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Autore: NyxTNeko    30/08/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Parigi, 14 ottobre

Maria Antonietta stava seduta su una rozza sedia, lontana dallo specchio che si era fatta portare nella cella della Conciergerie. Da quando aveva visto i suoi bellissimi e curatissimi capelli biondi divenire bianchi, a causa dello stato di spavento e allerta, non riusciva più a guardarsi su una superficie lucida, che potesse riflettere la sua immagine, e quindi, nemmeno era più in grado di prendersi cura del proprio corpo, come aveva sempre fatto.

Sul viso traspariva un'angoscia profonda, non tanto per la sua sorte, sapeva che avrebbe raggiunto suo marito, era questione di settimane, se non di giorni. La sua paura era rivolta ai suoi figli e al loro futuro, in particolare a Louis Charles, dal momento in cui le fu tolto, non faceva che pensare a lui, e a chiedere disperatamente alle guardie le sue condizioni - Pensate alla vostra pelle austriaca! Perché tra non molto non l'avrete più! - le rinfacciò beffardamente una guardia, rabbioso, colma di odio inesorabile.

"A ciò porta la miseria e la fame?" Si chiese l'ex regina, una volta allontanatosi da lui, sempre più turbata e smagrita. Nell'aspetto rassomigliava a loro, forse era questo che volevano farle provare sulla sua pelle, prima dell'esecuzione capitale, sentire i morsi della fame e non poterli saziare adeguatamente, se non con del pane e dell'acqua. "Che colpa ho io Maria Antonietta d'Asburgo Lorena, se sono nata in una delle famiglie più aristocratiche e potenti d'Europa? Non sono io ad aver scelto questo, è Dio a decidere, secondo un disegno a noi sconosciuto" strinse le mani a pugno sulle ginocchia, mordendosi il labbro inferiore. Soffocò a fatica le lacrime, che le creò un nodo alla gola.

La serva che era con lei e l'unica figlia, Maria Teresa, si preoccuparono nel vederla scossa. La bambina, orgogliosa e decisa a resistere ai rivoluzionari, non aveva ereditato solamente il nome dalla nonna materna, l'imperatrice Austriaca più nota, ammirata e odiata, ma anche il suo carattere fiero, non sopportava osservare impotente la madre che si struggeva e si disperava. La raggiunse a passi lenti, eppure fermi, controllando le azioni della madre ogni volta che le si avvicinava. La donna era talmente immersa nei suoi pensieri da non accorgersi della tredicenne. A quel punto la ragazzina le accarezzò delicatamente un braccio e le disse - Madre, non dovete fare così, quegli uomini si comportano in tale maniera solo per provocarvi e farvi cadere in errore!

Maria Antonietta scosse leggermente la testa, ridestata, alzò il viso e la contemplò, in quegli occhi vi era il medesimo odio ravvisato prima nella guardia. A questi si aggiungeva un rancore inestinguibile, che le fece paura, Maria Teresa così giovane, diventata da pochissimo ragazzina, eppure già matura. Quando lei giunse in Francia per sposare il defunto delfino Luigi XVI era sua coetanea e non possedeva minimamente quella consapevolezza. Aveva solo tanta tristezza e solitudine nel suo cuore libero e ingenuo, una volta trasferitasi a Versailles. "Già...la mia prigione dorata..." Sospirò, ripensò a quei giorni e la nostalgia la pervase, si coprì il volto invecchiato precocemente. 

Maria Teresa, impetosita, seppur volesse rimproverarle di non lasciarsi travolgere dalle emozioni in quel momento difficile, istintivamente la strinse, volendo confortarla - Madre dobbiamo essere forti contro i nostri nemici, altrimenti ci annienteranno nell'anima - sussurrò a fior di labbra, sperando di smuoverla un poco. Combattere la furia incontrollabile dei rivoluzionari era troppo grande persino per una ragazzina caparbia e risoluta come lei.

