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Autore: NyxTNeko    23/08/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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22 settembre

Nei giorni successivi all'attacco vincente del capitano Buonaparte, Carteaux, attorniato da ufficiali sottoposti e aiutanti di campo, aveva cominciato a rimuginare su come dimostrare la superiorità della fanteria sull'artiglieria, affinché quest'ultima non prendesse il controllo totale, il sopravvento sulle operazioni.

Le parole di La Poype risuonavano nella testa, accompagnate dalle esclamazioni soddisfatte degli artiglieri riguardo il loro comandante. Più passavano le ore e i giorni e più il suo disprezzo, per non definire odio, nei confronti di quel ragazzino altezzoso, aumentava senza posa. Da quando lo aveva conosciuto nulla più sembrava andare come aveva voluto, a parte gli assedi di Avignone e Marsiglia, non aveva concluso nient'altro di soddisfacente. Temeva di perdere la sua carica di generale, la sua reputazione e doveva impedirlo a qualsiasi costo.

- Dobbiamo approfittare della situazione che si è creata grazie all'artiglieria, generale - ribadì uno dei suoi aiutanti di campo, Delaborde, notando per l'ennesima volta Carteaux lisciarsi i baffi, del tutto incapace di cogliere l'opportunità che si stava profilando all'orizzonte.

- Pensate anche voi che dovrei preparare un attacco? - domandò retoricamente Carteaux abbassando il possente braccio con il quale stava toccando i suoi baffi, si voltò verso di lui e lo guardò fisso. Era l'unico della squadra che era rimasto a sua disposizione, il resto aveva scelto di ritirarsi e analizzare la questione in solitaria. Intravide la preoccupazione del suo aiutante, lo poteva capire più di chiunque altro; dal giorno in cui quel corso aveva ottenuto l'inaspettato successo, aveva iniziato ad invadere gli spazi altrui, cercando di coinvolgere ogni settore dell'esercito, come se quella vittoria gli avesse conferito poteri più elevati del generale - Io non sopporto più quel ragazzino! - aggiunse tra i denti, rabbioso, stringendo le grosse dita fino a far diventare bianche le nocche - Ogni cosa di lui mi fa innervosire, dalla sua arroganza sfacciata alla sua espressione seriosa - sbatté il pugno - Quel figlio di un cane!

L'aiutante di campo, abituato alle sue sfuriate, non riuscì a trattenere un sospiro profondo, abbassò la testa, puntando l'occhio sulla carta geografica del meridione francese rovinata, che aveva poggiato sull'ampio tavolo. Cercava, accortamente, di far ragionare il suo superiore, tentando di non perdere la pazienza, seppur non condividesse totalmente la sua ostilità verso il comandante dell'artiglieria. Gli sembrava un ragazzo capace, desideroso di portare a termine con successo la missione di Tolone. A differenza di Carteaux, a cui importava solamente il suo ego smisurato e di evitare, ad ogni modo e inspiegabilmente, lo scontro decisivo.

- Sì, cittadino generale, pure io penso che sia arrivato quel momento - emise Delaborde deciso. Evitò di commentare il giudizio, volendosi concentrare soltanto sul proprio dovere. Aggrottò le sopracciglia e sbatté le mani sul tavolo, sporgendosi contro Carteaux - È il momento adatto, così dimostreremo la nostra alta reputazione -  raddrizzò la schiena fino a poco prima ingobbita, fiducioso.

Nel frattempo Carteaux, poggiati i gomiti sul tavolo, coprendo le labbra sporche di formaggio con le enormi mani, lo aveva osservato per tutto il tempo, lasciando che parlasse. Comprese che i suoi uomini ardevano dalla voglia di scendere in campo, di indebolire notevolmente le forze degli alleati. Decise di accontentarli, perchè non aveva alcuna intenzione di accettare l'idea del giovane comandante corso: ossia conquistare i due forti e la baia attraverso i cannoni - D'accordo, organizzeremo un piccolo attacco, sperando di riuscirci nel minor tempo possibile - ammise infine Carteaux bramoso di voler mettere in luce la potenza dell'esercito - Andate a chiamare il resto del quartier generale, in modo che si possano stabilire le nostre mosse univocamente, non devono dimenticare che sono io il capo fino a prova contraria! - ordinò. Delaborde obbedì immediatamente, rincuorato e fiducioso.

