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Autore: Lacus Clyne    23/08/2020    3 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Buon pomeriggio! Seconda parte del settimo capitolo! Buona lettura!!


 

 

 



Il mattino seguente, fui svegliata da un invitante e fin troppo ben conosciuto profumo: pancakes e cioccolata calda con un pizzico di cannella. Presi un profondo respiro. Ebbi per un attimo l’impressione di essere in un sogno in cui tutto era perfetto. Avrei visto Trevor con il vassoio in mano sorridere come solo lui sapeva fare e insieme avremmo fatto una buonissima colazione. E tutto il resto del mondo sarebbe rimasto fuori. Ma quando riaprii gli occhi alla realtà, fui sopraffatta dall’amara consapevolezza che così non sarebbe stato. Mi tirai su. Ero ancora vestita, ma i miei premurosi genitori mi avevano coperto con un plaid caldo. Stropicciai gli occhi, guardando la mia camera illuminata dal tiepido sole marzolino, in un pacifico e inusuale silenzio. A occhio e croce doveva essere mattino inoltrato. Guardai la sveglia sul mio comodino per conferma e così fu: erano circa le 9:40. L’idea di rimanere a crogiolarmi nel mio letto era certamente allettante, considerando che avevo bisogno di riposare dopo tutto il trambusto emotivo e fisico di quei giorni, ma il profumo che arrivava dalla cucina, al piano inferiore, era troppo invitante. Accarezzai la testolina di Oz e mi alzai. Guardando la mia faccia slavata riflessa nello specchio, fatta di trucco sbavato, occhi incrostati e capelli da squilibrata, mi ritrovai a ricordare le parole del detective Wheeler, che mi aveva detto di prendermi un po’ cura di me. Per quanto mi costasse ammetterlo, aveva decisamente ragione. Sospirai e optai per una doccia veloce e per mettere addosso qualcosa di comodo. Il profumo del bucato pulito era rassicurante. Almeno certe cose non cambiavano. Quando mi guardai di nuovo allo specchio, almeno sembravo più presentabile. Per di più, avevo l’impressione di avere qualche anno in meno, sebbene la mia anima fosse invecchiata di tanto, dopo la morte di Trevor. Che casino che era la vita…

Scesi in cucina, trovando mia madre ai fornelli. Christina Hastings, nata McKinnon, aveva le mani in pasta. Nel vedermi, i suoi occhi, stesso taglio e stesso colore dei miei, si illuminarono, ma non mi sfuggirono né il luccichio né le occhiaie malcelate dal correttore.

– Tesoro, ben alzata! Ti ho preparato la colazione! – esclamò, affrettandosi a pulire le mani.

Mi sentii un po’ in colpa per aver risposto così male la sera precedente, così la abbracciai forte. Il suo profumo, profumo di mamma, era buonissimo.

– Katie… –

– Ti voglio bene, mamma… grazie… – sussurrai, affondando la guancia nei suoi morbidissimi capelli castano scuro intrecciati in uno chignon.

La sentii singhiozzare. Ma non volevo più vederla piangere. E in fin dei conti, nemmeno io volevo cominciare la giornata con delle lacrime. E poi, ero certa che Trevor non avrebbe voluto vedermi crogiolare nel dolore. Le detti un bacio sulla guancia e le sorrisi, poi mi sporsi a prendere il piatto con i pancakes e la tazza di cioccolata calda alla cannella, densa e profumata.

– Aspetta, Kate, riscaldo un po’… – disse, nello stesso istante in cui i miei denti affondavano trionfanti nel morbidissimo pancake. Lì sì che mi vennero i lacrimoni. Era una vita che non mangiavo quelle squisitezze.

– Mhh… troppo tardi! Sono buonissimi! – esclamai, bevendo un sorso di cioccolata e sedendomi sullo sgabello di contorno all’isola. La mamma si affrettò a ritrovare un’espressione più tranquilla, poi tornò al suo lavoro, ma senza distogliere lo sguardo dalla figlia impegnata a trangugiare la colazione.

– Te ne farò quanti ne vorrai, Kate… anche se mi chiedo com’è possibile che tu non abbia ancora imparato a non bruciarli… – mi punzecchiò.

– Colpa del lavoro. A volte non ho nemmeno tempo di respirare. – spiegai, ottenendo in risposta gli occhi corrucciati che gridavano allarme per il mio stato fisico.

