Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    19/08/2020    1 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Eccoci tornate con il decimo capitolo! Purtroppo, per quanto io che la mia Beta CrispyGarden teniamo a questo progetto, questi mesi estivi si sono rivelati pieni di impegni per entrambe e non siamo riuscite a concentrarci molto sulle traduzioni.

Cercheremo comunque di non lasciarvi a bocca asciutta per troppo tempo, promesso...!
Detto questo, buona lettura a tutt* <3

 


 

Non so. Penso che ci sia qualcosa che non va in lui.” Il Lance sullo schermo si mosse un poco e la sua espressione cambiò, l’inquadratura ondeggiante. “Non so cosa fare, però. Non posso chiederglielo e basta. Se Keith fosse qui-” Si interruppe, aggrottando le sopracciglia.

Alle sue spalle, Keith era teso come una corda di violino, la gentilezza di poco prima sparita. Rimanevano solo cocci taglienti e un’aura che ti faceva sentire come nel momento prolungato che precede un’esplosione; gonfia e tesa e orribile. Gli fece annodare lo stomaco.

Non importa.” Disse il Lance nello schermo con voce leggermente sconnessa, l’espressione spigliata dopo essersi ripreso in fretta. “Non importa. Fa lo stesso. Mi limiterò a tenere la situazione sotto controllo e se dovesse peggiorare cercherò di parlarne con Allura o qualcosa del genere. Sembra che lei sappia sempre cosa fare.” Sobbalzò per un rumore improvviso alle sue spalle, l’inquadratura tremò e il video divenne nero.

Lance fissò lo schermo del suo tablet per un altro momento, assorbendo quella nuova informazione; poi, lo riappoggiò sulle ginocchia. Si voltò verso Keith, che non si era mosso di un centimetro e aveva un’espressione chiusa. Sbarrata. Le sopracciglia aggrottate, le spalle ingobbite, la bocca storta in un modo spiacevole. Quel poco che Lance poteva intravedere dei suoi occhi era annebbiato e distante perché stava interiorizzando quanto appena visto.

Lance sentì il suo cuore spezzarsi un poco e, prima di riuscire a fermarsi, gli posò una mano sulla spalla. Sentì un’ondata di colpevolezza gonfiarsi dentro di lui a cui non riusciva a dare un motivo preciso, ma sapeva – come sempre – che era collegata al fatto che non riusciva a ricordare. “Keith?”

Keith non rispose, immobile come una statua sotto alla sua mano.

La crepa nel cuore di Lance si allargò di colpo. E sapeva – sapeva – che non aveva alcuna colpa, ma gli faceva male lo stesso, l’essere stato così vicino a qualcosa di personale e che questa fosse svanita completamente dalla sua memoria come fumo. Che non ce ne fosse alcuna prova nel passato o nel presente; l’aveva semplicemente perduta, come tutto il resto. Il silenzio di Keith affondò dentro di lui, spingendo la sua colpevolezza sempre più a fondo, e cercò di non sentirla, affilata e appuntita come un giavellotto nel suo cuore, eppure non ci riuscì. “Keith, mi dispiace.”

Per un momento, gli sembrò che Keith si stesse per ritrarre. Che stesse per scrollarsi la sua mano di dosso allontanandosi da lui, dando fuoco a tutta la familiarità che avevano condiviso la notte prima. Il solo pensiero che potesse succede gli fece male e lo marchiò a fuoco in modo così viscerale che riuscì a malapena a respirare. Keith si voltò verso di lui. Lance ritirò la mano per la sorpresa, preparandosi, il palmo già freddo per l’assenza del calore dell’altro…

Ma si sentì afferrare il polso. Tenuto stretto da una presa salda, come a volergli impedire di allontanarsi.

“No, Lance.” Disse Keith, tagliente. Ogni parte di lui era diretta e tagliente e reclamava tutta la sua attenzione.

Il cuore di Lance ebbe un fremito. “Io-”

Sentì la stretta farsi più forte, gli occhi di Keith illuminati da un lampo. Era rimasto talmente scosso da quel video che il mostrare le sue emozioni lo rendeva quasi selvaggio. “Non puoi più farlo, quindi stai zitto.”

Nonostante la sua voce fosse tutt’altro che gentile, lo calmò e si permise di respirare. “Parlami, allora. So che è difficile per te, ma dopo… Ho bisogno di sapere cosa stai pensando.” Con sua sorpresa, la sua voce tremò a malapena.

Keith voltò il capo, la sua espressione era neutra quando si espresse: “Non so cosa pensare.” Carezzò il polso di Lance con fare assente con il pollice, come aveva fatto la notte prima, e ogni carezza gentile brillava di sensazioni, facendogli sentire caldo.

Cercò di pensare ad altro che fosse più appropriato a quella situazione che non fosse poggiarsi su Keith, chiedendo ulteriore attenzione da parte sua. Ripensò a quello che Keith gli aveva raccontato la notte prima su Shiro… Non aveva capito quanto loro due fossero legati. Aveva ascoltato storie su storie della sua vita sotto l’ala protettiva di Shiro al Garrison, storie che gli sfuggivano con sempre più facilità dalla lingua man mano che si abituava a condividere quelle parti di sé con Lance, che le assorbiva come una spugna asciutta. Gli era parso evidente dopo poco che Shiro era forse la persona più importante nella vita di Keith.

Si sentì quasi arrabbiato con se stesso per non aver cercato di legare di più con Shiro da quando era ritornato in vita, ma…

Successe tutto di colpo.

“Credo di aver avuto ragione.” Disse ad alta voce, più a se stesso come una sorta di rivelazione, ma attirò comunque l’attenzione di Keith.

“Cosa vuoi dire?” Domandò Keith, la mano ancora calda e pesante sul polso di Lance.

