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Autore: Enchalott    24/08/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salvataggio!
 
La Karadocc aveva affrontato temeraria l’uscita dalla baia di Neirstrin, nonostante il mare in burrasca a causa del vento flagellante.
L’equipaggio aveva svolto una sorta di cerimonia inaugurale, forse per conquistare il favore degli dei, in particolare la benevolenza di Manawydan.
Dare Yoon l’aveva ritenuta un’inutile scaramanzia, ma aveva osservato la scena evitando commenti inappropriati. Aska Rei invece aveva apprezzato il rituale, mostrando di conoscerlo abbastanza bene: quando si era addestrato presso gli Iohro, il cui territorio il litorale oceanico elestoryano, aveva assistito alle tradizioni marinare al porto di Thyda.
«Molti pensano che le donne in qualità di ufficiali portino male» aveva spiegato, quando Tsambika si era tagliata una ciocca di capelli e l’aveva gettata tra i flutti «Con quell’azione lei rinuncia simbolicamente alla propria femminilità e può assumere senza contestazioni il comando formale della nave. Uno sciocco retaggio culturale.»
«Infatti. Quella porta male ovunque« aveva brontolato critico il soldato.
«Ma sa il fatto suo. Non è da tutti riuscire ad abbattere per salpare in queste condizioni avverse» aveva ribattuto il compagno, mentre la capitana ordinava ai suoi di stringere il vento «Diamine, sento che mi si sta già rovesciando lo stomaco! Tu non stai male?»
«Non molto, ho dato tutto me stesso all’andata. Sto facendo più caso al fastidio che mi arreca il polso sinistro.»
«Ancora? Non è che lo hai sforzato troppo in duello o nell’addestramento di ieri?»
«Direi di no. Sarà dovuto all’umidità.»
Aska Rei aveva alzato gli occhi al cielo, rimpiangendo il clima secco di Elestorya. Poi si era ritirato in cabina, deciso ad assumere un’altra dose di farmaco anti chinetosi per evitare di ridursi a uno straccio.
Dare Yoon invece era rimasto sul ponte a osservare la scia bianca tracciata dall’avanzare del galeone, mentre la costa del Nord era sparita nella foschia. Era felice di tornare dopo tanti mesi, ma aveva lasciato a Iomhar persone care e situazioni precarie, così non si sentiva in pace con se stesso.
Si era domandato se Dessri fosse riuscita a raggiungere Adara a Jarlath e se fossero entrambe in salute. Se Narsas avesse conseguito il proprio obiettivo ultimo: aveva stretto il sigillo dell’arciere nel palmo della destra e sfiorato la spada con l’altra mano. Come se quegli oggetti, che non abbandonava mai, fossero simboli materiali di promesse che non avrebbe mai infranto.
Da quando aveva confidato a Aska Rei la scheggia del passato che riguardava Aylike e quanto il ricordo di lei aveva scoperchiato, si era sentito più sereno, più libero. Rei aveva compreso al volo, le sue parole gli erano state d’appoggio e di conforto: gli aveva rammentato che, nonostante fosse un guerriero valente e impavido, restava pur sempre un essere umano. Dare Yoon non lo avrebbe più trascurato. Essere una fragile creatura mortale costituiva la sua forza primaria, la stessa che lo spingeva a proteggere il prossimo. Il carattere duro e temprato era il risultato di tale volontà, non un segno di aridità o una vile autodifesa: essere un punto saldo persino nella peggiore delle situazioni e in quel momento non c’era che da scegliere.
Con i pensieri finalmente in ordine, il soldato si era allontanato dal ponte intriso d’alto mare e di fragranza salmastra ed era rientrato in cabina, dove il compagno già dormiva. Il movimento altalenante dell’oceano e la dose massiccia di preparato alle erbe lo avevano fatto scivolare veloci nel sonno.
 
Un bussare vigoroso alla porta di legno destò entrambi poche ore dopo. Aska Rei balzò dalla cuccetta, subodorando un guaio imminente. Il movimento della nave gli fece quasi perdere l’equilibrio.
Uno dei pirati, piuttosto agitato, comunicò la gravità della circostanza.
«È in arrivo una tempesta da levante, capitano!» gridò per sovrastare il sibilo dell’aria, che penetrava rabbiosa attraverso il corridoio «Abbiamo bisogno d’aiuto per calmare i passeggeri e assicurare il carico! Siamo in quindici sulla Karadocc, le altre navi con questo mare non riescono ad abbordare per fornirci il supporto necessario!»
