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Autore: _montblanc_    01/09/2020    1 recensioni
«Mi sono risvegliata in mezzo alla foresta di Konoha e mi sono detta: ”Beh, non è un male, infondo è sempre stato il mio sogno”, ma poi l’Hokage mi aizzato contro un gruppetto di Anbu e tutto è degenerato...» stava sbraitando la ragazza, una certa isteria nel tono di voce.
~
«Vuoi unirti all’Akatsuki?» domandò di rimando lui, senza distogliere lo sguardo dal combattimento; si stava visibilmente spazientendo.
Vuoi unirti all’Akatsuki? VUOI UNIRTI ALL'AKATSUKI?! Certe cose non si chiedevano così! Non ci si poteva mettere un minimo di introduzione tipo “Ehi, ciao! Ma lo sai che anche se non sei una ninja e non sai un emerito cippolo di come ci si comporti in una battaglia, saresti un membro eccellente nell’Akatsuki? Eh? Che ne pensi?”.
Se lo faceva in modo così diretto e, sopratutto, ad una che non desidera altro nella vita - in mia difesa potevo solo dire che ognuno merita di avere le proprie ambizioni-, questa, poverina, rischiava l’infarto. Ed io non ero Kakuzu, a me ne bastava uno per rimanerci secca.
(Ho cominciato a scrivere questa storia veramente tanto tempo fa, quindi sto piano piano riscrivendo i vecchi capitoli nel disperato tentativo di renderli più leggibili)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Akatsuki, Altri, Deidara, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Hello~ No, non è un’allucinazione, ho finalmente finito di scrivere il nuovo capitolo, come al solito dopo un imbarazzante ritardo di... non ho nemmeno il coraggio di andare a leggere quale sia la data dell’ultimo aggiornamento. 
Ringrazio infinitamente chi ancora non ha perso le speranze per questa storia e continua a seguirla nonostante i miei continui, indecenti ritardi; mi spronate a non lasciarla perdere e continuare a scrivere dopo tutti questi anni.  
Per qualche strana ragione, questo capitolo è finito per essere decisamente più lungo del solito, spero vi piaccia e non vi annoi. 
Buona lettura!

Capitolo 43 

Piccole gocce d’acqua causate dall’umidità scivolavano lungo le rocce che costituivano le pareti dell’ambiente circostante, infrangendosi silenziosamente contro il terreno bagnato e scivoloso; si trattava di un’ampia struttura sotterranea, dominata dalla quasi completa oscurità tranne per la luce fioca di uno strano strumento presente al suo interno. 
Il centro di quella stanza era infatti occupato da un ampio e lungo cilindro dalle pareti trasparenti, collegato da una serie di fili ad un generatore che occupava gran parte dello spazio di quel laboratorio improvvisato. 
Al suo interno spiccava la figura di una ragazza, il colore del volto reso ancora più chiaro dalla luce che si rifletteva su di esso, gli occhi chiusi in uno stato di incoscienza.  
I capelli biondi galleggiavano intorno a lei nascondendole il volto, sul quale era possibile intravedere la sagoma di una maschera d’ossigeno che le permetteva di continuare a respirare all’interno del liquido in cui era completamente immersa ormai da diverso tempo. 
La pelle, laddove scoperta dalla sottile veste che indossava, era ricoperta da fili e sensori, che si diramavano sino all’esterno dello strumento e si ricollegavano ad altre apparecchiature in modo da registrare ogni minima variazione che avveniva al suo interno. 
Kabuto non aveva tempo da perdere: i suoi piani stavano procedendo senza alcun intoppo e nel momento in cui la guerra fosse finalmente iniziata non avrebbe più avuto modo di dedicarsi a quel suo piccolo hobby. Per questo motivo, anche a costo di dover forzare un po’ la mano sul fragile corpo che aveva a disposizione, doveva cercare di raccogliere quanti più dati possibili. 
«Non ho potuto mettere le mani sull’originale, quindi dovrò farmi andare bene questa imitazione» mormorò sovrappensiero fra sé e sé, il tono di voce incrinato da un amaro sentimento di insoddisfazione, mentre annotava velocemente una serie di numeri sul blocco di fogli che reggeva fra le mani, la pelle ricoperta da scaglie sottili che riflettevano innaturalmente la luce delle apparecchiature. 