– Ok, è anche colpa della mia poca voglia. Ma papà? –

– È uscito di buon’ora, ma non dovrebbe tardare. Aveva comprato alcuni attrezzi per il bricolage da Harris’ un paio di giorni fa, ma si è accorto che il trapano era difettoso. Puoi immaginare… –

Oh, sì che immaginavo. Mio padre sul piede di guerra. Tipico di lui quando qualcosa che avesse a che fare col suo hobby preferito non andava. Per fortuna il signor Harris era un suo vecchio amico. Finii di sorseggiare la cioccolata e posai la tazza sull’isola di marmo. Intanto, mia madre fece sfoggio di teglie.

– Che stai cucinando, mamma? –

– La figlia di Nancy ha partorito da poco e ho pensato di portarle qualche dolcetto per buon augurio. –

– La figlia di Nancy… Mary? La mia compagna di classe delle elementari? –

– No, la sorella maggiore, Jane. Non te la ricordi? –

Feci mente locale, considerando che avevo praticamente perso i contatti con la maggior parte dei miei vecchi compagni di scuola, ma poi ricordai una ragazzina smilza con le lentiggini, di qualche anno più grande di me, che spesso faceva compagnia alla sorella.

– Wow, brava Jane. –

Mia madre sorrise. – Perché non vieni con me? –

– Preferisco di no. Onestamente, per quanto sia contenta per lei, non sono dell’umore giusto per vedere gente. Asciugo i capelli e, dato che sono qui, vedo di trovar qualcosa da fare. A proposito, dov’è il mio trolley? –

– Katie, però… credo ti farebbe bene uscire. Insomma, non puoi certo rimanere confinata a casa… –

Inarcai il sopracciglio. Conoscevo bene quel tono preoccupato. – Mamma… sono a casa e solo Lucy, Jace e il detective Graham sanno che sono qui… sono al sicuro o non avreste insistito per portarmi qui. –

Mia madre sospirò, in pena. – Katherine, ti prego… –

– No. Mamma, ascolta… io capisco la tua preoccupazione, davvero… ma devi cominciare a fidarti un po’ di più di me… per favore. –

Rimanemmo a guardarci per un po’, ma poi la mia risolutezza ebbe la meglio.

Così, dopo che ebbe acconsentito a malincuore a lasciarmi da sola a casa, mia madre tornò alle sue mansioni, mentre io, dopo aver sistemato le mie cose, mi misi all’opera. Se volevo stanare il Mago, dovevo cercare di analizzare oggettivamente la situazione. Sentivo che non sarebbe stato semplice, sia perché non potevo lasciare che la mia vicinanza al caso offuscasse il mio giudizio, ma anche perché mettermi nei panni del Mago avrebbe significato guardare in quell’abisso d’oscurità che tanto mi spaventava. Eppure, sapevo di doverlo a Trevor.

Avevo accesso al database interno del Dipartimento, tanto che mi bastò digitare le mie credenziali per accedervi. Nel tempo, diversi casi catalogati per faldoni, erano stati digitalizzati e questo mi rese più facile il lavoro. Se Graham voleva tenermi fuori dalle indagini, non aveva capito nulla. Cominciai dal primo fascicolo in mio possesso, quello della morte di Lily. Provai un tuffo al cuore, dato che fino a quel momento non avevo avuto il coraggio di visionarlo e sperai che il fatto che fosse digitale mi fosse d’aiuto per affrontarlo in modo più distaccato.

Presi un respiro e cliccai sul file.

L’intestazione recava la seguente dicitura:

 

Caso I360617 – INFANTICIDIO di LILY GRAHAM, anni 3.

22/05/2013

 

Ricacciai indietro il groppo in gola. Per qualche macabra coincidenza, Lily era morta proprio il giorno dopo il mio diciannovesimo compleanno. Mi imposi di rimanere forte e di non lasciarmi andare al condizionamento e andai avanti.

