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Autore: Enchalott    31/08/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Voglio ringraziare di cuore chi mi ha seguita fino a questo punto della storia, che si avvia verso la parte conclusiva (non proprio imminente però! ^^). Grazie per le opinioni spassionate, le recensioni puntuali e l'entusiasmo. Anche a chi legge in silenzio e si è affezionato almeno un po' ai miei personaggi. ^^

Sodalizio nel dolore
 
Narsas diresse lo sguardo nell’oscurità amara della notte, dominando dalla vetta di Leu-Mòr la città incorporea nella pioggia. Uno scroscio incessante, in punta di piedi: come se l’apocalisse non volesse importunare gli ultimi momenti della donna che si stava estinguendo custodita tra le mura millenarie.
Era sfinito, spossato dalla sofferenza e logorato dal koreyon, ma sarebbe rimasto in piedi. Non l’avrebbe lasciata sola. Mai.
 
Quando Màrsali era uscita a passi lenti dalla Torre, la porta eburnea si era richiusa alle sue spalle con uno schianto improvviso.
Narsas, appoggiato al muro in una posa meditativa e assorta, era trasalito. Non aveva osato domandare: aveva conficcato gli occhi bruni in quelli azzurri della ragazza in un terribile sospeso. Anche Kesthar e Dessri le avevano rivolto una silenziosa attenzione. Màrsali aveva intercettato i loro sguardi ansiosi e il fugace tentativo di rimanere salda si era incrinato in un singhiozzo: il suo viso era stato invaso da uno sconforto più eloquente di qualunque responso.
«No…» aveva mormorato Narsas con il gelo nell’anima.
«Mi dispiace…»
«No… No! Non è vero!»
L’eco del suo grido disperato si era persa tra i corridoi della fortezza semi deserta. Era avanzato con foga verso l’uscio chiuso e aveva abbattuto con veemenza i pugni sull’antico legno, fremendo.
«Adara!!»
In quel nome era esploso un dolore che non poteva essere arginato. Aveva tempestato di colpi la porta. Invano.
«Bailye, vi prego» aveva cercato di placarlo Màrsali «La principessa è viva, ma…»
Narsas si era riscosso. Aveva piantato le unghie tra i decori scolpiti, ansimando per lo sforzo e per la pena insostenibile.
«Cosa?» aveva soffiato con inconsueta autorità «Ma cosa?!»
Màrsali aveva annuito e si era rivolta agli altri, che stavano osservando la scena afflitti. Aveva esposto i fatti con la voce spezzata dal tormento. Il ragazzo era divenuto brace ardente, via via che il racconto era sfociato nel suo tragico e irreversibile epilogo.
«Quanto tempo?» aveva domandato aggrappato al battente serrato.
«Non lo so. Ore… minuti…»
L’Aethalas si era acquietato come avesse perso ogni residua scintilla di vita.
«Non senza di me.»
Era rimasto in piedi solo perché l’amore per Adara gli stava ancora donando il nutrimento necessario. Aveva raccolto le sue forze esigue solo per lei.
«C-che dite?» aveva balbettato Màrsali, allarmata dall’affermazione.
Lui non aveva risposto e si era allontanato. Si era sfilato l’arco dalla spalla e aveva incoccato una freccia. Aveva puntato all’uscio di Leu-Mòr e lasciato andare la corda. Il dardo era volato in un sibilo, percorrendo la breve distanza in meno di un respiro. Si era conficcato nella porta ed era rimato lì, infisso e ronzante. La Torre aveva reagito a suo modo, spandendo il suo chiarore atavico, e lo strale era rovinato a terra in un ticchettio legnoso, senza che il battente ne fosse risultato neppure scalfito. L’arciere aveva estratto dalla faretra un secondo dardo.
«Siete un vigliacco egoista, Anthos di Iomhar!»
La scena si era ripetuta, ma la freccia non aveva raggiunto l’uscio: si era bloccata, sospesa a un soffio dal bersaglio, ed era tornata al mittente alla stessa velocità con cui era stata scagliata. Com’era già accaduto sulla Xiomar. Narsas si era scostato appena in tempo. La punta acuminata lo aveva sfiorato e si era piantata nel muro.
«Questo prova che mi state ascoltando, non è così?»
Sapeva come provocarlo. Come allora aveva invocato tra sé una vita per una vita.