Il disagio che gli appesantiva lo stomaco come un macigno. La sensazione leggermente folle che ci fosse qualcosa di sbagliato quando si trovava da solo con Shiro. Lance aggrottò le sopracciglia e incontrò lo sguardo scuro di Keith, desiderando di avere qualcosa di più concreto su cui basarsi di sensazioni a metà e istinto. “So di essermi dimenticato tutto, ma a volte ho una strana sensazione su Shiro. Non-” Si interruppe per scegliere le parole con cura. “Non mi piace stargli vicino.”

Keith aggrottò le sopracciglia, ma non sembrava più sconvolto di quanto fosse già. “Perché?”

Lance si fissò le gambe, dove teneva il tablet, e passò un dito sullo schermo nero. “È difficile da spiegare. Non ha fatto né detto niente di sbagliato, solo che- a volte è fin troppo concentrato su quello che fa, nel più strano dei modi. Lo Shiro di cui mi hai raccontato non corrisponde per niente allo Shiro che conosco.” Poi si rese conto di quanto suonasse male – come se stesse implicando che Shiro non era quello che Keith pensava che fosse – e ritirò subito tutto. “Non in quel senso! Cosa ne posso sapere io, poi? Quasi niente, no? Cioè, forse sono solo paranoico perché non so per niente come parlarci, il che avrebbe senso perché mi viene difficile anche solo-”

“Lance.”

“-parlare con chiunque in generale. La metà del tempo non so neanche cosa dire a Hunk, tra tutti. Dopo tutto quello che hai detto ieri notte, sono sicuro che Shiro sia una persona stupenda e probabilmente è solo che non lo conosco abbastanza. Sicuramente mi sto solo comportando da stupido o che so io; è possibile che non abbia più tutte le rotelle al posto giusto da quando sono morto, no? Quindi-”

Keith gemette per la frustrazione e strinse la presa sul polso di Lance talmente tanto da lasciargli un livido. “Lance, stai zitto.”

Si zittì. Immediatamente. Mezzo imbarazzato per aver blaterato e mezzo aspettandosi una smentita.

Keith sospirò, ma non mollò la presa. “Hai un istinto affidabile e hai sempre osservato le cose in un modo che il resto della squadra non faceva. Se dici che qualcosa non ti torna, allora ti credo.”

Lance lo fissò, le sopracciglia aggrottate per la sorpresa. “Così?”

L’angolo della bocca di Keith ebbe uno spasmo e la sua presa si allentò. “Così e basta.”

L’affetto si fece strada lentamente in lui, scacciando i dubbi ancora esistenti e la paura di aver detto troppo o di aver tirato troppo la corda. Quel calore sbocciò e spiegò le ali come una tavolozza di acquerelli, riaccendendogli il petto di colori tenui come il barlume di una candela, per poi spandersi nel suo stomaco.

Keith interruppe il contatto visivo e si poggiò contro il sedile, ma la sua espressione era più tranquilla di poco prima. “Dovrei andare a cercarlo e parlargli. Vedere se riesco a farmi dire qualcosa. Se qualcosa non va, devo rimediare.”

“Lascia che ti accompagni.” Disse subito Lance, risollevando lo sguardo, quasi interrompendolo nella foga di pronunciare quelle parole.

Keith aggrottò le sopracciglia, ma non lo guardò. Fissava ancora il soffitto. “Se non ti piace stargli vicino-”

“Voglio esserci per te.” Il suo cuore tremò leggermente all’onestà nella sua voce, ma non ne aveva più paura. Sentiva ancora il calore sulla nuca, lì dove Keith aveva premuto le labbra quella mattina, sovrappensiero, forse ancora mezzo addormentato; poteva ancora sentire il suo braccio attorno alla vita, la mano premuta sul suo cuore. Poteva ancora sentirlo su di lui in quel momento, lì, e questo gli aveva dato il coraggio di osare. Gli aveva iniettato colore e vitalità dritto nelle vene.

Sapeva che Keith si era reso vulnerabile di sua volontà, che aveva squarciato la barriera che lo faceva sentire sicuro, così che Lance si potesse sentire meglio. Ogni attimo, non importa quanto sfuggente o prolungato, Keith si era aperto a lui con precisione e gli aveva permesso di abituarsi a quella parte esposta di sé. Sapeva che Keith non era stato costretto a farlo, che non era obbligato a rispondere alle sue domande o a essere lì in quel modo in cui si era sistemato di fianco a lui come una presenza salda. Era cosciente del fatto che Keith non sapeva come restare, ma l’aveva fatto.

Lance ritrasse con dolcezza il polso, le guance accese. Al diavolo l’equità, voleva solo restituire a Keith tutto quello che lui gli aveva dato. Aveva oltrepassato il limite di preoccuparsi di quanto risultasse palese; ora voleva solo prendersi cura di lui. “Non è un problema, vero?”

Keith chiuse le palpebre per un breve momento, il silenzio tra loro a significare qualcosa di fragile che Lance non riusciva ancora a decifrare del tutto. Ne conosceva solo il calore, come anche senza dire niente Keith si chinasse sulla risposta e accettasse il sostegno disinteressato di Lance senza esitare. “No.” Disse, e la sua voce si inceppò appena, incastrata in gola. “Non è un problema.”

“Sicuro?” Domandò Lance, inquisitore, non volendo assolutamente costringerlo dopo tutto quello che Keith aveva fatto per lui. “Perché puoi dirmi di starne fuori. Non mi offendo né niente, giuro. Solo che- voglio dire, probabilmente è un qualcosa di molto personale per te e io mi sto immischiando, ma… se me lo permetti, vorrei esserci per te, Keith.”

A quel punto, Keith aveva già abbassato il capo e rivolto il suo sguardo su Lance, che stava pasticciando con le parole, i suoi occhi scuri e liquidi nella calda luce rossa, tremuli nel seguire i gesti e le movenze di Lance. “Mi farebbe piacere.”

Il cuore di Lance incespicò sul suo stesso battito e premette contro il petto in modo leggiadro e inebriante. Sarebbe stato strano se l’avesse ringraziato? Per averlo fatto restare vicino a lui? Forse. Probabilmente. Decise di permettere alla tensione di scemare dalle sue spalle e gli rivolse un sorriso. “Ottimo.”