 

Padre: ALEXANDER GRAHAM Madre: ELIZABETH DEKKER

 

Mi doleva il cuore al pensiero di ciò che avevano dovuto affrontare entrambi. Continuai a leggere tutto attentamente, facendo attenzione ai dettagli, ma non riuscii a trovare il coraggio di aprire il file con le foto. Fu già abbastanza truce leggere il report dell’autopsia, stilato con evidente grafia nervosa da Selina. In alcuni punti, si vedevano vecchie macchie circolari che avevano reso l’inchiostro sbavato. Quanto aveva pianto nel redigere quelle righe? Le circostanze erano le stesse del caso di Daisy Ross. Nelle strazianti dichiarazioni di Elizabeth, lessi che Lily era stata rapita tre giorni prima della sua morte. Era scomparsa nella folla, in un centro commerciale in cui si stava tenendo un evento per bambini. Le frasi di Elizabeth non celavano in alcun modo la sua disperazione. Si sentiva colpevole e responsabile per non essere stata in grado di vigilare sulla sua bambina. La manina di Lily era scivolata via da quella della sua mamma, per sempre, e lei non aveva potuto far altro se non reagire nel solo modo possibile, in quei casi: addossarsi la responsabilità di quanto accaduto.

 

Se solo io fossi stata più attenta, lei ora sarebbe ancora qui… è colpa mia. È soltanto colpa mia!

 

Ma di chi è la colpa in quei momenti? Di una madre che innumerevoli e inconsapevoli volte, magari, ha fatto e rifatto quella strada mano nella mano con la sua bambina? Eppure, in quel frangente, l’inconsapevolezza dell’abitudine è stata la fonte di distrazione maggiore. Elizabeth aveva colpa, sì, ma non della morte di sua figlia. La colpa era del mostro che aveva approfittato di quella debolezza per portargliela via.

Ciò che mi sconvolse ancora, tuttavia, fu che un primo sospetto, da parte di Elizabeth, era stato proprio per il marito. Entrambi avevano dichiarato di star passando un momento complicato dal punto di vista della loro relazione. Ero convinta che il loro matrimonio fosse finito a causa della morte di Lily, ma evidentemente, sbagliavo.

Elizabeth, all’inizio, aveva creduto che Graham le avesse voluto portare via Lily e questo aveva portato a una sua prima estromissione dall’indagine. Come se già l’essere il padre della vittima non fosse sufficiente. Tuttavia, conoscendolo, non avevo avuto alcun dubbio sulla sua totale estraneità ai fatti. Leggere le sue dichiarazioni fu una dura prova. Sapevo che la sofferenza lo accompagnava da sempre, ma in quelle parole c’era quella disperazione che avevo soltanto potuto immaginare.

 

Ero fuori per un’operazione non autorizzata. Stavo verificando una pista sullo spacciatore dei vicoli. Merda. Dovevo rimanere con Lily. Lo sapevo… me l’aveva chiesto. Voleva stare con me e io… io non l’ho fatto. Per questo motivo devo trovarla. E devo trovare chi me l’ha portata via! Lily è la persona più importante della mia vita… è tutto ciò che di prezioso mi è rimasto… e io devo trovarla… devo riportarla a casa… la mia bambina… lei ha bisogno di me… io… io ho bisogno di lei… La mia Lily…

 

 

Distolsi lo sguardo dal pc, rendendomi conto di non riuscire ad andare oltre. Perché? Perché diavolo proprio Lily? Perché quel dannato mostro aveva scelto lei? Perché? Perché voleva che soffrissero così?

Mi affrettai a tornare in me, prendendo lo smartphone. Istintivamente, cercai Graham, ma il suo ultimo accesso risaliva alle 5:08 di quella mattina. Tornai a guardare lo schermo che restituiva, parola per parola, pagine e pagine di un caso che aveva dato vita alla leggenda del Mago. Un caso zero, da cui tutto aveva avuto inizio. Continuavo a domandarmi che cosa potesse esserci in Lily di così significativo da indurre qualcuno a rapirla e a ucciderla. Mancava un passaggio fondamentale. In quel genere di casi, in linea di massima, il rapitore potrebbe essere animato da perversioni sessuali, tanto più che le sue vittime spesso subiscono violenza. Eppure, né Lily né Daisy avevano subito nulla del genere. Tuttavia, erano state uccise senza pietà, come se avesse voluto riversare su di loro le sue frustrazioni. Che fosse impotente e che questo gli impedisse di andare oltre? Aveva forse scelto delle bambine perché le riteneva cavie? Oppure, c’era altro? Le teneva con sé per tre giorni circa, durante i quali erano stordite, ma tenute in uno stato di quiete. Mi ricordai di Julie Dawson, che tuttavia, non riusciva a rammentare nulla di ciò che le era accaduto. Quella bambina, così piccola, era la sola ad essergli sfuggita, proprio grazie all’intervento del detective Graham… mi chiesi se almeno quel successo avesse potuto restituirgli almeno un pochino di serenità, per quanto possibile.