«Vi prego, bailye, non istigate il principe!» aveva supplicato Màrsali, osservando con terrore un nuovo strale prendere alloggio sull’arco teso «Lui non può nulla e, credetemi, ha tentato ogni carta per salvare Adara! Vi farete uccidere e basta!»
Il guerriero del deserto aveva stretto le palpebre e flesso il braccio, indomito
«Anthos di Iomhar possiede la responsabilità della vita di sua moglie. Non avrà il mio perdono e neppure quello di Adara, se non mi affronterà da uomo!»
Kesthar lo aveva afferrato per le spalle, serrandolo nella sua morsa poderosa e cogliendolo alla sprovvista. Si era scusato, addolorato.
«Perdonate la scortesia, bailye, ma se foste in voi, non vi comportereste da stolto. Non vi permetterò di morire in questo modo assurdo.»
«Lasciami! Devo andare da lei!»
«Noi tutti lo vorremmo. Ma dobbiamo rimanere in forze e pensare a qualcosa che nemmeno il reggente è in grado di compiere. Sono certo che, se trovassimo la soluzione, ci farebbe entrare.»
«Dategli retta, Narsas» era intervenuta Màrsali, chiamandolo per nome e sorridendo con tristezza «Il nostro sovrano non desidera che la principessa muoia. Anche lui, come voi, è in preda alla disperazione. Solo che non lo esprime.»
L’arciere aveva smesso di dibattersi, ansimando a causa della debolezza.
«So che la vorrebbe viva. Sono consapevole di ciò che è potrebbe e di quanto non gli è possibile. Non m’importa. È quanto condurrei io lassù che per me conta» aveva sussurrato.
«Sapete come toglierla all’ombra?» aveva domandato la veggente trepidante, mentre Kesthar aveva allentato la presa.
Narsas era scivolato sulle ginocchia allo stremo delle forze e aveva sollevato il capo, sfregandosi con ribelle orgoglio gli occhi pieni di lacrime.
«Conosco chi ne è in grado.»
La porta di Leu-Mòr si era schiusa in un leggero cigolio. L’arciere si era rialzato, rifiutando il rispettoso sostegno offerto da Haffgan.
«Lo sa anche lui. Anthos sa bene chi sono io» aveva detto, attraversando la soglia proibita.
 
Percorrendo i gradini intagliati nella roccia, si era messo a riflettere per placare il furore e la sofferenza: se Anthos aveva stabilito di lasciarlo entrare, le sue speranze di strappare Adara al pozzo delle ombre erano tutte cadute. Difficile a credersi, visti i suoi poteri. Doveva esistere qualcosa che il principe aveva trascurato. Una possibilità, una soltanto per salvare colei che aveva sposato. Qualsiasi atto si aspettasse da lui a quel fine, Narsas l’avrebbe compiuto.
Aveva raggiunto il vertice della costruzione, accedendo alla sala intessuta di chiaroscuri che ne costituiva la cima inviolabile.
«Adara…»
La sua voce si era spenta in un bisbiglio soffocato, quando l’aveva vista in quella condizione di stasi, più bianca delle preziose pellicce su cui era stata adagiata.  Anthos lo aveva degnato a malapena di un rapido sguardo, poi si era rimmerso nella contemplazione della notte senza stelle. Il vetro trasparente della finestra aveva rimandato l’immagine dei suoi occhi d’oro carichi di indicibile tormento.
«Adara…»
Il guerriero si era inginocchiato al suo capezzale in preda a un supplizio che nulla avrebbe potuto alleviare. Aveva stretto forte la stoffa della camicia all’altezza del cuore, regolarizzando la respirazione per mantenere una parvenza della calma che era riuscito a riconquistare. Aveva cacciato la disperazione in un recesso di sé, le aveva accarezzato il viso e i capelli, sussurrandole all’orecchio il proprio dolore. Le aveva preso le mani nelle sue, trasmettendole quel tepore che l’aveva abbandonata, appoggiandole la fronte contro la guancia. Era rimasto così, a parlarle per un tempo indefinito attraverso una distanza fatta di mondi separati e inconciliabili. Ma le sue emozioni non avevano raggiunto Yfrenn-ammri o, se erano pervenute sin laggiù, non avevano spezzato i vincoli che stavano tenendo prigioniera la donna che amava.
