveva parlargli a tutti i costi,
dovevano spiegarsi, non era possibile che il ragazzo continuasse ad evitarlo in
quel modo! “Avevo pensato che potremmo andare al cinema e poi a mangiare una
pizza, come facevamo… beh, prima.
Posso chiamare io zia May, se pensi che potrebbe fare storie.”
“La ringrazio per l’invito,
ma non posso, devo studiare” fu la laconica risposta di Peter.
“Studiare? Ma non è quello
che hai fatto finora in biblioteca?” obiettò Tony.
“Sì, ma non ho finito tutti
i compiti” mentì Peter.
“Va bene, ma ci sono sabato
e domenica, avrai tutto il tempo per finirli anche se stasera la passiamo
insieme” insisté l’uomo.
“Sabato e domenica dovrò
studiare ancora: lunedì prossimo avrò un compito di matematica, uno di inglese
e l’interrogazione di storia e di scienze” ribatté Peter.
“Per la miseria, i tuoi
professori sono dei nazisti!” commentò Stark, pur sapendo benissimo che, con
ogni probabilità, Peter non gli stava dicendo la verità. “Comunque non credo
che una serata di riposo e distrazione potrebbe farti male, anzi.”
“Lei non capisce, signor
Stark, io non posso permettermi nessuna distrazione” insisté Peter. “Devo
prendere il massimo dei voti a tutti i compiti e a tutte le interrogazioni e
tenere una media molto alta se voglio la borsa di studio per il college. Zia
May non potrebbe certo permettersi la retta!”
Il college… questa poi!
“Peter, ne avevamo già
parlato, non ricordi? Avresti fatto uno stage alla Stark Foundation e questo ti
avrebbe fatto ammettere al college di diritto, lo sai che la mia fondazione
offre ogni anno molte borse di studio per i giovani stagisti meritevoli…”
“Questo era quello che
avevamo deciso prima” lo interruppe
Peter, “ora è tutto diverso.”
“Cosa è diverso, cosa, Peter, per l’amor del cielo?” fece
Stark, esasperato. “Il fatto che sei stato bocciato? Oppure il fatto che io
sono morto e sono ritornato? Quale delle due?”
Vide Peter impallidire e
mordersi il labbro inferiore e capì di avergli fatto male, ma non poteva
continuare a parlare del più e del meno, bisognava cominciare a chiamare le
cose con il proprio nome, altrimenti non ci sarebbe stato modo di scuotere il
ragazzo dalla sua apatia. Doveva portarlo al punto di rottura, provocarlo,
anche ferirlo, se fosse stato necessario, non potevano più andare avanti così.
“E’ tutto diverso, signor
Stark, è possibile che lei non lo capisca?” reagì Peter, con le lacrime agli
occhi. “Quando lei mi è venuto a cercare la prima volta, quattro anni fa, ero
felice non solo perché potevo conoscerla di persona, ma anche perché lei mi
voleva con sé, voleva il mio aiuto, aveva bisogno
di me tra gli Avengers. Diventare un supereroe che combatteva al suo fianco
era il sogno della mia vita e io immaginavo che sarebbe stato sempre così:
avrei studiato grazie alla sua fondazione, avrei frequentato il college per poi
lavorare con lei e, al contempo, sarei stato Spiderman, uno degli Avengers.
Pensavo che saremmo stati sempre insieme e che avremmo costruito un mondo
migliore, che sarebbe stata tutta una magnifica avventura.”
Stark si sentiva il cuore
spezzato e sapeva che era colpa sua se Peter stava soffrendo tanto, ma non
poteva tirarsi indietro, il veleno che il ragazzo aveva dentro lo avrebbe
consumato comunque, lentamente, era meglio che si sfogasse e che lo lasciasse
uscire.
“Questo potrà ancora
accadere, Peter, proprio come volevi tu” provò a dirgli. “Io sono tornato, sono
qui e ti voglio al mio fianco, in tutto.”