***

Decisero di fare una pausa nelle rispettive camere per cambiarsi e rinfrescarsi velocemente prima di cercare del vero cibo nella cucina e andare a cercare Shiro. Lance rimase sotto il getto caldo della doccia, frizionando con forza i capelli, il volto, lavando via ogni traccia delle lacrime della notte precedente. Gli piaceva pensare di aver ormai smesso di piangere, per ora.

Cercò di metterci poco con la sua routine per la pelle e la lozione, nello scegliere i vestiti giusti, ma era fin troppo cosciente del fatto che Keith lo avrebbe visto e che non importava poi più di tanto. Però voleva comunque essere presentabile. Voleva che Keith si fermasse e si prendesse del tempo e lo considerasse e lo guardasse. Sentì un calore nello stomaco a quel pensiero. C’era il ricordo di un calore anche sulla sua nuca. Gli annebbiava i pensieri e lo rendeva goffo mentre cercava di finire di prepararsi in fretta.

Alla fine si decise per una maglietta che gli stava ben tirata sulle spalle, ricadendo bene sui fianchi. Si infilò la giacca e pensò per un momento che forse si era dimenticato la lettera dentro Rosso dato che non riusciva a sentirla nella tasca. Prima di chiudere l’anta dell’armadio, notò la giacca di Keith, appesa come se fosse sua, i guanti che sporgevano da una delle tasche rigonfie. Venne scosso da un brivido al ricordo della notte in cui l’aveva indossata dentro Rosso, alzando il bavero e stringendo forte i guanti tra le mani, domandandosi che aspetto avesse Keith. A come si era infilato le maniche per poi stendersi sul letto di Keith, fissando il soffitto, cercando inutilmente di non pensare a lui.

Gli doleva il cuore, straziato dall’eco di quella solitudine, e all’improvviso Keith gli mancò così tanto che era come se fosse ancora disperso. Sentì il proprio volto contrarsi quando toccò la pelle morbida della giacca e fu con quel brulichio di nodi nello stomaco, con quella stretta al cuore, che ritirò la mano e richiuse l’anta. Non era pronto a restituirla. Non ancora.

Quando uscì, vide Keith poggiato al muro del corridoio, in attesa, scuro e bello come non mai. Non era giusto che sembrasse così bello anche sotto quelle impietose luci fluorescenti, non si doveva neanche sforzare. Teneva le braccia meravigliosamente tornite incrociate al petto, il capo chino mentre scrollava lo schermo del tablet con quel cipiglio aggrottato che Lance riconobbe subito come la sua normale espressione pensierosa. Al solo vederlo, sentì la solitudine farsi più lieve e si diede dello stupido perché nonostante Keith fosse lì gli mancava comunque come un tempo.

Kosmo era seduto di fianco a lui, vivace, menando la coda contro il pavimento con la lingua a penzoloni di lato, gli occhi fissi e attenti su Lance, che gli rivolse un sorriso e si premurò di inginocchiarsi di fronte a lui per dargli attenzione.

“Buongiorno, bellissimo.” Chiocciò Lance, sentendo lo sguardo di Keith su di lui mentre faceva i grattini al lupo dietro le orecchie. “Mi sono tenuto Keith tutto per me ieri notte? Sì, l’ho fatto. Spero che non ti sia sentito solo.”

“Era con Krolia. Sta bene.” Disse Keith, con un verso di scherno.

“Avresti potuto portarlo. Siamo diventati amici ieri.” Gli disse Lance, ridacchiando quando Kosmo gli puntò il naso umido nella guancia con un piccolo e divertente sbuffo. “Lo siamo, vero? Sei un bravo cucciolone. Ci siamo divertiti, huh?”

Kosmo scodinzolò leggermente più forte e Lance si decise a guardare Keith per dirgli qualcosa, ma venne prese in contropiede quando vide che lui lo stava già guardando. L’espressione che aveva in volto era intrinsecamente affettuosa. Così calda e scura da potercisi sciogliere dentro, così indifesa che Lance sentì lo stomaco fare una capriola. Gli ricordò di qualcosa che non ricordava neanche più: dense gocce di miele, umide notti di mezza estate, fredda acqua di mare attorno alle caviglie. Le parole gli si impigliarono in gola così a lungo che si dimenticò cosa stava per dire. Il calore gli spuntò sulle guance e distolse lo sguardo per riportarlo su Kosmo, poggiato con il capo sulla sua mano.

“Sono contento di sapere che non vi ha creato problemi.”

Lance scosse la testa e un piccolo sorriso gli arricciò gli angoli della bocca mentre il calore del rossore si spandeva in lui, lento e dolce. “Certo che no. È di ottima compagnia.”

“Vero.” Concordò Keith, e Lance si chiese se stesse pensando al tempo che avevano trascorso nell’abisso quantico. “Hai ancora fame? Ho mandato un messaggio a Shiro, ma non mi ha ancora risposto, quindi potrebbe essere ancora a letto o che so io. È ancora presto.”

Kosmo gli toccò di nuovo la guancia col naso e Lance gli scoccò un bacio sul muso per poi alzarsi in piedi, rivolgendo un’espressione quasi timida in direzione di Keith. “Mangerei volentieri.”

Keith annuì e si scostò dal muro, avviandosi verso la cucina con Kosmo alle calcagna. Lance si mise al passo dietro di lui, vicino ma non troppo, dondolando le braccia, domandandosi quanta distanza c’era tra le loro mani. Mentre percorrevano i corridoi verso la zona comune, accarezzò il pericoloso pensiero di sfiorare il palmo di Keith con la punta delle dita. Addirittura di intrecciare le loro dita insieme, perfette le une nelle altre come tessere di un puzzle, o qualcosa di altrettanto sdolcinato. Keith l’aveva toccato tante volte la scorsa notte e ormai conosceva quella sensazione ma, adesso che ci ripensava, ogni ultimo punto di contatto sembrava così labile.