«Credi non ci abbia già provato?» aveva mormorato il reggente, avvicinandosi.
«E voi credete di essere migliore di me?» aveva ribattuto Narsas, rimettendosi eretto «Di possedere qualunque prerogativa? No, vero? Altrimenti non mi avreste ammesso alla Torre.»
Si erano squadrati in silenzio, fronteggiandosi come dichiarati ma singolari avversari che bramano un identico, impossibile esito.
«Ti ho concesso di porgerle il tuo estremo saluto» aveva ribattuto il sovrano del Nord, algido «Lei lo avrebbe voluto.»
Narsas aveva sentito la collera montare come mai in vita sua.
«Siete talmente arrogante, Anthos di Iomhar! Così pieno di voi! Tanto acciecato dal vostro individualismo da a capire ancora quanto davvero ha valore! Quanto vi è stato insegnato!»
L’uomo lo aveva misurato, all’apparenza sprezzante e gelido come sempre.
«E saresti stato tu, ragazzino, a impartirmi questa presunta, fondamentale lezione?»
L’arciere si era mosso con la rapidità della folgore, cogliendolo di sorpresa, e gli aveva sferrato un pugno in pieno volto. Anthos era barcollato, ma non era stato che un irrilevante cedimento. Si era sfiorato le labbra con le dita, asciugandosi il sangue che stava fuoriuscendo dal taglio che gli aveva procurato.
«Adesso ti senti meglio, Aethalas?»
«Per niente!»
Il principe non aveva atteso oltre e gli aveva restituito il colpo con pari violenza, scaraventandolo a terra senza alcun potere sovrannaturale. Da uomo a uomo.
«Nemmeno io» aveva dichiarato poi, fissandolo dall’alto in basso senza alcuna alterigia.
Poi aveva allungato il braccio, offrendogli il proprio aiuto per rialzarsi. Narsas aveva fissato con meraviglia la mano tesa. Aveva compreso l’infinito valore di quel gesto e l’aveva accettato. Da uomo a uomo.
«Anche stavolta vogliamo la stessa cosa, dunque» aveva continuato Anthos con un’insolita stanchezza nella voce.
«Ma in questo caso non è necessario che io mi tiri indietro» aveva chiarito l’arciere, lasciando intendere ben oltre le mere parole.
«Mh, agire in due. Non l’ho mai considerato. Potrebbe essere la strada giusta?»
Il guerriero del deserto era riuscito a trovare l’energia per far sbocciare un sorriso, mentre si massaggiava la guancia che gli doleva per la botta ricevuta. Si era sbagliato sul conto del reggente: egli aveva compreso alla perfezione l’inestimabilità di quanto teneva tra le mani, ma concedere di averlo finalmente colto andava contro la sua natura caparbia e altezzosa. Non capitolava, in disaccordo persino con se stesso. Narsas non era mai stato così sicuro: tutto gli era divenuto palese e la certezza gli aveva dato un brivido d’urgenza. Anthos aveva bisogno di tempo, quando era proprio il tempo a mancare.
«No, altezza. Voi solo. Nessun altro può riportare Adara alla luce della vita. Io vi regalerò qualche ora. Il mio proposito è questo.»
Il reggente l’aveva fissato, dubbioso.
«Spiegati. Sai qual è il modo?»
«No. Ma sono certo che esso risieda in voi. Provvederò affinché l’esistenza fisica di Adara non si affievolisca tanto precipitosamente. Quella spirituale invece riposa nella vostra volontà.»
«Insolito udire tanta fiducia da parte tua, Aethalas» aveva rimandato Anthos «Spero di non deluderti.»
«Con vostra moglie non l’avete fatto.»
Le iridi dorate del principe erano state attraversate da un lampo malinconico.
«Centinaia di volte, invece. Più quelle che non ho rilevato.»
Erano rimasti in silenzio per un istante, ciascuno immerso nelle proprie elucubrazioni, poi l’arciere aveva ripreso a esporre il proprio punto di vista.
«La donna che è giunta a Jarlath come ambasciatrice dei rifugiati…»
«Conosco i fatti» lo aveva interrotto Anthos «Non è la mia priorità.»
«È un’ottima guaritrice. Io conosco poco le arti farmacologiche della mia gente» aveva spiegato Narsas senza considerare la contestazione «Creerò un preparato che consenta al corpo di Adara di resistere. Però necessito degli ingredienti adeguati e non so dove reperirli.»
