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Autore: Moonfire2394    26/08/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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CAPITOLO 36 - La quiete prima della tempesta

Per un momento fu solo un turbine di polvere e detriti. Il calore cocente del sole le pioveva addosso perforandole la pelle fino a farla scottare, come se il freddo invernale si fosse rintanato altrove, in un altro pianeta, un’altra stagione. Macchie scure danzarono sulla visuale annebbiata di Leona che continuava a strizzare gli occhi feriti dalla luce pomeridiana e voleva solo giacere immobile a terra, dove nulla faceva male, soltanto un altro po’. Il canto di un rapace sberciò in un punto lontano sopra la sua testa, non sapeva esattamente dove.
Terra, guizzarono i suoi pensieri impastati, la sua terra, si ripeté affondandovici le unghie per reclamarne il possesso. La terra era calda, asciutta, accogliente sebbene sofferente a causa della siccità, assetata come un beduino perso fra le sabbie del deserto alla ricerca della promessa di un’oasi ristoratrice. Leona riusciva a capirla. Le ciglia sventagliarono un paio di volte per scrollarsi di dosso le pagliuzze polverose permettendo ai suoi occhi di vedere in mezzo a quella tempesta argillosa che le vorticava attorno. Quando fu pronta a rialzarsi, una scossa dolorosa le scalò il braccio depositandosi sulla spalla e il torace riprese a graffiarla dall’interno, il mana disperso fra le cellule del suo corpo, confinato in piccole isole irraggiungibili, incapace di radunarsi ancora una volta e infonderle forza. Il dolore rischiarò la foschia di intontimento che la ottenebrava e prese coscienza di ogni centimetro di pelle squarciata in tagli profondi e sanguinanti, delle sue ossa brutalmente spezzate, accartocciate, di ogni livido che le pizzicava il viso e che le pulsava come il battito di un cuore appena sotto il primo strato di epidermide. Affondò ancora più giù le dita nel terreno arido aggrappandovisi con tutto il suo essere e un picco di energia prese a fluire dentro le sue vene. Leona non voleva chiederle così tanto alla terra che gemeva straziata sotto di lei, così riarsa che nemmeno un ciuffo d’erba sarebbe cresciuto sotto le sue cure. Alla fine il suo bisogno disperato ebbe la meglio, la sua preghiera le era sfuggita silenziosa dalle labbra e lei, come sempre, era in ascolto. Era sempre stata premurosa. Leniva le sue sofferenza, la rinvigoriva, le ricuciva ogni taglio, riposizionava le ossa al proprio posto e riuniva ciò che era stato separato. L’aveva prosciugata di ogni dolore, persino il più debole e insignificante tanto da non ricordare nemmeno più com’era.
«Grazie» le sussurrò ricolma di riconoscenza. L’avrebbe ricompensata con una pioggia abbondante. Se un giorno le avessero chiesto di separarsi da uno dei quattro domini elementali, Leona sapeva che non avrebbe mai potuto rinunciare alla Terra. Cedere l’armonia del creato l’avrebbe mutilata mortalmente, l’avrebbe privata della parte più importate di lei e non voleva indugiare più del dovuto su un’eventualità simile. E poi c’era il fuoco. E be’ il fuoco…col fuoco aveva un rapporto decisamente complicato. Il contatto era ancora più immediato che con la terra se questo era possibile, ma Leona non era sicura di andarne fiera. Lo odiava…ma lo amava. Non riusciva a immaginarsi il suo mondo senza poter richiamare a sé quell’ondeggiare rovente di oro lucente e rosso cremisi sulla sua pelle. Nel giorno più brutto della sua vita aveva cercato dentro di sé quel qualcosa, quell’appiglio che le avrebbe impedito di crollare e le fiamme avevano risposto alla sua chiamata, le avevano teso prontamente la mano e l’avevano cullata fra le sue braccia caldissime e confortanti. Fondersi con le fiamme le era naturale come inalare una boccata d’ossigeno nei polmoni. Non si sottomettevano mai al suo volere, quello no, perché non aveva bisogno di imporsi su di loro. Lei era fuoco, lei era devastazione e creazione insieme e questo l’aveva sempre spaventata perché non sapeva mai quale lato della bilancia avrebbe ceduto sotto uno dei due pesi.
Un rumore pulsante, ritmico e incalzante poco lontano da lei, le voleva ricordare della sua presenza, come se andasse ghiotto delle sue attenzioni. Leona sentiva la sua eco riverberare nella sabbia profusa in raggi rossi che la baciavano delicatamente. La protettrice sollevò la testa e il ciondolo del sole occupò l’intera visuale. Il suo potere la stava chiamando, la stava supplicando di usarlo, di infondere l’energia nelle sue arterie per darle sfogo. Si sollevò sulle ginocchia tremanti e si sporse in avanti allungando un braccio verso la collana. La catena fu ghiacciò sulla sua pelle e la fece rabbrividire, ma la strinse comunque fra le dita e l’attirò a sé vicino al cuore, la pietra che le penzolava sul ventre. Con un gesto svelto e privo d’incertezza se lo infilò dalla testa facendolo scivolare sul collo e il ciondolo cominciò a brillare sotto le sue carezze. Le voleva mostrare trepidante ciò di cui era capace, voleva che ne prendesse possesso ripetendole all’infinito come un ronzio nelle orecchie di usare il suo potere, si era venduto a lei come se la sua precedente proprietaria non fosse mai esistita. Ammaliata dal suo canto, Leona voleva cedere alle lusinghe che quel potere le voleva concedere, voleva attingere dalla fonte dell’invincibilità e relegare in catene tutte le insicurezze che fino a quel giorno l’aveva massacrata, ma la litania che le sussurrava nella mente cessò non appena due braccia stritolatrici si avvolsero attorno a lei  facendola implorare per un po’ d’aria.
«Sei viva, sei viva, sei viva» piagnucolava la voce.
Leona sorrise e rispose a quell’abbraccio asfissiante cercando di non affogare fra le lacrime salate di Morgana.
«Lo sono grazie a te» ammise Leona immergendo la faccia fra i suoi capelli rossi profumati di lavanda.
«Non sai che paura che ho avuto, pensavo fosse troppo tardi e ho fatto la prima cosa che mi è passata per la testa…Oh Leona! Se non avesse funzionato, se il contratto avesse reclamato la tua vita senza che io potessi dirti che..»
«L’idea della freccia è stata geniale. Ho sentito la tua voce, quando tutto era buio». Leona strinse ancora più forte la sua amica fra le braccia. Fino a quando qualcuno non applaudì. Il suono si propagò fin giù nella vallata, perdendosi lontano dove cielo e terra si abbracciavano.
«Davvero commovente».
Gabriel la guardava con determinazione, nascondendo a malapena la sua voglia irrefrenabile di gettarle addosso una zolla di terra o affogarla sul fondo del mare. Il suo improvviso moto d’ira le fece male al petto. Allontanò Morgana da se e le asciugò silenziosamente le lacrime, la catapecchia fatiscente circondata da sterpaglia secca e macerie alle sue spalle era lì, come le aveva promesso la visione del portale, e non andava da nessuna parte almeno per il momento. Fabiano si era rimesso in piedi a fatica e la osservava con un misto di compassione e complicità. Entrambi sapevano che nulla avrebbe potuto fermare la furia incontenibile di Gabriel. Poi tornò a voltarsi verso il fratello, con l’eco della sua stessa rabbia a travolgerla.
«Gabriel io…».
