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Autore: Marydb13    26/08/2020    1 recensioni
Quattro ragazze trovano, per caso, un passaggio che collega il loro mondo a quello di certi pirati di nostra conoscenza e, ben presto, si renderanno conto che, forse, la Disney non ha raccontato proprio tutto... Metto il rating arancione per sicurezza, ma nella maggior parte della storia è da considerarsi verde.
*****
Tratto dalla storia:
"Allora è tutto a posto? Posso tornare nella mia epoca?"
"Certamente"
"Oh, grazie infinite! L'ho sempre detto che lei è una persona ragionevole!"
"Ma ad una condizione: Mr. Mercer verrà con te"
"Cosa?!"
"Ti seguirà ovunque, sarà la tua ombra e i miei occhi." quelle parole, unite alla velata minaccia nel suo sguardo, furono l'ultima cosa che udì, prima di essere trascinata via dall'uomo che l'aveva pestata nelle tre settimane precedenti.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ian Mercer, Jack Sparrow, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 8- Una convivenza difficile.
Di quando Mercer divenne un babysitter.
 
 
 
Anno 1729, 6 maggio, h 12,00
Port Royal, Giamaica (ufficio di Lord Beckett)
 

Il sole caldo che splendeva nel cielo della Giamaica nei mesi estivi (e non solo), illuminava lo studio di Cutler Beckett. Fin troppo, per i gusti di Maria Vittoria. La ragazza, infatti, abituata ad andare a scuola di giorno ed a studiare prevalentemente la notte, si era ormai assuefatta al buio, spezzato solo dalla tenue luce della sua lampada da comodino. Del resto, a fuia di concentrare lo sguardo sul bianco accecante delle pagine, aveva finito per soffrire il riflesso che le fonti di luce più forti creavano sulla carta. Se a ciò sommiamo il fatto che, data la distanza che intercorreva tra la sua abitazione e la scuola, usciva di casa prima del sorgere della luce del sole e vi faceva ritorno quando il sole stava, ormai, tramontando, possiamo ben immaginare il fastidio che quella luce accecante le provocava.

Da quando Maria Vittoria aveva iniziato ad adempiere alla sua parte del contratto, Cutler Beckett aveva fatto sostituire la scrivania con una ben più spaziosa. La ragazza aveva messo subito in chiaro che, per quel che la riguardava, avrebbe potuto studiare anche per terra, dato che, da quando aveva iniziato le superiori, pur di risparmiare tempo, aveva utilizzato qualsiasi luogo immaginabile. E con qualsiasi, intendeva proprio qualsiasi: sui mezzi di trasporto (quando era lei a guidare ascoltava delle registrazioni), in palestra tra e durante gli allenamenti (costringeva gli infortunati a girarle le pagine mentre ripeteva mentalmente filosofia), in tenda, mentre camminava per strada, durante il confessionale (impiegava tanto proprio perché il prete di turno l’aiutava nelle versioni), sui tetti, nei campi, al mare (quando aveva provato canottaggio con Marta e Francesca, aveva ideato di attaccare i fogli con gli appunti alla schiena del vogatore che la precedeva), in questura, in banca (in prima liceo, mentre accompagnava la madre, era stata coinvolta in una rapina. Vedendo che i patteggiamenti con le forze dell’ordine andavano per le lunghe, si era messa a piangere ed aveva implorato in ginocchio i ladri di permetterle di ripassare gli aoristi. Del resto, la sua professoressa di greco li aveva avvisati che nemmeno un attacco dell’ISIS avrebbe valso come scusa per un brutto voto o un’eventuale assenza. Un paio di volte all’anno li andava a trovare nel carcere di Palermo, portandogli una torta con scritto “Grazie”, sormontata da “10 +”.) e alle pompe funebri.

Non voleva certo recare disturbo per così poco, ma Beckett era stato irremovibile su questo punto. E, del resto, quella vecchia che ben si poteva adattare alle esigenze del Governatore (giocare a scacchi con la figlioletta, mentre firmava le condanne a morte per pirateria di routine), non era nemmeno lontanamente sufficiente per contenere le follie di onnipotenza del Lord. Per non parlare dei libri di scuola della ragazza: solo quelli occupavano quasi due metri quadrati ed avevano anche un discreto peso specifico. Da quando il Ministro dell’istruzione M. Bossetti aveva rivoluzionato la seconda prova di Maturità, tra l’altro, nelle versioni non occorreva più un solo dizionario alla volta, ma due, e questo complicava ulteriormente il problema “spazio vitale”. Quando studiava lì, solitamente Mary si allenava proprio in previsione dell’esame finale, approfittando della presenza dell’uomo per eventuali chiarimenti o consigli.

La prima volta in cui si era azzardata a chiedergli aiuto su un passaggio di Plutarco piuttosto controverso, Mr. Mercer si era subito prodigato per fermarla, sostenendo che nessuno dovesse osare disturbare il suo padrone mentre studiava. Cutler Beckett, tuttavia, contro ogni previsione l’aveva fermato, citando scherzosamente la frase evangelica: “Lasciate che i bambini vengano a me!”. Già, ancora la prendevano in giro per colpa delle sceneggiate di Gillette, ma, pur di ricevere aiuto nelle versioni avrebbe sopportato qualunque cosa. Se Mary, in quei momenti, non fosse stata troppo concentrata nello scrivere e prendere appunti, avrebbe potuto scorgere uno strano luccichio negli occhi dell’uomo, accompagnato, perfino, da un lieve sorriso. Qualcosa in quella bizzarra ragazzina che si dannava nel vero senso della parola, pur di dare un senso compiuto a quelle parole scritte in terre ed epoche lontane, per poi gioire una volta riuscita nell’intento, la incuriosiva. Gli ricordava un qualcuno che doveva aver incontrato durante la sua giovinezza, anche se la moltitudine di eventi che aveva caratterizzato gli ultimi vent’anni, gli impediva di ricollegare un nome a quell’immagine sfuocata. Vent’anni prima aveva deciso di “tagliare i ponti” con il proprio passato e non aveva nessuna intenzione di infrangere l’unica promessa di cui era sempre andato fiero. Eppure, senza nemmeno rendersene conto, iniziò ad affezionarsi (molto, molto, molto infondo) a quella strana ragazza ed a provare un sentimento molto simile a quello di un padre che, nascosto dietro il giornale, segue i tentativi di camminare del figlio, per poi gioire, silenziosamente, del suo successo.

‹‹Aio!›› un lamento soffocato interruppe il suo flusso di pensieri. A quanto pare Mr. Mercer, vedendo la mocciosetta profondamente assorta nella scelta di un sinonimo (avete presente quelle parole che, dopo aver perso mezz’ora per individuare il nominativo, scoprite recare la temutissima frase “vedi…” e che, una volta trovata, ti porta ad altre venti recante la stessa dicitura, per poi giungere, infine alla meta tanto agognata e scoprire che contiene 87 significati differenti?), aveva ben pensato di colpirla sul coppino con un libro, per poi approfittare della sua distrazione e chiuderle il dizionario per farle perdere il segno. In tutto questo, la poveretta, che si era ormai dimostrata una santa sotto ogni punto di vista (a parte la sua tendenza a “sparare aneddoti a macchinetta”), per non farlo sfigurare davanti al suo adorato superiore, aveva tentato di soffrire il più silenziosamente possibile, ma non era bastato.
Cutler Beckett sollevò lentamente lo sguardo dai suoi appunti e non mancò, con suo sommo disappunto, di notare Maria Vittoria che mimava imprecazioni alla volta dello scocciatore e quest’ultimo che, fischiettando con fare innocente, aspettava il momento più opportuno per tirarle i capelli e rubarle il quaderno. La cosa divertente era che bimbo uno e bimbo due erano davvero convinti che non se ne sarebbe accorto!
Sconsolato, rivolse un veloce sguardo all’orologio a pendolo posto alla sua sinistra: le dodici in punto. A quel punto si rese conto di tre cose contemporaneamente:
  1. Era quasi ora di pranzo e Mary aveva preparato un paio di pietanze da leccarsi i baffi, compresa una torta di mele la cui ricetta veniva tramandata di generazione in generazione nella famiglia di suo padre.
  2. Mr. Mercer, uomo abituato all’azione, era dovuto rimanere fermo ad osservarli per quasi cinque ore e non avrebbe retto un momento di più.
  3. Tra meno di due ore i due avrebbero dovuto tornare nell’altra epoca per permettere a Mercer di memorizzare i punti strategici della città e non gli avevano ancora mostrato la cartina di Genova.
Ripose le sue carte con un sospiro ed invitò Maria Vittoria a fare altrettanto, in modo da poter posare la famigerata cartina sul tavolo sgombro. Riordinato il tutto, i tre si posizionarono su un lato della tavola ciascuno, sfoggiando un’espressione corrucciata che non aveva niente da invidiare a quella dei giocatori di monopoli e risico. Del resto, lo scopo della seduta era stabilire i pochi luoghi in cui Maria Vittoria avrebbe avuto il permesso di andare, sempre rigorosamente accompagnata da Mr. Mercer, a partire dal giorno successivo, quando avrebbero riaperto le scuole. In un qualsiasi altro caso, non si sarebbero fatti scrupoli a rinchiuderla nelle segrete per il resto della sua mera esistenza, ma, ahi loro, necessitano delle informazioni che non sarebbe stato possibile reperire altrove. Per non parlare del fatto che, se quello che Maria Vittoria aveva spiegato loro sulle forze dell’ordine moderne era vero, qualora avessero destato dei sospetti, avrebbero potuto indurle ad investigare a casa della ragazza. Beckett non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto accadere, qualora qualcuno di loro si fosse accidentalmente accorto del passaggio che collegava le due epoche. Grazie alle tecnologie nettamente più sofisticate, avrebbero potuto soggiogare intere nazioni e sfruttare le risorse del pianeta, senza il minimo sforzo.
Se la sete di conoscenza non fosse stata così forte in lui, non ci avrebbe pensato due volte, prima di trovare un sistema per distruggere il varco tra le due epoche, ma ciò non significava che non l’avrebbe fatto al primo segnale di pericolo. Per ora, si sarebbe accontentato di inviare il suo fidato collaboratore per tenere d’occhio la situazione; al resto, avrebbe pensato in seguito.

