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Autore: kurojulia_    23/08/2020    0 recensioni
Una raccolta di vicende. Una raccolta di speciali episodi per ognuno dei personaggi del mondo di
Vampire Devil. Eventi importanti, eventi insignificanti.
[Da leggere DOPO la storia principale.]
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Blood & Thirst.







«Alyon, fratello mio, non vuoi bene a nostra sorella?».

 

La voce di Kazumi aveva un ché di lamentoso, di insistente, benché la sua fosse una frase di pura innocenza, così come l'espressione preoccupata sul suo giovane e perfetto viso di vampira.
Io, dal canto mio, aveva sentito e percepito quella domanda già svariate volte, e man mano che mi riponeva la stessa frase, essa prendeva una sfumatura sempre più... lamentosa, per l'appunto.

Al suono – ricorrente, familiare – delle sue parole, tirai un sospiro, forse un po' troppo rumoroso, quasi coprendo lo strepitio del legno che bruciava nel camino.

«Certo che le voglio bene», risposi. «Certo che sì. È la nostra cara sorella minore, il nostro importante agnellino». Seduto sulla poltrona, richiusi il libro fra le mie mani, ed intrecciai le dita sul ginocchio della gamba accavallata.


Kazumi si era sistemata vicino ai miei piedi, ostruendomi un poco il passaggio, e il fuoco del caminetto illuminava intensamente il profilo del suo viso; sebbene avesse raggiunto nove anni, Kazumi aveva spesso quel viso intristito, ed era altrettanto frequentemente in apprensione. Non usciva di casa quanto le sue coetanee e benché meno parlava degli stessi argomenti.

Non aveva amiche, solo ammiratori. Per cui – o almeno così avevo dedotto – mi stava sovente... fra i piedi, ecco.

«Quante volte hai intenzione di domandarmelo prima di metterti l'anima in pace?».

«Ma... », Kazumi sollevò il viso e lo ruotò verso di me, puntandomi due grandi occhioni oro. «Tu, quando la guardi... hai sempre... ».

«Che cos'ho?», incalzai, aggrottando le sopracciglia.

Kazumi schiuse le labbra. Il resto della sua frase rimase lì, sulla sua bocca, ad aspettare un permesso che non arrivò mai. Alla fine, scosse il capo debolmente e mi fece le sue scuse. Poi, con la medesima aria afflitta di poc'anzi, tornò a scrutare le fiamme oblique del caminetto.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Quella notte, mi destai dal mio sonno con la testa pesante.


Aprii gli occhi lentamente e subito riversai la mia attenzione sul soffitto della mia camera da letto, immersa nelle tenebre, ma che attraverso le mie iridi potevo comodamente distinguere. Rimasi immobile in quella posizione, il capo che mi affondava nel cuscino di piuma d'oca, per forse tre minuti.
Non sapevo cosa stava bloccando il mio corpo. Non c'era alcun peso, non fisico, per lo meno.

Solo dopo mi resi conto che si trattava della mia sete.

Mi sento bruciare... , e con questo pensiero, riuscii a sollevare la schiena dal materasso, spinto da una sete che a stento riconoscevo. Nell'aria, flebile, dolce e invitante, riuscivo a sentire il sangue dei miei famigliari. Ognuno di loro, tutti intorno, attraversavano pareti e corridoi, porte e scale, fino a giungere alle mie narici. Il semplice odore mi inebriava il cervello.

In piedi accanto al mio letto, dovetti appoggiarmi un istante, perché quell'ondata mi aveva davvero travolto.

Devo raggiungere le cucine... lì potrò... , lì avrei potuto placare l'arsura.

 

Nelle cucine, riposti in ambienti freddi e costantemente controllati, vi erano litri e litri di sangue, conservati in sacche di plastica. Era una felice alternativa alle vene pulsanti, alla giugulare, al sangue caldo e denso che ti procuravi con i tuoi denti.
Quello era il mio preferito. Tuttavia, la mia famiglia mi aveva categoricamente vietato di cibarmi come e quando volevo io, che c'erano delle regole da rispettare a tal proposito, e che solo loro avrebbero deciso il momento adatto. Avevano già deciso che non sapevo controllarmi. Che non conoscevo “una cosa come l'autocontrollo”.

Attraversai i corridoi sostenendomi con qualsiasi cosa mi capitasse sotto il palmo delle mani. Il buio era ancora più fitto poiché non vi erano finestre da cui far arrivare la luce della luna, e il silenzio era pesante. Veniva scandito, solo ed unicamente, dai rintocchi tombali dell'orologio a cucù.

Svoltai l'angolo che portava alla camera da letto dei miei genitori.

Ma lì mi fermai. Avevo sbagliato strada. A dir il vero, avevo pienamente sbagliato. Le cucine erano al piano di sotto, ed io ero ancora al piano superiore – le scale che mi avrebbero condotto alle sacche di sangue mi erano ormai lontane.

 

A quel punto mi resi conto.

Avevo seguito il profumo. Quell'irresistibile profumo che mi aveva destato dal torpore del sonno. Piuttosto che ascoltare il buon senso, avevo dato retta al languorino che mi stuzzicava la gola e le gengive.
Mi diedi sonoramente dello stupido e quasi ne risi – a quel punto, gettai un'occhiata verso la balaustra, e il suo piano inferiore. La guardai e poi, lentamente, mi voltai verso la camera da letto dei miei genitori. Sorrisi.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Alyon... cosa hai fatto... », mia madre mi guardava. Nei suoi occhi, brulicanti e scarlatti, c'era sgomento e furia, e in quelli di mio padre disgusto e incredulità.

Entrambi mi osservavano, dall'alto capo del letto.

 

La luce della luna – colei che non mi voltava mai le spalle – illuminava fiocamente il mio volto, colorandolo di blu. Illuminava e scopriva i miei denti e i canini aguzzi sporchi di sangue, le mie labbra squarciate da un sorriso, il mento bagnato di rosso.
Inclinai lentamente il capo all'indietro e premetti il dorso della mano contro la bocca, leccando via il sangue che era rimasto – sarebbe stato uno spreco, altrimenti.
«Molto meglio... », bisbigliai mentre, con l'altra mano, mi appoggiavo alla culla – di ciò che restava della mia piccola sorellina.

 

Della nostra cara, piccola sorellina – del mio agnellino.

 

   
 
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