L'Asburgo si sentì rincuorata dalla sua forza d'animo, al pari di lei, anni addietro, era stata testarda. Scostò le mani dal viso smunto, nonostante fosse in lacrime, quasi del tutto abbattuta, un leggero sorrise curvò le labbra secche, annuendo - Hai ragione figlia mia, non ci si può arrendere proprio adesso, questi francesi non avranno il piacere di vincermi, possono solo uccidermi nel fisico, ma mai estirperanno la mia nobiltà, l'origine divina del mio potere!

"Questi francesi?" Ripeté tra sé la figlia perplessa, la bocca contratta e dritta, cercando di non parlare. In quel momento dimenticò che sua madre fosse una straniera, un'austriaca; per cui il tono altezzoso, quasi disgustato con il quale pronunciò la denominazione del popolo che aveva governato fino a pochi anni prima, la stupì più della frase in sé.

Maria Antonietta aveva parlato in quel modo perché confusa da uno stato d'animo che credeva di non rivivere più, ossia l'estraneità nei confronti di un mondo che non era il suo e in cui fu catapultata senza esserne consapevole, né colpevole. La fame, il dolore per le emorragie e la tubercolosi, le fecero perdere il controllo e ripensare alla sua infanzia spensierata nella sua amata Austria, era solo una bambina felice e piena di sogni, allora. Un'altra lacrima sfuggì e scese lungo la guancia scavata.

Riprese subito coscienza e scrutò la figlia che ricambiava il suo sguardo inquieta. Aveva detto troppo: sua figlia, anche se era sangue del suo sangue, era in parte francese - La mia piccola Maria Teresa - emise stringendola, pervasa da un enorme affetto, amata dopo anni da persone, escludendo Fersen, e ancora in grado di riversare l'amore in loro - Hai il nome di mia madre, ricordalo sempre qualsiasi cosa accada non permettere mai di infangarlo, sii come lei, me lo prometti?

La ragazzina, turbata, annuì quasi istintivamente, non diede troppo peso a quelle parole. Ricordò, accennando alla nonna, che sua madre le parlava spesso di lei, del suo grande esempio di imperatrice e di donna "Non ti ho chiamata con questo nome, tesoro mio..." risuonava nella sua testa la voce della madre, ma era lontana, come se fosse un sogno. Infatti erano a Versailles e sua madre era ancora una regina, una vera regina, e la teneva sulle sue gambe, accarezzandola dolcemente, assieme ai suoi fratelli Louis Joseph, morto prima dello scoppio della rivoluzione e Louis Charles "Solo per tradizione, ma perché c'è un destino dietro, figlia mia, non dimenticarlo mai, specialmente nelle avversità" Anche Maria Teresa, alla fine, si sciolse in un pianto liberatorio - Lo prometto madre... prometto di essere forte come te e la nonna...

Quell'atmosfera tanto dolce, tanto privata, tanto amorevole tra madre e figlia venne bruscamente interrotta dal rumore di una chiave che stava girando arrugginita per aprire la serratura. Le due donne sbiancarono e si guardarono spaventate, una guardia brutalmente spalancò la porta sinistra e cigolante, intimò la vedova Capeto a seguirlo, non ammetteva discussioni - Purtroppo devo andare, figlia mia, ma tornerò da te - riuscì a dire solamente, con il volto rabbuiato. Si accodò alla guardia e la seguì, a mento alto, il tribunale rivoluzionario non avrebbe mai vinto sulla sua anima. Di questo era sicurissima.

Il rumore secco della cella richiusa bruscamente la fece sobbalzare da morire, ostentando comunque un contegno esemplare. Alla guardia, tuttavia, un simile atteggiamento non impietosiva affatto, al contrario, la rendeva ai suoi occhi più antipatica e odiosa di quanto non fosse già "Presto creperai cagna austriaca e nessuno potrà venire a piangere sulla tua tomba!" rivolse, similmente ad un grido interiore, queste dure affermazioni, provenienti dal cuore.