«Sei guarita» considerò Gabriel accigliandosi. Leona si diede una rapida occhiata e a parte il vestito azzurro della regina fatto a brandelli, pareva completamente illesa, tremendamente sporca, ma illesa.
«Bene» esclamò senza nessuna traccia di sollievo. Poi l’aria sfrigolò con un riverbero sibilante. Il vuoto fra i due gemelli fu lacerato da una lama di vento che mancò Leona di qualche centimetro.
«Sei impazzito» lo rimproverò la gemella quando il sole cominciò a giocare a nascondino dietro enormi nuvoloni vaporosi, il calore dei suoi raggi che lasciava il posto al freddo pungente del vento e della burrasca in arrivo. Leona avvertì il ronzio dell’elettricità statica nell’aria ancora prima che il rombo spaccatimpani di un tuono rimbombasse nella valle brulla. Il temporale che minacciava di rovinargli quell’illusione di una giornata estiva. Presto il mondo attorno a loro si chiazzò di ombre.
«Sono proprio curioso. Sentiamo quale delle tue enormi cazzate hai serbo per me questa volta. E spiegami cosa diamine era quella scritta sul tuo cazzo di braccio».
«Era proprio per questo che non volevo coinvolgerti in questa storia del contratto, sapevo che saresti stato contrario».
«Be’, puoi biasimarlo?». Ci mise qualche secondo per capire che quella esclamazione risentita non era venuta fuori da Gabriel ma dal ragazzo accanto a lui. Leona lo linciò con lo sguardo ferito di chi si sente tradito. Aveva pensato che fosse dalla sua parte ma si era sbagliata: era un due contro uno.
«Sentite, non ho intenzione di chiedere scusa a nessuno di voi. So quello che faccio, dovete fidarvi di me».
Il verso scocciato di Gabriel riaccese la sua rabbia.
«L’ultima volta che mi sono fidato mi sembra che stavi sputando sangue sulla sua camicia». Gab indicò l’amico alla sua destra. «E poi da quando ti piacciono i tatuaggi?» ironizzò senza staccarle i suoi occhi blu di dosso.
Leona si passò una mano fra i capelli e si trattenne dallo strangolarlo, anche se in fondo una vocina fastidiosa continuava a ripeterle che stesse sguazzando nel torto.
«Attila non mi ha dato molta scelta, Gab. O li prendevo entrambi o non avrei avuto il suo aiuto, senza di lui non avremmo mai saputo del ciondolo della luna. E per essere sicuro che non gli giocassi un brutto tiro mi ha fatto firmare quello stramaledettissimo contratto, che il cielo mi fulmini». Ricordandosi dell’imminente acquazzone sopra di loro, si rimangiò subito quell’imprecazione. «Era un male necessario» continuò «a volte si deve cedere a piccoli compromessi per ottenere quello che si vuole».
«La tua vita ti sembra un piccolo compromesso? Ma ti senti quando parli?» sfuriò il fratello dispiegando le braccia in alto. Altri due fulmini schiarirono il grigiore del cielo burrascoso.
«Hai la minima idea di come ci siamo sentiti impotenti di fronte a quel sortilegio che sembrava risucchiarti via la vita dall’interno?» lo appoggiò Fabiano. Il viso era ancora più arrossato di prima. La febbre continuava a salire e Leona ripensò alle sue ferite. «Me lo avevi promesso Lea. Avevi giurato che non avresti più rischiato di…».
«Ma che assurdità!» s’intromise Morgana prendendo per mano la sua migliore amica per offrirsi come suo pilastro.
«Siamo protettori, per la barba di Majak, imbracciamo armi invece di giocare con le bambole, come potete pretendere di rinchiuderla in una boccia di vetro? I protettori muoiono continuamente. Una nostra compagna è morta».
Quella tremenda parola aleggiò fra loro portando con sé il dolore e l’odore del sangue. «E’ questa la nostra esistenza, votata al rischio e al sacrificio, come potete dopo tutto questo tempo non esservene resi ancora conto. Dovreste ringraziarla piuttosto, nessuno di noi avrebbe avuto il coraggio di prendere quella decisione».
«Be’ sicuramente non qualcuno con un minimo di sale in zucca» le rinfacciò Gabriel.
«Senti chi parla!» lo pizzicò Morgana «Hai una bella faccia tosta per uno che è diventato lo spuntino di un mostro marino? Leona, lascia perdere quell’idiota, non è in grado di capire quello che tu hai fatto per tutti noi».
Gabriel rise sottovoce «Certo, però quando l’idiota ti ha baciato, non mi sembra che ti sia dispiaciuto così tanto». Le ciglia di Morgana sfarfallarono veloci come quelle di un colibrì, e i suoi occhi castani s’inviperirono come mai prima di allora. Fece qualche passo verso di lui col viso così rubicondo che pareva che qualcuno le avesse gettato addosso un secchio di vernice.
«Quello è stato solo uno spiacevole incidente che non si ripeterà mai più». Scandagliò ogni parola con cura maniacale.
«Come? Non credo di aver sentito bene. Hai forse detto spiacevole? Io ricordo perfettamente come ti ho fatto urlare il mio nome mentre io…»
«Adesso basta!» urlò Leona interponendosi fra i due per impedire che Morgana gli puntasse arco e freccia contro. Ma i loro sguardi furibondi non smisero di cercarsi anche attraverso di lei. Nel frattempo Fabiano prese Morgana per un gomito trascinandola lontano da Gab.
«Io non so cosa mi sia successo» disse mentre la vergogna si faceva spazio nel suo viso tinto di rosso «Io…io».
«Vi hanno drogato» le spiegò Fabiano «Hanno corretto il vino con dell’eros liquido, una potente pozione d’amore che inibisce i freni del subconscio e confonde la mente».
Morgana si schiaffeggiò la fronte «Era nel vino…ma certo. Che stupida che sono stata!».
Fabiano scosse la testa comprensivo «Se non hai un fiuto allenato, è quasi impossibile accorgersene, di per sé il vino ha un odore coprente molto forte, per questo è la bevanda più utilizzata con cui creare un miscuglio»
Leona si accigliò «Tu allora lo sapevi…».
«Sara era una avvelenatrice esperta, per lei pochi intrugli e corrispettivi antidoti le erano segreti. Nostro padre l’aveva allenata sin da piccola a riconoscerli fra loro e lei voleva fare lo stesso con me…». La sua espressione si strinse in una smorfia di dolore, ma Leona non sapeva se gliele avessero provocate le ferite ai piedi o il ricordo di sua sorella…
«Anche dopo la sua scomparsa, non ho mollato gli allenamenti e ho continuato per anni. Era un modo per sentirla ancora vicina…».
Mentre il suo sguardo si faceva vacuo, Morgana arricciò le labbra come a trattenere un gemito sofferente, come se potesse sentire i crucci del ragazzo e gli poggiò la testa sulla spalla. Fabiano le sorrise debolmente come se quel gesto gli fosse di conforto. Leona scacciò via immediatamente quell’inopportuna fitta allo stomaco che si attorcigliava a spirale su se stesso e rilassò la postura delle spalle avvertendo che il peggio era passato. Il cielo però non era affatto d’accordo con lei e si inferociva ancora di più, pronto a dare sfogo alla nubifragio chiuso in quella gabbia di nuvole illuminate dai bagliori accecanti dei fulmini. Questo, pensò la protettrice, era esattamente un riflesso di quello che stava accadendo nella mente di Gabriel. E fu proprio quando la prima goccia le bagnò la guancia che comprese che l’origine di quell’imminente catastrofe metereologica fosse opera del medjai e delle sue forti emozioni in subbuglio. Lampi di gelosia e fulmini di rancore.