Dare Yoon si levò in piedi di scatto, allacciando la spada al fianco.
«No, signore…» obiettò il marinaio a disagio «Vi sconsiglio di portare in coperta armi tanto ingombranti, vi sarebbero d’intralcio.»
I due elestoryani si limitarono a fissare i pugnali ricurvi alle stole aderenti e seguirono il latore della richiesta.
Il galeone ballava come un indemoniato tra i marosi del Pelopi: le creste, bianche di spuma, riflettevano i bagliori aranciati di un debole tramonto. Se a prua il cielo era scuro e minaccioso, a poppa pareva si fosse spalancata la bocca dall’aldilà: le folate investivano la Karadocc e le compagne di viaggio da mascone, in un assaggio d’inferno incombente. Dalian urlava a squarciagola gli ordini di manovra per mantenere una parvenza di rotta, tenendosi distante dalle altre navi per evitare collisioni.
«Muovetevi con quelle vele! Volete che disalberiamo, razza di incapaci!?»
«Accostare di dieci gradi a mancina!» gridò Tsambika, osservando lo spostamento repentino della prua, schiaffeggiata dalle ondate sempre più violente «Se quei rifiuti di terra non si sbrigano, navigheremo con l’acqua al trincarino!»
«Voi, laggiù!» sbraitò l’uomo «Aggottate! E alla svelta!»
«Chi c’è all’agghiaccio?» strillò la capitana, facendosi scudo con la mano e spingendo all’indietro la chioma fradicia di pioggia «Quest’andatura alla cappa non serve a niente! Siamo già dentro alla tempesta, può solo peggiorare!»
«Ainier, che il cielo lo fulmini!» imprecò Dalian cercando di evitare avarie o scarrocci.
La donna si diresse al timone, saltando agile tra gli ingombri come se la gamba non le desse più noia. Il vice notò i due elestoryani, che si reggevano alle sartie e guardavano a occhi sbarrati i cumuli violacei e brulicanti di fulmini che li azzannavano da ponente.
«Abbiamo bisogno di voi, comandante!» gridò dall’alto «Assicurate con le cime qualsiasi oggetto vediate muoversi!«
«Che ne è dei passeggeri!?» ribatté Dare Yoon.
«Se non coliamo a picco, stanno meglio sotto coperta! C’è bisogno di uomini alle vele! Le raffiche sono troppo vigorose, i miei sono pochi, potrebbero lascare durante le manovre correnti. Dobbiamo ammainare subito! Se uno degli alberi dovesse spezzarsi, ci trascinerebbe a fondo in un baleno!»
I due ufficiali non se lo fecero ripetere e corsero a dare man forte all’equipaggio, pur non avendo chiara idea sul da farsi. Intendevano imparare alla svelta e non avevano il tempo di occuparsi del mal di mare. Ebbero la percezione che la Karadocc si stabilizzasse, forse perché Tsambika aveva ripreso il governo della barra, ma non ebbero modo di focalizzarsi sulla transitoria condizione della nave.
Le cime erano fradice e scivolavano dalle dita con estrema facilità, obbedendo alle pessime previsioni di Dalian; gli ombrinali sputavano fiotti d’acqua senza una direzione e la luce calante rallentava le operazioni, rendendole ostiche. Le lampade di segnalazione rimanevano accese per qualche miracolo e quelle della Violine, che lottava con l’oceano a babordo, erano appena distinguibili nel salino disperso nell’aria del crepuscolo livido.
Aska Rei ultimò di rinsaldare con le corde alcune casse, facendo un cenno d’intesa al marinaio che lo stava istruendo, poi lo seguì di corsa sotto l’albero di maestra, sui pennoni del quale stavano abbarbicati altri pirati, intenti a imbrigliare le vele in modo che non si strappassero. Le ondate furibonde riuscivano a raggiungerli fin lassù, mettendo a rischio le loro già precarie posizioni. Il capitano della Guardia evitò di pensare al fondo gorgogliante del Pelopi, che appariva e spariva tra i cavalloni montanti. Si concentrò, strizzando gli occhi per vincere il bruciore del sale e gli schiaffi violenti dell’acqua del mare.