Tenere Keith per mano avrebbe significato esporsi più a lungo e mantenere la stretta sarebbe stata una decisione consapevole da parte di entrambi. Era un fatto inebriante e terrificante al tempo stesso. Una parte di lui pensava che non sarebbe riuscito a gestire la cosa, che il suo cuore sarebbe esploso dopo neanche due minuti, ma un’altra parte di lui pestava i piedi e gli chiedeva di provarci, almeno.

Titubante, si fece leggermente più vicino e fece in modo che il braccio dondolasse un poco di più. Sussultò quando le nocche di Keith gli sfiorarono la pelle.

“Scusa.” Mormorò Keith, notando il modo in cui Lance aveva sussultato, del tutto ignaro. Fece un passo di lato, distanziandosi ancora una volta da lui, e Lance aggrottò le sopracciglia, i nervi in subbuglio sottopelle, emettendo un suono di disappunto.

Al che, Keith rallentò e si voltò per fissare i suoi occhi su di lui. Lance poteva sentire l’imbarazzo bruciare sulla punta delle orecchie. Si era davvero lamentato? Che cos’era, una specie di bambino petulante? “Cosa?” Domandò Keith, le sopracciglia increspate per la confusione.

Lance si ficcò con forza le mani in tasca e distolse lo sguardo. “Niente.”

Keith non rispose, ma quando Lance lo sbirciò con la coda dell’occhio un momento dopo sembrava immerso nei suoi pensieri ed era carino. A dirla tutta, era davvero accattivante. Lance sentì il cuore stringersi forte nel petto e prese un breve respiro tremante, riportando lo sguardo sul pavimento, guardando le scarpe mentre si dirigevano verso la cucina.

“Keith.” Disse Lance piano e con onestà, ancora incendiato dall’imbarazzo ma riscaldato da quella tenerezza.

“Hmm?”

“Non ti ho neanche ringraziato per ieri notte.” Disse Lance, un po’ come pensiero personale, rivolgendo un sorriso al pavimento, le mani strette a pugno nelle tasche. “Sono felice di sapere che adesso tra noi è tutto com’era prima, dopo quanto è successo.”

Keith rispose con qualcosa di simile a una risata. “A dire il vero, ne sai molto di più adesso che prima.”

Il cuore di Lance perse un battito. “Aspetta, come?” Girò la testa verso di lui, ritrovandosi Keith che lo occhieggiava con un’espressione quasi soddisfatta.

“Ieri notte ti ho raccontato cose che non sapevi su di me.” Spiegò Keith, le labbra piegate in un piccolo sorriso affettato, come se ne fosse compiaciuto. Nonostante le sue barriere, forse gli piaceva l’idea che Lance lo conoscesse. Forse il suo disagio era stato sempre causato più dal non sapere come rendersi vulnerabile che il non volerlo essere affatto.

C’era un che di brutalmente meraviglioso nell’idea di avere tra le mani delle parti di Keith che prima non possedeva. Non pensava che sarebbe stato possibile avere qualcosa che il suo io passato non aveva. Era… non aveva parole per descrivere quanto fosse bello o quanto fosse immensa la sua sorpresa perché non se l’aspettava. Quelle parole lo avevano colpito come un potente gancio destro, come un uppercut allo stomaco. Sentiva le emozioni accumularsi dentro di lui e si strofinò il volto prima che il pizzicore nei suoi occhi straripasse.

Alla faccia del niente più pianti. Forse era davvero un bambino.

“Perché raccontarmele ora?” Domandò Lance, costringendo la voce a rimanere neutra, ma fallì miseramente perché gli raschiò contro la gola.

Keith scrollò le spalle e addolcì leggermente la voce. “Perché me l’hai chiesto.”

“E non te l’avevo mai chiesto prima?”

Keith emise un verso, come di paziente comprensione. “No. Non che fosse importante. Sono… la mia vita è cambiata da quando abbiamo lasciato la Terra. Io sono diverso.”

“È importante.” Gli disse Lance, ancora senza guardarlo, lasciando cadere la mano lungo il fianco. Prese un respiro profondo, dentro e fuori, e cercò di calmarsi lungo la strada per la cucina. Ripensò alla lettera incompleta: sapeva con certezza che il suo io del passato voleva sapere quelle cose di Keith, anche se non aveva avuto il coraggio di chiedergliele. “Era importante, Keith. Sai, prima che- sai, prima che io-” Si interruppe, in difficoltà, senza sapere come trasmettere quello che intendeva senza confessare ogni singolo segreto nascosto nel suo cuore.

Keith gli prese la mano all’improvviso, con facilità, e i palmi slittarono insieme, unendosi. Si fermarono nel mezzo del corridoio. Quel gesto era ridicolmente normale, come se Keith l’avesse già fatto un centinaio di volte. Lance si interruppe di botto per spostare lo sguardo su di lui, sentendo il cuore arrampicarsi su per la gola, e vide che Keith aveva distolto lo sguardo, le sopracciglia corrugate sopra i suoi occhi di mezzanotte.

La mano di Keith era calda sulla sua, ruvida per i calli, e quell’improvviso e prolungato contatto di pelle su pelle gli fece diventare il cervello di gelatina e la bocca riarsa come un deserto. Sotto di lui sentiva le proprie ginocchia tremare e fu grato che non stessero più camminando perché altrimenti sarebbe finito sul pavimento. Quel tocco era così bello, abbastanza diretto da suggerire una somiglianza nei loro sentimenti, da chiarire alcuni dei concetti più discreti che erano scivolati nel buio della notte precedente. Riusciva a malapena a pensare al significato di quel gesto senza sentirsi stordito, senza sentirsi come se stesse fluttuando fuori dal suo corpo.

“Era questo che volevi, giusto?” Mormorò Keith, stringendo leggermente la mano attorno a quella di Lance, che stava lentamente avvolgendo le dita attorno al polso di Keith. Era simile a elettricità, quella sensazione che si era insinuata nel suo sangue e che scoppiettava sottopelle, nel modo in cui lo bruciava dentro, risvegliando ogni centimetro di lui come una calda alba estiva.