Lo sguardo ambrato e rettiliano scorreva velocemente fra le varie valvole fissate al terreno, controllando i segnali vitali della ragazza e la percentuale delle sostanze presenti all’interno del serbatoio. 
Per quanto avesse sperato che Madara gli permettesse almeno di dare una rapida occhiata a quella vera era più che logico che, dall’alto della sua più totale mancanza di fiducia nei suoi confronti, non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi all’esemplare peculiare su cui era riuscito a mettere le mani – come biasimarlo d’altronde, al posto suo si sarebbe comportato nello stesso modo-. Inoltre, non si trovava certo nella posizione di poter avanzare chissà quali pretese nei suoi confronti e non voleva assolutamente rischiare di mettere a repentaglio quella nuova, precaria alleanza; al momento era la guerra imminente ad avere la priorità su ogni altra cosa, non poteva fare altro che limitarsi a rimpiangere silenziosamente la perdita di quell’opportunità.  
Ricordava bene delle volte in cui il maestro Orochimaru in passato aveva parlato della possibile esistenza di altri universi oltre il proprio -l’idea di essere gli unici esseri viventi in quello spazio sconfinato era già di per sé altamente improbabile, nient’altro che l'ennesima manifestazione della tipica arroganza degli uomini, convinti di trovarsi al centro di ogni cosa- e aveva elaborato numerose teorie al riguardo, portando avanti anche lo sviluppo di alcuni jutsu che gli permettessero di creare un contatto con ciò che vi era aldilà del conosciuto. Tuttavia, mai e poi mai avrebbe immaginato di poter arrivare così improvvisamente vicino ad una prova vivente di quelle speculazioni, ad un vero e proprio alieno proveniente da chissà dove.  
Eppure, qual era stata la brillante idea di “Madara”? Prendere il soggetto in questione e lasciarlo andare allo sbaraglio per i campi di battaglia, rischiando di danneggiare gravemente quella preziosa fonte di dati, per il solo scopo di mantenere in piedi il suo gruppo di fantocci; aveva deciso di ignorare totalmente le scoperte e i risultati che lo studio e l’analisi in laboratorio avrebbero potuto portare al loro mondo e alle loro possibilità future. 
Scosse la testa, cercando di scacciare via il fastidio che quei pensieri gli stavano procurando, l’ombra del cappuccio che pesava sul suo volto, celandolo alla vista. 
Tutto sommato l’arrivo della ragazzina bionda era stato un vero e proprio colpo di fortuna e aveva contribuito a migliorare notevolmente il suo morale: non aveva mostrato di possedere alcun tipo di potere e l'Uchiha, non avendone bisogno, gli aveva concesso di averla ed analizzarla, al semplice patto che gli riferisse qualsiasi eventuale risultato.  
Era stata proprio per un’idea di Kabuto che Madara aveva permesso di farla avvicinare così tanto all’altra ragazza; purtroppo il contatto con l’origine non aveva provocato alcuna reazione rilevante e quel piano era stato in fretta accantonato. 
Inizialmente lo scienziato aveva ipotizzato che Camilla, la ragazzina di cui si stava occupando al momento, non fosse altro che una persona qualunque, accidentalmente trasportata da Ambra (quello il nome del soggetto originale) in quell’universo, a causa di un mancato controllo dei suoi poteri. Da quelle poche informazioni che era riuscito a scucire a Madara aveva intuito che la ragazza non era minimamente in grado di controllare le proprie abilità, perciò non era da escludere che a livello inconscio i suoi poteri si fossero attivati spontaneamente per dare forma ai suoi desideri. 
Tuttavia, sin dalle prime osservazioni, era stato abbastanza chiaro che la ragazza era tutto, tranne che un comune essere umano: apparentemente possedeva dei ricordi di quella che era la sua vita prima che arrivasse lì, ma era sufficiente indagare un po’ più a fondo, fare qualche domanda appena più specifica, e le risposte che dava cominciavano ad essere sempre più vaghe, confuse, discontinue.  
Probabilmente i poteri di Ambra, a causa di un egoistico desiderio di avere qualcuno come lei in quel mondo, avevano portato alla creazione di un essere umano, o meglio, di qualcosa di molto simile ad esso, a cui era stata dato un nome, una parvenza di personalità e di una vita, forse mai realmente vissuta.  