Dare Yoon si catapultò all’albero di mezzana, dove gli uomini non erano ancora riusciti a serrare le vele sui pennoni di contromezzana a causa dei refoli disordinati del vento. Una folata più intensa stappò la tela con uno schiocco secco.
«Vela in bandiera!» gridò qualcuno, superando il rumore assordante della tempesta.
Dalian fece per correre a poppa, ma in quell’istante la Karadocc fu investita dal pieno della burrasca, che esplose come il finimondo, costringendolo a reggersi al primo appiglio di fortuna per non finire a gambe all’aria.
Le raffiche di vento spazzarono il ponte con un ululato maligno, sollevando le onde e spostando la nave dalla sua già difficoltosa rotta. Il galeone straorzò, percosso dalla furia degli elementi e la vela libera si strappò definitivamente, sibilando sinistra in uno sbattere bianco. I marinai gridarono un avvertimento, ma il movimento della nave fu troppo brusco: le trozze girarono come impazzite e il boma ruotò inaspettato, prendendo in pieno chi si trovava ai piedi del tronco di mezzana.
Dare Yoon evitò per un soffio il passaggio repentino del palo di legno, ma scivolò sull’assito viscido, spinto dall’ondata d’acqua spumeggiante che si abbatté sul ponte. Si afferrò a una delle sartie penzolanti, sperando che il movimento di ritorno lo portasse in una posizione più sicura rispetto alla paurosa inclinazione del galeone: il polso sinistro non rispose e cedette, facendogli perdere la già malsicura presa.  Fu trascinato via dal ponte in un risucchio d’acqua e in un rotolare oggetti di varia natura. Qualcosa lo colpì con violenza alla tempia, stordendolo.
 
«Uomo in mare!»
Il grido si levò in mezzo allo sconquasso generale, abbattendo gli animi già provati dell’equipaggio: in quelle condizioni, qualsiasi tentativo di salvataggio risultava una battaglia già persa.
«Maledizione!» abbaiò Tsambika, condendo l’esclamazione con altri termini ben più volgari e osservando fuoribordo per capire di chi si trattasse.  
Ebbe a malapena il tempo di scorgere il corpo sballottato dalle onde e la voce le morì in gola. Divinità immortali! Afferrò il povero Ainier per il bavero, scrollandolo come un sacco di segatura.
«Se perdi il timone o la nave scarroccia a causa della tua incompetenza, giuro che ti spello e ti regalo a Manawydan un pezzo alla volta!»
Saltò giù dalla tolda, urlando ordini come un’ossessa e afferrò una delle cime abbisciate, correndo a prua come se avesse un demone famelico ai garretti.
«Dalian! Prendi la fune e passala intorno all’albero! Chiama immediatamente aiuto!»
Il pirata si affrettò a obbedire, guardando con crescente angoscia la donna che si liberava della cerata e degli stivali, stingendosi la vita con due giri corda. La consapevolezza si fece strada in lui, precipitandolo nell’angoscia totale.
«Che vuoi fare!? Sei impazzita!?»
Tsambika non rispose: si gettò dalla murata senza esitazioni, mentre il suo vice reggeva a fatica la tensione della cima, nonostante stesse usando l’albero di mezzana come passante. Rischiò di venire trascinato quando lei raggiunse le onde ribollenti, ma qualcuno lo aiutò a tenere la presa, affiancandolo.
Aska Rei strinse la corda con tutte le forze che aveva in corpo, puntellando i piedi contro il bordo del ponte, ansimando in preda all’angoscia. Contrasse i muscoli delle braccia, opponendosi alla forza smisurata del mare, alla pioggia, al vento, ignorando gli strattoni restituiti dalla corrente impetuosa e osservando la donna che nuotava ostinata in quel pandemonio.
«Non mollate, comandante!» implorò Dalian, a metà tra la preghiera e l’ordine categorico, continuando a fissare l’oceano e a trattenere il cavo.
Qualcun’altro intervenne e la tensione si allentò. Non così la paura per quelle due vite in gioco.
 
«Dare Yoon!»
Tsambika chiamò il suo nome invano. Lui aveva perso conoscenza e presto avrebbe abbandonato il frammento di legno che lo aveva tenuto a galla per pura fortuna.   Mosse le braccia veloce, timorosa di perderlo di vista oltre le creste dei cavalloni, per recuperarlo prima che venisse trascinato troppo lontano. Non sarebbe stata l’ira del dio del Mare a spaventarla! Nuotò con energia, ostacolata dalla prepotenza dell’oceano. La corda saldata intorno alla vita le toglieva il fiato, ma la spiacevole sensazione era l’unica garanzia: Dalla Karadocc la stavano tenendo, aspettavano un suo segnale per riportarla a bordo.