«E tu invece» la incalzò Fabiano risvegliandola dai sui pensieri «come lo hai capito?».
Leona dischiuse le labbra per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’imbarazzo la fece tentennare.
«Diciamo che purtroppo avevamo già familiarizzato in passato» ammise restia. «A Iris questi tipi di giochetti la mandano su di giri».
«E cosa ti è successo?» le domandò Morgana con la curiosità che traspariva da ogni poro.
«Io non ricordo molto». Leona sentiva le guance andare pericolosamente in fiamme. «Ethan è stato molto vago e godeva come un matto nel tacermi gli eventi di quegli attimi» stavolta la rabbia che prendeva il sopravvento.
 «Quindi tu e Ethan…» insinuò malizioso suo fratello. La ragazza non riusciva a guardare negli occhi Fabiano.
«Devo ammettere di non esserne sicura al cento per cento» lo sfidò con un’occhiataccia. Con la coda dell’occhio giurò di aver notato l’irrigidirsi di Fabiano o forse era stato soltanto frutto della sua disperata e fervida immaginazione. 
Gab schioccò la lingua in segno di dissenso «Prima Ethan, poi vai a letto col mio migliore amico» elencò con le dita ammiccando verso il diretto interessato.
Morgana non riuscì a trattenersi dallo spalancare la bocca scostandosi da Fabiano come se avesse preso la scossa.
«Non è successo nulla» smentimmo all’unisono io e Fabiano con foga.
«Ah, ah» ci ignorò proseguendo con quella conta ridicola « e per continuare Fabrizio e il povero Norman, il principe delle fate…chi altro ti è rimasto sulla lista dei cuori spezzati? ».
«Gabriel!» gli urlò.
«Che cosa c’entrano Fabrizio e Norman?» domandò sbalordita e confusa Morgana.
«Assolutamente nulla» si affrettò a zittire suo fratello.
«O be’ sì, certo, nulla. Si sono solo sfidati a duello per chi dovesse stare con lei. E’ stato davvero esilarante».  Sbirciò ancora una volta in direzione di Fabiano e il suo silenzio bruciò nell’aria per le parole non dette. La risata cupa di suo fratello la diceva sin troppo lunga. La stava volutamente mettendo in imbarazzo. Una delle sue stupide ripicche da moccioso immaturo qual era. Si credeva forse più furbo di lei? Si sarebbe pentito amaramente di averla provocata…
«Vuoi proseguire con questo gioco Gab, potresti farti male, sai fratellino?» riprese mentre un ghigno solitario si affacciava sulla sua bocca, il ciondolo del sole che si faceva sempre più caldo e pesante fra i suoi seni.
«Credo di aver omesso un piccolo particolare su quella sera. Quando ero preda del sortilegio dell’eros liquido» specificò. «E’ vero non ricordo granché, ma non penso di aver perso molto…dopo essermi accorta di avere la lingua di quel deficiente infilata dentro la bocca gli ho tirato un bel ceffone».
Morgana si accigliò «Come sarebbe a dire?  Non hai appena detto di essere stata sotto l’effetto dell’eros liquido?».
«Non più di cinque minuti, forse meno…» finì facendo spallucce. «Io sono una medjai, il mio metabolismo brucia le sostanze più in fretta di chiunque altro. L’effetto su di noi non dura così a lungo come negli altri». Leona pregò che la sua amica cogliesse prontamente quel suggerimento. Aggrottò le sopracciglia, persa in qualche strano calcolo mentale che solo lei poteva sapere.
«Cinque minuti…» si rimestò lentamente sulla lingua quelle parole. Poi il volto sembrò illuminarsi di qualcosa vicino allo stupore tramutandosi in un lampo in una ferocia bestiale.
Suo fratello deglutì, impossibilitato a smorzare quel rumore che svelava il suo terrore.
«Ma allora questo vuol dire che…» le mancò il respiro.
«Sei un porco Gabriel Massimiliano Braveheart! Come hai potuto approfittarti di me?».  
«Oh andiamo, non fare la santarellina con me! Non mentire a te stessa, lo volevamo entrambi» fece per giustificarsi Gab.
Le lacrime ripresero a scorrere calde sulle sue guance «Non è questo il punto, idiota! Ti sei servito del mio stato d’incoscienza per trasformarmi in uno dei tuoi stupidi passatempi, soltanto per aggiungere un altro pezzo alla tua interminabile collezione. Non doveva andare in questo modo, non così! Mi hai ferita Gab…hai violentato la mia volontà! » tirò su col naso.
«Morgana, non dire così, lo sai che non è vero. Tu non sei come le altre…non sei mai stata un passatempo»
«Risparmiami le tue patetiche scuse, non c’è nulla che tu possa dire per farti perdonare. Hai rovinato tutto. Come ho potuto essere così ingenua, dannazione. Credi che il tuo potere di medjai ti renda invincibile? Che possa giustificare la tua arroganza? Che possa permetterti di giocare con il cuore degli altri? Con il mio fottutissimo cuore? Non hai nemmeno idea di quante volte lo abbia immaginato…il nostro primo bacio.» Per brevissimo istante, un piccolo e timido sorriso fece breccia sul suo volto angustiato, ma si spense troppo presto, bruciato come una stella cadente che lascia una ferita luminosa nel cielo, rimpiazzato da qualcosa che nessuno dei presenti avrebbe voluto vedere. In fondo ai suoi occhi, la sua anima era stata spezzata, senza alcuna pietà. Leona si sentì ardere dall’odio per se stessa, che cosa aveva fatto?
«E be’» continuò lei con la vocina incrinata e soffocata dal pianto «L’ho avuto. E terrò questo ricordo con me per sempre. E ogni volta che ci penserò mi sentirò pervadere dalla nausea e dal disgusto, per il resto dei miei giorni. Ti odio Gabriel, io ti od…». Non riuscì mai a pronunciare per intero quella frase. Si portò una mano sulla bocca per mettere a tacere i singhiozzi e una sul petto dolorante. Nessuno disse una parola quando corse via, quando varcò i cancelli della tenuta dismessa  finché il suo vestito verde, l’unica traccia di vita in quel giardino maledetto dalla morte, non venne ingoiato da una fitta coltre di erbacce secche e alberi spogli e rugosi.
Poi si aprì una voragine sul cielo e le nuvole gli rovesciarono addosso mesi e mesi di piogge arretrate, finalmente pronto a saldare il suo debito. In un attimo furono tutti e tre zuppi d’acqua piovana, il fango che si avvallava attorno alle loro caviglie.
Gabriel tremava come in preda alle convulsioni. Ma Leona sapeva che non era per il freddo e l’umidità.
«Gab io…».
«Non ti riconosco più, Leona. Chi sei veramente?». Quella domanda gli arrivò forte e chiara nonostante il frastuono scrosciante della pioggia e i fulmini che esplodevo a intervalli regolari come fuochi d’artificio. La pelle attorno alle sue nocche era tesa e di un bianco quasi trasparente, le sue dita artigliate con forza sul palmo della sua mano.
«Fino a che punto i vampiri hanno affondato le loro putride zanne su di te? Mi chiedo davvero se mia sorella non sia rimasta a Londra con loro, un cadavere che si sta raffreddando lontano da qui. Che cosa aveva di tanto speciale questo Edward? Come ha fatto a plagiarti la mente così profondamente, come ha fatto a spingerti fino all’orlo del suicidio?».