«Non è un problema. Le stanze che appartenevano a Urien contengono tutto ciò di cui hai occorrenza» aveva detto il principe, risolutivo come al solito «Sempre che tu sappia distinguere i veleni dai medicamenti. Quel rigetto del pantheon andava più d’accordo con i primi, come puoi intuire.»
«Non ho familiarità con i principi usati a Jarlath, lei sì.»
Anthos aveva approvato con un cenno e aveva scritto rapidamente un appunto, apponendo la propria firma in calce.
«Quell’ala della fortezza è stata sigillata. Spezzerò l’interdetto, mentre tu consegnerai quest’ordine urgente a Iristan. Lui vi condurrà nel posto giusto.»
 
Narsas non aveva speso più di un minuto per mettere al corrente sia Dessri sia Màrsali e Kesthar, che erano rimasti ai piedi della Torre. Aveva trascinato via la donna dai capelli rossi e si era fatto accompagnare dal terrorizzato funzionario di corte nell’antro oscuro dell’ex consigliere.
«Siamo fortunati« aveva sospirato con sollievo la guaritrice «Quell’essere orribile possedeva il pregio dell’ordine! È la scorta di erbe più fornita che abbia mai visto!»
«Lieto di apprendere che sapete dove mettere le mani» aveva concordato il ragazzo, innescando il fuoco e scostando i pesanti tendaggi neri «Mi limiterò a seguire le vostre disposizioni.»
Dessri aveva espresso la sua ammirazione: un giovane di alto rango, coraggioso e attraente, che conservava umiltà e fermezza nonostante l’evidente prostrazione fisica. Il suo pallore innaturale e i suoi movimenti troppo misurati tradivano uno stato di salute irrimediabilmente deteriorato.
«Quando ci saremo presi cura della principessa» gli aveva detto mentre dosava i preparati «Mi permetterete di occuparmi di voi?»
«Ve ne sarei grato, se ciò non costituisse un mero spreco di tempo. Preferirei che supportaste Màrsali nel trovare un rifugio adeguato per i cittadini rimasti tra le mura della capitale. Non possiamo lasciarli in balia degli eventi.»
«Oh, mai io potrei…»
«È koreyon» aveva detto senza sollevare il volto dal tavolo ingombro, indifferente come se fosse assuefatto all’idea di dover morire.
Dessri era sbiancata e non aveva trovato il coraggio di dispiacersi, conoscendo bene l’inutilità delle parole davanti alla fine.
«Ho promesso a Dare Yoon che avrei provveduto sia a voi sia alla nostra sovrana.»
Narsas aveva sollevato gli intensi occhi bruni, facendola arrossire.
«In tal caso ne sarei onorato.»
La guaritrice era rimasta impressionata dalla sua forza d’animo e dalla sua quiete interiore. Aveva continuato a lavorare alacre e precisa.
«Sono tutti come voi gli elestoryani?» aveva borbottato imbarazzata.
«Se alludete alla testardaggine che mi accomuna, pur con diverse modalità, a Dare Yoon, ritengo che abbiate incontrato i due attuali campioni in carica» aveva risposto l’arciere con un pizzico d’ironia «Gli altri sono decisamente più malleabili.»
«Non mi permetterei mai!» aveva precisato lei, trattenendo l’inopportuna ilarità «Alludevo alla lealtà, al coraggio, alla determinazione, alla modestia.»
«Allora no. Noi tutti abbiamo imparato questo fondamentale insegnamento da Adara. Non abbiamo meriti personali.»
Dessri aveva distolto l’insistente attenzione da lui, commossa, asciugandosi gli occhi e proseguendo con impegno nel proprio lavoro.
«Da ciò che ho visto, sarebbe fiera di voi.»
Aveva chiuso l’ampolla azzurra colma di liquido lattiginoso.
«Salvatela, bailye! Salvate la nostra regina, la nostra speranza! Restatele accanto come lei ha fatto con noi, con questa terra dimenticata dagli dei! Io sarò qui e tenterò tutto ciò che è nelle mie possibilità!»
 
Non era stato altro che l’ennesimo giuramento, identico a tutti quelli che aveva compiuto sulla propria effimera vita. Sull’amore che lo ancorava al mondo a discapito di ogni previsione.