Raggiunto, per l'ennesima volta, il tribunale rivoluzionario, gli sguardi di tutti i presenti, dai dodici giudici, agli avvocati, agli accusatori, e degli uomini e donne di bassa estrazione sociale a cui era concesso partecipare al processo dalla tribuna apposita, se non addirittura a contribuire al giudizio finale, si posarono sulla donna emanciata, invecchiata e dai lunghi, scompigliati capelli bianchi che era appena entrata e che con passo lento, aristocratico, composto, alzando leggermente il logoro vestito nero che portava indosso, avanzava verso la sedia che le era stata riservata. Nessuno fiatò, gli occhi, tuttavia, parlavano per essi e urlavano all'unisono: a morte la puttana austriaca!

Nemmeno Maria Antonietta aprì bocca in quel frangente, si limitò solamente a chinare lievemente il capo a mo' di saluto e ad accomodarsi compostamente sulla seggiola. Aveva compreso la causa scatenante del suo astio da molto tempo oramai: era straniera, la sua origine era stato il suo marchio, la sua condanna. E pensare che, inizialmente, aveva un'alta considerazione dei francesi, mai immaginava che potessero essere tanto razzisti e malvagi. "Rimanete una buona tedesca!" furono le ultime parole che udii dalla bocca di sua madre, ora comprendeva il perché di quell'ammonimento, all'epoca oscuro.

- Nome? - le chiese stancamente un notaio, tutti sapevano chi fosse, però era una prassi che dovevano rispettare, valeva per qualsiasi impuntato, nobile o popolano che fosse. Sbadigliò incurante della presenza dell'ex sovrana, tenendo tra le mani la penna d'oca, con cui aveva giochellerato fino a qualche secondo prima.

- Maria Antonietta d'Asburgo Lorena, vedova di Luigi XVI o Luigi Capeto come preferite chiamare il mio defunto marito - disse meccanicamente, guardando davanti a sé, come aveva fatto nei giorni scorsi - Sono nata il 2 novembre 1755, in Austria... - ed ebbe come un lampo il ricordo del palazzo di Schönbrunn, la sua dolce casa - Avevo il domicilio al Palazzo delle Tuileries prima del mio arresto e della mia prigionia alla Conciergerie - dopodiché smise di parlare, osservando il notaio appuntare tutto con fare annoiato.

Le si affiancò uno degli avvocati che le furono assegnati per cercare di camuffare la sentenza già decisa, la vedova Capeto sapeva che quello sarebbe stato uno dei suoi ultimi processi, se non il definitivo, Claude François Chauveau-Lagarde. Costui fu l'ex legale di Charlotte Corday e di altre vittime degli implacabili giacobini. Era ferocemente avverso ad essi, nonostante ciò riuscì a sfuggire a Marat e ad altri suoi oppositori. L'altro, di poco conto, fu Tronson du Coudray.

Maria Antonietta li guardò attonita, era la prima volta che li venivano dati degli avvocati, aveva sempre dovuto difendersi da sola. Era convinta di non avere possibilità di uscire indenne dal processo, pur sperando di essere estradata, esiliata a vita, in Austria. Avrebbe tanto desiderato trascorrere il tempo rimasto e morire nella sua patria, accanto a sua madre e ai suoi antenati, ricordando i pochi giorni felici che visse. Ne aveva abbastanza di politica, guerre, rivoluzioni e repubbliche.

Spostò le iridi chiare nella direzione di un gruppo di uomini e donne che la guardavano in cagnesco, successivamente li rivolse al magistrato che aveva preso la parola, Fouquier-Tinville il quale diede inizio al processo vero e proprio. La regina comprese che quelli svolti nei giorni precedenti non erano che il preludio a questo. 