‹‹Partiamo con le basi: qui c’è casa tua?›› domandò il Lord, indicando un piccolo punto sulla cartina che recava il nome della sua frazione.
‹‹Sì, signore›› si limitò a confermare lei. Ormai aveva smesso di stupirsi della rapidità con cui riusciva ad assimilare le informazioni. Poi c’era lei che non riusciva a seguire nemmeno le indicazioni di Google Maps… Le ingiustizie della vita.
‹‹Poi, da quanto ho capito, anche se siete una donna, vostro padre ha deciso di fornirvi un’istruzione e quindi dovete recarvi in un edificio che, per quanto non ne comprenda il motivo, ha lo stesso nome della scuola aristotelica, corretto?›› proseguì lui, non nascondendo il suo scetticismo, mentre riusciva a trovare anche quel punto con una facilità inspiegabile. La sua diffidenza verso il sistema scolastico statale era, di per sé, comprensibile per un uomo dell’epoca, abituato all’idea che la cultura impartita ad un ragazzo era inversamente proporzionale al numero degli studenti di un singolo professore.
Maria Vittoria, stanca di controbattere alle frecciatine maschiliste, se la cavò con un ‹‹Temo che l’intelligenza eccelsa degli uomini della nostra epoca non gli permettesse più di convivere con la risaputa ignoranza del nostro genere. E, seguendo la stessa logica, immagino che gli incarichi importanti ricoperti dalle donne, gli siano stati assegnati perché ritenuti troppo poco gratificanti per le vostre eccellenze›› La cosa divertente è che, causa gli assurdi pregiudizi dell’epoca, i due non parvero nemmeno accorgersi della, poco velata, ironia e presero sul serio le sue parole. Erano davvero senza speranza.

‹‹Poi, ci occorrono il mercato ed i negozi per acquistare i generi alimentari di prima necessità e, dato che siete una donna, montagne di vestiti ingombranti e suppellettili inutili›› Ancora con questa storia? Alla faccia dei luoghi comuni sul genere femminile! E tra parentesi, per sua informazione, nel ‘700 le donne erano costrette ad indossare dei vestiti ingombranti, dato che se avessero mostrato un polso o una caviglia, si sarebbero attirate il biasimo di tutto il paese.
Mary prese un bel respiro, prima di rispondere: ‹‹Per quanto riguarda i generi alimentari, di solito vado in un negozio unico chiamato supermercato, e, solo in rare occasioni dal fruttivendolo. Fortunatamente, distano meno di cinquanta metri l’uno dall’altro. E, per quanto riguarda i capi d’abbigliamento, temo che l’unico ad averne bisogno sia il signor Mercer, se non vuole dare troppo nell’occhio e rischiare di essere internato in una clinica››. Incredibilmente, riuscì a terminare la frase senza scoppiare a ridere come una scema. Davvero, non sapeva che cosa avrebbe dato, pur di poter immortalare la faccia che avevano fatto i due in quel momento. Conscia di aver già tirato troppo la corda, si decise ad aggiungere un’ultima cosa… Tanto, una volta rimasta sola con Mr. Mercer le avrebbe prese comunque. ‹‹Se pensate di trovarvi di fronte alla classica fanciulla che si mette a strillare di gioia ogni volta che vede un vestito che le piace, avete completamente sbagliato persona. Sarà che con la mia pessima fisicità non mi sta bene quasi nulla, ma provo più gioia a fare la spesa rispetto allo shopping. Amo le divise, proprio perché così non devo perdere tempo ad abbinare i capi ed i colori… L’amore per gli acquisti sarà anche una prerogativa prevalentemente femminile, ma, conosco anche molti ragazzi con la stessa passione. E francamente, non vedo proprio che cosa ci sia di male: ci sono molte attività decisamente più dannose nella nostra epoca››

Non sapendo cosa rispondere, Mr. Mercer non ci pensò due volte ad offendere: ‹‹Vi porgiamo le nostre scuse, Miss: nel nostro ragionamento abbiamo presupposto che voi foste una donna, ma ci siamo evidentemente sbagliati.››
Per i canoni dell’epoca doveva trattarsi di un insulto piuttosto grave, dato che Lord Beckett si raggelò sul posto, indeciso su cosa dire o fare per smorzare la tensione. A toglierlo dall’imbarazzo, ci pensò Mary: ‹‹Scontato… Allora, dove eravamo rimasti?›› La ragazza aveva sentito decisamente di peggio nella sua epoca: non se la sarebbe mai presa per così poco.
‹‹Hm… direi il gymnasium di cui ha parlato vostra madre al telefono, se è proprio necessario…››
‹‹SI’, LO E’!!!›› lo interruppe bruscamente lei. Il fuoco che le brillava negli occhi avrebbe fatto desistere qualsiasi oppositore, ragion per cui Cutler fu costretto ad accettare. Del resto, si trattava solo di poche ore alla settimana e la palestra si trovava, relativamente, vicina alla sua scuola. Da quel poco che aveva scoperto nei giorni precedenti sul nuovo mondo, si ritenne fortunato all’idea che questo fosse l’unico hobby che il loro “Cicerone” soleva concedersi. Se fosse stata come uno dei tanti ragazzini viziati che si rinchiudevano in quei locali squallidi pieni di donnine svestite e rumori assordanti, davvero non sapeva come avrebbero fatto.
‹‹V-va bene…›› acconsentì lui, timoroso all’idea che la fragile fanciulla avrebbe potuto cavargli un occhio con la matita. Quando si parlava di Karate si trasformava in una belva imprevedibile… e meno male che sosteneva che le fosse essenziale per riacquisire la calma e la serenità!

‹‹Poi, vediamo… Mr. Mercer, è questa la chiesa che mi avete detto che frequenta la sua famiglia?›› Beckett cercò di entrare
‹‹Sì, signore››
‹‹Perfetto›› disse lui, cancellandola con una grande x scura.
‹‹M-ma perché?›› domandò lei, scioccata. Si sarebbe aspettata una cosa del genere per bar, pub e discoteche, ma mai per un innocuo luogo di culto.
‹‹Non domandate›› si limitò a sussurrare lui, serafico.
‹‹Ma che razza di trauma avete avuto?!›› sbottò lei, imbronciata, per ritrovarsi sbalzata dalla sedia ed attaccata al muro, senza alcun preavviso. Gli sguardi inquisitori dei due le fecero intendere che, senza volerlo, doveva aver toccato seriamente un tasto dolente.
‹‹Cosa sai?›› le domandò Beckett, continuando a guardarsi intorno con fare inquieto, quasi temesse di veder comparire Jack Sparrow da un momento all’altro con una macchina per le riprese.
‹‹M-ma era solo un modo di dire! Stavo scherzando, giuro: che cosa potrei mai sapere di così segreto?›› cercò di difendersi lei.
Leggendo la confusione che si mescolava al terrore nei suoi occhi, i due capirono subito di aver preso un granchio e la lasciarono andare, sperando di non suscitare ulteriori sospetti. Nessuno doveva sapere che cosa era accaduto quel giorno nella canonica di Port Royal, nessuno!
‹‹Assolutamente niente!›› esclamarono i due in coro, sebbene la rigidità delle loro posture contraddicesse senza ombra di dubbio la loro affermazione.
‹‹Hmm… cosa mi state nascondendo?›› si avvicinò, dubbiosa, ai due che stavano, ormai sudando freddo.
‹‹N-non so di cosa stiate parlando›› tentò di dissuaderla Mr. Mercer, che da sempre era stato il più coraggioso dei due.
Maria Vittoria non riusciva ancora a capire come la situazione si fosse ribaltata così velocemente: se temevano che scoprisse un segreto così importante, allora perché non l’avevano semplicemente minacciata finché non avesse desistito? Che, invece, si trattasse di qualche episodio imbarazzante che volevano far cadere nell’oblio? Ora non stava più nella pelle all’idea di scoprirlo: ‹‹Allora, che cos’è? Che cos’è? Che cos’è?››
‹‹Niente che possa interessare ad una mocciosa petulante come voi›› Mr. Mercer era sempre simpatico e cordiale, non c’era che dire.
‹‹Allora qualcosa c’è!›› esclamò Mary, saltando sulla scrivania, in modo da metterli ancor più sotto pressione.
‹‹No!››
‹‹Dai, che sono una persona curiosa!››
‹‹No!››
‹‹Vi giuro che non lo dico a nessuno, dai!››

A salvare i due poveretti da una situazione meschina, ci pensò la cameriera personale del Lord: TOC, TOC!
‹‹Lord Beckett! C’è una lettera urgente per lei: viene da Parigi››
‹‹Grazie, Celeste, entra pure›› Mai l’uomo aveva accolto più volentieri l’arrivo di un membro della servitù.
‹‹Che ragazza diligente, penso proprio che meriti un aumento!›› gli fece eco Mr. Mercer. Se perfino lui, in una situazione del genere, aveva messo da parte il suo odio profondo nei confronti del genere femminile, doveva essere veramente sollevato.
‹‹Sono perfettamente d’accordo con voi, signor Mercer: da oggi siete promossa all’incarico di aiuto governante›› dichiarò lui, convinto.
‹‹V-vi ringrazio, mio signore, ma veramente io stavo facendo solo il mio lavoro…›› fece lei, incerta. Che cos’era preso al padrone tutto d’un tratto? Di solito non si abbassava nemmeno a rivolgerle la parola ed ora la chiamava addirittura per nome. Per non parlare di Mr. Mercer: quell’uomo a momenti le ringhiava quando la incrociava nei corridoi. Che fosse il caso di consultare un medico?
‹‹Siete anche modesta: un’altra ottima qualità per diventare governante››
‹‹M-ma signore…››
‹‹Insisto›› disse Lord Beckett in un tono che non ammetteva repliche, per poi rivolgersi a Mercer, con un sorriso tiratissimo: ‹‹Mr. Mercer, volete aiutarmi ad assegnare questa perspicace ragazza al ruolo che merita?››
‹‹Ma ceeertamente, mio signore, ogni vostro desiderio è un ordine, per me!››

E così dicendo, i due se la filarono a gambe, trasportando la povera cameriera per braccia e gambe, e lasciando un’allibita Maria Vittoria da sola nell’ufficio, come un uovo crudo. “E poi la bambina sarei io?” si ritrovò a pensare, scuotendo la testa sconsolata. Tre anni
*****
 
 Anno 2019, 7 gennaio, h 07,30
Genova, Italia (casa di Mary)
 

Maria Vittoria stava salendo, ancora mezza addormentata, le sette rampe di scale che conducevano alla sua classe. Era partita da casa un po’ prima del solito, in modo da trovare parcheggio (impresa assai ardua a Genova) ed accompagnare Mr. Mercer nella grande biblioteca/bar che si trovava di fronte alla scuola. Sapeva che Lord Beckett gli aveva ordinato di non perderla mai di vista, ragion per cui lo aveva accompagnato ad un tavolo da cui si aveva una buona visuale della sua classe e gli aveva prestato il vecchio binocolo del padre. In questo modo, lui non avrebbe contravvenuto l’ordine, e lei non avrebbe infranto il regolamento scolastico.