Poi, mi ricordai il mio obiettivo. Dovevo rimanere concentrata. Trascorsi buona parte del mio tempo a leggere quel fascicolo, cercando dei nessi utili che potessero aiutarmi a elaborare un primo modello, fino a quando non sentii squillare lo smartphone. Lucy, in videochiamata.

Sospirai e risposi.

– Lucy… –

– Kate! Come stai? –

Appoggiai la guancia sul palmo della mano. – Sto. Lì? Hai visto Jace? –

Lucy annuì. – Ha trascorso la notte qui. Dopo quello che è accaduto, non se la sente di lasciarmi sola. E questo è adorabile, in un certo senso, ma nell’altro, mi rende inquieta. La sua paura a volte diventa anche la mia… e non mi piace sentirmi così. –

Abbozzai un sorriso. In fin dei conti, la capivo. – Vuol dire che tiene a te… e che anche tu tieni a lui… tanto più che provate emozioni simili ormai… ma sta’ tranquilla, vedrai che non accadrà nulla… non eravate voi l’obiettivo dell’assassino di Trevor… –

Mi guardai dal riferirle del Mago, anche per non spaventarla oltre. Lucy adottò la mia stessa posa.

– Anche Jace pensa lo stesso… ma sentirlo da te un po’ mi rincuora… eppure, nonostante tutto, continuo a pensare che quello che è successo sia irreale… –

Abbassai lo sguardo, sentendo una fitta al cuore. – Invece non lo è, purtroppo… –

– Vorrei così tanto che potessimo tornare indietro, Kate… –

– Non dirlo a me… – mormorai. – Ma non si può… –

– Kate? –

Rialzai lo sguardo, incontrando il suo nello schermo.

– Ti voglio bene. –

Quelle parole mi strapparono un sorriso. – Anch’io, Lucy. Anch’io. –

– Mi manchi già. Promettimi che tornerai presto. –

– Sono confinata qui, lo sai, ma passati questi giorni, sarò a casa. –

Stavolta toccò a Lucy sorridere, poi alzò lo sguardo al cielo. – Il detective Graham… ce l’hai ancora con lui? –

Avercela con lui… oh, certo che ce l’avevo con lui. Non si era nemmeno degnato di farmi una telefonata o di mandarmi un messaggio.

Lucy tornò a guardarmi. – Credo che lui sia molto preoccupato per te, sai? –

– Non lo metto in dubbio, ma ha davvero degli strani modi per esprimere la sua preoccupazione. –

– Ognuno reagisce come può, dopotutto, no? –

Aggrottai le sopracciglia. – Sai qualcosa che non so, Lucy? –

Si affrettò a far cenno di no agitando le mani. – Però stamattina è stato qui. Mi ha chiesto di poter controllare casa e cos---

– Cosa? Ha ispezionato casa nostra? E tu gli hai dato il permesso di frugare tra le mie cose?! Che stronzo! Quindi era per questo che gli servivo fuori dai pie---

– Kate, no! Ascoltami! – esclamò, interrompendo la mia protesta. – Non ha frugato tra le tue cose. Voleva controllare che casa nostra fosse sicura. Ha detto che non permetterà che l’assassino di Trevor ti faccia qualcosa. –

Sgranai gli occhi e mi ritrovai a rispondere d’impulso. – Casa di Trevor era abbastanza sicura, eppure lui è morto lo stesso! Alexander non può proteggermi da tutto, non può! –

Lucy mi rivolse un’occhiata sconvolta. – A-Alexander? –

Portai la mano sul cuore che batteva all’impazzata. Stavo tremando. – I-Il detective… Graham… –

La mia migliore amica addolcì lo sguardo, ma vi ritrovai anche un silenzioso senso di compatimento. Io sfiorai l’anulare sinistro, su cui ci sarebbe potuto essere un anello di fidanzamento che ora riposava assieme a Trevor. Mi sentivo così in colpa e forse, dopotutto, avevo davvero bisogno di qualche giorno di stacco.

– Andrà tutto bene, Kate, vedrai… –

Annuii, sebbene fossi io stessa la prima a non crederci.