Annuì, portandosi l’altra mano alla bocca per coprirla, sentendo il calore sul volto farsi rovente, scottandolo dalla punta delle orecchie fino alla base del collo. Stava ancora sognando? Quanto era probabile che stesse ancora dormendo nella cabina di pilotaggio del leone rosso? Si sarebbe risvegliato tra le braccia di Keith anche quella volta? Chiuse brevemente gli occhi, il fiato caldo contro la mano, e prese un altro respiro per calmarsi.

“Basta chiedere, Lance.” Gli disse Keith, senza un briciolo di vergogna. Come se la gente avesse sempre detto cose simili a quel modo.

Lance rispose stringendogli la mano. Si tolse l’altra mano dalla bocca, arricciando le dita tra la pelliccia di Kosmo e sbatté le palpebre guardando il pavimento. “Non voglio chiederti troppo.” Non poteva sopportare il pensiero di approfittarsi di Keith senza rendersene conto, di prendere e prendere e di imparare a pretendere di più. Non era giusto nei suoi confronti e non- non voleva essere troppo per lui.

“Ehi.” Keith lo tirò gentilmente per la mano, costringendolo a guardarlo. Aveva un’espressione serie in volto ed era così bello che faceva male; Lance lo guardò, innamorato e istupidito. “Io voglio che tu me lo chieda.”

Lance sbatté le palpebre, colpito dalla sincerità nella sua voce. Colpito, ancora una volta, da quanto Keith fosse generoso. Era entrato nella sua vita da tanti giorni quanti ne poteva contare sulle dita, ma gli sembravano di più. Anche se non ricordava nulla, pensava che ci fosse un fantasma di Keith in un angolo della sua mente, un tatuaggio inaspettato, dorato e indelebile. “Keith, perché sei così gentile con me?” Sussurrò, ammirato e imbarazzato.

Sulle prime, Keith non rispose e si limitò a fissarlo con uno sguardo passionale che accese qualcosa di caldo e fuso nel suo stomaco. Un calore quasi alcolico gli impregnò il sangue, rendendolo denso e dolce nelle sue vene, facendolo quasi ubriacare per la vicinanza con Keith. Sentì un improvviso desiderio di chiedergli qualcosa di più pericoloso, qualcosa di stupido e selvaggio e irrevocabile.

“Penso che tu sappia perché, Lance.” Disse Keith, la voce ruvida alla fine delle parole, del tutto cruda nella sua vulnerabilità.

Lance ebbe un fremito, diviso tra il colmare la distanza che li separava o allontanarsi, e non sapeva cos’avrebbe deciso di fare, ma risultò irrilevante perché Kosmo emise un piccolo latrato. Ritrasse la mano di scatto, sussultando, e proprio in quel momento Hunk apparve da dietro l’angolo, ancora in pigiama.

“Oh, ehi ragazzi.” Disse, leggermente assonnato. “Felice di vedere che sei tornato sano e salvo, Keith.”

Keith non si scompose di fronte al cambio improvviso di situazione e Lance pensò che non era giusto che riuscisse a essere così tranquillo, non quando lui si sentiva in bocca la lingua pesante e inetta e secca e la testa piena di cotone.

“Grazie, Hunk.” Disse Keith, sorridendo. Lanciò una breve occhiata a Lance, come a voler misurare la sua reazione, una leggera ruga in mezzo alle sopracciglia, ma sembrò lasciar perdere mentalmente la cosa abbastanza in fretta. Forse aveva archiviato la loro conversazione per riprenderla più tardi.

Kosmo trotterellò al fianco di Hunk, scodinzolando, e si spalmò di fronte a lui, bloccandogli il passo e reclamando le coccole prima di lasciarlo andare. “Buongiorno anche a te, Kosmo.” Disse Hunk con affetto, grattandolo dietro l’orecchio.

Keith inclinò la testa di lato. “Come l’hai chiamato?”

Lance se n’era quasi dimenticato. Il calore imbarazzato che sentiva dentro si dissipò di colpo, come se fosse stato scaricato giù per un lavandino, e si sorprese a ghignare quando Hunk lanciò un’occhiata a Keith, la cui espressione confusa era adorabile. “Oh, giusto. Lance non te l’ha detto? L’abbiamo chiamato Kosmo ieri, quando non c’eri. Non potevo continuare a chiamarlo ‘lupo di Keith’, amico.”

Keith si iscurì in volto. “Stavo-”

“Aspettando che ti dicesse il suo nome?” Suggerì Lance, ancora con la traccia di quel calore sul volto.

Keith lo guardò con un piccolo broncio bonario. “E allora?”

Il ghigno di Lance si allargò. “È gentile da parte tua rispettare Kosmo in quanto terribile bestia spaziale con una sua coscienza, ma è letteralmente un cucciolone. Guardalo.” Indicò Kosmo, accoccolato sulla mano di Hunk, godendosi appieno le attenzioni.

Fu in quel momento che Keith alzò gli occhi al cielo, ma con qualcosa di simile a un sorriso agli angoli della bocca – della sua bocca, notò Lance con fin troppa intensità, decisamente troppa. L’immagine dell’espressione corrucciata di Keith, del calore pigro e vagabondo e della sicurezza di quello sguardo, galleggiò nella sua mente e sentì lo stomaco andare di nuovo a fuoco.

Quando ci pensava, poteva ancora sentire i punti esatti sulla nuca dove Keith aveva premuto le sue labbra quella mattina. Si chiese se Keith lo avrebbe baciato leggero come la pioggia, con la stessa dolcezza che aveva dimostrato la scorsa notte nel buio del leone quando aveva inclinato il mento per toccare la sua fronte. Si chiese se Keith lo avrebbe baciato con foga e passione, sentendo le sue mani premere dove potevano raggiungere. Il suo sangue sarebbe andato interamente a fuoco, alimentato da un desiderio che eguagliava quello di Lance fiamma per fiamma? Avrebbe sussurrato il suo nome sulle sue labbra come se fosse morto se non l’avesse fatto?