La sua scuola era costituita da un unico grande complesso, strutturato in sette piani, ed ospitava quattro indirizzi di studi differenti: scienze umane, linguistico, scientifico e classico. Il piano terra, il più ambito, data l’ampiezza delle aule e gli strumenti tecnologici all’avanguardia (e l’assenza di scale), ovviamente, era stato destinato agli studenti del liceo linguistico che avevano scelto il “percorso d’eccellenza Esabac”, dato che l’anziana preside era un po’ di parte. Non solo era la direttrice del progetto all’interno dell’istituto sin dal suo inizio, ma, da quasi dieci anni era divenuta il punto di riferimento per tutte le altre scuole italiane e svizzere che vi prendevano parte. Nel 1987 le era stato conferito il cavalierato dell’ordine delle palme accademiche da parte del primo ministro francese, per il suo grande contributo nella diffusione della cultura francese nel mondo e nel 1989 aveva ottenuto una medaglia al valore per aver “condotto in salvo” una comitiva di diplomatici francesi che si erano persi negli intricati vicoli di Genova (Erano stati costruiti così per impedire al nemico di fare razzie: se li hanno fermati ci sarà stato un motivo! Ha fatto penetrare i Galli comati nella penisola italica: disertrice! Nd: Mary). Gli altri piani erano distribuiti in ordine decrescente di importanza… inutile dire che il liceo classico era stato deportato in mansarda, luogo “temperato in autunno e soleggiato in primavera” (ovvero freddissimo in inverno e caldissimo da aprile a settembre). E, tanto per accrescere le sciagure dei poveri emarginati, l’ascensore poteva essere utilizzata solo dai docenti (quando Federica si era rotta una gamba, Maria Vittoria e Francesco, unico uomo nella sua classe, l’avevano dovuta portare a turno su per tutte e sette le rampe infernali per sei lunghi mesi) e il loro indirizzo era l’unico a cui era categoricamente proibito l’utilizzo di libri in formato digitale a sostituzione di quelli cartacei.

Quei pensieri ebbero l’unico risultato di deprimere ancora di più la poveretta che, giunta finalmente all’ultimo gradino, già pregustava il riposo sul tanto agognato banco. Aperta la porta dell’aula, tuttavia, si rese subito conto che qualcosa non andava: sebbene fosse sempre la prima ad arrivare, la luce era già accesa e qualcuno sedeva scompostamente sulla sua sedia, con le gambe appoggiate al suo amato banco. E non si trattava di una persona qualsiasi, no, no: di fronte a lei, con un ghigno strafottente stampato in volto, vi era niente popò di meno che Mr. Mercer in persona.
‹‹C-come avete fatto ad arrivare fin qui?›› gli domandò, sconvolta.
‹‹Oh, non è stato difficile: ho aspettato che la segretaria si voltasse, per arrivare alle scale e da lì mi è bastato seguire le istruzioni che mi avevi dato per poterti spiare meglio, hahaha. Sei ancora più ingenua di quel che mi aspettavo!›› la faceva facile lui, ma se qualcuno fosse entrato e avesse visto uno sconosciuto di mezza età, che non parlava nemmeno italiano, sarebbero stati guai seri.
Una serie di passi affannosi le impedì di rispondergli per le rime. Se i suoi compagni di classe stavano già arrivando, non poteva assolutamente perdere tempo in ciance: doveva trovare una soluzione, e al più presto. Come se non bastasse, dalla finestra semi aperta giunse una ventata di bora leggera brezza invernale, talmente forte da scioglierle i capelli (aveva impiegato quasi dieci minuti per domali acconciarli in una semplice coda) e farle volare la cartina dell’impero romano addosso. Non era proprio giornata. Tuttavia, grazie allo sfortunato incidente, le sovvenne l’eterno una soluzione temporanea al suo problema.

Si affacciò alla finestra e, sorridendo amabilmente, pronunciò ad alta voce: ‹‹Professor Fellegara, ma che coincidenza… che cosa ci fa sul tetto?››
Dovete sapere che il vicepreside, da quando era stato assunto, non aveva fatto altro che tramare nell’ombra, bramando il colpo di stato, meritandosi il soprannome di Jafar. Ultimamente, inoltre, si era appassionato al “Trono di spade”, riconoscendosi, in particolare in Varys, il “ragno”. L’idea di manovrare le vicende dall’ombra del suo ufficio lo allettava assai e, grazie al suo quoziente intellettivo decisamente superiore alla norma, era riuscito a convincere i professori di “potenziato” (che grazie a Matteo Renzi percepivano uno stipendio, senza avere ore da svolgere) di avere le giuste qualità per diventare delle spie professioniste. Per imitare maggiormente il suo amato personaggio, da qualche anno a questa parte, aveva iniziato anche ad addestrare i primini, con la scusa di un corso extra di scrittura creativa… li chiamava persino “i suoi uccellini”. Era davvero inquietante, ma al momento concentriamoci sulle spie adulte, di cui faceva parte il nostro caro professore.

Il chiamato in causa, non aspettandosi che qualcuno conoscesse il suo appostamento segreto, per poco non scivolò sulle tegole. ‹‹Hem, signorina Innocenti… mi ha spaventato, hehehe››
‹‹Però non ha risposto alla mia domanda›› disse lei, fingendosi profondamente rammaricata.
‹‹Niente di speciale, stavo solo… prendendo il sole! Sì, il medico mi ha consigliato di prendere tanto sole per aiutare le mie fragili ossa›› improvvisò lui.
‹‹Ma che strano, ero quasi convinta che facesse Paracuore… non pensavo che soffrisse di questi problemi a soli trentasette anni››
‹‹C-come avete ottenuto queste informazioni?››
‹‹Ho un paio di buoni informatori, tutto qui›› divagò lei, con fare innocente, per poi proseguire: ‹‹Comunque penso che l’aria umida che spira a Genova in questi mesi invernali non sia proprio il massimo per il suo problema. Le consiglierei, per lo meno di non trascorrere di nuovo sette ore nascosto dietro il vecchio comignolo. Forse sarebbe il caso che avvisassi la preside… è stata crocerossina presso l’ambasciata francese, lo sapeva?››
‹‹M-ma come…? Signorina Innocenti, non penso che sia il caso di disturbare la nostra amata preside per così poco…››
‹‹Ma io insisto: non sia mai che il nostro amato Jafar debba soffrire la perdita di uno dei suoi cari collaboratori››
‹‹No, no, no… non ce n’è n-nessun bisogno, davvero… sto benissimo, benissimo ti dico!›› si preoccupò lui, sempre più pallido e terrorizzato. Ad onore del vero, l’arpia faceva davvero paura quando si arrabbiava e non erano rari i casi di professori e studenti che avevano chiesto il trasferimento, una volta incontratala faccia a faccia.
‹‹Si calmi, professore: stavo solo scherzando. Non ho nessuna intenzione di denunciarla alla presidenza, se così si può dire, hahaha. Del resto tra uccellini ci si deve aiutare, non crede anche lei?›› buttò lì la ragazza, capendo che ormai la sua preda aveva abboccato.
‹‹N-non capisco di cosa tu stia parlando…›› iniziò lui, ma notando lo sguardo serio della ragazza, si rese conto che ogni scusa sarebbe stata vana. Ma Innocenti era in quinta… era convinto che solo i ragazzini più piccoli perdessero tempo con quegli stupidi corsi di scrittura creativa. Inoltre, per quel che ne sapeva, nessuno di loro sospettava dei secondi fini del vicepreside, né conosceva le disposizioni che aveva impartito a professori di potenziato come lui. E’ vero che non stava facendo nulla di effettivamente illegale, del resto nessuno li avrebbe citati in giudizio solo per aver origliato un paio di lezioni, ma temeva che si venisse a sapere che “Jafar” aveva promesso a tutti i suoi “assistenti” di cercare di inserirli come professori di cattedra nel liceo musicale in cui si era diplomato ed aveva ancora molti contatti. Questa sarebbe stata una verità piuttosto scomoda perfino per un insegnante come lui.

Notando che l’uomo stava, finalmente, cedendo, e che i passi dei compagni distavano, ormai meno di una rampa di scale, si decise a negoziare definitivamente: ‹‹Mi chiedevo se avesse voglia di prendere il sole a gennaio insieme a mio Zio. Sa, è arrivato stamattina dall’Irlanda ed ha pensato di venirmi a salutare a scuola. I miei non ci sono e non possono accompagnarlo a casa e, non conoscendo la nostra lingua, non si sente sicuro a girare da solo per una città così grande. Come vede non mi assomiglia per niente, per cui se qualcuno lo vedesse rischiamo che non si fidino e chiamino la polizia e vorrei evitare di passare la giornata in questura, non so se mi spiego…››
‹‹M-ma certo, capisco perfettamente›› rispose lui, con un sorriso tirato. Non pensava che quell’innocente ragazzina potesse essere davvero in grado di ricattare una persona: l’aveva decisamente sottovalutata.