Furono convocati quasi interamente gli ufficiali della fanteria, pochi della cavalleria, escludendo deliberatamente l'artiglieria. Non ci volle molto tempo per decidere come muoversi, quasi tutti avevano le idee chiare su dove e quando farlo: Carteaux avrebbe spedito un piccolo distaccamento, guidato da Delaborde, lungo la collina di La Caire dove sostavano le truppe nemiche e lì avrebbero ingaggiato una breve battaglia per conquistarla, pur non avendo molti mezzi e uomini, non potevano permettersi di più.

A Napoleone la notizia della non convocazione diede particolarmente fastidio, "Quel bastardo vuole prendersi tutti i meriti!" rifletté massaggiandosi il mento, mentre contava a grandi passi il terreno adiacente la batteria che avevano dovuto smontare, era agitato, ma non adirato. Forse non era un male quell'esclusione. Era come se sapesse già l'esito della battaglia, ovvero una sonora sconfitta. Gli uomini di Carteaux erano poco addestrati, fortemente scoraggiati, per nulla abituati allo scontro contro un nemico potente, dalle risorse illimitate "Hanno deciso di ingaggiare battaglia pochi giorni dopo il mio attacco, sperando nella calma dei nemici, si sbagliano invece, gli alleati non aspettavano altro per poter rafforzare la loro trincea terrestre, già di per sé massiccia" constatò alla fine Napoleone. Prese il cannocchiale e osservò, in lontananza, l'avanzamento delle truppe francesi.

Il distaccamento guidato da Delaborde, una volta penetrato sulla collina, si mostrò fin da subito male organizzato. Inoltre stavano combattendo contro uomini coperti da una trincea praticamente inespugnabile, senza l'ausilio di cannoni e altre bocche di fuoco. Al contrario dei francesi, infatti, disponevano di una quantità incredibile di fucili, di baionette, di munizioni. In breve tempo la situazione per Carteaux, il quale restava nelle retrovie limitandosi solamente a dare indicazioni sommarie e poco chiare, divenne insostenibile. Soldati e cavalli cadevano inesorabilmente sotto la raffica incessante dei colpi delle armi da fuoco nemiche. Perciò, al fine di evitare una carneficina,  ordinò la ritirata, resosi conto dell'impossibilità di annientarli con le risorse minime di cui disponevano.

"Come immaginavo, il risultato era più che prevedibile, solo uno stupido poteva agire in maniera tanto sconsiderata, illudendosi di poter vincere, mettendo in atto un piano che fa acqua, senza una strategia o una tattica di partenza" pensò Napoleone nauseato da un simile spettacolo. Non si meravigliava che nemici si burlassero di loro, facevano pena e se avessero continuato così, presto sarebbero stati sconfitti su tutti i fronti e la rivoluzione soffocata. Strinse i pugni e rientrò presso i suoi - Merda! - sbottò.

- Mi pare di capire che non sia andata affatto bene, comandante - ammise Junot, a braccia conserte, seduto su una panca di legno coperta di paglia, anche lui aveva pensato che una simile mossa sarebbe stata pericolosa e controproducente.

Napoleone annuì, si voltò e si sedette scompostamente accanto, sul bordo del legno, per essere pronto a rialzarsi - Almeno non siamo stati coinvolti direttamente, sergente, noi dell'artiglieria possiamo ancora salvare Tolone, il nostro onore non è stato intaccato... - rivelò il capitano sorridendogli.  Il suo volto si era illuminato, Junot intuì il suo messaggio e ricambiò il sorriso.