«Creare dal nulla un essere umano stabile e completo...» mormorò affascinato lui, stringendo le mani sulla penna; le potenzialità del soggetto originali andavano oltre ogni sua più fervida immaginazione.  
Come faceva Madara a non capire l’importanza di quello che si era ritrovato fra le mani? Sarebbero bastati solamente un po’ di tempo e qualche ricerca in più e avrebbero potuto letteralmente stringere il mondo nel palmo delle loro mani... eppure, per quanto avesse provato a spiegarglielo, l’Uchiha non riusciva a vedere oltre il suo limitato e ottuso punto di vista e spostare lo sguardo al di là dei suoi piani. 
Non gli restava altra scelta che accontentarsi di quel guscio vuoto che gli era stato concesso. Il fatto che all’Uchiha non servisse significava, se non altro, che poteva disporre di lei come meglio credeva; con un pizzico di fortuna sarebbe riuscito a ricavarne un’arma da utilizzare contro il possessore dello sharingan e qualche informazione sul suo universo di provenienza.   
«O almeno così pensavo…» fece l’albino, poggiando il blocco di fogli e spingendosi indietro gli occhiali con le lunghe dita «Fino ad ora il suo corpo non ha risposto in modo particolarmente interessante. Nessun risultato degno di nota. Forse gli stimoli a cui è sottoposto non sono sufficienti». 
Se possibile avrebbe preferito evitare di finire per ucciderla involontariamente, ma sembrava non restasse altra alternativa se non quella di aumentare gli stimoli a cui era sottoposta se voleva sperare di ottenere qualche informazione rilevante. Dopotutto per raggiungere dei risultati era necessario correre dei rischi, era così che funzionava la ricerca scientifica e la sperimentazione. Certo, questo avrebbe potuto risultarle fatale e rendere vani tutti i suoi sforzi, ma questi erano imprevisti che si dovevano mettere in conto quando si svolgeva un esperimento di tale portata.  
«E’ ora di passare alla fase successiva» decise infine, spostandosi verso la parte opposta della grotta, il mantello che accompagnava i suoi passi svelti con un fruscio, sparendo nell’oscurità circostante. 

 Ambra POV 
Bestia di Satana ritorna nelle profondità infernali da cui sei emerso! 
Questo era tutto quello che riuscivo a pensare mentre fissavo sbigottita la figura che ci si stagliava davanti, troppo scioccata persino per assumere una qualsiasi tipo di espressione facciale, i muscoli del volto paralizzati in qualcosa che probabilmente non doveva star lasciando trasparire il mio grande acume. 
Alcuni raggi solari squarciarono la spessa coltre di nuvole che gravava pesantemente sopra di noi in quell’atmosfera cupa, abbracciando la schiena del ninja traditore di Konoha e accentuando il bagliore sinistro del suo sguardo, scivolando quasi minacciosamente lungo il corpo della katana che riposava contro il suo fianco.  
Tutto sembrava immobile, persino la pioggia che fino a poco prima scrosciava violentemente contro il terreno, oramai umido e fangoso, si era infine fermata, insieme al mio cuore, ogni tentativo di pensiero coerente e aspettativa verso il futuro. Tutto taceva in un silenzio così opprimente da darmi la sensazione che qualsiasi tipo di movimento avrebbe innescato una serie di traumatici eventi che ero sicura non essere ancora pronta ad affrontare. 
E’ finita, è finita, siamo spacciati, sono morta, ora muoio”  
Com’era possibile? Come accidenti era possibile?!  
Quanto poteva essere piccolo quel mondo per riuscire ad incontrare tutta quella gente nella stessa maledetta radura? Ero finita in qualche famosissimo luogo turistico di cui non ero a conoscenza?  
Tutto era cominciato con la comparsa Fuko, sbucata dal nulla, ma poco male: almeno avevo riavuto il mio corpo senza doverlo andare a cercare per ogni minimo anfratto dell’universo ninja; subito dopo, per grazia di Jashin, si era materializzato anche Deidara, che provvidenzialmente mi aveva risparmiato una fine lenta e dolorosa per mano della suddetta ragazzina.  