«Edward mi ha salvato la vita, mi ha teso una mano nell’oscurità del mio passato». Le sue labbra erano inumidite dalla pioggia, ma la sua risposta fu secca e asciutta. Gabriel, grazie al cielo, non poteva capire cosa realmente Leona intendesse in quel momento.
«Ma lui non c’entra nulla con la mia scelta di suggellare il patto con Attila. Quella è stata una mia decisione. La posta in gioco era troppo alta perché io potessi rifiutarmi. E poi, finché la missione non sarà conclusa mi è stata garantita l’immunità, la banshee non mi ha vista morire nel tentativo di recupero del ciondolo».
«E che mi dici del dopo? Cosa ti fa pensare che una volta consegnato il bottino non si vogliano liberare di te?».
«Non lo faranno. Hanno un debito con nostra madre».
Il fratello prese un grosso respiro sollevando le spalle «E se mamma si fosse sbagliata?».
«Mi fido di lei Gabriel, con tutta me stessa…e tu?».
In tutta risposta torse il collo all’insù lasciando che la pioggia picchiasse violenta sul suo viso. La sua mano tremante si fece strada sulla schiena e si avvolse piano sull’elsa di Symphony, denudandola con un gesto fluido e incurante dal suo fodero. Mentre la tempesta lavava via il sangue dei suoi nemici, Leona fissò la folgore specchiarsi con una luce abbacinante sul piatto della lama. Leona si costrinse a non tremare e abbassò lo sguardo come se la vista di quell’arma fosse insostenibile. Il ricordo di quella mattina maledetta che si faceva spazio prepotentemente nella sua mente. L’avrebbe guardata con gli stessi occhi adoranti se avesse saputo che il morso gelido dell’acciaio di Symphony aveva ascoltato l’ultimo battito singhiozzante del cuore della  loro mamma? Che avesse spento per sempre la luce nei suoi splendidi occhi neri che tanto li avevano amati?
«Mamma non è qui per indicarci la via. E’ morta» disse rimirando la sua spada come se avesse riconosciuto in lei la colpevole della sua dipartita. Ma era soltanto un illusione. «Quindi no, non voglio fidarmi di chi mi ha abbandonato e gettato crudelmente in questo inferno…».
«E se anche tu hai intenzione di lasciarmi…sappi che farò qualunque cosa per impedirtelo. Non posso accettare di proseguire il mio viaggio senza te al mio fianco».
Lanciata la sua ultima minaccia, si voltò verso la villa abbandonata, custode inviolata del ciondolo blu, incespicando in mezzo alla pioggia da lui stesso creata. Si fermò con gli occhi fissi su quella dimora e la spada puntata verso il pantano fangoso.
«Ti rifarò la stessa domanda, ma sta volta voglio che tu sia sincera con me. Capirò se mentirai. Ho bisogno di sapere la verità».
Leona non voleva affatto alimentare la sua curiosità, non voleva piegarsi al suo volere. Misteriosamente si ritrovò a incitarlo con un “«Cosa?»”.
«Quando sarà giunto il momento, quando avremo il ciondolo della luna fra le mani, avrai il coraggio di avanzare la nostra richiesta? Riuscirai a chiedergli di spazzare i vampiri dalla faccia delle terra?». In principio Leona poté confondere i suoi silenzi colpevoli in mezzo agli ululati del temporale, ma poi la sua ferrea volontà svanì insieme al suo insito istinto di proteggere il suo gemello, la sua metà, da qualsiasi verità potesse ferirlo e fargli irreparabilmente del male.
Assaporando il diluvio sulla sua bocca, gli spalancò una finestra sulla sua mente, lasciandogli ancora una volta la possibilità di sbirciare al suo interno.
Proiettandosi dentro la sua anima, formulò la risposta nei suoi pensieri e concesse al medjai il tempo necessario di leggerla più volte, in modo tale che non ci sarebbe stato mai più nessun equivoco fra loro.
Leona non seppe mai quale effetto generarono le sue parole nel fratello, perché una volta incassato il colpo, la connessione fra i due si spezzò, un’interruzione netta come se l’avesse tagliata a fil di spada con la sua Symphony.
Lei non lo sapeva. Almeno però non avrebbe avuto alcun rimorso, non avrebbe potuto rimproverarsi nulla in futuro. Per una volta era stata completamente sincera con la persona che amava di più sulla terra.
**********
«Come ha fatto Edna a capire dove eravamo?» domandò Fabiano mordendo un quadratino di cioccolato offertogli da Leona, il sapore dello zucchero e del cacao che gli esplodeva nelle papille gustative.
Lei gli rispose a bocca piena, sperduta nel bel mezzo di una trans mistica indotta dal suo bramoso avventarsi su quella povera barretta «Ho sviluppato una connessione psichica, lei è i miei occhi e io sono i suoi, comunichiamo telepaticamente. Non importa dove ci troviamo, io e lei sapremo sempre come ritrovarci». Sorrise da lontano alla sua chimera che sguazzava con zampe da leone nel fango, come una madre che osserva il proprio bambino divertirsi al parco giochi.
«Mmm» mugugnò assorto nei meandri dei suoi ricordi, picchiettandosi il mento con un dito.
«Che c’è? Ti sembra impossibile?» sbottò pronta a dare sfogo a tutta la sua irritazione.
«Niente affatto» dichiarò «Penso soltanto che non sia comune, nemmeno fra i medjai. I menestrelli hanno sempre cantato dell’immenso potere dei quattro elementi naturali che regolano le leggi della natura e degli eroici medjai detentori di tale potere, ma mai di questa sorta di connessione con gli animali di cui parli tu, come se fossero un’estensione della tua stessa anima. E’ stato documentato soltanto un caso simile al tuo in tutta la storia. E credo proprio che si trattasse di Gassan ».
«La gemella di Majak?».
Fabiano annuì serio.
«Non ne avevo idea. Quando attingo dall’effetto osmosi, difficilmente riesco a individuare la fonte da cui ho tratto le informazioni, afferro quello che mi serve senza pensarci troppo, non sto lì a rimuginarci più di tanto. Accade tutto così velocemente, è istantaneo come un battito d’ali, e ti ritrovi a giocare con un potere di cui nemmeno eri cosciente di possedere, che sia una qualche specie di magia, uno stile di combattimento, una nozione scientifica. E’ come se avessimo a disposizione un’immensa enciclopedia costruita sull’esperienza dei predecessori».
«Credo di aver afferrato il concetto» asserì lui spostandosi i capelli appiccicaticci dalla fronte.
Per qualche ragione Leona non proseguì con quella che Fabiano trovava una interessantissima disquisizione sulle capacità dei medjai e aggrottò le sopracciglia pensierosa «Certo che ormai non ti sorprende più nulla eh? Non avevo intenzione di annoiarti».
Fabiano sgranò gli occhi pervaso dai sensi di colpa «Non ho mai detto che trovo noioso ciò che dici, anzi. Starei ad ascoltarti ore ed ore. Da quando ho scoperto che tu e Gab eravate molto di più di ciò che appariva, ho spolpato l’intero archivio di mio padre a caccia di informazioni sul vostro conto, per poter comprendervi meglio, per sentirmi più vicino a te… a voi» si corresse.
Un nerissimo ciuffo ondulato le ricadde sul viso e Fabiano trattenne l’impulso indomito di sistemarglielo dietro l’orecchio, un gesto che un tempo gli sarebbe risultato così facile e ora…Per sua fortuna Leona lo tolse da quell’impiccio, lo acciuffò, infastidita, fra le sue dita e lanciò all’indietro lasciando che fosse inghiottito nel resto di quella coltre corvina e lucente tanto lunga che da seduta sfiorava le assi del pavimento.  Le sue guance si imporporarono appena mentre si mordicchiava le labbra. Chissà se era consapevole di essere così…bella.