Parigi, 6 ottobre

Il piccolo Louis Charles, nelle mani dei rivoluzionari, era ancora alla Prigione del Tempio assieme al tutore, il ciabattino analfabeta Antoine Simon, a cui era stato affidato, in modo che fosse maggiormente controllato. In tempi di rivoluzioni e ostilità era difficile fidarsi del prossimo. Oramai Louis Charles non ricordava, se non a sprazzi, la sua vita precedente di aristocratico e di futuro successore al trono. Gli fu fatto un vero e proprio lavaggio del cervello, non tramite la forza o la violenza, come ci si sarebbe aspettato dai sanculotti, ma con la persuasione, adoperando, oltre alle buone maniere e le premure, vari canti rivoluzionari.

Lo trasformarono in un fervente repubblicano, giurando persino di voler fare uccidere tutti i nemici della Rivoluzione. Aveva dimenticato persino sua madre, per questo fu molto facile estorcere, dal piccolo e sempre più gracile ragazzino, delle prove fasulle contro l'ex regina Maria Antonietta, cosicché potessero condannarla a morte rapidamente. Quello stesso giorno, nella squallida e umida cella in cui era stato rinchiuso, piombarono, al pari di un tuono, delle guardie - Louis Charles, abbiamo bisogno della vostra testimonianza - riferirono queste concilianti, rabbonite dall'espressione serena del ciabattino.

Il bambino, quasi come se per un attimo si fosse ricordato di un evento traumatico passato, spaventato, si era rifugiato tra le braccia del suo tutore, che lo strinse forte e lo accarezzò. Non poteva credere di essersi seriamente affezionato a quel meraviglioso bambino, nonostante le privazioni e la scarsa alimentazione, non aveva perduto la sua indiscutibile bellezza, grazia e nobiltà - Non avere paura, loro sono amici nostri, vogliono punire i controrivoluzionari, soprattutto l'austriaca! - lo rassicurò il ciabattino facendo scivolare la mano callosa e rugosa sui lunghi capelli castani di Louis Charles.

Il piccolo lo guardò per un momento con i suoi grandi occhi, offuscati leggermente dalle lacrime, subito divenuti limpidi appena tali confortanti parole furono chiare. A quel punto sorrise dolcemente, si rivolse alla guardia che aveva parlato prima, staccandosi dal suo 'padre acquisito', con innata eleganza - Ditemi cosa dovrei fare per voi, cittadino - chiese il bambino garbatamente.

La guardia, colpito dalla sua docilità e disponibilità, si rese conto che Simon era stato più abile di quanto potesse credere nella persuasione. I suoi metodi stavano fruttando più della frusta e delle botte.
Accennò un sorriso sdentato, frugò tra le tasche nascoste della divisa ed estrasse un documento piegato, che aprì e poggiò sul tavolino lì vicino - Firmare qui - lo invitò a raggiungerlo.

Più sicuro di prima, Louis Charles vide il grosso dito puntato su un punto bianco del foglio ingiallito, alzò lo sguardo - Cosa c'è scritto? - chiese il piccolo, pur avendo imparato a leggere, era da tanto che non si esercitava nella lettura e non voleva fare una brutta figura - Potreste dirmelo in breve?

- Confermare le accuse di pratiche masturbatorie e incestuose iniziate da vostra madre e vostra zia, che avete affermato qualche giorno fa a Simon - gli rammentò la guardia.

Il ragazzino, che aveva ricordi confusi riguardo la faccenda, si girò all'indietro, osservando il ciabattino che gli faceva cenno con la testa di confermare quanto detto, o meglio estrapolato con l'inganno. Louis Charles, allora non poté che firmare, prese la penna d'oca offertagli, la intinse nel calamaio colmo di inchiostro e lentamente appose la sua firma, augurandosi che fosse leggibile. La guardia lanciò un'occhiata complice ad un Simon sogghignante, entrambi sicuri di avere fra le mani uno dei motivi chiave di condanna dell'odiata austriaca.