Fino a quel punto l’allegra vicenda poteva ancora essere liquidata semplicemente come una serie di fortunati eventi, una banalissima coincidenza, un casoPer una volta gli astri celesti avevano deciso di allinearsi in mio favore e la Dea bendata, mossa a pietà dalla mia sfiga dilagante, aveva deciso strizzare un occhio nella mia direzione dopo avermi palesemente ignorato per più di un decennio... o almeno così credevo; la triste realtà era che molto probabilmente non sarei mai arrivata a fine giornata: il Vendicatore in persona aveva deciso proprio quel giorno, proprio a quell’ora, di farsi una passeggiata fra quelle medesime fresche frasche, capitando – ma tu guarda che combinazione!- esattamente davanti alla stessa grotta in cui avevamo trovato riparo per via di un acquazzone improvviso.  
Quante possibilità c’erano di incontrare proprio lui, che in quel mondo era praticamente categorizzabile come una specie ormai in via di estinzione? Ero abbastanza sicura che ci fosse una più alta percentuale che mi capitasse di dissotterrare accidentalmente lo scheletro di un Dodo che di incrociare la sua stessa strada. 
Ero in un manga, era vero, ma c’era comunque un limite a certi cliché! Kishimoto doveva davvero star morendo dalla voglia di vedermi trasformata al più presto nell'opera d’arte “Donna che impatta su roccia, macchia di sangue su caverna” per architettare uno sviluppo così malsano; soprattutto quando al mio fianco si trovava Deidara, l’ultima persona che avrei desiderato stazionasse nello stesso emisfero di Sasuke, figurarsi nel suo campo visivo. 
Il biondino in questione, decisamente più consapevole della sottoscritta del fatto che non ci trovassimo su Holly e Benji e che la vita continuasse ad andare avanti anche mentre si era immersi nelle proprie elucubrazioni mentali, si mosse alla mia sinistra, la mano poggiata nella tasca che conteneva la sua amata argilla esplosiva, pronto ad agire.  
«A-aspetta, quello è Sasu-UGH!» provai a intervenire in uno sprazzo di lucidità mentale, alzandomi di scatto sulle gambe, senza considerare la parete di pietre che gravava pericolosamente sopra la mia testa e che quasi certamente aveva appena perforato qualche parte importante della mia corteccia celebrale... non che in quel momento ne stessi facendo particolare uso
«... quello è Sasuke Uchiha... il fratello scemo di Itachi...» mugugnai sofferente, le mani sul capo nel tentativo di evitare che si aprisse improvvisamente in due, mettendo precocemente fine a quello strazio. 
«Il fratellino di Itachi, uhm» ripeté semplicemente, un tono di voce che non prometteva nulla di buono; a giudicare dall’espressione velatamente intrigata che gli increspava le labbra non sembrava fosse sul punto di propormi di lanciargli le nostre scarpe negli occhi e darci ad una disperata fuga rocambolesca. 
Ripensandoci a posteriori, considerata la suscettibilità del biondino sulla questione, sarebbe stato meglio non menzionare la sua discendenza Uchiha; avrei potuto tranquillamente mentire sulla sua identità e spacciarlo per un cugino di terzo grado alla lontana di qualche personaggio estremamente secondario con una forma particolarmente violenta di infiammazione oculare e le cose magari avrebbero preso una piega migliore.   
Mi alzai nuovamente in piedi, evitando con cautela di infliggermi da sola il colpo di grazia contro il soffitto, per portarmi velocemente al suo fianco... o meglio, un po’ più indietro, alle sue spalle, ben nascosta e protetta dalla sua figura, improvvisamente molto rassicurante; non era certo mia intenzione usarlo come scudo umano, ma ero piuttosto sicura che se fosse partito il combattimento e il corvino avesse provato a sfilettarmi come aveva fatto come Tobi nella scena originale, io da terra non sarei più riuscita ad alzarmi. 
«Andiamocene» tentai di dirgli sottovoce inclinandomi verso di lui, la mano davanti alle labbra in modo alquanto losco «Se adesso apro un varco possiamo ancora-» 
«Quello sguardo... è proprio il fratello di Itachi, uhm» continuò lui, ignorando completamente i miei sentimenti di angoscia crescente «Potrebbe essere interessante» 
«O potrebbe essere un bagno di sangue! DeiDei, ascoltami! Dobbiamo davver-» 
«Lei dov’è?» 