 

***

 

Quei giorni a casa trascorsero lentamente, sebbene fossi costantemente aggiornata su ciò che stava accadendo a Boston e sentissi spesso i miei colleghi, con l’eccezione del detective Graham.

Intorno alla fine della prima settimana, oltretutto, appresi da Jace in anteprima e poi dalla tv della cattura di un membro del consiglio d'amministrazione della First Republic Bank e del primario di chirurgia plastica del MassGeneral di Boston, entrambi legati a Richard Kenner con agganci nella malavita e, nell'ambito di un'indagine interna alla Polizia, del vicecapo del IV Dipartimento, con essi colluso. Il dottor Howell, intervistato sul caso, aveva dichiarato che sotto la sua giurisdizione non c'era posto per degli agenti corrotti. Attorno a lui, gli ispettori capo, tra cui un granitico Graham, furono presenti a testimoniarne l'intenzione. Alla domanda di un giornalista su quello che era balzato agli onori della cronaca come lo scandalo del Four Seasons, invece, il gran capo rispose soltanto che il colpevole era in attesa di giudizio e che la giustizia avrebbe fatto il suo corso. Mi venne il sospetto, allora, che Graham avesse voluto allontanarmi per portare a termine quell'indagine e forse, in quel modo, proteggermi, dal momento che era impegnato su un altro fronte. Forse, mi ritrovai a pensare, ero stata davvero troppo superficiale nel giudicarne le intenzioni.

Alla fine, arrivò il momento in cui potei finalmente far rientro in città. Dovevo ammetterlo, in fin dei conti, quei giorni mi erano serviti per calmare l’inquietudine che mi scavava dentro. Il dolore no, quello c’era e ci sarebbe sempre stato, ma almeno era lì a ricordarmi che quello che era accaduto a Trevor era reale e che avrei dovuto continuare a cercare la verità. Anche il rapporto con i miei genitori era migliorato, sebbene l’idea che tornassi a vivere nella mia vecchia casa con Lucy fosse difficile da accettare. Però, alla fine, avevano ceduto.

Nel frattempo, poi, avevo continuato a indagare per mio conto, cominciando a mettere insieme qualche tassello. Avevo notato un certo pattern. Il Mago aveva scelto tre bambine della stessa età, segno che doveva essere accaduto qualcosa, nel suo passato, legato a quel momento. In più, sembrava avere predilezione per bambine che portavano i capelli lunghi e scuri. Sia Lily, che Daisy, che anche Julie, avevano dei lunghi codini. E tutte e tre erano scomparse durante momenti di aggregazione. Questo elemento mi aveva fatto pensare che potesse essere una persona comune, magari insignificante, a dispetto della fama. Uno di quegli insospettabili che normalmente, magari non viene nemmeno degnato di uno sguardo. Eppure, lui guardava. Osservava, studiava e portava con sé. E poi, c’erano i particolari che io stessa conoscevo. La sua voce roca con un forte accento straniero e la vistosa protrusione sul polso sinistro. Inoltre, gli avevamo messo i bastoni tra le ruote, salvando Julie Dawson e forse, questo l’aveva spinto a cercarci. A cercare me. E ad uccidere Trevor per darmi una lezione.

Ma ciò che il Mago non sapeva era che sarebbe stato lui a pagare, alla fine.

Ci pensai per tutto il tempo, sino a quando scesi dall’autobus che mi aveva riportato a Boston. Avevo avvisato Lucy del mio rientro, ma lì, trovai ad attendermi Alexis, con mio sommo stupore.

– Bentornata, Kate. Fatto buon viaggio? – domandò, aiutandomi a tirar giù il trolley.

– Abbastanza. Come mai sei qui? –

– Abbiamo un caso e Graham ha bisogno di te. Te la senti? –

Un caso. Un altro caso. D’altronde, non potevo certo aspettarmi che rimanessimo fermi sul caso di Trevor a vita. Annuii e salimmo in macchina.

– Di cosa si tratta? – domandai, mentre si immetteva nel traffico.

– Te ne parlerà il capo non appena saremo in Dipartimento. A quanto ho capito, ci sono su da un po’, ma solo in questi giorni una pista attendibile è venuta fuori. –

– Capisco… – risposi, senza avere idea di cosa stesse accadendo.