Il volto severo e rugoso dell'uomo non faceva trasparire alcun stato d'animo, si schiarì la voce e cominciò ad elencare tutti i capi d'accusa della donna: 'esaurimento del tesoro nazionale', 'intrattenimento di rapporti e corrispondenza segreti' con l'Austria e i monarchici, e 'cospirazioni contro la sicurezza nazionale ed estera dello Stato'. Infine aggiunse, per concludere il discorso - Preso esame di tutti gli atti trasmessi dall’accusatore pubblico, ne risulta che, parimenti a Messalina, Brunilde, Fredegonda e Caterina de’ Medici, qualificate un tempo regine di Francia, e il cui nome per sempre odioso mai si cancellerà dai fasti della storia, Maria Antonietta, vedova di Luigi Capeto, dal giorno della sua venuta in Francia è stata sempre il flagello e la sanguisuga dei francesi

Un buon numero dei quaranta testimoni che furono fatti parlare, in gran parte ministri, servi e gendarmi, dicevano di aver conosciuto da vicino e di persona Maria Antonietta. La regina non li aveva mai visti prima di allora, e cominciò ad intuire che volessero cercare ogni pretesto plausibile, perfino attraverso la menzogna e l'inganno, per sbarazzarsi di lei. Dei testimoni costruiti ad arte dall'accusa stessa che li appoggiava. 
Nessuno dimostrò delle prove materiali circa i fatti, si limitarono a riferire voci o accuse influenzate dalla propaganda e dagli oppositori repubblicani. Nessuno tentò di liberarla dalle accuse più assurde, eccezion fatta per il suo avvocato Chauveau-Lagarde che la sciolse dall'insinuazione di una 'presunta cospirazione con le potenze straniere'. La regina, colpita dal suo buon senso e dal suo ardore nel voler difendere una donna fin troppo martoriata e vittima di un odio irrazionale e solo in parte giustificabile, lo ringraziò tacitamente.

Quella prima giornata di processo terminò con solo una parte delle testimonianze messe in atto e la strenua difesa della regina e del suo avvocato, dalla prima mattinata, senza sosta. Alla fine il popolo aveva protestato mosso dal sonno e dalla noia. Il tribunale decise di rimandare il resto al giorno successivo. Maria Antonietta fu riportata in cella, pareva uno straccio, ebbe solo la forza di stendersi sul letto, attanagliata dai crampi allo stomaco, si rifiutava di toccar cibo. Mandò giù qualche boccone grazie alle preghiere delle uniche persone che le volevano ancora bene, la serva e sua figlia.

15 ottobre

La notte fu tormentata per via dei dolori dovuti alle continue emorragie, aveva tinto di sangue le lenzuola appena lavate, oltre ai sintomi terribili della tubercolosi che  sembrava essere più violenta del solito, e dagli incubi dominati dalla morte incombente. La mattina, dopo essersi vestita, aiutata dalle sue coinquiline, la guardia la chiamò nuovamente e si ripeté la medesima routine del giorno passato. Furono chiamati gli ultimi testimoni della giornata, i quali ripeterono chi in maniera diversa, chi a memoria, le stesse accuse.

Fino a quando non sopraggiunse il deputato Jacques-René Hébert, uno degli esponenti più radicali dei Giacobini, che con fine oratoria accusò d'incesto la donna, accompagnato e supportato dalla firma del piccolo Louis Charles. Improvvisamente tutti si ammutolirono per un istante, mentre Hébert, in cuore suo, già celebrava  l'imminente successo. Era così ebbro da non rendersi conto del limite appena superato, che persino altri incalliti accusatori non avrebbero compiuto. 

Maria Antonietta, immobile e impassibile, in verità era sconvolta da quello che aveva appena udito. Il suo bambino non avrebbe mai potuto confessare spontaneamente una nefandezza del genere, se non attraverso il lavaggio del cervello o addirittura tramite violenza - Che cosa avete da dire a vostra discolpa, vedova Capeto? - le domandarono uno dopo l'altro i vari componenti della giuria, sempre più agitati dal suo silenzio - Siete in dovere di rispondere, avete sentito Austriaca?!