«Prima di addentrarci nella tana del bianconiglio» proseguì «io e Gab abbiamo allestito degli zaini di emergenza, abbiamo comprato un po’ di vestiti di ricambio, bende e medicinali e fatto provviste di generi alimentari necessari affidandoli a Edna. Non si è mai troppo prudenti, e in effetti ho avuto ragione, non potevo andarmene in giro con quegli stracci, ti pare?» gli strizzò l’occhio in un gesto confidenziale.
Se ne stavano entrambi seduti nel portico riparato dalla tettoia con le gambe penzoloni al di la della ringhiera di legno marcio e putrido a godersi il loro misero pasto composto per lo più da merendine confezionate, quelli che lei considerava “beni di prima necessità”. Fabiano scosse la testa divertito dalle sue bizzarre opinioni su ciò che lei riteneva fosse indispensabile per sopravvivere. Il suo amore per il cioccolato non aveva confini. Una volta gli aveva confessato che ci avrebbe fatto pure il bagno se avesse potuto. Al ragazzo sfuggì un sorriso involontario a quel pensiero  e alla serietà con cui glielo aveva rivelato.
 Avevano bruciato i loro vecchi e lisi abiti cerimoniali, in modo tale da non lasciare alcuna traccia di loro, rimpiazzandoli con indumenti comodi e pratici. Leona sembrava decisamente più a suo agio nella sua maglietta a girocollo di cotone nero, i pantaloni mimetici di diverse tonalità di verde e gli scarponcini da trekking color castagna, la stessa divisa che aveva anche lui in quel momento. Fabiano gliene era eternamente grato per il suo cambio di look. Era rimasto ben poco del suo bellissimo vestito azzurro indossato durante lo Scao Leadh, e la vista di tutta quella pelle nuda lo stava decisamente spedendo con un biglietto di sola andata al manicomio. Ogni volta che provava a sbirciare verso di lei, era un susseguirsi d’infarti a raffica e calore. Non che anche conciata in quel modo non avesse alcun effetto su di lui, ma contenere i suoi pensieri gli era sicuramente più semplice. Quei deliri dovevano essere stati causati dalla febbre, quella che gli sedeva accanto era la sua migliore amica e non doveva desiderare il suo corpo per nessuna ragione al mondo. Aveva un profondissimo rispetto di lei e non l’avrebbe mai voluta violare con pensieri peccaminosi. Ogni volta che sentiva sfuggirgli la situazione di mano, si autoinfliggeva piccole scariche di dolore, come un campanello d’allarme, perché il dolore era l’unica cosa in grado di riportarlo alla cruda realtà, così gli aveva insegnato suo padre. Oppure si rifugiava nel suo splendido viso, nel profumo dei suoi capelli, annegava nei suoi brevi e sporadici sorrisi, cercava d’intercettare ogni singola sfumatura di blu nei suoi occhi straordinari, o ancora si lasciava catturare dal suono della sua voce limpida e  a tratti soave…
Fabiano era sempre stato il migliore nel gestire le proprie emozioni, le pulsioni primordiali che ti rendono fragilmente umano. L’addestramento era stato così duro che oramai gli veniva naturale. A volte si sentiva quasi un automa disumanizzato in tutto e per tutto, e invidiava i visi altrui su cui scorrevano arcobaleni variopinti di emozioni, mentre lui pareva conoscere a volte solo l’amarezza del dolore, o ancora peggio il vuoto divorante dell’apaticità. Osservava i suoi coetanei vittima del soggiogamento degli ormoni senza capirne il perché, senza riuscire a cogliere cosa li potesse travolgere con tutta quella violenza. Lui non era immune alla bellezza, era semplicemente un tacito osservatore a una mostra d’arte, capace di comprendere l’espressività di un quadro senza aver bisogno di possederlo. Con Leona però era diverso e non riusciva in alcun modo a darsi pace per questo. Guardarla lo faceva semplicemente stare bene, lo faceva sentire giusto, sentiva di avere un posto nel mondo, lei era il suo piccolo centro gravitazionale che gli aveva impedito di diventare un involucro di carne e ossa senz’anima, strappandolo ai desideri perversi di suo padre. Lui sapeva che Marlena era bella e quanto i suoi amici gliela invidiassero, ma non sentiva il bisogno di saltarle addosso, di toccarla in modo sconveniente o andare oltre qualche bacio, complici certamente le dure lezioni impartitegli da Tiziano.
Quando i suoi pensieri vagarono sulla sua ex fidanzata, ogni battito del suo cuore si fece sofferto. La rivedeva più e più volte piangente e ricoperta del sangue della sua migliore amica, i suoi urli strazianti, la perdita di ciò che le era più caro nei suoi fragili occhi di giada. Poi vedeva Carlotta, immobile come non lo era mai stata, il freddo del suo corpo che si mescolava con quello del pavimento, l’assenza del sollevarsi ritmico del petto ad ogni respiro, bianca come Fabiano si era sempre immaginato la morte: priva di colore.
«Starà bene. Devi solo darle del tempo». Fabiano sollevò il capo, sorpreso di come Leona fosse riuscito a penetrare la barriera invisibile dei suoi pensieri.
«Non leggo nel pensiero come Edward» pronunciò quel nome delicatamente, come un riverenza astratta «Negli anni ho solo imparato a capire quando qualcosa ti tormenta, e poi…ci stavo pensando anch’io». Le tegole della tettoia sopra i loro scricchiolarono sinistramente accompagnati dai sibili di un venticello fresco lasciato in eredità da quel terribile temporale, ormai lontano all’orizzonte. L’aria era frigida, fresca al punto giusto e pregna dell’odore di terra bagnata. Il sole s’incamminava pigramente verso le tenebre. Mentre gli faceva quell’ammissione, il suo cipiglio si oscurò, ripiegato dalla fatica di una concentrazione meticolosa, fissando intensamente la pozzanghera sotto di loro. Fece un movimento assorto e inconsapevole con le dita senza spezzare il contatto visivo, e Fabiano non potette fare almeno di imitarla. La superficie dell’acqua s’increspò e qualcosa sbucò fuori dalla melma. Il germoglio si avvitò in una danza sinuosa verso l’alto per poi sbocciare fieramente in candidi petali venati di striature rosate. Ne restò incantato.
«Ti piace? E’ stato il primo fiore che sono riuscita a creare. Allora ero solo una bambina con soltanto l’idea abbozzata di cos’era un fiore nella mente. Dovevi vederlo, era assolutamente deforme e privo di ogni logica» s’interruppe con un risolino.
«Nonostante questo, mia madre continuava a sostenere che fosse la cosa più bella che avesse mai visto». Poi sentì un dito scivolargli sotto il mento, il suo dito, e lo costrinse a levare lo sguardo oltre la staccionata. Fabiano restò a bocca aperta. Lì, dove prima non c’era che sterpaglia raggrinzita dai troppi mesi di siccità e un paesaggio punteggiato da nient’altro che asperità e distese infinite di nulla, adesso si stagliava una maestosa prateria rigogliosa, un esplosione di verde intenso e  fiori dai mille colori.
«Ma come, quando?» balbettò senza riuscire a contenersi.
«Molto meglio, non credi?». S’illuminò di un sorriso mozzafiato per poi rabbuiarsi subito dopo.
