A L., che non saprà mai la verità
su ciò che vorrei.
A
volte mi chiedo se sospetti minimamente quanto nasconda nel mio animo. Quando
mi abbracci dopo settimane in cui non ci siamo mai visti, e sciogli un po’ quel
mio cubetto di ghiaccio che ho al posto del cuore. Quando rispondo a un tuo
messaggio, anche se è solo un meme. Quando
siamo soli e potrei farti di tutto, per poi non fare puntualmente nulla. Non
sono quel tipo di persona.
Che
cos’è tutto questo? Rispetto? Affetto? Amicizia? Un mix? Oppure è solo
l’ennesima domanda che non troverà mai risposta?
È
una paura strana, quella che mi attanaglia. Il timore di compiere un balzo di
cui si conosce già l’esito fallimentare. A discapito della seppur bassa
percentuale di successo, nonostante chiunque, al mio posto, avrebbe saltato, io
decido di restare sulla sponda sicura. Non muovo il pezzo che farebbe crollare
tutta la torre. Sembra quasi una strana partita a Jenga, dove a giocare sono
solo io.
Se
solo tu potessi vedermi, quando, mentre dormi beata nell’altra stanza, resto a
fissare il soffitto per interminabili minuti, prima di prendere sonno. O quando
mi sveglio presto, e mi fermo a fissarti mentre sei ancora persa in chissà
quali mondi, cercando di ritardare il più possibile il tuo risveglio, per
concederti ancora un po’ di tempo ovunque il tuo cervello ti stia portando, e
per concedermi uno spettacolo che ho visto pochissime volte nella mia vita.
Non
credo tu riesca ad immaginare quanto stia bene con te. Quando cantiamo a
squarciagola in macchina, e storpiamo i testi delle canzoni. Quando passiamo le
ore a montare i filmati dove ci sei tu, salvandomi da esaurimenti nervosi. Quando
allungo il mio enorme braccio sulle tue spalle, e sembra che debba calarti la
lama di una ghigliottina. L’averti accanto è motivo di infinita gioia, e le
risate non mancano mai. Per l’ennesima volta, mi ritrovo a sorridere e
ringraziare qualunque Dio sia sopra di noi per essermi sbagliato, e di tanto,
quando credevo che non ti avrei più rivisto poco dopo averti conosciuta.
Forse
scrivere queste righe non è stata la cosa più intelligente da fare. Ma, in
qualche modo, dovevo liberare queste parole che tengo prigioniere da troppo
tempo. Chissà se, e quando, troverai questo mio “esorcismo dell’anima”, scritto
in un raro momento di ispirazione. Perché sì, sei una fonte di ispirazione
inesauribile, e lo sai benissimo. Quando lavoro con Photoshop sulle tue foto,
quelle che ti faccio, e con i video che giro, dei quali sei stata spesso
protagonista. Potrei quasi definirti una mia musa. Ma finirei per elevarti più
del dovuto, ed esattamente come Icaro, finirei col bruciare le mie ali e
precipitare nel vuoto come un fantoccio di pezza.
E
ti odio. Sì, ti odio. Ti odio quando ti dici che fai schifo, quando non ti
apprezzi. E quando continui a negare se ti dico che non è vero. Perché se fai
schifo, vorrei fare schifo insieme a te. Se c’è qualcuno con cui passerei
volentieri… o meglio, vorrei fare schifo il resto dei miei giorni, sei tu. Ma
so che non accadrà mai. Un mio amico una volta mi disse: “Più uno che
accalappia, sei uno che si fa accalappiare”. Non ha mai avuto così tanto
ragione.
Giorni
fa lessi che chi resta in situazioni di stallo come queste è solo perché,
segretamente, gli piace restare in questo stato. Uno stato dove nulla è completo,
ma tutto sembra perfetto. Ne sono perfettamente consapevole. Ma non riesco a
farne a meno, di iniettarmi questo veleno che lentamente mi corrode, alla
stregua di un eroinomane, facendo il possibile affinché questa dolce bugia in
cui vivo svanisca il più tardi possibile. E quando succederà, ancora una volta,
prenderò in mano il mio cuore e inciderò su di esso il tuo nome, che farà
compagnia a tutti gli altri.
Ho
un’ultima domanda per me, alla quale spero sia tu la risposta:
Per
quanto ancora riuscirò a guarire da queste ferite invisibili?