Non da sola.
Si avvicinò al soldato, sputando acqua, senza più fiato. Poteva quasi toccarlo. Era a poche spanne da lui. Ancora uno sforzo, una bracciata, un respiro. Il mare si rivoltò e strappò il galleggiante improvvisato dal corpo abbandonato del giovane. Dare Yoon non reagì, privo di sensi, e iniziò ad affondare lentamente.
«Per gli dei! No!»
Provò ad afferrarlo, le sue dita artigliarono per un secondo la stoffa della sua manica. Uno strattone la trascinò all’indietro. Portò la mano alla corda che la stava tirando.
«Che diavolo combinate!?» urlò rivolta agli uomini che non avrebbero potuto comunque udirla in mezzo a quel pandemonio.
Si rese conto che non era colpa loro. La fune aveva terminato il gioco ed era completamente srotolata. Non sarebbe potuta andare più lontano di così. Ragionò febbrile in un tempo che le sembrò infinito. Davanti a lei la sagoma scura della Violine appariva alla portata. Forse. Aveva perso il senso delle distanze. Avrebbe perso di più. Snudò il pugnale e tranciò la cima con un paio di colpi ben assestati, sganciandosi da ogni sicurezza.
 
Il contraccolpo fece capitombolare a terra gli uomini che trattenevano l’altro capo.
«La corda ha ceduto!» eruppe Aska Rei, sporgendosi dalla murata per individuare la capitana tra i marosi verdastri nella luce morente del giorno.
La intravide per un istante, mentre nuotava nella direzione opposta alla Karadocc e non mostrava l’intenzione di recuperare la sua unica possibilità di salvezza. Dalian gli si accostò, osservando la medesima scena con la tristezza negli occhi.
«No. È lei che ha scelto di liberarsene.»
«Ma è una follia!»
Un marinaio sollevò l’estremità della corda, ripescata dal mare. Era tranciata di netto.
«Lo è. Non ci resta che pregare.»
 
In un luogo remoto della sua mente Dare Yoon sapeva di stare annegando. Avvertiva l’acqua che lo trascinava verso il basso e lo percuoteva, ma non riusciva a muoversi in quello stato di semi incoscienza. La vista era offuscata, non era certo di avere gli occhi aperti. I colori danzavano come macchie luminose nel suo campo visivo, mischiati e tremolanti, tra il latteo e l’azzurro. Eppure rammentava un oceano scuro e cupo, diverso dalla brillantezza di quelle tinte. Percepiva un martellio insistente alle tempie e grazie ad esso deduceva di essere ancora vivo. O forse si trattava di un’impressione e Manawydan lo stava attirando nel suo regno sottomarino con un pietoso inganno. Oppure era solo la sensazione dell’aria che abbandonava per sempre i suoi polmoni. Anossia. Riusciva a recuperare la definizione dalla memoria altalenante. Chissà se al momento della morte i ricordi sarebbero spariti? Pensieri caotici e difficili da districare nello strano silenzio da cui era circondato. Ma l’oceano avrebbe dovuto produrre il suo inconfondibile mugghio, perché non lo udiva? Allora aveva già lasciato il mondo e stava fluttuando nell’etere che lo avrebbe condotto alla dimora di Reshkigal. Così, senza aver potuto dire addio ad alcuno. Se solo la testa avesse smesso di dolergli fino a scoppiare, avrebbe provato a…
Tentò di muovere le braccia, ma il suo corpo non rispose, come fosse composto di pesante piombo. Una sensazione di oppressione bruciante al petto interferì con l’intenzione. Qualcosa sbatteva ritmicamente sul suo cuore, imitando i movimenti del mare. Non riusciva a capire di cosa si trattasse… oh, sì. Sì! Il sigillo di Narsas! Dei, non avrebbe mantenuto la promessa, se avesse ceduto!
Qualcosa nella sua interiorità si ribellò, accendendo nella confusione un barlume di lontana coscienza. Un rumore gli si insinuò nei timpani, un ronzio attutito. Non vedeva niente, solo il bianco e il celeste. Non riusciva a respirare. Non aveva più forze. Non aveva più vita da opporre. Assurdo per lui regalarla all’oceano e non alla madre terra.