- Ben fatto, Louis Charles, i rivoluzionari apprezzeranno la vostra sincerità - si congratulò la guardia poggiando la grossa mano sulla scarna e sottile spalla del bambino. Dopodiché recuperò ciò che vi era sul tavolo, raggiunse i suoi colleghi, uscì dalla cella e chiuse il lucchetto - Come premio vi faremo consegnare una doppia razione - aggiunse la guardia poco prima di allontanarsi da loro.

Alla Convenzione, intanto, alle innumerevoli petizioni circa la condanna a morte e l'esecuzione capitale della vedova Capeto, se ne aggiungevano altre, le quali attestavano il bruciante desiderio della folla di vedere Maria Antonietta d'Asburgo Lorena subire la stessa sorte del marito. I membri più intransigenti accolsero con fervore ed entusiasmo tale risultato, indicava che la loro politica stava riscuotendo un enorme successo. Il giorno prima c'era stato un acceso discorso contro di lei, in cui veniva definita una vergogna per l'umanità e per il suo stesso sesso, essendo a conoscenza delle false rivelazioni del piccolo Louis Charles.

Tuttavia, per evitare problemi e aspettando la firma sul documento, nell'interrogatorio di quel giorno si fece un'allusione all'accusa di alto tradimento, nella quale si chiese esplicitamente all'ex sovrana, sempre più spossata e invecchiata precocemente ma ancora in grado di difendersi, se avesse insegnato al suo consorte l'arte della dissimulazione con cui avrebbero ingannato il popolo.

Al che Maria Antonietta ribatté dignitosa e agguerrita - Sì, il popolo è stato ingannato, è stato crudelmente ingannato, ma non da mio marito o da me - ribadendo la sua posizione fortemente monarchica, specialmente l'origine divina del potere regio e imperiale. In base a tale pensiero i ribelli sarebbero stati giustiziati. Un simile atteggiamento non migliorò di certo la posizione dell'Asburgo.

Ollioules, 9 ottobre

Quella giornata, per Napoleone, si avviò nel migliore dei modi: aveva ottenuto da Gasparin e Saliceti il comando di tutta l'artiglieria al di fuori di Tolone, il che stava a significare che l'eco del suo piccolo successo e della significativa disfatta di Carteaux era giunta sino a loro, garantendo, in questo caso, un aumento del suo prestigio e del suo potere, poiché era stato elevato anche al grado di maggiore.

Secondo l'opinione dei suoi commissari 'Bonna Parte era l’unico ufficiale di artiglieria che conosce tutto del suo dovere, e ha troppo lavoro'. L'espressione troppo lavoro fece sorridere il giovane corso, parevano in pensiero, a causa del suo aspetto malaticcio e macilento, dovevano scoprire la sua instancabilità. Avere a sua completa disposizione ogni artigliere e mezzo lo riempiva di una gioia incontenibile, se ci fosse stata la sua famiglia lo avrebbero certamente festeggiato. 

- Ve l'avevo detto sergente Junot che il nostro onore tutelato sarebbe stato riconosciuto e apprezzato - ridacchiò Napoleone, tra le mani aveva una pila di carte e cartine che si era fatto procurare. Lo trovò seduto accanto al suo tavolo di lavoro, il volto trasognante, l'espressione lontana. Conscio delle sue abilità e del suo carattere affabile, Buonaparte pensò di eleggere Andoche Junot aiutante di campo. Era ormai certo delle sue capacità e del suo coraggio, gli sarebbero stati utili da quel momento in avanti.

"In particolare il comandante" ammiccò divertito Junot condividendo il suo incredibile buonumore, d'altronde come non si poteva non essere contenti e soddisfatti in una simile occasione. L'artiglieria francese, che era stata sempre poco considerata all'interno dell'esercito stesso, aveva finalmente l'occasione di emergere e di mostrare la sua rilevanza in guerra. "Voglio proprio vedere quei damerini dei cavalieri adesso, staranno rosicando, nascondendosi dietro l'illusione di essere fondamentali".