L'Asburgo si alzò in piedi, le mani le tremavano, doveva difendersi da sola questa volta, non poteva tollerare un simile scempio, no, era tutta una macchinazione contro di lei, questa depravazione non la poteva accettare, era troppo - Se non ho risposto, è perché la Natura stessa si rifiuta di rispondere a una simile accusa lanciata contro una madre! Mi appello a tutte le madri che sono presenti! - gridò con voce tremante ma sincera, veritiera, indicando le donne alle sue spalle. Le popolane si fissarono intensamente l'un l'altra, rivolsero lo sguardo alla regina, fu l'unica occasione in cui credettero alle sue parole, in cui venne difesa da ciascuna delle madri presenti.

Per una decina di minuti il processo si fermò, nel frattempo gli accusatori si resero conto di aver esagerato, Hébert ribolliva di rabbia, non solo aveva fallito, ma aveva addirittura concesso il trionfo alla regina. Tornata la calma, non si accennò più a tale misfatto, si procedette riprendendo le ultime testimonianze. Maria Antonietta si difendeva con coraggio e grinta, quell'appoggio inaspettato e quell'insinuazione avevano risvegliato in lei la forza di reagire. Poco prima del tramonto, una volta concluse le testimonianze, il presidente Herman chiese di rispondere in sua difesa e lei riferì onestamente - Ieri non conoscevo i testimoni e non sapevo che cosa avrebbero detto. Ebbene, nessuno ha pronunciato niente di positivo su di me. Chiudo osservando che fui soltanto la moglie di Luigi XVI e che dovevo pure conformarmi alla sua volontà

Con la fine degli interventi gli avvocati difensori vennero arrestati immediatamente nella sala udienze. Non opposero resistenza, anzi, erano fieri di aver compiuto il proprio dovere. Maria Antonietta fu trasportata in un'altra aula, qui le vennero elencate nuovamente le accuse a suo carico - Non è il momento di soffermarsi sulle prove materiali né di cedere al sentimento di umanità - concluse freddo e con tono falsamente piatto, carico di ostilità - Basta la testimonianza delle migliaia di rivoluzionari e soldati morti negli ultimi cinque anni a causa delle macchinazioni infernali di Maria Antonietta

Dopodiché si ritirarono per deliberare la sentenza finale, nel frattempo Maria Antonietta, sola e potendo riflettere con sé stessa, riprese a respirare. Si convinse che l'esilio in Austria sarebbe stata la sentenza adeguata per lei, poiché non aveva commesso i crimini che le imputavano, aveva fatto il possibile che si poteva compiere per salvare la monarchia francese, considerata giudicabile solo da Dio.

16 ottobre

Dopo un'ora intera i giudici ritornarono e la ricondussero nella sala dove il verdetto le fu pronunciato dal presidente - La corte, dopo la dichiarazione unanime della giuria, ascoltata la requisitoria del pubblico ministero, e secondo le leggi da questi citate, condanna la suddetta Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, vedova di Luigi Capeto, alla pena di morte - Maria Antonietta ascoltò senza fare una piega, né accennando ad un'emozione compromettente.

Alle quattro del mattino la riportarono nella cella e le permisero, dopo mesi di divieti e privazioni, di scrivere una lettera alla cognata Elisabetta 'È a voi cara sorella che scrivo per l'ultima volta, sono stata condannata a una morte terribile destinata solo ai criminali, andrò a raggiungere vostro fratello, come lui innocente. La cosa che mi rattrista è quella di lasciare i miei figli, sapevate che vivevo solo per loro, che mio figlio non dimentichi le ultime parole di suo padre e che non cerchi di vendicare la nostra morte. Avevo degli amici; il solo pensiero di separarmi da loro mi spezza il cuore conserverò il vostro ricordo fino all'ultimo. Vi abbraccio con tutto il cuore così come abbraccio i miei cari adorati figli; mio Dio quanto è straziante doverli lasciare per sempre. Addio, addio' concluse dicendo 'Chiedo perdono a tutti quelli che conosco e perdono a tutti i miei nemici il male che mi hanno fatto'. Quella missiva non sarebbe mai arrivata nelle mani di Elisabetta.