Un movimento ombreggiò la sequenza di luci che lo abbacinavano. Una figura sinuosa e indefinita, che si spostava armoniosa nel liquido fluttuante.
Sharen
Impossibile. Sapeva che quelle creature esistevano solo nelle leggende e che non aiutavano mai gli uomini. In quelle storie portavano male e basta.
 
«Comandante Iker!! Comandante…!»
Il marinaio che gli si era presentato in tutta fretta scattò sull’attenti, fremendo nell’attesa del suo riscontro.
«Al momento sono occupato! Torna al tuo posto!»
«M-ma signore, il capitano Tsambika…»
A quel nome Iker gli rivolse subito la piena attenzione.
«Parla, per tutte le onde! Cos’è successo a Tsambika!?»
«Ecco…»
L’uomo additò la scena drammatica che si stava svolgendo tra i marosi infuriati, senza trovare le parole atte a descriverla.
«Dei pietosi!» esalò Iker raggelato.
Lei stava lottando per restare a galla, trasportando un peso morto che le impediva di usare entrambe le braccia. Stava tentando disperatamente di raggiungere la Violine. Non ce l’avrebbe mai fatta in quelle condizioni. Era troppo lontana, era impossibile!
«Correggere di venti gradi a sinistra!!» gridò imperioso al timoniere, precipitandosi verso l’impavesata di tribordo con la furia di un leone in caccia «Le reti a mare! Muovetevi, scansafatiche, o vi scaravento nell’oceano!»
I pirati gettarono solleciti i tramagli dopo averli agganciati alle cime, per aumentarne la lunghezza ordinaria. Il massiccio galeone virò, frapponendosi come un clipeo contro le ondate, inclinandosi nonostante la mole.
La corrente giocò a favore della donna, che vide le maglie di corda tendersi, trattenute dai marinai che la incitavano ad afferrarle. Riuscì ad aggrapparsi, attorcigliandovi un braccio e un piede affinché il Pelopi non la strappasse dall’unica possibilità di scampo. Trascinò nella rete Dare Yoon, agganciandolo all’intreccio di funi con uno sforzo immane, scorticandosi le dita nell’opporsi al movimento alterno dell’acqua e nel trattenerlo. L’elestoryano non mostrò cenno di coscienza.
«Non osate morire!« ruggì tra i denti, mentre la trainavano a forza di braccia verso la Violine «Non osate!»
Si sentì issare a bordo, il corpo di lui divenne gravoso quando la tirarono fuori dal mare spumeggiante. Incrementò la presa, incurante del bruciore insopportabile alle mani, osservando l’acqua ribollente e scura allontanarsi dalle prede fuori portata. Udì finalmente le voci concitate dei pirati e quella inconfondibile del loro capitano, che impartiva gli ordini senza perdere il suo proverbiale sangue freddo.
Sei grande, Iker
Avvertì lo strattone finale prima di piombare sul ponte nell’esultanza dell’equipaggio.
«Tsambika!» sbottò il pirata in nero, bilanciando lo stato umorale tra il sollevato e l’adirato.
La donna si sollevò, ignorando con un moto di ribellione sia il fidanzato sia la coperta che qualcuno aveva cercato di posarle sulle spalle. Rivoltò Dare Yoon sulla schiena, scostandogli i capelli dal volto: era cianotico, il suo petto era immobile. Un rivolo di sangue aveva iniziato a sgorgargli dalla tempia, non più dilavata dall’acqua di mare.
«N-non respira… Non respira!!» gridò al colmo dell’angoscia.
«È morto, Tsambika» mormorò Iker con obiettività, inginocchiandosi accanto a lei «Vieni via. Non è sicuro, le onde possono trascinarci fuoribordo. Hai già messo scioccamente a repentaglio la vita.»
Lo sguardo fiammeggiante che la donna restituì gli congelò le parole in bocca.
«Taci!! Non può essere morto! Non ha il mio permesso! Questo bastardo lo devo uccidere io!»
Si puntellò sulle ginocchia, piegandosi sull’uomo inerte, appoggiandogli le mani sul diaframma e iniziò a effettuare le compressioni.
«Non provate ad andarvene, Dare Yoon!»
Gli sollevò le braccia per favorire il rigurgito dell’acqua e riprese la serie di movimenti. Una volta, due, nessun segno. Il giovane rimase disteso a terra, inanimato.