«Vorrei provare di più, dovrei provare di più, ma semplicemente non credo di esserne capace. Carlotta non ha dato la sua vita in vano, ciò che ha fatto è stato a dir poco meraviglioso. Non credo che sia stato sciocco, perché se ci fosse stato uno di voi avrei fatto lo stesso. A volte non ti fa paura?».
«Che cosa?»
«Amare. Amare a tal punto che daresti tutta te stessa, tutto il tuo essere, fino al tuo ultimo respiro, ti annienteresti diventando nient’altro che polvere al vento pur di avere salva la vita di coloro che ami. Diventare niente per il tuo tutto, il tuo intero mondo».
«Non riesci a vederlo? Che è l’amore a muovere ogni cosa?» proseguì fervorosa «Ma…come si può in nome di qualcosa di così puro compiere crimini terribili che nemmeno ti saresti mai immaginato di commettere? Io ne sono terrorizzata. Sento che per Gabriel farei qualsiasi cosa…senza alcun limite». Si aggrappò con rabbia alle inferriate della ringhiera celandogli il volto fra i capelli.
Tirò su col naso e riprese la conversazione da dove l’aveva lasciata «Non so più chi sono nemmeno io, Gab ha ragione. Guardavo il corpo esanime di Carlotta, il corpo di colei che per anni mi aveva dato il tormento e non provavo nulla, non ci stavo male per lei, nemmeno un pizzico di rabbia o conforto. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in me, Fabiano. Il vuoto assoluto.
Il vuoto lasciato dall’aver creduto che mio fratello fosse morto. Io non riesco…non riesco a descrivere minimamente come mi sono sentita, le parole sarebbero inutili e inefficaci, non potrebbero mai rendere giustizia alla devastazione che aveva raso al suolo ciò che era rimasto del mio povero cuore. Come se fossi stata risucchiata in un eterno buco nero senza via d’uscita, dove niente aveva più senso di esistere. I colori, gli odori, i sapori non erano altro che fastidiosi accessori che stridevano nel mio nuovo mondo fatto di grigio e dolore e apatia».
Si vedeva visibilmente che soffriva, ma cercò lo stesso dentro di sé la forza per riappropriarsi di un contegno. La sua voce divenne fredda.
«Io non voglio mai più provare quelle cose, mai più» ripeté scrollando il capo.
Fabiano prese un respiro e senza rendersene conto le aveva afferrato la mano stringendola forte a sé.
«Leona» la chiamò dolcemente per ricevere le sue attenzioni. «Non trovo nulla di assurdo in ciò che mi hai detto. Ricordo benissimo quella sensazione» disse ripensando a sua sorella «Ma non devi temere. Il testone di Gabriel continuerà a renderti la vita impossibile ancora per molto tempo». Così dicendo le strappò una risata «Non devi pensarci più, hai capito?».
Leona annuì decisa e il ciondolo che portava al collo prese a oscillare come un pendolo. Fabiano si fece pensieroso e aggrottò le sopracciglia.
«A cosa potrà mai servigli il ciondolo del sole ad Attila? Perché vuole entrambi?» le domandò senza smettere di fissarlo. Leona frenò quell’ipnotizzante oscillazione afferrandolo con la mano libera e se lo portò vicino al viso sorridendogli biecamente.
«Dopo aver spezzato il sigillo della prigione di Highgate, vorrà avere qualcosa con cui difendersi, immagino. Non mi ha reso partecipe del piano completo».
«Secondo me c’è qualcosa sotto o non ti avrebbe fatto firmare il contratto vincolandogli la tua vita come garanzia»
Leona fece un verso stizzito «Comunque saranno affari suoi, io mi limiterò a svolgere il mio umile ruolo di corriere, niente di più. Dopo di che otterremo una cura per i protettori maledetti dal Linckage».
«Finalmente le farneticazione di mia madre hanno avuto un senso. Non smetteva di ripetere quella parola per giorni interi a volte. Lei aveva sempre saputo cos’era…ma allora perché non ne ha mai parlato? Non posso credere che volesse coprire mio padre, non lo avrebbe mai fatto».
«Credo che c’entri qualcosa la sua cecità. Rifletti. Tua madre deve avere intercettato i traffici loschi di Tiziano, magari è incappata in una delle famose liste di compratori che tuo padre teneva nascoste nella cantina di casa tua e dopo aver scoperto quello che avevano fatto a Sara ha tentato di ribellarsi.  A quel punto Tiziano non credo abbia avuto scelta, sua moglie si era trasformata in una testimone scomoda e dovevano metterla a tacere ad ogni costo o avrebbero perso tutto. Sono sicura che l’abbiano privata della vista e incoraggiato la sua follia per impedirle di denunziare i crimini della coorte  dei sette e poi hanno insabbiato tutto».
La sua mano si strinse involontariamente sulla sua come se fosse disgustato da quella possibilità.
«Credi che il ciondolo della Luna possa guarirla?» le chiese speranzoso.
Il volto di Leona si fece compassionevole «Non voglio illuderti, Fabiano. Anche la magia ha i suoi limiti».
Fabiano si accigliò ancora di più. Non riusciva a togliersi dalla testa quella terribile storia. La fame non faceva che aumentare, alimentata dall’ansia asfissiante dei loro discorsi. La liberò della sua stretta da boa e cominciò  scartare l’involucro di un’altra merendina.
«Posso farti una domanda?» si finse distratto. In realtà era molto più che curioso di conoscere la risposta al quesito che stava per porle.
«Come hai fatto a nasconderglielo? Credevo che giù al lago aveste condiviso i vostri pensieri. Intendo a Gab, perché non gli hai detto del contratto? Avremmo potuto aiutarti…»
Si cacciò un pezzo di cioccolato in bocca attendendo che si sciogliesse completamente sulla lingua. Sotto le palpebre, pareva prigioniera dei suoi sogni fatti di dolciumi e canditi. Lo ingoiò e arricciò ancor più giù la carta di alluminio che avvolgeva la barretta per poterci affondare ancora una volta i denti.
 «Memoria selettiva» spiegò sbrigativa leccandosi le dita. «E’ come se avessi milioni di cassetti contenenti un ricordo diverso e potessi scegliere solo io quale aprire».
«E perché mai avresti dovuto farlo? C’è forse qualcos’altro che non ci hai detto?».
Leona strinse le labbra. «L’effetto osmosi potrebbe diventare molto pericoloso se ne dovessimo abusare. Se Gab avesse libero accesso alla mia mente…non finirebbe bene».
A quel punto desistette dal godersi la sua triste merenda e la fissò, intimorito dalla piega che stava per prendere la discussione. «Allora ho indovinato, tu stai mentendo a Gabriel. Non sulla missione…è qualcosa che serbi da tempo nel tuo cuore».
«Tutti abbiamo dei segreti. Chi più chi meno. E se lui conoscesse il mio, credo che mi ucciderebbe senza pensarci due volte, non esiterebbe a decapitarmi con la sua Symphony. Peccato che sia l’unica in grado di vedere l’ironia della situazione» rise amaramente.
«Impossibile, sei sua sorella. Ti ama più di quanto sarebbe capace di ammettere» affermò con invalicabile decisione, come se non ci fosse niente capace di smentire la sua affermazione.
«A volte anche a me piace pensarla così» gli disse con lo sguardo perso in mezzo alla prateria. «Ma ci sono colpe che nemmeno l’amore di un fratello potrebbe travalicare».