Il solo pensiero gli scatenò un attacco di stordimento e Lance si liberò come poteva dall’immagine delle labbra di Keith dalla mente. Era inopportuno, pensò, indugiare su qualcosa che lo rendeva febbricitante proprio di fronte a Hunk. Proprio in quel momento, quando sapeva che Keith era preoccupato per Shiro. Proprio in quel momento, quando il suo stomaco reclamava sostentamento immediato e Kosmo scodinzolava nella sua benedetta ignoranza.

Avrebbe dovuto provare vergogna. O imbarazzo, perlomeno.

Eppure.

Penso che tu sappia perché.

Non lo sapeva.

***

Più tardi, nel pomeriggio, mentre Lance si stava rilassando con Kosmo nella sua stanza, sonnecchiando e risvegliandosi, ricevette un messaggio sul suo tablet da parte di Keith, che diceva che Shiro li avrebbe incontrati sul ponte di volo tra un varga circa se Lance era ancora interessato a unirsi. Gli rispose con forse un po’ troppo entusiasmo; il sonno gli scivolò di dosso con facilità, e scese subito dal letto. Kosmo lo fissò con la testa piegata di lato, le orecchie dritte.

“Vieni anche tu?” Gli domandò Lance infilandosi la giacca, incapace di contenere le bollicine di gioia dallo scoppiare alla prospettiva di rivedere Keith. Erano passate solo poche ore dal pranzo, ma Lance l’aveva lasciato per fargli passare del tempo con Krolia, sorpreso dal trovare Kosmo con sé quando era arrivato alla sua stanza. Il lupo lo aveva seguito fin lì.

Kosmo batté la coda sul materasso una volta e poi balzò giù dal letto. Lance gli carezzò la testa, pronto per dirigersi verso la porta, ma venne investito da una luce accecante, un basso sfrigolio, e sentì la pelle pizzicare e rabbrividire per la magia. Quando sbatté le palpebre, gli rimase quella sensazione strana, ma stava guardando Keith, che aveva i capelli raccolti in una coda, una borraccia poggiata al suo labbro inferiore e la maglia pregna di sudore.

Avrebbe dovuto fargli schifo. Davvero schifo, così lucido e arrossato in viso per lo sforzo e con i capelli incollati alla faccia. Una goccia di sudore gli colò lungo la tempia fino al mento e… sul serio, perché non gli faceva schifo? Lance avrebbe voluto allontanarsi da lui di almeno tre metri, ma i suoi occhi stavano impazzendo per il modo in cui le braccia di Keith rilucevano sotto la luce intensa della stanza e, all’improvviso, gli sembrò di essere lui quello che si era allenato per due ore: senza fiato e disidratato.

Keith fece cadere lo sguardo su Kosmo per poi riportarlo su Lance e allontanò la borraccia dalla bocca con un sorriso. “Ehi.”

“Uhhh…” Lance sbatté le palpebre, mezzo intontito da quel suo arrivo improvviso e dalla vista di un Keith madido di sudore, e la sua voce si spezzò. “…Ehi?”

Keith lo fissò per un altro momento, poi un fremito all’angolo della sua bocca diede vita a uno scoppio di risa. Quel suono prese Lance in contropiede nel miglior senso possibile. Sentì un calore diffondersi nel petto che presto lo avvolse completamente; non riusciva a fare a meno di guardarlo, soprattutto perché gli unici lati di Keith che aveva mai visto fino a quel momento erano stati intensi o seri. C’era stato un sorriso qui e lì, una risatina forse, ma mai una risata, non come quella.

La risata di Keith era un po’ ruvida, quasi roca forse, e quel suono rimase incollato al petto di Lance, accomodandosi lì come se fosse stato casa sua. Vedere Keith così rilassato con lui, soprattutto con quella storia di Shiro da risolvere, era sufficiente a risvegliare le profondità del suo affetto. Il mondo gli sembrava più dolce e sereno e, per un momento, si dimenticò che si trovavano nel mezzo di una guerra intergalattica nello spazio. All’improvviso, pensò che se l’unica cosa che sarebbe riuscito a fare nella sua vita fosse stata far ridere Keith, avrebbe fatto la cosa giusta. Sarebbe stato contento anche così.

Non riusciva neanche a vergognarsi di quanto suonasse stupido. Mentre si godeva quel momento, le sue labbra si stirarono in un grande sorriso idiota e si sentì rilassato, le mani nascoste nelle tasche e le spalle morbide, guardando Keith che finiva il suo attacco di risa.

“Ciao.” Ridacchiò Keith, dopo aver acquietato il suo iniziale divertimento.

“Ciao.” Rispose Lance, leggermente più in sé quella volta, con un tono di voce imperniato di stupore e sogno. “Dov’è tua madre?”

“È già andata a lavarsi.” Gli disse Keith, ancora sorridente. “Dormito bene?”

La dolcezza dietro a quella domanda lo fece arrossire, le guance calde. “Non male.” Disse, ed era abbastanza vero, anche se non si era mai addormentato profondamente. Era perlopiù rimasto steso con le gambe avvolte attorno a un Kosmo accoccolato ai piedi del suo letto, pensando senza posa e con fare assonnato a quanto fosse stato felice quel giorno più che in tutti gli altri giorni della sua nuova vita. A chiedersi se il resto dei suoi giorni sarebbe stato bello come quello.

Keith annuì. “Bene. Uh, ti dispiace aspettare che mi faccia una doccia veloce?”

Lance scosse il capo. “Nah, vai pure. Fai con calma.”

Keith rimise il tappo alla borraccia e gli sorrise di nuovo. Sparì solo per 10 minuti; Lance passò il tempo a scambiarsi messaggi con Pidge, che doveva essere proprio annoiata per arrivare a chiedergli di trovarsi più tardi. Quando Keith tornò nella stanza degli allenamenti con i capelli umidi e una maglia pulita, il cuore innamorato di Lance perse un battito.