Dannazione, nessun segno!
Si abbassò sul suo volto livido, posò la bocca sulla sua e gli insufflò l’ossigeno nei polmoni. Una volta, due, tre, ancora…
Se lo sapesse, mi ucciderebbe davvero.
«Dare Yoon, per gli dei!»
Premette forte senza arrendersi, ripeté la respirazione, andò avanti finché il mormorio costernato della ciurma radunata non fu interrotto da un’arronzata furibonda di Iker, che rispedì tutti ai posti con imprecazioni di varia natura. Non era da lui usare quel linguaggio triviale, ma ciò che stava guardando con rassegnata consapevolezza lo feriva nel profondo.
«Tsambika…» ripeté con una nota di collera nella voce.
Lei compresse forte nell’ultimo disperato, tentativo di rianimare il soldato, fradicia sotto il diluvio e nell’anima.
Dare Yoon sussultò in un rantolo, boccheggiando in cerca d’aria. La piratessa lo girò su un fianco per fargli sputare l’acqua che aveva in corpo. Il mare uscì da lui in violenti conati, che lo scossero in tutto il corpo. Tossì ripetutamente, inalando con avidità l’ossigeno, piegato in due sull’assito lucido del galeone pirata. Rantolò e rigurgitò ancora. Respirò. Finalmente respirò.
Percepì che qualcuno lo sosteneva, ma non riuscì a mettere a fuoco nulla di coerente. Avvertì il calore del sangue che gli colava lungo la guancia. Allora era vivo. C’era una presenza premurosa, indistinguibile lì accanto.
«S-sharen…» balbettò disorientato.
 
«Che cos’ha detto?» domandò Iker al guaritore di bordo, che aveva mandato a chiamare non certo per buon cuore.
«Sharen» ribatté questi, incrociando le braccia «Sirena nel dialetto di Elestorya.»
 
La visuale si schiarì. Sopra di lui il cielo era nero come la pece e l’acqua torrenziale gli si riversava addosso dall’alto con l’aspetto di mille aghi sottili, sebbene con minore ferocia di prima. Era steso a terra, zuppo fino al midollo, il vento gelido gli increspava l’epidermide in brividi incontrollabili. Ansava per il bruciore opprimente al petto, ma la concretezza del luogo in cui era riverso iniziò a farsi strada tra i sensi indeboliti.
«Sharen…» ansimò ancora, confuso.
«Accidenti a voi!» brontolò una voce familiare e sollecita.
Spostò lo sguardo a fatica. Tsambika si era sciolta la fascia ciclamino dai capelli fradici, che le si erano incollati al viso e al collo e la stava premendo sulla sua fronte. La sua camicia bianca, intrisa d’acqua, era diventata trasparente e sotto la stoffa appiccicata alla pelle nivea si intravedeva il seno, che si sollevava e si abbassava con più velocità rispetto alla norma. Il soldato distolse lo sguardo, sollevandolo sul suo volto teso. Le sue labbra rosate, prive di colore artificiale, tremavano. Cercò di sottrarsi al contatto, ma appena fece atto di sollevarsi la testa prese a girargli come una trottola. Gemette, ripiombando all’indietro sul legno.
«Fermo, Dare Yoon. Avete assaggiato l’oceano, in cambio esso vi ha privato delle forze.»
«Dove…?»
«Ssh, non parlate. Siamo sulla Violine. Siete fortunato, hanno un guaritore.»
Le iridi blu scuro dell’uomo scintillarono mentre cercava di ricomporre una sequenza di fatti non difficile da ricostruire. Era precipitato tra le onde, se lo ricordava benissimo. Poi il buio totale. Se né lui né Tsambika erano sulla Karadocc
«Voi…?»
«Portatelo via da qui» ordinò lei perentoria «Subito!»
«Perché?» ricominciò lui, mentre gli uomini della Violine facevano amaca con un telo e lo sollevavano da terra.
Anche la donna rabbrividiva, nonostante il mantello che aveva sulle spalle. Non gli rispose, facendosi indietro e lasciando spazio al guaritore.
«Perché?» ripeté Dare Yoon, mentre Iker schiodava a forza la fidanzata, invitandola a ripararsi e a non chiedere in dono agli dei anche una polmonite.
«Perché la vita» gli disse Tsambika usando le sue stesse parole «Va rispettata.»
   
 
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