Narsas osservò con il cuore in gola il principe versare le ultime stille di farmaco tra le labbra esangui di Adara. Gocce di tempo in forma concreta. L’unica chance.
Anthos ricambiò l’occhiata.
«Se la tua risoluzione non funzionerà, Ishkur mi raggiungerà qui come ha minacciato e io lo ucciderò. Scomparirà rimpiangendo amaramente di avermi sfidato. Io con lui, quale che sia l’esito del nostro scontro. È l’unica strada che perseguirò. La sola che scorgo. E tu, arciere, hai già deciso come morire?»
«Funzionerà» ribatté il guerriero «Ma se anche così non fosse, voi non avreste diritto di compiere una tale scelta. Chi penserebbe a Iomhar, se Adara non si risvegliasse mai più? Chi difenderebbe il Nord dal male assoluto? È vostro dovere. Voi, altezza, non potete ricusarlo.»
«Cosa!?» ringhiò il reggente, contrariato da una fermezza che pareva ancora una volta rinfacciargli una buona dose di solipsismo.
«Perdonate se mi rivolgo a voi con tanta schiettezza. Non state considerando che il destino di Adara, a prescindere dalle sue generose intenzioni, non sia mai stato quello di redimere la vostra terra. Che non sia lei la predestinata a riportare la luce nel creato dopo la fine della maledizione» rispose Narsas.
Anthos sbarrò gli occhi, raggelato dall’affacciarsi di un’ipotesi differente da tutte quelle che aveva vagliato fino a quel momento.
«Lo ha giurato davanti a me!” ribatté, come se fosse condizione sufficiente a invalidare quell’assurda teoria «Adara ha infranto la Profezia
«No, mio signore. Adara ha promesso di rimanere accanto a voi. Non era Iomhar che voleva salvare, quella sarebbe stata la diretta conseguenza. Quanto al Sacro Testo, che non siate stato voi ad annientarlo?»
«No… no, ciò che dici è insensato!»
A dispetto della riserva, miriadi di pensieri confusi gli si affastellarono nella mente. Cercò con foga quelli che avrebbero potuto risolvere le sue gravose perplessità.
Narsas aguzzò la vista attraverso il buio oltre la finestra e qualcosa di inconsueto attirò il suo interesse: sciolse la posa immobile e tesa che aveva conservato.
«Voi, Anthos di Iomhar. Guardatevi dentro, non rifiutate di prenderne coscienza. Siete voi colui che Adara ha sempre anelato preservare! In primis da voi stesso. Saranno le vostre azioni a indicare se ha speso la vita invano o realizzato il suo unico desiderio. Se così fosse, avrebbe portato a termine il suo ruolo: voi non potete abbandonare il vostro.»
Le iridi ambrate del reggente erano crogioli di fuoco indomabile. Di dolore intenso, di sofferenza reale ma insolita. Era come se stesse provenendo da fuori, da lontano, da altrove e non dal profondo del suo io. Era altrettanto straziante. Si sforzò di ignorarla, di contenerla.
«Il mio ruolo?» restituì, imprimendo alla propria voce il massimo della freddezza «Credi che io sia idoneo o ansioso di compiere prodigi? O esiste altro che, di me, non ti è ancora chiaro?»
«Venite a vedere» lo invitò Narsas, eludendo la questione.
«Conosco il panorama.»
«Questo non l’avete mai visto. Credetemi.»
Anthos inarcò un sopracciglio. Si avvicinò all’arcata in vetro solo per far tacere quel ragazzino insolente. Sussultò. Il cortile esterno della fortezza brillava di fiaccole. Sembravano le lucciole dell’estate che, al di là della memoria, non aveva mai sperimentato.
Gli abitanti di Jarlath, indifferenti alla pioggia e al pericolo dell’inondazione, vincendo il terrore che provavano nei confronti del loro sovrano, avevano raggiunto la spianata che si estendeva ai piedi della gradinata del palazzo ed erano schierati sotto i ripari improvvisati con gli sguardi rivolti verso la Torre. Le torce strette nelle loro mani spandevano una luce arancio brillante e affrontavano il diluvio che stava ingoiando la città e l’universo. Fermi nel gelo scuro della notte.