Arrivarono alla plancia di comando prima di Shiro e Lance era quasi tentato dal cercare di prendere di nuovo la mano di Keith mentre erano lì in piedi, sapendo che l’altro l’avrebbe presa bene ma sentendosi comunque incredibilmente timido al solo pensiero.

“Tutto bene?” Gli domandò, invece.

Keith lo guardò con la coda dell’occhio e distolse lo sguardo da Kosmo, poggiato contro la sua gamba. “Perché?”

“Parleremo con Shiro.”

“Non sono ancora preoccupato.”

Lance annuì, felice di sentirglielo dire. A dispetto di cosa fosse tutta quella storia, se Keith si sentiva tranquillo non poteva essere poi così grave, no? Confusionaria, forse, leggermente preoccupante, ma alla fin fine Shiro era lì e stava bene ed era quella la cosa più importante, giusto? Avrebbero risolto il resto, a qualunque costo.

Keith sospirò dopo un momento di silenzio e cambiò argomento. “Lance, il fatto che tu sia qui significa molto.”

Lance sentì il cuore cercare di saltargli fuori dalla sua maledetta bocca, ma fece finta di niente con nonchalance. “Potrei dire lo stesso per te.”

Senza alcun preavviso, Keith gli prese il polso, attirando tutta la sua attenzione verso di lui. Il calore di quel tocco si dissipò veloce sulla sua pelle, come se stesse seguendo il corso di un liquido più leggero, e arrivò dal polso fino alle guance in pochi secondi. “Dico sul serio.” Disse Keith.

Lance incontrò il suo sguardo con sicurezza. “Anch’io.”

C’era una leggera frustrazione sul suo volto, come se Lance non avesse capito bene cosa voleva dire. “No, voglio dire che- Lance, è perché tu sei qui che non sono preoccupato. Se avessi dovuto affrontare tutto questo da solo-”

Lance aggrottò le sopracciglia. “Non saresti mai stato solo, Keith.”

Keith annuì con impazienza. “Lo so.”

“E allora fine.”

“È più facile con te.” Disse Keith, quasi interrompendolo prima che Lance potesse finire la frase. “Non… ricordi com’erano le cose prima – e non mi interessa, davvero, te lo giuro –, ma perfino Shiro non poteva sempre esserci per me. Tu- tu sì.” Inciampò sulle sue parole, affannato e affettato, come se avesse aspettato di dirle per tutto il giorno, rafforzando quanto aveva già condiviso con lui la notte prima. “Lance, non ti ricordi neanche di me eppure sei qui.” La sua mano scivolò nel palmo di Lance per la seconda volta in quel giorno e Lance fece subito un po’ più fatica a respirare. Il suono della voce di Keith era leggermente ammirata, come se non ci credesse neanche lui.

Lance lo fissò, i battiti a mille alla fragilità della sua voce, così inaspettatamente emotiva da demolire tutte le sue inibizioni come una palla da demolizione.

“Keith.” Disse, tenendo forte la sua mano, la gola secca per l’emozione. “Mi ricordo di te in tutti i modi che contano di più. Non- Non riusciresti a liberarti di me neanche se ci provassi.” Rise a quel pensiero. “Sono morto e… e anche così-”

Keith strinse la presa per un lungo secondo prima di ammorbidirla di nuovo. “Non vorrei mai liberarmi di te.” Disse con dolcezza, con sicurezza. Non lo stava prendendo in giro; era un’affermazione seria al 100% e Lance perse la parola da quanto lo travolse con potenza. “E ti ho detto che non ti abbandonerò più. Sono serio.”

Lance rabbrividì alla sincerità di quelle parole e ripensò a poco prima, a quello che Keith aveva detto quella mattina. E sentì il rossore arrivare fino all’attaccatura dei capelli. Si umettò le labbra. “So… so che Shiro arriverà presto e tutto m-ma… posso… uh…”

L’espressione di Keith si rilassò in qualcosa che sembrava divertimento, ma incredibilmente gentile. Passò il pollice sulle valli e colline delle nocche di Lance. “Puoi cosa?”

Il rossore di Lance si fece più inteso. “P-posso abbracciarti?”

Keith non rispose. I suoi occhi rimasero fissi per un momento, come se stessero processando la sua richiesta, e Lance non capiva ancora di che colore fossero, ma erano bellissimi, un nero di mezzanotte illuminato di stelle anche sotto quelle luci fluorescenti. Keith lo tirò a sé con la mano ancora nella sua e gli avvolse il braccio libero attorno alle spalle, premendo il volto contro l’incavo tra il suo collo e la spalla.

Lance si sciolse in lui, sentendo i loro petti premuti assieme come due fogli di carta. Sistemò il naso e la bocca contro la spalla di Keith, arrendevole, e si poggiò a lui, volendo silenziosamente di più di quell’intimità mediata. La mano di Keith scivolò via dal suo palmo per passare un altro braccio forte attorno alla sua schiena e quella, pensò Lance mentre si stringeva alla vita di Keith, era l’unica cosa di cui aveva bisogno nella sua vita.

Keith profumava di shampoo, inebriante e pulito e semplice, il suo corpo caldo contro il suo. Lance chiuse gli occhi a quelle sensazioni, facendosi strada tra quelle emozioni condivise solo grazie al tatto. C’era definitivamente qualcosa di diverso in quell’abbraccio, anche se si erano già abbracciati qualche volta, e non capiva cosa potesse essere. Sapeva solo che non voleva scioglierlo e lasciarlo andare.

“Oddio, mi sei mancato davvero tanto, Lance.” Mormorò Keith contro il suo collo. Le sue labbra gli sfiorarono la pelle quando parlò e Lance ne fu elettrizzato, sentendo le dita di Keith che gli carezzavano le ciocche corte sulla nuca. “Non ne hai idea.”

Lance si voltò per premere la fronte contro il lato del collo di Keith, cercando un contatto più diretto tra loro. Neanche tu, pensò disperato, stringendo la maglia di Keith, facendosi più vicino, le loro ginocchia che si scontravano. Voleva così tanto che non fossero in piedi nel bel mezzo della plancia di comando ad aspettare Shiro, solo perché voleva che quel momento durasse ancora e ancora.