“Ma adesso io so che era soltanto un’illusione, che
non c’è un lieto fine per i supereroi” ribatté Peter, stringendosi le braccia
attorno al corpo come se avesse freddo. “Quando lei è… insomma, quando ha fatto
lo schiocco e poi… io ho visto che
cos’è veramente la vita di un supereroe. Non è un’avventura, non è un gioco, è
un’esistenza terribile in cui ogni giorno può essere l’ultimo, in cui si
possono perdere le persone che si amano da un momento all’altro. E io non
voglio questa esistenza così fragile, voglio una vita normale. Per questo mi
sto allontanando da lei, per questo ho buttato via il dispositivo di
nanoparticelle con la tuta che mi aveva regalato, per questo non sono più un
supereroe né il suo protetto. Voglio
una vita normale, anche squallida e banale, se vuole, ma sicura.”
Tony non rispose. In qualche
punto della sua coscienza sapeva che Peter aveva ragione, del resto non era l’unico
a desiderare un’esistenza tranquilla con le persone care: Steve aveva fatto lo
stesso, andando a vivere a Brooklyn con Bucky, Clint aveva lasciato gli
Avengers ed era tornato dalla sua famiglia. Non c’era niente di male a volere
la tranquillità e Dio solo sapeva se Peter la meritava, dopo tutto il dolore e
le perdite subite, però…
Però Tony sapeva anche che
una vita normale non significa automaticamente tranquillità, che la sofferenza
può arrivare da un momento all’altro anche per le persone più comuni, che non c’è
niente che possa assicurare un’esistenza lunga e felice accanto agli affetti
più cari. Sapeva che la vita è breve per tutti, non solo per gli eroi, e che
proprio per questo bisogna sfruttare ogni giorno al massimo, come se fosse l’ultimo.
Non poteva permettere a Peter di rinunciare ai suoi sogni.
“Ho buttato via anche tutte
le vecchie tute e i gadget di Spiderman che avevo nella mia stanza” continuò il
ragazzo, “e anche tutte le sue foto, le riviste con gli articoli su di lei, i
poster che tenevo nascosti nel mio armadio… Niente di personale, signor Stark,
non ce l’ho con lei, ma con il tipo di vita che lei ha scelto.”
Peter aveva appena finito di
pronunciare quelle parole quando, senza alcun preavviso, Stark lo afferrò per
le spalle e lo obbligò a voltarsi verso di lui e a guardarlo in faccia.
“Hai buttato via tutte le
foto e le riviste, dici? Beh, hai fatto benissimo, Peter Parker. Perché quelle
erano solo spazzatura, tu ti eri infatuato di un personaggio immaginario, ma
hai dimenticato che c’era una persona
dietro quelle immagini” esclamò, severo. “Io sono Tony Stark e sono Iron Man, d’accordo,
e non sono perfetto, non sono come mi descrivono, ho i miei pregi e,
soprattutto, i miei difetti. La tua era una cotta da ragazzino per un
personaggio famoso, ma adesso hai diciannove anni, che tu lo voglia o no sei un
adulto ed è arrivato il momento che tu mi conosca per quello che sono
realmente, non per l’immagine idealizzata che ti sei fatto.”
Peter, sbigottito, lo fissò
con enormi occhi scuri che sembravano volerlo ingoiare.
“La vita è una schifezza,
ragazzo? Hai ragione, lo è, lo è per tutti, per i supereroi come per le persone
più comuni. Sì, forse noi corriamo più rischi, ma hai idea di quante persone normali muoiono ogni giorno per
incidenti stradali, malattie e mille altre cause?” lo incalzò Tony. “Tuo zio
Ben non era un supereroe, ma è stato ucciso dal cancro. Tua zia May non indossa
una tuta e non salta sui tetti dei grattacieli, eppure ha subito dolori e
perdite nella sua vita, esattamente come te. Non hai l’esclusiva del dolore,
nessuno di noi ce l’ha, Peter. E nasconderti nell’esistenza più squallida e
noiosa che riesci a trovare non ti proteggerà dalla sofferenza, anzi, sarà
ancora peggio perché ti circonderai di rimorsi e rimpianti. E io non posso
permetterlo.”