– E tu come stai? – mi chiese.

– Pronta a ricominciare. Immagino che il lavoro mi terrà la mente occupata e così eviterò di deprimermi. –

– Sarebbe un problema se fosse il contrario. Ad ogni modo, se ti servissero lezioni di autodifesa oppure dovessi avere bisogno di scaricare un po’di tensione, sappi che sono disponibile quando vuoi. –

– Anche tu campionessa d’arti marziali come il detective Wheeler? –

Alexis ridacchiò sotto ai baffi.

– No, niente del genere. Ma so centrare il bersaglio con una precisione del 97,5%. –

La guardai incredula. – Davvero? –

– Già. Per via di quel che è accaduto a mio padre, ho sempre avuto solo un obiettivo in mente: arruolarmi e stanare i terroristi che me l’avevano portato via. Per questo, una volta conclusi gli studi, sono diventata un cecchino professionista. Purtroppo, però, mia madre si è ammalata e ho dovuto accantonare l’idea di recarmi in missione, così mi sono accontentata di entrare in Polizia. Col senno di poi, credo che la mia abilità sia utile anche qui, ma continuo ad attendere il momento in cui sarà fatta giustizia. –

– E riesci a convivere con questo pensiero? –

Alexis effettuò qualche sorpasso rapido e accelerò in direzione del Dipartimento.

– Ho imparato. –

Mi voltai verso il finestrino, guardando la vita frenetica di Boston scorrere davanti ai miei occhi. Già. Si impara.

Quando arrivammo, fui accolta dai miei colleghi che mi strinsero in un abbraccio. Jace, in particolare, non vedeva l’ora di farmi vedere qualcosa. Rimasi sconvolta e fui sopraffatta da un moto di commozione quando mi mostrò il software di riconoscimento avanzato su cui Trevor stava lavorando.

– Ho chiesto il permesso alla famiglia di Trevor e… scusami se non te ne ho parlato prima, Katie… è solo che volevo sincerarmi di riuscire a farcela. La programmazione è straordinaria e ho pensato che con le mie abilità, posso portare a termine il suo lavoro e utilizzarlo per dare finalmente un volto al suo a--

Impedii a Jace di andare avanti e lo abbracciai forte.

– Grazie… grazie, Jace! Questo significa davvero tanto per me… e sono certa che anche Trevor sarebbe d’accordo… –

Le sue braccia mi cinsero affettuosamente. Le sue parole erano davvero un toccasana. Pochi istanti e si affacciò anche Selina, sempre affascinante, stavolta in uno chignon simile a quello che portava spesso Alexis.

– Kate, bentornata! –

Il suo sorriso era dolce e nel suo abbraccio ritrovai un familiare profumo di Chanel #5. Ormai, non potevo non pensare che il Dipartimento era diventato la mia seconda casa. Mentre chiacchieravamo, tuttavia, fummo protagonisti di un déjà vu. Proprio come quando l’avevo rivisto per la seconda volta in vita mia, Alexander Graham era appoggiato alla balaustra di fronte al nostro ufficio e ci stava guardando. Incrociare i suoi occhi fu come essere catapultata nel passato, ma stavolta avevo la consapevolezza data dalla conoscenza. Aveva una leggera barba che lo rendeva ancora più maturo e indossava una camicia bianca sotto la giacca nera, ma nel complesso, era lo stesso di sempre. La stessa persona che solo due settimane prima, mi aveva detto che avrei potuto scegliere una carriera differente se solo avessi voluto. La stessa che mi aveva voluto in Dipartimento. Nel suo Dipartimento. Parte di quella squadra che sapeva d’élite, come fosse una seconda versione del Dark Circus. Solo che, stavolta, si agiva per il bene.

– Sono ufficialmente operativa, capo. – dissi.

Non mi sfuggì l’ombra del compiacimento. – Vieni con me. Tutti al lavoro. –

– Sissignore! – fu la risposta all’unisono.

Quando lo raggiunsi, chiudendo la porta alle mie spalle, mi stava aspettando.

– Alexis mi ha detto che abbiamo un nuovo caso. O meglio… un vecchio caso che potrebbe essere a una svolta. –

– È così. Si tratta della sparizione di una giovane donna. Karina Razinova, 24 anni all’epoca dei fatti, bulgara, prostituta. –

Aggrottai le sopracciglia, poi presi il fascicolo che aveva lasciato per me sulla mia scrivania.