Keith si spostò per primo, scostandosi leggermente, sfiorando la guancia di Lance con la sua. Lance fu tentato dall’abbandonarsi ancora contro di lui, ma sentì le sue labbra premere contro la tempia, esitanti per un paio di secondi più del necessario, più calde di quanto fosse giusto, e quel tocco era così semplice e diretto da mostrare in modo cristallino il suo affetto per Lance. Gli passò di nuovo la mano tra i capelli, piano, come se quel gesto fosse qualcosa da custodire.

“Ci sono cose che non devi neanche chiedere.” Mormorò, il respiro che baciava la punta delle orecchie di Lance.

“Volevo esserne sicuro.” Borbottò Lance di rimando, sciogliendo la presa sulla vita di Keith, riluttante. Fece scorrere lentamente le mani per posarle sui suoi fianchi, leggere come una piuma ma presenti, il volto ancora premuto contro la gola dell’altro.

“Non è ovvio?” Sussurrò Keith, dolce come non lo era mai stato prima.

Lance strinse la stoffa della maglia di Keith, che gli cadeva morbida sui fianchi, se sentì il cuore singiozzargli nel petto. “Non lo so.” Sussurrò in risposta. “A volte penso di star ancora sognando e che tu sia ancora disperso. A volte penso che sia tutto uno scherzo della mia mente o che io stia ingigantendo la cosa.” La sua voce si spezzò quando Keith gli passò di nuovo le dita tra i capelli. “Perché come- Keith, come-”

Alla fine, si separarono di scatto, sorpresi dal suono della porta della plancia di comando che si apriva. Lance scostò la testa di colpo dal posto sicuro dove l’aveva appoggiata e Keith fece un passo indietro, ritraendo le mani, togliendo con gentilezza quelle di Lance ancora impigliate nella sua maglia. Gli rivolse un sorriso, così incredibilmente gentile che Lance pensò che quello era il vero Keith, sotto tutti quegli strati che usava per proteggersi. Lance gli sorrise di rimando, sentendo la gola bruciare un poco per le parole che non aveva detto.

Si girarono entrambi e videro entrare Shiro che, grazie al cielo, era ignaro di cosa aveva interrotto. “Ehi, voi due. Scusate, mi ci è voluto un sacco per sfuggirgli; Coran continuava a trovare scuse per farmi rimanere con lui e aiutarlo.”

“Tranquillo.” Gli disse Keith. “Non abbiamo aspettato molto.”

Quando Shiro si fermò di fronte a loro, i suoi occhi si soffermarono su Lance, che dovette reprimere il brivido immediato che ne seguì. Sul momento, si sentiva come se gli si fossero rizzati i capelli sulla nuca. “Non avevo capito che anche tu volevi parlarmi. Di cosa si tratta?”

Lance non sapeva cosa rispondere. Era ancora scosso da quanto era stato vicino a spandere le sue emozioni sul pavimento perché Keith potesse vederle. “Uh…”

Fortunatamente, intervenne Keith. “Niente, è solo che non ci vediamo da un po’.” Disse con un sorriso. Shiro gli rispose con un sorriso e si misero a palare degli ultimi mesi. Lance si limitò per la maggior parte ad ascoltare, guardando Keith che sembrava così contento di essere lì, dandosi uno stupido per sentirsi teso vicino a Shiro.

Si vedeva che erano molto legati e Lance iniziò a rilassarsi un poco vedendoli interagire. Forse la sua versione del passato non sapeva di cosa stava parlando. Forse c’era stato un momento in cui Shiro si era sentito male per una settimana o qualcosa del genere ed era finita lì. Non c’era motivo di credere che ci fosse qualcosa che non andava, soprattutto quando Keith sembrava così a suo agio vicino alla persona che conosceva meglio nell’intero universo.

Un’ora dopo circa, erano tutti e tre seduti sul pavimento e la conversazione stava lentamente giungendo al termine, quando suonò l’allarme.

Allura e gli altri paladini si precipitarono nella plancia di comando pochi attimi più tardi. Lance notò subito quanto lei sembrasse stanca e desiderò che potesse essere ovunque tranne che lì.

“Che succede?” Allura guardò Shiro. “Una richiesta di aiuto?”

Lui scosse il capo, l’espressione concentrata. “No… è un videomessaggio.”

“E quindi?” Domandò lei.

“Non l’abbiamo aperto.” Le disse Lance, portando l’attenzione su di sé. Il nodo che sentiva nello stomaco gli rendeva difficile parlare.

“Perché no?”

Keith si mise di fianco a lui, attirando a sua volta l’attenzione di lei. “Perché,” disse, “non sapevamo se avresti voluto vederlo.”

“Possiamo cancellarlo.” Disse Lance, con fin troppa onestà. Forse fu quello che le fece capire tutto.

Il suo volto si indurì. “Chi l’ha inviato?”

Alle sue spalle, Coran entrò nella plancia, e Hunk e Pidge si scambiarono occhiate tese. Quando nessuno prese la parola, rispose Keith, la voce pragmatica e ferma. Lance fece una smorfia e vide il volto di Allura congelarsi come un ghiacciaio.

“Lotor.”

 


 

Note dell’autrice:

Scusate se sono passati tre mesi dall’ultimo update! Per chi non lo sapesse, ho frequentato un corso per assistente di volo e ho iniziato il mio nuovo lavoro con una compagnia aerea, quindi sono stata molto impegnata e non ho mai avuto tempo per lavorare su questo capitolo.

Spero che il fatto che sia molto lungo vi faccia perdonare un poco per l’attesa. Ci potrebbero essere un paio di errori qui e lì, ma lo rileggerò meglio tra un paio di giorni per vedere se ci sono cose da sistemare. Ora come ora ci ho lavorato per troppo, troppo tempo e voglio solo metterlo al mondo.

Spero che vi piaccia!!! Grazie a tutti per come avete accolto l’ultimo capitolo e per aver aspettato questo con pazienza <3

   
 
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