Stark premette il Reattore
Arc che aveva nel petto e la tuta di Iron Man si materializzò leggera e veloce
sul suo corpo. Afferrò forte Peter tra le braccia e si sollevò in aria con lui.
“Tieni stretto il tuo zaino,
ragazzo” gli disse. “E’ arrivato il momento di volare. Apri bene gli occhi e
guarda, guarda con attenzione tutto ciò a cui hai deciso consapevolmente di
rinunciare!”
“No, io… no, non voglio, mi
metta giù, signor Stark!” cercò di protestare Peter, ma inutilmente. In pochi
secondi erano già alti nel cielo di New York e il ragazzo dovette smettere di
agitarsi e pensare a non perdere lo zaino con i libri di scuola e a non cadere
lui stesso.
“Questa è la vita che volevi
e che puoi ancora avere. Tu sei fatto per le stelle, Peter, non per la terra”
disse ancora Tony, in tono più dolce, stavolta, mentre volava insieme al
ragazzo sopra i grattacieli di New York.
Il sole stava calando e i
raggi color arancio si riflettevano sulle vetrate degli edifici, mentre il cielo
assumeva una sfumatura incantevole, azzurro e violetto con screziature d’oro. Le
luci della città parevano pietre preziose che scintillavano, emanando bagliori
argentei. Era uno spettacolo che lasciava senza fiato, una bellezza che
emozionava e commuoveva, stringendo il cuore e facendo spuntare lacrime negli
occhi.
Tony continuò a volare con
Peter finché il sole non fu troppo basso nel cielo e la temperatura iniziò a
farsi troppo fredda. Allora cominciò una lenta discesa e atterrò con il ragazzo
sempre stretto a sé presso la riva dell’East River, quasi nel punto esatto in
cui si trovava Peter quando, ormai molti mesi prima, aveva gettato via il
dispositivo di nanoparticelle con la sua tuta.
“Vuoi veramente rinunciare a
tutto questo, Peter?” gli domandò l’uomo, serio in volto. “Per che cosa, poi?
Pensi che non dovrai affrontare altri dolori nella vita se decidi di
autopunirti da solo fin d’ora? Perché purtroppo non funziona così, ragazzo. Non
c’è niente che possiamo fare per proteggerci dalla sofferenza e dalle cose
negative dell’esistenza. Possiamo soltanto scegliere di vivere la vita che
vogliamo in modo che, quando le cose andranno male, perlomeno non avremo
rimpianti.”
Peter era stravolto. Il
volo, le emozioni provate, la vicinanza di Tony, i ricordi… tutto gli si
confondeva in testa, annebbiandogli il cervello e riempiendogli il cuore fino
quasi a farlo scoppiare. Era troppo, non poteva sopportarlo, non…
Scoppiò in un lungo pianto
liberatorio, straziante, fatto di singhiozzi, parole spezzate e lacrime
brucianti, mentre Tony lo abbracciava forte e gli accarezzava teneramente i
capelli spettinati.
“Sì, va bene così, Peter,
devi sfogarti, devi buttar via quel veleno che ti sta uccidendo” sussurrò
piano, commosso e intenerito. “Liberati del tuo dolore, io sono qui, sono qui
con te, non ti lascerò solo e ti accompagnerò in ogni passo che deciderai di
fare.”
Tony aveva fatto sparire la
tuta di Iron Man, che era ritornata sotto forma di nanoparticelle nel Reattore
Arc, e adesso le lacrime di Peter gli stavano inondando la giacca e la camicia,
ma non gliene importava. Voleva solo contenere la sofferenza del ragazzo,
avvolgerlo nella calda protezione del suo abbraccio e fargli sentire che non se
ne sarebbe andato, che non lo avrebbe perduto, che qualsiasi prova e difficoltà
l’avrebbero affrontata insieme.
Peter continuava a
singhiozzare senza ritegno e l’unica cosa che riusciva a dire, tra i singulti,
era qualche signor Stark, esalato a
fatica con voce spezzata…
Fine capitolo secondo