Maria Vittoria non se lo fece ripetere due volte: diede uno spintone a Mr. Mercer che, nel frattempo, si era spostato accanto alla finestra, assistendo alla scena con sguardo confuso. L’uomo, non possedendo un grand’equilibrio a causa dell’altezza spropositata, non riuscì ad evitarsi la caduta. Non fece nemmeno in tempo a rialzarsi che la ragazza aveva già serrato la finestra, ridacchiando un “divertitevi a prendere il sole, piccioncini!”. Soffocò l’impulso di spaccare la finestra e prendere a calci la mocciosa fino a casa: del resto non era così stupido da non capire di trovarsi in una situazione scomoda. Maria Vittoria era stata molto chiara sul fatto che introdursi illegalmente in una scuola era un reato e che, qualora una persona priva di documenti come lui fosse stata arrestata, ci sarebbero stati problemi a non finire. Si decise che per il momento avrebbe aspettato, ma la mocciosa avrebbe fatto bene a pregare quel Dio che le piaceva tanto, fin tanto che ne aveva il tempo. Chissà se era davvero così buono da riuscire a salvarla…
 
*FOUR HOURS LATER*
‹‹Miss. Oneto, would you like to tell us about Heart of the darkness symbolism?››
‹‹Yes, of course Mrs. Parcher. Conrad’s main work is characterized by the contrast between black and white. Black is not only the colour of the natives’ skin and of Africa in general, especially as far as the darkness of the heart of the jungle is concerned, but also the “colour” of the colonisers’ souls. As a matter of fact, they exploit the native ones themselves and their natural resources, such as ivory, which is also called “the white gold” and contribute to the play with the colours black and white. The skin of the colonisers, instead, is white, but it doesn’t reflect their hearts, ‘cause the people who call themselves “civilizes” are the same who exploit and make the native ones suffer››
‹‹Yeah, good job, Mrs. Oneto! And… what about Mr. Della Mariga? Your class mate has just spoken about some important themes, such as colonialism, exploitation and civilization. Now, England has ever been one of the most civilized country, shall we say? Think also about the works we have studied this year. This exercise might be quite useful for this year final oral exam››
‹‹Well, to be honest, I’m not really sure about what you said, Mrs. Parcher. English, French, German, Sweden, Dutch and so on comes from barbaric people, such as Galli, Anglos, Saxons, Vikings… If they seem to be civilized, I’m sure they are only pretending. It’s embarrassing, I mean… just think about gilettes jaunes in France››

Tutta la classe annuì al suo commento, ma la professoressa d’Inglese non parve dello stesso avviso, dato che iniziò a sbraitare: ‹‹YOU, BLOCK-HEAD! WHY ARE ITALIAN PEOPLE SO IGNORANT? CAN’T YOU UNDERSTAND THAT UNITED KINGDOM INHABITANTS ARE THE MOST SOPHISTICATED, EDUCATED, POLITE AND RESPECTFUL IN THE WORLD?››
La pausa utilizzata dalla donna per riprendere fiato coincise con un fragore di vetri infranti. Come a voler sfatare le parole della donna, Mr. Mercer scavalcò la finestra con un ruggito che poco aveva di umano. L’uomo si era stufato di attendere senza far nulla (il suo compagno di spionaggio tremava alla sola vista di tutte quelle cicatrici e, dunque, non si stava dimostrando di grande compagnia), per non parlare del pensiero fisso che lo stava attanagliando da quando erano partiti di casa: l’arrosto con i funghi e le patate croccanti. Quando Maria Vittoria gli aveva detto che sarebbe uscita di scuola alle tre, pensava che stesse scherzando: quale regnante poteva trarre dei benefici dall’affamare dei ragazzi in piena crescita? Poteva capire le femmine, con quel poco che avevano da fare (A tal proposito, la mocciosetta si era appellata ad un passo di un’opera vecchissima e dimenticata, scritta in una lingua altrettanto inutile, che, se la memoria non lo ingannava, doveva chiamarsi “Orestea1”. A suo dire, se le donne nelle epoche passate non potevano uscire di casa, era colpa degli uomini: buona questa! Certo, le donne che uscivano di casa erano senza dubbio delle ragazze dai facili costumi e, dunque, ripudiate o lapidate, e quelle che non uscivano di casa erano degli esseri inutili che non avevano nemmeno l’iniziativa di lavorare per mantenere la propria famiglia o combattere al fronte. Ma questo cosa c’entrava? Ecco perché i suoi avi amavano ripetere che era bene che le donne non leggessero: gli venivamo delle strane idee in testa ed incominciavano a pensare2… roba da matti!), ma gli uomini? Era, forse, una manovra politica per innescare una rivolta?

Quando, poi, li aveva finalmente sentiti parlare in una lingua che conosceva, non aveva udito altro che insulti nei confronti della precedente attività del suo padrone. Questi Italiani… Mancavano decisamente del fiuto per gli affari. E poi si stupivano se il loro paese andava in banca rotta? Roba da matti… (Villano-razzista-schiavista-cafone-uomodegenere-masoprattuttoignorante! Nd: tutti)
Senza neppure una parola, si diresse a grandi passi verso il posto di Maria Vittoria (che nel frattempo cercava di nascondersi dietro un ridicolo quaderno rosa con sopra un panda-corno, fingendo di non conoscerlo). Giunto a destinazione, afferrò la poveretta, senza tanti complimenti, e se la caricò in spalla come un sacco di patate (alla faccia del “in braccio a mo’ di sposa” che tripudia nelle fanfiction), per poi avanzare verso la porta dell’aula come se niente fosse.
‹‹Sophisticated, educated, polite and respectful…›› Francesco citò la professoressa Parcher, prima di unirsi alle compagne terrorizzate.

All’interno della classe fu il delirio: gente che urlava, gente che si nascondeva, gente che implorava di prendere il compagno di banco che era bravo in matematica e di lasciare stare lui, gente che metteva al sicuro i vocabolari di latino e greco (con quel che costavano, ci mancherebbe!). Il professor Fellegara, terrorizzato all’idea di dover rimanere anche solo per un altro istante nella stessa stanza in cui si trovava quel tizio inquietante, preferì correre dalla preside e “costituirsi”. La professoressa d’Inglese se ne uscì con un elegante “Oh, My God!” ed una frase in inglese stretto che poteva essere tradotta con un “La nostra amata regina ne sarà molto addolorata”, prima di svenire sulla cattedra. Una bidella particolarmente arcigna (avete presente quelle che si lamentano anche solo se trovano una cancellatura per terra e ti domandano se pensi che spetti a lei pulire questo porcile? E tu ti domandi di che porcile stia parlando e se pulire una classe praticamente intonsa non sia, forse, il compito di una bidella) entrò per accertarsi della fonte dell’inaspettato baccano. Non che le importasse qualcosa delle vite dei suoi studenti, anzi: meno studenti significavano meno sporco e, quindi meno lavoro da parte sue. Il suo unico intento era quello di scuoiare vivo l’autore di tale danno e di costringerlo a ripulire il danno arrecato e il sangue schizzato durante lo scorticamento. La sola vista di Mr. Mercer, tuttavia, fu sufficiente a farla correre via a gambe levate, mentre urlava: ‹‹Non finisce qui!››.

Mr. Mercer fu profondamente colpito dall’audacia dell’unico uomo presente in aula, Francesco. Il ragazzo, nel medesimo istante in cui aveva udito l’infrangersi dei vetri, era corso a nascondersi dietro alcune compagne, e da lì non se ne era saputo più nulla. Dallo sguardo “carico d’ardore” che la mocciosetta gli aveva rivolto, persino Mr. Mercer comprese che doveva essere follemente innamorata di lui da una vita, … ma che non la calcolava manco di striscio. Che scena pietosa! Tra l’altro, il ragazzo, oltre che codardo era pure di brutto aspetto… che cosa ci trovasse in uno come lui era davvero un mistero.
In tutto questo, Maria Vittoria alternava richiami, rivolti all’uomo con il fine di fermarlo, a rassicurazioni per tranquillizzare i presenti: ‹‹Mr. Mercer, Mr. Mercer, MR. MERCER!›› l’uomo non diede segno di accorgersi né delle sue grida, né dei continui pugni e calci con cui gli stava tempestando petto e schiena.

‹‹Tranquilli, ripagherò tutti i danni!›› a quelle parole, il panico si arrestò per qualche istante e tutti i presenti sospirarono di sollievo. Persino la professoressa d’inglese riprese i sensi per un istante, per poi risprofondare nell’oblio. Erano proprio dei Liguri!
‹‹Mr. Mercer, si può sapere che vi è preso? Vi rendete conto che non potete fare irruzione in una classe e sequestrare un alunno, come se niente fosse?›› tentò di farlo ragionare lei, ma uno strascicato ‹‹Arrosto con patate›› fu l’unica cosa che ottenne dal gigante.
Come se non bastasse, la voce gutturale dell’uomo, unita a seri problemi di pronuncia dei termini italiani, portò gli alunni sconvolti a pensare che avesse detto “Allah, Alak Bar” (Sperando che si scriva così). Forse complice il terrore provato durante lo stage a Parigi, in cui la serata al teatro si era trasformata in una fuga dagli attentatori, ritennero che fosse un emissario dell’ISIS e si fecero prendere dal panico (Un’altra gita finita male per le classi del classico).

‹‹T-ti prego, non farci del male, s-signor t-terrorista›› si mise a supplicare una ragazza dai lunghi capelli castani e ricci.
‹‹N-noi siamo tutte atee, davvero!›› le diede manforte una compagna, sempre dai lunghi capelli castani e ricci.
‹‹Sì, l’ultima volta che ho messo piede in una chiesa è stato sei anni fa ad una visita guidata: mi hanno costretta, lo giuro!›› spergiurò l’ennesima ragazza dai lunghi capelli ricci e castani.
‹‹Se proprio volete prendervela con qualcuno, scegliete Mary: è l’unica cristiana, qua… se la uccidete le fate anche un favore, dato che i martiri della fede finiscono direttamente in Paradiso!>> tentò un’altra con le medesime caratteristiche delle precedenti, subito sostenuta da una folla di ragazzine con la stessa tipologia e colore di capelli (ragazze more e ricce in Italia? Ma che strano!).
‹‹Sì, sì: noi abbiamo votato all’unanimità di levare il crocifisso, ma lei ci ha brutalmente pestato… non ci ha lasciato altra scelta!›› le fece eco un’altra, questa volta bionda… Miracolo!
‹‹Ma non eravamo dodici a dodici? Vi ricordo che siete stati proprio voi atei a proporre questa soluzione, pensando che ci saremmo limitati a porgere l’altra guancia›› ribatté Mary, scioccata all’idea che le sue compagne l’avessero tradita così facilmente. Se lei fosse morta seriamente, voleva proprio vedere chi gli avrebbe passato le versioni. Disertori!
‹‹E poi lui non conosce nemmeno l’arabo: è Irlandese!›› gli fece notare Maria Vittoria, mentre continuava ad opporre resistenza. Non che servisse a granché, data la stazza dell’energumeno, ma tentar non costa nulla, no?
‹‹Del nord o del sud?›› domandò Francesco, apparso da chissà dove.
‹‹Non lo so, ma che importanza può avere…›› iniziò Mary, per poi rendersi conto, che se nel ‘700 non c’erano problemi a livello di attentati, nell’epoca moderna erano avvenuti non troppo tempo prima. Ma perché non ragionava prima di parlare: non poteva limitarsi a dire che era inglese? Resasi conto della gaffe, si affrettò a specificare: ‹‹Comunque non vedo dove sia il problema, dato che gli attentatori erano cattolici e, se lui fosse uno di questi di sicuro non se la prenderebbe con me… semmai quelli che dovrebbero preoccuparsi siete voi!››
Un attimo di gelo calò sulla classe. Tutti i dichiarati atei estrassero i santini e le medaglie miracolose che portavano nei dizionari, come segno di buon auspicio per non prendere l’ennesimo 1--- nelle versioni.