– Cosa sappiamo? –

– A quanto pare, sei anni fa era stata affidata a una struttura di recupero che di recente ha chiuso i battenti a causa di illeciti nei pagamenti. Il problema è che un anno fa, a dispetto dell’affidamento, svanì nel nulla. Dagli interrogatori, emerse la figura di una donna disperata, ma che sembrava finalmente aver trovato un posto in cui ricominciare. Per questo, all’epoca, la sua scomparsa suscitò grande attenzione e nel tempo, tutto ciò ha contribuito a mandare in malora la struttura ospitante. –

Riscontrai le sue parole nel report, che stavo sfogliando. Era una bella ragazza dai tratti tipici dell’Est Europa: capelli di un biondo chiarissimo, occhi azzurri e pelle diafana, stando alla fotografia in nostro possesso, nonostante l’evidente stress dato dallo sfruttamento sessuale. Povera Karina, potevo solo immaginare cos’avesse potuto subire.

– Perché riapriamo il caso? Qual è la svolta? –

Il detective Graham appoggiò le mani alla scrivania dietro di lui. – Abbiamo rinvenuto il cadavere di Karina Razinova poco lontano dal luogo da cui era scomparsa, pochi giorni fa. E proprio la struttura di cui ti parlavo era legata a una certa società farmaceutica. Avevo avuto sentore durante l’indagine Kenner, ma ho potuto averne conferma solo due giorni fa dopo essere stato a Norfolk. La Cruise&Sons Pharma, ne hai mai sentito parlare? –

– Sì, sapevo che reclutava ricercatori anche nella mia università. –

Il suo sguardo si fece più affilato. Sapevo cosa stava pensando.

– Crede che usassero dei derelitti per esperimenti non approvati? –

La sua postura, dapprima più rigida, si ammorbidì. – E che a condurli fossero più o meno ingenui ricercatori speranzosi di qualcosa in più di un semplice stage. –

– Ha mai sentito parlare dell’esperimento di Milgram? –

Stavolta, sorrise. – Bentornata, Kate. –

Quelle parole… il suono del mio nome pronunciato dalla sua voce… ricambiai il sorriso, ma non potei fare a meno di provare, allo stesso tempo, un ben noto dolore al cuore che mi fece ricordare che non avrei dovuto pensare ad altro che non fosse il nostro lavoro. Posai il report sulla scrivania, fissando il mio sguardo su di esso.

– E riguardo al caso di Trevor? Che novità ci sono? –

Non osai guardarlo nuovamente, ma potei percepire chiaramente la sua tensione, mentre si voltava verso la sua postazione. Solo allora guardai la sua figura stagliata, avvolta nella giacca nera.

– Ancora nessuna, purtroppo. –

Mi morsi le labbra, pensando che avrei dovuto parlargli delle mie indagini private, ma non era certo quello il momento. Avremmo dovuto attendere… e io avrei dovuto aver fiducia nell’operato dei miei colleghi. Dopotutto, sapevamo già che il Mago era il peggior opponente che ci fossimo mai trovati a fronteggiare.

– Detective Graham. –

Si voltò lui, stavolta e rimanemmo a guardarci per un’interminabile serie di secondi.

– Grazie… per avermi voluto proteggere. –

I suoi occhi si aprirono come se avesse ricevuto un’inaspettata dichiarazione, poi annuì appena.

– Avrei voluto fare molto di più. Mi dispiace. –

Ripensai alle dichiarazioni scritte nel fascicolo di Lily, che mi dettero conferma di quanto il non riuscire a proteggere le persone a lui care fosse per lui fonte di grande tormento. Sospirai e mi alzai. Non era il momento né per essere tristi, né per lasciarsi andare ai sentimentalismi. Che mi piacesse o no, la vita andava avanti e c’era un caso che attendeva di essere risolto.

– Diamo giustizia a Karina Razinova. – dissi, trovandolo d’accordo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

****************************

Parte effettivamente un po' più breve stavolta, ma Kate finalmente sta cominciando ad affrontare un po' demoni. In tutto questo, Alexander ha passato due settimane impegnato sul fronte indagine Kenner prima e si è ritrovato alle prese con un nuovo caso nel mentre. Aggiungo giusto un link riguardante la città di Shrewsbury . Al prossimo capitolo!!

  
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