«Credete nei miracoli, altezza? Sono tutti qui per lei. Nemmeno i vostri sventurati sudditi desiderano che Adara muoia sola. L’amore per colei che li ha ascoltati e protetti è più forte di qualunque umana paura e, pregando per la sua anima, sono vicini anche a voi nel medesimo lutto.»
«Dove stai andando?» gli domandò il principe, seguendolo con uno sguardo sconvolto mentre si dirigeva all’uscita.
«Devo riposare» sorrise Narsas, sostenendosi allo stipite di legno «Il mio compito termina qui e, a differenza vostra, voglio pensare a come vivere le mie ultime ore. Non a scegliere come morire.»
 
Anthos attraversò i corridoi del palazzo reale a passi silenziosi, il lungo mantello azzurro ghiaccio sventolava alle sue spalle come una lunga scia di luce.
Le poche guardie si inchinarono al suo passaggio, trafitte dal lacerante dubbio che, se il reggente aveva abbandonato Leu-Mòr, la principessa non fosse più in vita. Nessuno osò domandare, ciascuna chiuso nella propria silente desolazione. Qualcuno iniziò a piangere sommesso.
Il sovrano del Nord uscì all’aperto in un fruscio di seta, oltrepassando il lastricato in pietra, riparato sotto il copricapo abbassato. Scese la ripida scalinata, leggero come uno spirito, con la stoffa chiara degli abiti che si sollevava alle folate impietose del vento. Alla sua improvvisa apparizione la folla fu percorsa da un fremito di panico. Gli abitanti di Jarlath si strinsero gli uni agli altri, indicandolo con esclamazioni soffocate, indietreggiando in modo disordinato rispetto al suo incedere. Però non si dispersero. Rimasero con le fiaccole alzate a sfidare la fine del mondo e lo sguardo inumano dell’uomo che li osservava dall’ultimo gradino della rampa, in attesa di una notizia che forse avrebbe annientato tutte le loro speranze. In nome della donna che aveva dato loro modo di conoscere la misericordia e la dolcezza, restarono saldi difronte al loro crudele principe.
Anthos abbassò il cappuccio sulle spalle e l’aria polare gli scompigliò i capelli biondi, fradici di pioggia. Le sue iridi d’oro fuso abbracciarono le persone che avrebbe dovuto guidare con giustizia e riflessero le vampe delle fiamme accese nella notte. Non si udiva neppure un respiro nella tensione carica di spavento.
«Grazie» pronunciò con voce limpida, lasciando che il diluvio lo sferzasse impietoso.
I convenuti spalancarono gli occhi, increduli, guardandosi a vicenda per trovare conferma di ciò che avevano udito, senza osare esprimerlo con le parole.
«È quanto lei avrebbe detto» continuò il reggente.
Un mormorio angosciato si levò dagli astanti. Qualcuno scoppiò in un pianto soffocato, altri si misero in ginocchio prostrati.
«E poi» proseguì Anthos senza distogliere lo sguardo «Vi avrebbe pregati di mettervi in salvo. Così io, in vece sua, vi invito a raggiungere la parte alta della città, al di sopra della fortezza, dove la furia dell’acqua che monta forse vi risparmierà.»
I presenti lo ascoltarono attoniti: vi invito, non vi ordino. Per la prima volta il principe stava reggendo Iomhar. Il Medaglione sul suo petto luccicava in risposta alle fiaccole crepitanti levate al cielo.
«Essa non è l’unico nemico. Deamhan non vi darà scampo, giungerà per reclamare le vostre anime, perciò siate pronti.»
La gente del Nord accolse con angoscia quella notizia agghiacciante, ma non vacillò, resiliente e caparbia come sempre, assuefatta a contendere ogni giorno la vita all’inverno eterno, al male, all’assenza di qualunque risorsa, alla maledizione scagliata secoli prima sulla loro terra da una divinità offesa.
«Io, per quanto vale, combatterò.»
Gli occhi erano tutti rivolti a lui, colmi di tristezza, di sofferenza, di disperazione. Sguardi di uomini e donne che provavano dolore e paura, ma che non rinunciavano, che sfidavano la sorte per onorare la loro regina. Sentimenti contrastanti ma forti e puliti, che gli giungevano attraverso i sensi tesi allo spasmo. Li riconobbe uno per uno, li accettò, li comprese, li rispettò. Li condivise.
Narsas aveva ragione. Adara aveva compiuto un prodigio e la sua vita non era trascorsa invano.
   
 
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