“Sono davvero senza speranza”, pensò Maria Vittoria, sconsolata, per poi rivolgersi di nuovo alla causa dei suoi problemi: ‹‹Mr. Mercer, dove pensate di andare? Vi rendete conto che non siamo nella vostra epoca? Un atto come questo non può restare impunito!››
‹‹Pensi davvero che quelle sciocche storielle sulle vostre forze dell’ordine saranno sufficienti a fermarmi?›› ribatté lui, senza minimamente scomporsi.
‹‹No, ma…››
‹‹Come se dei pubblici ufficiali perdessero il loro tempo per una cosa così stupida››
‹‹Non credo che…››
‹‹Per non parlare delle strane idee che hai di polizia e carabinieri… ma li hai presi per un qualche supereroe di quei tuoi stupidi libri dove ci sono più disegni che parole?››
‹‹Si chiamano fumetti, ma non…››
‹‹Lasciati dare un consiglio da una persona che ha viaggiato e di paesi ne ha visti: prima scendi con i piedi per terra e prima smetterai di illuderti e rimanere delusa››
‹‹Ma cosa c’entra…››
‹‹Credi alle mie parole: non è assolutamente possibile che dei poliziotti giungano fin qui in così poco tempo››
‹‹Dite così perché non avete visto…›› le parole della ragazza furono interrotte dal rumore tipico di una porta che viene scardinata con un calcio. Come a voler sfatare le parole di Mr. Mercer, due agenti si precipitarono nell’aula, urlando: ‹‹POLIZIA! CHE NESSUNO SI MUOVA, MANI BENE IN VISTA!››
‹‹l’auto dei carabinieri parcheggiata proprio davanti al bar, affianco alla biblioteca… Se aveste sfruttato meglio la vostra postazione sul tetto, ve ne sareste accorto anche voi›› terminò la frase la ragazza.

Ora erano seriamente nei guai: come faceva a spiegare ai due agenti che Mr. Mercer non possedeva i documenti, ma non era un clandestino? O meglio, lo era diventato, dato che era un cittadino straniero e di un’altra epoca, per giunta, ma si trattava di una situazione particolare. E poi come dimostrava che l’uomo non era un maniaco assassino introdottosi nella struttura con l’inganno? A maggior ragione, perché era proprio quello che era capitato…
Sarebbe stata una luuunga giornata.
*****
Anno 2019, 7 gennaio, h 23,30
Genova, Italia (casa di Mary)


Avete presente quando Lucia e Renzo ne’ “I promessi sposi” dicono di sentire la necessità di trovare il “sugo di tutta la storia” e tutti gli studenti si lamentano chiedendosi chi mai farebbe una cosa del genere e parlano di costrizioni dell’autore? Bene, Maria Vittoria l’aveva sempre pensata in questo modo. O, almeno, lo pensava prima di ciò che era accaduto quel giorno.
Tanto per offrire ai lettori un’idea un poco più chiara di ciò che era successo dopo l’arrivo degli agenti, i due erano stati portati in centrale ed interrogati in due stanze separate. Dopo una breve analisi della situazione, gli agenti avevano subito compreso che qualcosa non quadrava all’interno della vicenda. Da quando in qua una ragazzina di diciotto anni accettava spontaneamente di accogliere nella propria casa un cinquantenne dall’aria losca e dall’infelice propensione per alzare le mani, specie contro lei medesima (in quindici minuti di viaggio dalla scuola alla centrale l’aveva colpita in testa o nello stomaco una cosa come 37 volte, senza un motivo apparente). Per non parlare del fatto che l’uomo non parlava italiano, non portava documenti e nessuno, all’interno della scuola, sembrava conoscerlo. A dire la verità, la metà della scuola credeva di poter affermare con sicurezza che Maria Vittoria Innocenti non aveva mai permesso a nessun maschio di entrare o rimanere in casa sua oltre la mezzanotte (e prima solo per validi motivi, quali infortuni gravi, lavori di gruppo e/o sedute di studio compulsivo). Un agente aveva provato a chiamare i genitori, per cercare di capire se, almeno loro, erano a conoscenza della bizzarra situazione in cui si trovava la figlia, ma non avevano risposto e, dopo undici ore, nessuno aveva ancora chiamato.

Se non fosse stato per una telefonata del segretario del primo ministro francese, che conosceva personalmente la preside di Mary, Mr. Mercer probabilmente non avrebbe più visto la luce del giorno (già che c’era aveva tramortito cinque agenti e spaventato a morte una signora delle pulizie). Inoltre, la scuola si prodigò per ritirare la denuncia nei confronti dell’uomo (essere un uccellino di Jafar aveva i suoi vantaggi) ed i suoi compagni di classe convinsero i propri genitori a fare lo stesso (che si sentissero in colpa per averla “sacrificata” all’attentatore irlandese?).
L’unica a continuare a mettergli i bastoni fra le ruote era, come volersi a dimostrare, la bidella del settimo piano. Tra parentesi, era saltato fuori che era stata proprio lei a chiamare il 112. Fortunatamente, Maria Vittoria era l’unica studentessa tollerata dall’arcigna signora. Le fu sufficiente un vassoio di cupcakes mele e cannella per ottenere la sua collaborazione e il suo silenzio.
La storia si concluse con una severa tirata d’orecchie per Mary (nemmeno gli agenti avevano il coraggio di fare una lavata di capo a Mercer) e con la promessa di altre crostatine con crema pasticcera e lamponi il giorno successivo. Se sommate alla 7 torte di mele per gli altri bidelli (di cui quattro dietetiche… lascio a voi l’arduo compito di capire se fossero destinate alle donne o agli uomini), la Galette de Rois per la preside, i cannoli alla ricotta e pistacchio per i compagni di classe, la Saint Honoré per Jafar e i pasticcini per gli eventuali altri rompi scatole, avrebbe dovuto cucinare tutta la notte senza sosta (e ce l’avrebbe fatta solo se fosse riuscita ad accendere il forno a legna e un paio di falò di sopravvivenza in giardino). Oltretutto non aveva ancora ricevuto gli ordini (in entrambi i sensi del termine) di Lord Beckett e dei suoi uomini, che se ne approfittavano sempre…

Giunsero a casa alle 23,30 e cenarono a mezzanotte. O, almeno, Mr. Mercer cenò, perché lei non ebbe nemmeno il tempo per respirare, data la catervata di dolci da sfornare. Per lo meno, verso le due Mr. Mercer, mosso a pietà dai tentativi falliti della ragazza di accendere l’accendino (figurarsi il fuoco), si prodigò per aiutarla a disporre la legna e accendere il tutto. O forse temeva solo che, se non ci fosse riuscita, avrebbe continuato a fare baccano per tutta la notte. Quel giorno si era già dovuto sorbire le ciance di una domestica che, approfittandosi del fatto che fosse ammanettato ad una sedia, gli aveva raccontato tutta la sua vita. Non c’era da stupirsi se, poi, aveva cacciato un urlo tale da farle infilare un piede nel secchio e correre a perdifiato giù dalle scale in quelle condizioni.

Morale della favola:
  1. Mai sottovalutare un uomo affamato.
  2. Mai ricattare un professore. Riuscirà a ribaltare la situazione a proprio vantaggio anche se tutte le prove sono contro di lui (i sindacati sono estremamente potenti)
  3. Mai sottovalutare una donna che promette vendetta. Quando udite la frase “Non finisce qui!”, tenete presente che significa “Non finirà mai”.
  4. Mai dare dell’irlandese o dell’inglese ad uno scozzese. Passerà il resto della propria esistenza terrena ed ultraterrena a perseguitarti.
  5. Mai fare assaggiare del cibo italiano ad uno straniero, specie se quello sostiene che la propria cucina sia la migliore. Scioccato dalla cruda verità, non ti lascerà più in pace.
*****
 
Anno 2019, 12 gennaio, h 05,30
Genova, Italia (casa di Mary)
 

Dicono che il buon giorno si veda dal mattino, il che significava che Maria Vittoria avrebbe avuto un’altra pessima giornata. La sera prima aveva deciso di rimanere alzata fino alle due e mezza per studiare, sapendo che il giorno successivo avrebbe potuto dormire fino alle 7, dato che il suo unico impegno del sabato era il karate alle ore diciotto. Aveva puntato la sveglia alle sette, unicamente per preparare la colazione a Mr. Mercer, che, anche quando faceva tardi, non si alzava mai dopo le 7,30. Mary si sentiva in colpa da morire all’idea che l’uomo si sentisse in dovere di sorvegliarla anche quando studiava fino a tardi. Aveva provato a dissuaderlo più volte e, ricevendo sempre un brusco rifiuto (brusco perché il “no” in Mercerese si traduceva con una botta secca in testa), aveva provato a rivolgersi direttamente a Cutler Beckett. Quest’ultimo, tuttavia, l’aveva rassicurata spiegandole che, a causa dei lunghi anni trascorsi come spia in Oriente, aveva imparato a conservare le energie in modo tale da dormire non più di tre ore ogni tre giorni. Anche durante i periodi di riposo, e nonostante gli anni passassero anche per lui, non riusciva mai a riposare per più di quattro o cinque ore per notte.