Fabiano pensò a lungo alle sue parole senza riuscire mai a venirne a capo. Cosa aveva voluto dire? Cosa avrebbe mai potuto spingere Gab a desiderare la morte della sua gemella? Gli sembrava semplicemente assurda una idiozia del genere. Eppure gli occhi di Leona non aveva mentito, la sincerità che vi lesse vibrò come un coltello affilato fra loro.
Stesero in silenzio per un po’, godendosi l’uno la compagnia dell’altra. «Ti fanno ancora male i piedi?» gli chiese infine. Fabiano si era completamente dimenticato delle scottature sanguinolente che fino a poco prima lo aveva fatto contorcere dal dolore, ormai completamente cicatrizzate dagli straordinari poteri di guaritrice della sua amica. Proprio come aveva fatto con Caterina, aveva semplicemente applicato del fango sulla pianta del piede andando a rimarginare ogni ferita influenzando la composizione della terra. Uno strano calore si irradiava dalle sue dita, non così intenso da fargli male, anzi era quasi piacevole. Aveva dovuto trattenersi dal ridere perché le sue mani scorrevano così delicatamente sulla sua pelle che gli facevano il solletico. Mentre effettuava le sue miracolose medicazioni, gli aveva raccontato di aver scoperto per la prima volta il potere della rigenerazione quando Marlena le aveva tagliato i capelli. Si era addormentata  sulla sabbia, in riva a lago e i capelli le si erano allungati nel giro di una notte.
«Sto bene. Sto più che bene. Mi dispiace che vi siate dovuti fermare a causa mia. Adesso io…»
«Non ci pensare nemmeno» lo ammonì zittendolo con un dito sulle labbra «La febbre si sta abbassando ma hai bisogno di riposo. Ordini del dottore». Gli fece una adorabile linguaccia. «Domani mattina penseremo al da farsi».
«Sì capo, qualcosa mi dice che sia poco saggio contraddirla» ci scherzò su.
«Hai un buon istinto» gli confermò terminando ciò che rimaneva della barretta. Agli angoli della bocca, in quelle adorabili fossette che nascevano ai lati alle sue labbra, le si erano depositati dei residui di cioccolato. Il ragazzo si protese verso di lei per pulirle il viso ma alla fine gli mancò il coraggio e fece dietrofront.
«Sembra che tu voglia evitarmi. Mi dai come l’impressione che io ti disgusti» asserì intristendosi.
«Tu non mi disgusti affatto» si affrettò a correggere il tiro Fabiano. «Non potresti mai».
Qualcosa poi improvvisamente nei suoi occhi cambiò e il protettore avvertì chiaramente le farfalle danzargli in subbuglio nello stomaco. Troppo vicina, scattarono i suoi pensieri.
«Cosa faresti se ti dicessi che sono tutta tua?» gli sussurrò all’orecchio. Fabiano avvampò di desiderio.
«Toccami» gli ordinò la ragazza.
«Cosa?» domandò stordito da quell’invitante richiesta.
«Voglio che tu mi tocchi» gli ripeté soavemente per non dare spazio a nessun fraintendimento. Lei intrecciò le dita con le sue e gli offrì un sorriso d’incoraggiamento. Uno di quei sorrisi meravigliosi, spontanei e genuini che spesso riuscivano a spedirlo in paradiso. Poi gli baciò lentamente il palmo della mano.
«Non preoccuparti, non prenderò fuoco. Te lo prometto». Non ricordava esattamente se avesse risposto al suo sorriso. Era troppo ebbro della sua vicinanza per accorgersi delle reazioni involontarie del suo corpo che rispondeva in modo del tutto nuovo e sconosciuto. Sapeva che era pericoloso ma il suo raziocinio era sepolto troppo in profondità per obiettare con la voce petulante del padre.
Leona guidò le sue mani su di lei, e il protettore pregò che non si accorgesse di quanto tremassero sotto il suo tocco sfarfallandole sulla pelle, morbida e liscia. Le imprigionò le gote delicatamente come se stesse maneggiando del fragile cristallo e si gustò ogni piccola frazione del suo viso. Gli faceva quasi male stare lì a osservare tutta quella bellezza racchiusa nei palmi delle sue mani.
«Temi ancora di ferirla?» gli domandò con le palpebre socchiuse. Un rossore delicato le colorava le guance.
«Mi ha lasciato» sentì l’urgenza di rivelarle. Lei non chiese spiegazioni, e si limitò a sorridergli.
Disegnandogli piccoli ghirigori attorno alle nocche, lo convinse a scendere più giù, sfiorandole il collo, attardandosi sulla nuca. Il ragazzo avvertì i brividi di lei attraversargli la pelle e i battiti del suo cuore si fecero folli e indomabili. Eppure non riusciva a fermarsi. Proseguì nella discesa incontrando le spalle, e subito scivolò cautamente sulle braccia. Lo stomaco si arrotolò in una serie di nodi dolorosi. Serrò gli occhi autopunendosi per aver indugiato più del dovuto sulle rotondità prosperose che le sbocciavano sul petto.
No, s’impose il ragazzo. Avrebbe rispettato la sua femminilità, al contrario di molti uomini che non avrebbero esitato a deplorarla con meschini e languidi sguardi. Fabiano espirò, riconoscendo la vecchia amica farsi strada dentro di lui. Una vampata di gelosia, lo arse vividamente.
Quando risollevò le palpebre si ritrovò a scalarle le costole applicandogli una lieve pressione con le dita. Sgattaiolò furtivo come un ladro sotto la sua maglietta senza capacitarsi del perché e del come. Temette di avere le mani gelide, perché Leona gemette non appena fu libero di entrare in contatto con la carne rosea della pancia. Si prese del tempo per accarezzarle il ventre, gli addominali delicati ma decisi, per poi avvolgerle i fianchi lasciando vagare i pollici nei solchi sopra il bacino, dove la maglietta finiva e incontrava la pelle. Senza pensarci troppo le circumnavigò l’ombelico piano facendole il solletico e i due si abbandonarono alle risate.
Lui non l’aveva mai toccata così, non avrebbe dovuto trarre tutto quel piacere da quel contatto. Eppure nulla gli parve più giusto, più semplice e innocente della sua dolce risata.
Ma come tutte le cose belle anche il suo sorriso svanì, rimpiazzato da uno sguardo impossibile da sostenere senza rischiare di naufragare in quell’oblio blu.
Fu allora che le sue labbra si avvicinarono a pochi centimetri dalla sua, tanto da poter inalare il suo stesso respiro. Gli si aprì un cratere nel petto, lì dove il suo cuore fremeva in quella corsa capricciosa e scatenata, e attese. Ma non accadde nulla.
Un pensiero deragliò pericolosamente dai binari del buonsenso. Perché si era fermata? Quella maledetta attesa lo stava uccidendo, lentamente e inesorabilmente. Sì, era come morire sotto l’effetto sinergico dell’euforia e del terrore.
Baciami, continuavano a urlargli i suoi pensieri. Non aveva mai desiderato qualcosa con tanta intensità in vita sua. Anche se poi non ne avrebbe più avuto abbastanza, anche se la separazione sarebbe stata lacerante. Ne sarebbe valso il rischio.
«Io non morirò» gli alitò la ragazza, depositandogli un bacio sulla punta del naso. «E te lo voglio dimostrare. Tu non sarai mai la causa della mia morte». Fabiano colse il rifermento e distolse lo sguardo per la vergogna.
«Fabiano, guardami quando ti parlo…tuo padre, non ha smesso, non è così?» gli domandò seria prendendogli il mento, bruciando le ultime briciole di quella magica atmosfera che si era creata fra di loro.