Anche Napoleone, rimasto immobile, sotto la maschera del rivoluzionario ufficiale orgoglioso e compiaciuto, celava grande agitazione e disappunto per quanto stava accadendo a Parigi negli ultimi giorni. La notizia di quel documento firmato da Louis Charles si era diffusa capillarmente in ogni angolo della Francia e aveva suscitato l'indignazione generale, sia in coloro che ne sostenevano la veridicità, sia in quelli che erano assolutamente scettici in merito alla sua autenticità.

Napoleone rientrava in quest'ultimi, per lui era assolutamente impensabile che l'ex regina di Francia, che non chiamava mai austriaca, potesse aver compiuto una nefandezza del genere. "È solo una falsa accusa per accaparrarsi il consenso popolare e dipingere Maria Antonietta come il mostro che non è, a cosa porta l'odio nei confronti di una persona..." In quell'istante ripensò ai suoi ex compatrioti, pure in essi l'odio li rese ciechi e violenti, guidati dalla crudele mente che li istigava, che alimentava le loro frustrazioni e le faceva riversare indistintamente su tutto e tutti. "Non le resterà molto tempo da vivere, se possiamo chiamare vita quella che sta vivendo in carcere".

Era sempre molto cauto nell'esprimere apertamente le proprie opinioni, si controllava perfino nelle espressioni, nessuno doveva dubitare della sua lealtà rivoluzionaria, nonostante non credesse nei suoi principi, vuoti, privi di vero valore. In una tale situazione non poteva permettersi più alcun errore: circondato com'era da uomini realmente credenti nella Rivoluzione e avendo ricevuto un incarico prestigioso che lo avrebbe reso immortale. "Per il bene mio e della mia famiglia" s'incoraggiò, scacciando l'angoscia e la paura.

- Datemi una mano per Dio, non vi ho fatto aiutante di campo per riposarvi! - strillò Buonaparte, per un pelo i fogli non caddero sopra di lui, soffocò un'imprecazione blasfema. Junot, immerso nei suoi ragionamenti, piuttosto compiaciuto di un suo pensiero, sussultò e scusandosi goffamente, lo aiutò a porre quelle scartoffie sul traballante tavolo.

- Caspita, ci aspetterà molto lavoro! - esclamò sorpreso l'aiutante quando scorse la lunga lista di nomi e di numeri presenti sui fogli. Ebbe paura di prendere una sola di quelle carte, si sentì affaticato alla vista di ciò che aspettava loro "Forse era meglio se rifiutavo, ed io che pensavo di passare all'azione" poi guardò il maggiore Buonaparte all'opera, seduto letteralmente sulla scrivania, un piede poggiato a terra e l'altro penzoloni. Aveva affiancato alla cartina l'elenco degli uomini disponibili, infine sfilò un altro piccolo blocchetto su cui vi era l'ubicazione e la cifra precisa dei cannoni.

Il sergente rimase stupefatto dalla sua volontà e dalla sua energia, senza fiatare o lamentarsi si stava muovendo per applicare il suo piano, ora che aveva più libertà di agire rispetto a prima. Del sudore bagnò la fronte e le tempie del ragazzo - Junot - esordì Napoleone dopo un lungo silenzio, gli porse un foglio con un nome cerchiato - Andate immediatamente da quest'uomo, sicuramente si troverà nei paraggi di Tolone con un convoglio di polvere da sparo, è un mio amico, una volta che sarà qui, vi detterò altre indicazioni

Junot afferrò il foglio e balzò in piedi - Agli ordini comandante - gridò mettendosi in posizione e ubbidì, raggiungendo l'uomo desiderato da Buonaparte a cavallo.

- Mi sarà più utile che vederlo sbuffare - sorrise sornione Napoleone - In fondo non voleva che un po' d'azione... - confessò affondando nuovamente nelle impegnative carte.




 

 

   
 
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