Mary sapeva quando era il caso di arrendersi, ragion per cui, ufficialmente, non si lamentava più della sua pressante presenza anche nel cuore della notte, ma, in realtà, spesso si ritirava nella sua stanza prima del tempo e poi proseguiva a studiare sotto le coperte con l’ausilio di una torcia elettrica. Era consapevole che tale abitudine avrebbe potuto comprometterle drasticamente la vista, ma cos’altro poteva fare? (Avviso: NON FATELO MAI: conosco gente che ha perso anche sei decimi, facendo una cosa così stupida… ed io sono tra quelli)
Tutto questo per dire che Maria Vittoria, la sera prima era andata a letto con il sorriso sulle labbra, al solo pensiero di potersi, finalmente, godere qualche ora di meritato riposo. Immaginatevi, dunque la sua delusione quando fu letteralmente sbattuta giù dal letto dal coinquilino alle 5,30. Inizialmente, non capì bene cosa stesse succedendo, ragion per cui, si arrischiò a domandare, con la voce ancora impastata dal sonno: ‹‹Che ore sono?››

‹‹5,30›› Mr. Mercer era sempre molto prolisso.
‹‹Oh, bene: posso dormire ancora un’ora e mezza. Che fortuna!›› esclamò lei, contentissima, risalendo sul letto, con gli occhi ancora chiusi. Era talmente stanca che non si accorse nemmeno di essersi sdraiata sulle doghe del letto, dato che il materasso era stato trascinato giù dal letto da Mr. Mercer.
‹‹Non stai dimenticando qualcosa?›› fece Mr. Mercer a metà tra il seccato ed il divertito.
‹‹Mm… ma certo, il cuscino! Mi sembrava di essere un po’ scomoda, in effetti…›› non riuscì a terminare la frase che si sentì uno “SPLASH”, seguito una sensazione di freddo pungente. Immediatamente riaprì gli occhi, rendendosi finalmente conto della situazione in cui si trovava.
‹‹M-Mr. Mercer, ma perché l’avete fatto? Stavo dormendo così bene…›› domandò lei, confusa oltre ogni limite.
‹‹Non posso credere che abbiate dimenticato l’appuntamento con Lord Beckett! Avete una vaga idea di quante persone decisamente più importanti di voi darebbero l’anima per avere la vostra stessa opportunità?›› dire che il signor Mercer fosse furioso era un eufemismo.
‹‹Cavoli, cavoli, cavoli! Me ne ero completamente scordata… ecco perché ieri sera avevo la sensazione di dovermi mettere avanti con lo studio!›› realizzò, finalmente, lei. Nei giorni precedenti erano capitate tante di quelle cose che aveva completamente perso il senso del tempo.

‹‹Meno male che mi avete svegliata: se metto subito all’opera riuscirò sicuramente a terminare la ricerca sul Mausoleo di Qin Shi Huang in tempo per il tè delle cinque. Se non ci sono imprevisti, riuscirò persino ad arrivare a Karate puntuale, evviva! Io amo il sabato!›› esclamò Mary, ritrovando subito il buon umore.
“Per essere una mocciosa viziata, si accontenta di poco”, pensò Mr. Mercer, un poco confuso dal repentino cambiamento emotivo della ragazza. Vedendola così allegra, l’uomo sfoggiò un ghigno sadico di cui, però, lei non parve avvedersi, troppo concentrata a riordinare e darsi da fare per terminare il lavoro in tempo per l’ora concordata.
 
*ELEVEN HOURS LATER*
‹‹Lord Beckett, Mr. Mercer e la signorina stu… hem, volevo dire Miss Mary sono appena arrivati›› a recare la notizia, la piccola Charlotte, che da quasi due settimane aveva iniziato a lavorare alla magione in sostituzione di Celeste, la domestica che era stata promossa a vice governante per aver salvato la reputazione di Beckett e Mercer. Tommy, invece, ufficialmente era stato impiegato come paggetto, ma in realtà era diventato la nuova mascotte della servitù e veniva rigorosamente viziato da servitori e soldati. Eduard, dal canto suo, era stato praticamente costretto ad iniziare l’addestramento per diventare membri della fanteria britannica. Certo, di solito non venivano accettati candidati di età inferiore ai 16 anni, 15 solo in casi eccezionali, ma Eduard ne dimostrava un paio in più rispetto a quelli effettivi (sia fisicamente che dl punto di vista della maturità) ed inoltre era stato raccomandato da Mr. Mercer. L’uomo era rimasto particolarmente colpito dalla tempra del ragazzino, nel momento in cui era andato a “prelevare” Maria Vittoria. Per quanto giovane, si era dimostrato uno dei pochi abbastanza coraggiosi (o stupidi) da sfidarlo apertamente, pur trovandosi in una situazione estremamente precaria.

Come erano passati dall’essere prigionieri a rischio impiccagione per favoreggiamento alla pirateria a fedeli impiegati presso Lord Beckett, vi domanderete? Beh, basti dire che, da quando Maria Vittoria era riuscita a prendere confidenza con Cutler Beckett (dopo cinque minuti di discorsi su quale potesse essere la giusta teoria sull’origine della popolazione etrusca), non aveva fatto altro che implorarlo, scocciarlo, tormentarlo, perseguitarlo affinché li risparmiasse. L’uomo aveva infine ì ceduto, pensando che sarebbe finita lì, ma, ahi lui, la battaglia legale di Mary contro l’”impiccagione minorile” ingiustificata era appena iniziata. In meno di due settimane dal suo arrivo nel ‘700, era già riuscita a far scarcerare e “reintrodurre nella società” quasi 87 ragazzi di età compresa tra i quattro e i quattordici anni. Inizialmente aveva intercesso per i bambini più piccoli, appellandosi alla teoria per cui, se il Lord li avesse graziati e gli avesse trovato una famiglia o un futuro lavoro, essi non solo non sarebbero ricaduti negli errori dei genitori, ma gli sarebbero stati fedeli a vita. Giorno dopo giorno, tuttavia, aveva iniziato ad alzare gradualmente l’età dei “graziati” e, anche se ciò non era affatto passato inosservato agli occhi di Beckett, quest’ultimo l’aveva lasciata fare, sconfitto dalla sua testardaggine. Al momento il patto implicito era che Maria Vittoria aveva il permesso (corredato di pergamena con sigillo nobiliare incorporato, che faceva una discreta scena) di intervenire nelle sentenze pronunciate nei confronti di minori di ventun anni, nei casi in cui non sussistessero prove di un loro coinvolgimento nei crimini di cui erano accusati. Tuttavia, al suo primo errore di giudizio, il permesso sarebbe stato revocato ed anche i bambini sarebbero ritornati a morire come prima. Sotto la pressione di questa minaccia implicita, Mary si premurava di parlare più volte con ciascun candidato, nella speranza di comprendere le sue reali intenzioni. Per ora, fortunatamente, di ragazzi così vogliosi di abbandonare una vera casa e la speranza di un futuro migliore per dedicarsi ad una vita incerta fatta di arrembaggi e pericoli di ogni sorta, non ne aveva ancora trovati.

Perché Lord Beckett le aveva fatto una così grande concessione pur conoscendola da così poco tempo (e non essendo la ragazza in questione di bell’aspetto. Se a farne richiesta fosse stata una signorina Kardashian, ho come la vanga impressione che avrebbe accettato senza esitare. Nd: me), vi chiederete. Tenete conto che un vero tiranno, per mantenere il potere deve compiere una scelta: essere amato o temuto. La prima scelta, come ben immaginerete, risulta sempre la migliore, specie se a tentare il colpo di stato è, probabilmente, l’unico anglosassone alto un metro e un barattolo, nonché proprietario della temutissima armata… Compagnia delle Indie Orientali. Un mercante? Imbarazzante.
Tra l’altro, non era che al suo arrivo avesse fatto proprio un gran figurone, rovinando le nozze più attese dell’anno (immaginatevi cosa sarebbe accaduto se Donald Trump avesse impedito il matrimonio tra Megan e Kate… sottolineo che si tratta solo di un esempio che contenga i nomi di un nobile e una persona comune e di un grande azionista che possano essere conosciuti da tutti i lettori. Mai mi azzarderei a dare del tiranno a delle persone che nemmeno conosco. Nd: me) ed a rovinare ulteriormente la sua reputazione ci pensava la perpetua del pastore di Port Royal. Maledetta vecchiaccia: non poteva, che so, prendersi un colpo della strega e togliersi dalle scatole? Probabilmente, era chiedere troppo.

‹‹Ottimo tempismo: falli entrare pure, Charlotte›› le sorrise lui. Anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno con Mr. Mercer, si era affezionato subito alla piccola peste… e non solo perché dava il suo bel da fare ai suoi uomini. Dovevate vedere come si infuriava quando ne beccava uno entrare nella residenza senza essersi prima tolto le scarpe. Si posizionava a gambe divaricate sulla soglia, mani chiuse a pugno appoggiate sui fianchi, e iniziava a strillare con un’adorabile vocina infantile che avrebbe messo il sorriso a chiunque.
Come la bambina se ne fu andata, ogni traccia di gioia si estinse dal volto perennemente serio e depresso dell’uomo. Non che Mr. Mercer e Mary fossero propriamente di bell’aspetto, ma un giorno avrebbero anche potuto offendersi seriamente per questo suo modo di manifestare le preferenze così apertamente.
‹‹Avete portato ciò che vi avevo chiesto?›› domandò lui, con voce monocorde, mentre sorseggiava il suo tè.

‹‹Sì, signore›› annuì prontamente la ragazza, per poi allungargli un foglio ed un pennino con l’inchiostro: ‹‹ma prima, dovreste farmi la cortesia di mettere una firma qui››
Cutler Beckett sollevò un sopracciglio, perplesso: “E questo da dove saltava fuori?”.
‹‹Non fate quella faccia, hahaha. E’ solo una postilla per assicurarmi che prendiate visione del fatto che tutte le informazioni che riceverete su questo caso non potranno essere utilizzate per recuperare i resti che tanto vi affascinano››
‹‹E perché mai?›› domandò Beckett, senza neanche guardarla negli occhi. Ottimo: ora veniva anche snobbata per una tazza di tè! Ora sì che la sua autostima si sarebbe risollevata!
‹‹Perché nemmeno nel 2019 si possiedono ancora gli strumenti necessari per entrare all’interno del mausoleo senza comprometterne i fragili equilibri interni. Sono sicura che un’amante della storia e delle culture antiche come lei non rischierebbe mai di mettere a repentaglio la qualità di preziosi reperti archeologici che potranno essere ammirati dai posteri››
Vedendolo annuire stancamente, cercando di dissimulare la delusione, la ragazza si affrettò ad aggiungere: ‹‹Però potete divertirvi a tramandare ai vostri eredi le informazioni sulla sua ubicazione e chiedergli di fare lo stesso e così via, finché nel 1974 uno di loro si recherà in Cina e spiffererà tutto ad un contadino del luogo. Non la diverte l’idea di contribuire ad una scoperta archeologica da dietro le quinte?››
Tale affermazione lo fece sorridere: ‹‹Poi magari un giorno si scoprirà che questo è ciò che è realmente accaduto››
‹‹Non dite così, che altrimenti passo tutta la notte a pensarci›› ridacchiò lei, anche se in cuore suo pensava che, in realtà, poteva benissimo essere andata così.
In quel preciso istante, la campana suonò le cinque e Maria Vittoria si ricordò del Karate: ‹‹Ottimo: se parto adesso, riesco anche ad arrivare in tempo per la lezione di karate›› cinguettò felice, sistemandosi meglio il borsone sulla spalla.