«Sai già la risposta» mormorò sommessamente.
Leona abbandonò la sua posizione accovacciata e scattò in piedi. «Vorrei sentirla da te».
«Ha giocato con la mia più grande debolezza. Solo così ha potuto vincere» le rivelò lui, trapelando reticenza. Lei incrociò le braccia e s’imbronciò come se volesse invitarlo a proseguire. «E quale sarebbe?» chiese con voce tremante.
«Ancora una volta, conosci già la risposta». Lei sbuffò impaziente e palesemente insoddisfatta.
Così lui aggiunse «Tu. Tu sei la mia più grande debolezza».
Lo guardò con determinazione e si mordicchiò il labbro inferiore «Io non voglio essere la tua debolezza, Fabiano. Io voglio essere la tua forza. Voglio che tu ti fidi di me, che veda in me il motivo del tuo orgoglio, la ragione per cui vale la pena vivere questa vita di immensa sofferenza, che ci mette costantemente alla prova. Potrei essere la tua amica, la tua compagna, la tua amante, tutto quello che tu vorrai…Ma non la tua debolezza. Non posso accettarlo …».  E fece per andarsene.
«Lea, noi…».
«Non ci sarà nessun noi» disse con voce tagliente la ragazza. «Non finché non sarai completamente libero dalle catene che ti legano a tuo padre. Non posso accompagnarti sta volta nel tuo percorso, dovrai farlo da solo, per conto tuo. Sai quanto è difficile per me? Non voglio più che tu mi guardi come se fossi la tua più grande disgrazia. Rivoglio indietro il mio Fabiano, quello che ho conosciuto un tempo e di cui mi sono perdutamente innamorata».
Fabiano per un attimo non riuscì più a sentire i battiti del suo cuore, si erano fatti sordi e inudibili. Forse era morto?
quello che ho conosciuto un tempo e di cui mi sono perdutamente innamorata.
Aveva davvero pronunciato quelle parole? L’euforia gli crebbe dentro a dismisura fino a diventare incontenibile. Ma non riuscì a dire una parola, aveva la gola secca e la lingua impastata.
«Ma fino ad allora» gli ripeté la protettrice «Noi non siamo nulla».
Demolito in un solo colpo. Ricoperto dalle macerie di quella cocente delusione, la seguì con lo sguardo allontanarsi da lui, al limitare dei confini del casolare abbandonato.
Quella notte il protettore sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. L’amore per la ragazza che sviscerava dentro di lui così crudelmente tanto da togliergli il respiro non glielo permise. Non sapeva esattamente il perché, ma  la sua mente corse al giorno in cui la incontrò per la prima volta. E ripensò a come nonostante tutti non facessero che ricordarle quanto i suoi genitori fossero dei traditori, lei aveva continuato a lottare per fare emergere la loro innocenza, e si era schierata pubblicamente dalla loro parte sfidando e beffeggiando gli insulti di Hans. All’inizio pensava di nutrire niente più che una profonda ammirazione per lei e per ciò per cui lottava così ardentemente, perché Leona aveva toccato una vetta per lui impossibile da raggiungere: opporsi agli ingiusti soprusi di chi deteneva il potere. Non poté non paragonarlo al rapporto di sudditanza e integerrimo servilismo che aveva col padre ed esserne vergognato. E lei era fiera, diceva e agiva per ciò che riteneva più giusto senza preoccuparsi delle conseguenze. Ma lei non si era limitata a quello. Aveva dato prova del suo inarrivabile coraggio quando quel giorno aveva fermato il suo bastone prima che il colpo di grazia infierisse su Gabriel. Quello era stato il giorno in cui per la prima volta nella sua vita era finalmente riuscito a guardare negli occhi suo padre e disobbedito deliberatamente ai suoi ordini, consapevole che poco dopo ne avrebbe pagato il prezzo. Era stato il suo gesto a sbloccargli qualcosa dentro e ad averlo salvato. Aveva creduto davvero di poter godere per sempre di quella libertà conquistata poco per volta, a piccoli passi incerti, ma poi lei era andata via e il suo mondo sembrò resettarsi e tornare al punto di partenza, in quel piccolo angusto universo fatto di tenebre. Aveva perso la forza e la determinazione per opporsi al suo aguzzino e non gli restò altro che lasciarsi modellare come creta fra le mani di suo padre, che sembrava conoscere il solo linguaggio della violenza come unico possibile idioma universale per forgiare un guerriero.
Se solo Leona lo avesse visto…lui non voleva deluderla. Era un po’ come se l’avesse tradita come se avesse gettato via tutti gli sforzi che gli erano costati per ritrovare sé stesso. Come poteva soltanto osare amarla? Avrebbe dovuto essere migliore di così, per lei…Voleva tornare quello di un tempo, voleva poter essere di nuovo degno dei suoi dolci e intensi sguardi che lo facevano sperare in qualcosa di più…
Sapeva però che Leona si sarebbe opposta con tutte le sue forze, il movente che lo avrebbe spinto a riconquistare ciò che gli avevano strappato via avrebbe dovuto essere lui stesso. Fabiano la guardò con tenerezza frammista a rabbia. Se le cose stavano così, non poteva chiedergli di non amarla, non ne aveva il diritto. Come se fosse stato facile, come se avesse potuto semplicemente spegnere un interruttore e affievolire le sue emozioni. Era una sua scelta e se lui avesse potuto, l’avrebbe rispettata. Ma quello che provava per lei andava oltre ciò che lui era in grado di comprendere. Smettere di amarla? Era come chiedere al mare di prosciugarsi o al sole di spegnersi per sempre. Sarebbe dovuto morire, avrebbe dovuto smettere di esistere, ma forse anche nella morte avrebbe continuato ad amarla.
E i suoi occhi non poterono resistergli ancora una volta. La osservò fino a che gli ultimi bagliori del sole morente non si riversarono su di lei. Una macchia scura impressa contro le luci del crepuscolo.
«Perché lo hai fatto?». La domanda uscì fuori dalle sue labbra senza il suo permesso.
Leona continuò a dargli le spalle «Volevo solo capire una cosa». Nel sentire la sua voce incrinarsi, se la immaginò con un furbo sorrisetto stampato sul viso. Non esaurirono mai quell’argomento. Un rumore di scarpe che s’infrangono nella ghiaia e nel fango li distolse entrambi dai loro giochi di parole.
Gabriel li aveva raggiunti col fiatone in gola.
«Dov’è Morgana?» li aveva interrogati saltando qualsiasi preambolo. La gemella avvertendo la tensione in suo fratello gli corse immediatamente incontro.
«Pensavo fosse con te!» si discolpò col velato terrore che poteva leggersi fra le righe.
«Lo era prima di…cazzo» imprecò selvaggiamente stritolandosi i capelli in testa. I suoi occhi si accesero di pura paura. «Non dirmi che le hai dato l’ampolla con il sangue della regina?».
«Certo, perché non avrei dov…». Leona ebbe un corto circuito. I medjai non ebbero bisogno di usare la loro speciale connessione per capire entrambi che fine avesse fatto la loro amica.
La comprensione esplose nei loro volti e esclamarono all’unisono «E’ entrata in casa!».
Gab fu il primo a correre come un matto verso il portone d’entrata, tallonato da sua sorella e Fabiano.
Non erano ancora pronti ad affrontare i tranelli di quella dimora infestata dai fantasmi. Non avevano idea di quello che li aspettava.
Ma  niente sarebbe stato più importante di andare a salvare la loro migliore amica.

 
   
 
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