Durante le ore che precedevano la sua condanna a morte, oramai rassegnata al suo destino, come un martire durante le persecuzioni cristiane, Maria Antonietta decise di chiudersi in un quasi sacrale silenzio e, tra il vento freddo di ottobre che penetrava nelle pareti, rifletteva. L'unica vera causa scatenante era la sua origine austriaca, constatò che, tranne quella serva buona e gentile, i figli e quei poveri avvocati che avevano cercato di salvarla dal patibolo, nessun altro in Francia e forse anche in Austria, l'aveva realmente amata e apprezzata.

La rigida etichetta della corte francese, i pettegolezzi delle nobildonne, il pallido affetto del marito assente e disinteressato, il malconsiglio di gente senza scrupoli e infine accusata di incesto dai suoi nenici, non avevano fatto altro che generare freddo e lontananza. E aveva cercato di colmare quel vuoto con il lusso e i capricci, aveva esagerato ne era più che consapevole. "Un francese nato e vissuto in Francia non può tuttavia comprendere cosa significhi essere straniero, strappato dal proprio nido per dovere, per un bene superiore, se non andando in un altro paese" ripensò al suo svedese, lui poteva capirla "Oh Fersen, spero che la mia morte non sia fonte di dolore straziante, se sarà così perdonami... addio". Si strinse alla figlia che si era appisolata, debilitata dalla tensione.

Quel mercoledì mattina di ottobre del 1793 il cielo divenne subitamente mite, avvolto da una leggera foschia. Allo scoccare delle ore undici, Maria Antonietta venne prelevata dalla sua cella, rivestita di bianco, le vietarono categoricamente di indossare il nero, forse avevano dimenticato che il bianco era stato per molto tempo il colore del lutto presso le regine francesi. Il boia Sanson le tagliò malamente i lunghi capelli bianchi fino alla nuca e le legò le mani.

Fu fatta salire sulla carretta al pari di tutti i condannati e condotta alla Place de la Révolution, tra gli sputi e gli insulti. Mentre attraversarono le vie della città, gremite di persone, Maria Antonietta, che aveva sempre guardato davanti a sé, fu colta da una dolce malinconia nel rivedere il Palazzo delle Tuileries. Ritornò impassibile.

Il fervente e talentuoso pittore giacobino Jacques-Louis David, già noto presso gli atelier e i club rivoluzionari per la sua arte e il carattere ribelle, infuocato, e che era stato uno dei testimoni nel processo, sgomitando e bestemmiando animatamente tra grasse lavandaie e orribili casalinghe, armato di carta e penna, riuscì a cogliere il profilo irriconoscibile di Maria Antonietta in uno schizzo che renderà immortale quell'evento.

Accettando l'esito miserando della sua vita, dopo essere scesa dal carretto, salì rapidamente i gradini, nella fretta involontariamente pestò il piede del boia a cui disse, dispiaciuta - Pardon, Monsieur. Non l'ho fatto apposta - E il boia, colto da un moto di compassione, la perdonò. Un quarto d'ora dopo il mezzogiorno la lama cadeva sul suo cignesco collo, la falce della morte fu così rapida che nemmeno se ne accorse, tutto era finito.

Il boia afferrò la testa sanguinante, gocciolante, e la espose al popolo parigino, che gridò gioioso, in festa, com'era accaduto con il marito - Viva la Repubblica! 
 

 

   
 
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