Cutler Beckett osservò la sua reazione, stranito: ‹‹Karate? Mi sembrava che vostra madre avesse detto che, qualora non vi foste comportata bene, non avreste potuto andarci››
‹‹C-cosa? Ma che cos’ho fatto di male?›› domandò lei, scioccata. Da quando Mr. Mercer era entrato nella sua vita, non aveva fatto altro che subire ingiustizie ed angherie di ogni tipo. Non vedeva proprio che cosa ci fosse da rimproverarle quel giorno.
‹‹Pensate davvero che Mr. Mercer non mi abbia raccontato ciò che è accaduto giovedì notte?›› ora il ghigno malefico di Mr. Mercer trovava una sua giustificazione.
‹‹Perché, che cos’è accaduto di strano?›› domandò lei, perplessa. Del resto, in due settimane le erano capitate più disgrazie di quelle che le erano capitate nel resto della sua vita. Era comprensibile che non riuscisse a metterle in ordine cronologico.
‹‹La parola ladri vi dice qualcosa?›› domandò lui, intrecciando le dita e posandovi sopra il capo, con fare esasperato.
‹‹Mhh… no, non direi. Ah, no, aspetti, se è per il tizio con la maschera da Pulcinella che ho preso a padellate nel cortile, le posso assicurare che…››
‹‹Ma di che cosa state parlando?›› si riscosse lui, allibito dall’involontaria rivelazione.
‹‹Ah, no, scusate, quello è successo tre settimane fa… fate conto che io non abbia detto nulla›› si corresse lei, imbarazzata.

Lord Beckett preferì pensare che Maria Vittoria avesse confuso un incubo con la realtà e decise di continuare: ‹‹Mi riferivo a quando siete corsa in giardino per affrontare la banda, ignorando deliberatamente gli ordini del signor Mercer››
‹‹M-ma l’ho fatto per una buona motiva…›› tentò di mediare lei, ma fu subito interrotta dall’uomo: ‹‹Non mi interessa il perché abbiate fatto una cosa così sciocca, quanto piuttosto il fatto che abbiate messo a rischio la vostra vita. E su questo non ci sono scuse.››
‹‹M-ma…›› tentò di dire lei, ma la sentenza di Beckett fu più veloce: ‹‹Niente ma: Sei… come si dice dalle vostre parti?››
‹‹In punizione?›› cercò di indovinare lei, perplessa. Tra l’altro era fantastico il come passasse dal darle del “voi” al “tu” a seconda del suo umore.
‹‹Intendevo un qualcosa di un po’ più macabro e agghiacciante, ma mi sta bene›› annuì lui con convinzione.
‹‹Agghiacciante è quello che avete appena detto… perché la vostra espressione mi suggerisce che non steste affatto scherzando?›› domandò lei, con un velo di preoccupazione nella voce.
‹‹Oh, sciocchezze: non curatevi delle parole di un uomo stanco›› disse lui, senza tuttavia perdere quell’espressione diabolica ‹‹Come si dice dalle vostre parti in questi casi?››
‹‹V-vai in camera tua?›› provò lei, titubante.
‹‹Stavo per dire in gattabuia, ma effettivamente, sapendo di avere a che fare con una bambina, avrebbe comunque un senso›› si trovò a concordare lui.
‹‹Hey!››

A quel punto intervenne Mr. Mercer: ‹‹Su, forza, non farmi perdere tempo>> Si vedeva lontano un miglio che ne aveva piene le grazie di doverle fare da bambinaia. Erano due giorni che attendeva un passo falso da parte sua per avere la scusa per levarsela dalle scatole.
Mary ebbe l’illuminazione: ‹‹Okay, se proprio devo…›› e fece per infilarsi sotto il letto, ma fu prontamente afferrata dall’uomo.
‹‹Esci immediatamente da lì, non farmi perdere la pazienza (che non ho). E poi è alquanto inappropriato per una ragazza stare in quella posizione. Non puoi proprio fare a meno di esibirti in atteggiamenti indecenti?›› le urlò contro lui.
‹‹No!››
‹‹Come no?!››
‹‹Intendevo che non posso farne a meno perché sono incastrata, non perché lo voglio›› fu costretta a spiegare lei, imbarazzata.
‹‹Come?››
Nel mentre, la ragazza borbottava cose, come “Maledette tette!” e “Appena compio ventun anni faccio la riduzione e vi sistemo io… poi vedremo chi la spunterà”.
Mr. Mercer, sconsolato, la tirò fuori senza troppa fatica. Quella ragazza era davvero un caso disperato.

‹‹E comunque, voi non siete mio padre: non potete mandarmi in camera mia, dato che io non abito qui›› borbottò la ragazzina, rivolgendosi a Lord Beckett con un’espressione imbronciata che non aveva nulla ad invidiare a quella di un bambino di tre anni.
‹‹Avete ragione›› disse Beckett, avvicinandosi lentamente e sfiorandole il viso con l’indice. Terrorizzata, cercò di indietreggiare, ma quell’infame di Mr. Mercer non sembrava per nulla intenzionato a mollare la presa. “Ecco, ora mi strozza, anzi, mi squarcia la giugulare, anzi, mi cava gli occhi con le forcine che utilizza per fissare la parrucca, anzi…” Maria Vittoria non fece in tempo a pensare a tutti i terribili scenari, che udì Cutler Beckett pronunciare una frase che la lasciò sbigottita: ‹‹Miss Innocenti, andate subito in camera… di Mr. Mercer, sì, di Mr. Mercer!››
‹‹Che cosa?!?›› esclamarono i due contemporaneamente.
E pensare che era accaduto tutto per colpa delle leggi italiane…
 
*FLASH BACK*
Avete presente quando, dopo un incubo vi svegliate e vedete il mostro che tanto vi spaventa proprio davanti a voi, ma poi vi svegliate e vi rendete conto che si trattava solo di un altro sogno? Ecco, immaginatevi che, invece, di scomparire, il motivo delle vostre ansie rimanga proprio lì, nitido davanti ai vostri occhi. Chiunque rischierebbe di uscire di senno e questo è proprio ciò che stava capitando a Maria Vittoria, da qualche giorno a questa parte.

Per quanto cercasse di dissimulare le sue emozioni, essere consapevole di avere solo una parete di pochi centimetri a separarla dall’uomo che a Port Royal le aveva fatto passare le pene dell’inferno, non l’aiutava certo a dimenticare. Di giorno cercava di nascondere gli attacchi d’ansia, esibendosi in gaffe anche peggiori del solito, ma di notte non aveva scampo. Il buio non faceva altro che acuire i suoi sensi e le sue paure. Le bastava uno scricchiolio per iniziare a tremare come una foglia, all’idea che Mr. Mercer si fosse acquattato nel buio con l’intento di pugnalarla non appena si fosse addormentata. E questo era l’altro motivo per cui tendeva a restare sveglia più del solito: lo studio la distraeva da spiacevoli pensieri.
Purtroppo, però, in quanto comune mortale, necessitava anche lei di qualche ora di sonno e, ogni volta che cedeva alla stanchezza, sognava di ritrovarsi in quella cella buia piena di ragni, topi e, talvolta persino serpenti. Poi entrava Cutler Beckett che, a volte ordinava a Mercer di picchiarla ed altre di strangolarla ma, qualunque fosse la variante dell’incubo, alla fine la stanza si trasformava nell’entrata dell’Ade. Sulla riva dell’Acheronte su cui si trovava compariva Mr. Mercer con gli occhi di bragia, come Caronte, che la colpiva con un remo, spingendola nel fiume e guardandola affogare con un ghigno divertito sul volto.

Si svegliava di soprassalto, soffocando un urlo e, una volta aperti gli occhi, si ritrovava faccia a faccia con il suo peggiore incubo. A volte si metteva ad urlare come una scema, ma altre sveniva direttamente, senza tante cerimonie.
Mr. Mercer, dal canto suo, udendola urlare nel cuore della notte, la prima volta era sinceramente accorso per controllare cosa stesse succedendo, ma già dalla seconda andava solo per godersi la sua reazione. Del resto, spaventare donne e bambini era sempre stato il suo hobby, nonché il motivo per cui aveva intrapreso la “carriera” di sicario professionista.
Quella notte, tuttavia, a svegliare l’uomo non erano stati gli strilli della ragazza, quanto lei in persona che, abbracciato il coraggio a due mani, si era decisa ad entrare in camera sua e scuoterlo gentilmente. La prima mossa dell’uomo fu quella di afferrarle il braccio e scaraventarla sul letto, mentre le puntava una lama alla gola. E tutto questo prima ancora di svegliarsi… che riflessi! Accortosi, tuttavia di non trovarsi in missione, ma nella casa della mocciosa, fece due più due e ripose l’arma, con un gesto stanco.
‹‹Se pensi che mi abbasserò a raccontarti una storia della buona notte per conciliarti il sonno hai sbagliato persona…›› iniziò ad ammonirla lui, ma si zittì non appena udì dei rumori provenienti dal cortile sul retro.

‹‹I tuoi ti hanno avvisato che sarebbero arrivati stanotte?›› le domandò lui, anche se già ipotizzava uno scenario ben differente.
‹‹No, uno si trova a New York e l’altra a Parigi. Non si faranno vivi per almeno altre due settimane›› la ragazza confermò, così, i suoi sospetti.
L’uomo annuì, per poi afferrare il fucile e la tracolla in cui teneva proiettili e polvere da sparo: ‹‹Vado a controllare, tu rimani qui fino a nuovo ordine e tieniti lontana dalle finestre››
‹‹N-no, aspettate un attimo: dove pensate di andare con quel fucile?›› gli corse dietro lei, preoccupata.
‹‹Non mi succederà niente: sono abituato ad affrontare decisamente di peggio che un manipolo di ladruncoli da quattro soldi›› la rassicurò lui, annoiato. Da quando in qua la mocciosetta si preoccupava per lui?
‹‹Lo so, è per loro che mi preoccupo›› affermò lei, sicura, facendo cadere le braccia all’uomo. Ecco, per l’appunto non si preoccupava affatto per la sua sorte.
‹‹Da quando in qua una vittima parteggia per dei delinquenti?››
‹‹Non lo dico mica per loro! Cioè, preferirei che non ci fossero spargimenti di sangue, ci mancherebbe, ma non è questo il punto… In Italia la legge sulla legittima difesa è piuttosto controversa e dobbiamo leggerla attentamente prima di agire… Non so voi, ma io non ho nessuna intenzione di finire in galera a vita›› disse lei, andando subito a recuperare il codice penale di scorta della madre (fortunatamente, aveva studiato giurisprudenza).

‹‹Cioè, fatemi capire: in Italia se qualcuno entra in casa vostra per derubarvi e/o farvi del male voi non potete sparare?›› domandò l’uomo, perplesso.
‹‹Nemmeno ferirlo, se è per questo. Già dimostrare di aver agito per legittima difesa è difficile, specie se non vi sono testimoni. Se, poi, aggiungiamo le modifiche al codice penale del 4 maggio 2017, le cose si complicano ulteriormente››
‹‹Che cosa suggerisci di fare, quindi?›› domandò Mr. Mercer, che nel mentre si era seduto sulla poltrona e aveva appoggiato il fucile. Ormai la conosceva abbastanza bene da capire che quando si metteva qualcosa in testa era praticamente impossibile farle cambiare idea. Inoltre, l’ultima volta che non l’aveva ascoltata sul tema “polizia” aveva rischiato di mettere nei guai Lord Beckett.
‹‹Leggiamo gli articoli 52 e 59 del codice penale e poi decidiamo il da farsi›› disse lei, con fare deciso, spostando una sedia accanto alla poltrona e accendendo la luce da studio.
‹‹Ma i ladri non riusciranno ad entrare, nel frattempo?›› le fece notare lui, perplesso.
‹‹Nah, per segare le inferiate occorrono circa 30 minuti, e la porta d’ingresso è blindata, il che significa che è estremamente difficile scassinarla››
‹‹Se lo dite voi…›› acconsentì lui, sempre più incredulo.
‹‹E speriamo che la polizia arrivi presto, nonostante l’allerta rossa››
‹‹Se ce l’hanno fatta i ladri, suppongo che ci riusciranno anche loro. Del resto i meccanismi delle vostre automobili sono davvero avanzati››
‹‹Avete ragione… Speriamo in bene››
 
*IN THE MEAN TIME*
A mezz’ora di macchina dal punto in cui si trovava l’abitazione di Maria Vittoria, a causa della forte pioggia, un grosso macigno era caduto sulla strada, bloccando l’unica via percorribile. Gli agenti Rossi e Bianchi (ovviamente li avevano accoppiati di proposito… talvolta la direzione dimostra un discreto senso dell’umorismo), casualmente gli stessi che pochi giorni prima li avevano arrestati a scuola, avevano ricevuto la chiamata dalla centrale ed erano subito partiti per controllare. Ed ora si trovavano impossibilitati a procedere e non potevano nemmeno confidare nel supporto aereo, dato che il mal tempo rendeva impossibile persino le partenze degli aerei più grandi. Figuriamoci gli elicotteri…

‹‹Ma solo Innocenti poteva ritrovarsi in una situazione del genere, belin! Tu hai mai sentito di ladri che tentassero il colpo nella casa di una famiglia di medio-bassa estrazione sociale con una c***o di allerta rossa?›› domandò Bianchi al collega, mentre parcheggiava l’autovettura in una zona apparentemente più sicura delle altre.
‹‹Non scherziamo! Perché secondo te, con questo tempo qualcuno sarebbe così folle da raggiungere una zona a costante rischio frane?›› gli fece eco l’altro, mentre afferrava la radiolina per contattare la centrale ed informarla sugli sviluppi.
‹‹Ora ci tocca aspettare che arrivino i rinforzi, anche se con la c***o di fortuna che abbiamo, le ruspe non riusciranno a percorrere questa strada prima delle undici.›› sbottò Bianchi, sbattendo le mani sul volante, sempre più arrabbiato. Ma era mai possibile che i casi di squilibrati toccassero sempre a loro? (Un altro caso di possesso da mugugno genovese? Nd: me)
‹‹Mmh… se questo vento non diminuisce, temo che ci vorrà anche di più›› constatò Rossi, abbassando il sedile e preparandosi ad attendere per quelle che si prospettavano essere ore. Tra i due, sembrava essere quello che aveva preso la situazione con maggior filosofia.
‹‹Spero per lei che non si tratti solo di uno stupido scherzo…›› bofonchiò l’altro, mentre imitava la mossa del collega. Del resto nemmeno lui aveva voglia di passare cinque ore ad esternare le proprie frustrazioni personali nei confronti della società odierna.

‹‹Il nostro dovere è comunque quello di rispondere alle richieste d’aiuto di chiunque. E’ questo il motivo per cui abbiamo scelto di portare la divisa, nonostante sapessimo che saremmo stati insultati o presi di mira da almeno la metà di quelle stesse persone che tentiamo costantemente di proteggere. Se venissimo meno a questi principi, finiremmo con il diventare l’ennesimo caso di agenti poco diligenti o corrotti che, giorno dopo giorno, fanno diminuire la fiducia dei cittadini nei confronti delle forze dell’ordine›› a queste parole, Bianchi non seppe ribattere. Si limitò ad annuire stancamente, per poi prendere il telefono e controllare l’orario: le 5 e 37. Ancora quattro ore e 23 minuti di attesa. Se erano fortunati.
‹‹E se non si tratta di uno scherzo, spero sinceramente che la signorina Innocenti se la cavi. In cinque ore potrebbe accadere di tutto e lei può contare solo sull’aiuto di quello squilibrato che non parla nemmeno la nostra lingua. Chissà come sarà spaventata, in questo momento…››
 
*IN THE MEAN TIME*
‹‹Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno.›› finì di leggere Maria Vittoria, per poi cercare di tradurre le informazioni in inglese, in modo che anche Mr. Mercer potesse capire.
‹‹Quindi, se ho capito bene, possiamo difenderci solo se uno: l’aggressione è commessa di notte›› iniziò a ricapitolare lui, sistemandosi meglio gli occhiali sulla punta del naso. A cosa gli servissero, poi, era un mistero, dato che l’uomo aveva già serie difficoltà a leggere nella sua lingua, figuriamoci il testo di una legge italiana.
‹‹E noi non abbiamo prove che si tratti di un’aggressione finché non entrano in casa e riusciamo a filmarli nell’atto di rubare o cercare di ferirci›› completò per lui la frase.
‹‹In più ormai sono quasi le sei, e non credo che nemmeno per voi uomini moderni, questo orario sia da considerarsi parte della notte›› constatò lui.
‹‹Temo anch’io›› confermò lei.

‹‹Andiamo avanti… due: solo dopo che si sono introdotti nella proprietà››
‹‹E immagino che finché non avranno finito di segare le sbarre, la difesa potrà appellarsi al fatto che erano entrati nel mio giardino solo perché stavano cercando il pallone da calcio›› ragionò Mary.
‹‹Esattamente. E quindi ci ricolleghiamo al primo punto, dicendo che ci conviene attendere che siano dentro prima di agire›› concordò lui, per poi continuare: ‹‹ma ci potremo difendere solo se avranno arrecato violenza alle cose o alle persone››
‹‹Ed immagino che non potremo dimostrarlo prima che abbiano caricato qualcosa sul loro mezzo›› fece lei, pensierosa.
‹‹Oppure potete offrirvi volontaria per farvi pestare, mentre io filmo la scena per avere delle prove… sennò quelli sono capaci di dire che vi siete fatta male di proposito o siete caduta dalle scale››
‹‹M-ma Mr. Mercer!››
‹‹In alternativa, potrebbero anche attentare alla vostra virtù, ma dubito fortemente che qualunque persona con un minimo di cervello potrebbe essere interessata ad una mocciosa… parecchio bruttina, per altro›› il bello era che o era un ottimo attore, oppure stava seriamente valutando anche quell’eventualità.
‹‹M-ma…››
‹‹Però, poi potrebbero sempre dire che, prima dell’inizio del filmato, voi li abbiate sedotti e che vi foste mostrata consenziente…›› continuò lui, imperterrito.
‹‹Ma che cosa state dicendo!›› bisbigliò lei, sebbene desiderasse di urlargli di tutto e di più… ma gli sembrava il caso di scherzare su certe cose? Perché stava scherzando, vero? Vero?
‹‹A conti fatti scarterei anche quest’opzione… del resto non ho voglia di fare la figura dell’incompetente. Quindi, suppongo di dovervi proteggere…›› fece lui, ma non sembrava molto convinto.
‹‹E poi c’è quell’ “ovvero con la minaccia o con l’inganno” … anche se mi assicuri che nella terminologia giuridica tale congiunzione assume una valenza disgiuntiva, non vedo come ci possa aiutare›› continuò lui, come se niente fosse.

‹‹Già, a meno che non bussino alla porta presentandosi delle bambine scout o ci minaccino apertamente, la vedo dura… Se poi si mettessero a parlare in una lingua che conosciamo, non potremo nemmeno dimostrare che ci abbiano ingannati o minacciati››
‹‹E se ci puntano contro un’arma, linguaggio universale per dire “ti uccido!” è già troppo tardi per intervenire›› concluse lui, sempre più scettico, per poi domandare, con fare esasperato (cioè, quello esasperato era lui, seriamente? Nd: Mary): ‹‹Quindi che cosa può fare un cittadino italiano in questi casi?››
‹‹Le uniche cose che può fare sono scappare o nascondersi e sperare che il malfattore non ti trovi e non ti faccia del male››
‹‹Nella pratica?›› domandò l’uomo, intuendo che quella squinternata non si sarebbe, certo, fatta fermare da così poco.
‹‹Li colpiamo, facendo attenzione a non procurargli ferite o lividi… e sperando che non siano armati›› stabilì lei, decisa, sebbene fosse quasi certa che una banda attrezzata per tagliare il ferro delle inferiate avesse anche delle armi.

‹‹Li colpisco, vorrai dire›› la bloccò lui, afferrandola per un polso e trascinandola in camera sua.
‹‹Che state facendo? Voglio esservi d’aiuto!›› cercò di dimenarsi lei, seppur sapesse che non sarebbe servito a nulla, contro la forza spropositata dell’uomo.
‹‹E lo farete rimanendo fuori dai piedi. Non ho nessuna intenzione di sprecare energie dovendo anche controllare che non ti feriscano. Se per colpa tua dovessi deludere Lord Beckett, sappi che non te la caverai con la tua dose giornaliera di botte… E’ chiaro?›› concluse lui, mostrandole un’espressione eloquente, per poi chiudere a chiave la porta e prepararsi a fermare gli “invasori”.
 
Note:
1- Riferimento al terzo episodio delle Coefore di Eschilo (di cui non ricordo i versi, ma che aggiungerò non appena tornerò a casa dalle vacanze e recupererò il libro con i testi in lingua originale), seconda tragedia della tetralogia legata intitolata, per l’appunto, Orestea.
2- Citazione con qualche leggera modifica della celeberrima frase pronunciata da Gastone nella traduzione italiana de “La bella
  
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