A interrompermi questa volta – mai che qualcuno stesse a sentire fino alla fine quello che avevo da dire!- fu la voce di Sasuke, calma ma allo stesso tempo così glaciale che sentii chiaramente un brivido percorrermi lentamente la colonna vertebrale in modo molto poco piacevole, sempre più consapevole del fatto che no, non era tutto frutto di un’allucinazione collettiva: davanti a noi si era veramente materializzato il mentalmente-neanche-troppo-sano Scoiattolo Uchiha in persona.  
Lei?” pensai confusa, registrando distrattamente le sue parole dall’oblio di ansia e sconforto in cui stavo tristemente andando alla deriva; Itachi aveva cambiato sesso e nessuno mi aveva detto niente? Non aveva mai cambiato sesso e io l’avevo sempre scambiata per un uomo? Sasuke era impazzito definitivamente a causa di tutto quell’odio?  
«Quella mocciosa era una tua compagna? Ci siamo ripresi il corpo e l’abbiamo lasciata andare, uhm» ripose con un sorrisino Deidara, inclinando la testa in un moto di superiorità, tanto che potevo sentire il suo ego gonfiarsi e straripare da quelle parole «Non ne valeva la pena» 
«AH! Fuko!» esclamai allora io, sentendo chiaramente il click della lampadina del mio cervello.  
Qualche mese prima Pain era venuto a informarmi che per mia estrema gioia la biondina, dopo la morte di Orochimaru, aveva avuto la brillante idea di unirsi al gruppetto dell’Uchiha; effettivamente era più che comprensibile che vedendomi con il suo corpo si facesse qualche domanda. Magari, per una buona volta, la fortuna sarebbe stata dalla mia parte e mossa da sentimenti di amore e rispetto per il vecchio corpo dell’amata compagna mi avrebbe risparm- no, dallo sguardo cupo che ci stava rivolgendo – non che il suo repertorio comprendesse molti altri tipi di espressioni, s’intende- stava probabilmente soppesando quale atroce metodo di tortura sarebbe stato più efficace per farci confessare l’attuale ubicazione di Itachi; non che nessuno di noi la conoscesse in realtà, in quel mondo purtroppo non avevano ancora creato telefoni, mail, ninja-gram o cose del genere, quindi non era possibile stalkerare la vita degli altri in tempo reale. 
Beh, se non altro era già un miracolo che Sasuke non fosse arrivato poco prima, quando eravamo ancora alle prese con Fuko; non erano individui facilmente gestibili anche se presi singolarmente, insieme sarebbe stato... un momento, un momentoA proposito di compagni...  
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, attirando un’occhiata di pietà mista a schifo da Deidara, nel ricordarmi che Sasuke non era solo nella sua allegra campagna di odio e distruzione contro il mondo, ma che durante il suo soggiorno da Orochimaru era addirittura riuscito a reclutare gente talmente disperata e mentalmente instabile da pensare che fosse una buona idea quella di dargli una mano nel risolvere i suoi problemi personali.  
Non riuscivo proprio a capire come funzionasse quel mondo: mentre io, una persona bella, intelligente, simpatica e dalle limitate tendenze omicide potevo contare sulla punta delle dita di una sola mano molto piccola le amicizie che ero riuscita a stringere nel corso della mia vita, lui tra un’occhiataccia truce e una minaccia di morte si ritrovava circondato da persone pronte e farsi ridurre a chewingum per il suo bene. Stavo forse sbagliando qualcosa nel mio approccio nei confronti del genere umano? 
Strizzai gli occhi, ancora mezza –completamente - nascosta dietro la spalla di Deidara, esaminando con ostentata nonchalance i dintorni: l’area era piuttosto spoglia, non sembravano esserci delle zone che potessero costituire dei buoni nascondigli o da dove fosse possibile monitorare la situazione; sembrava che Sasuke fosse effettivamente solo, ma considerando le mie abilità sensoriali avrei potuto essere seduta pacificamente sopra uno dei suoi “amici” senza nemmeno rendermene conto.  
In tutta onestà non mi sarebbe dispiaciuto incontrare Suigetsu, ero sempre stata una sua grande fan dagli albori della sua comparsa nel manga, ma avrei preferito succedesse in un altro contesto, un po’ più pacifico, magari di fronte ad una bella tazza d’acqua di quelle che gli piacevano tanto. Juugo, beh... nonostante fossi sicura che sotto sotto fosse una personcina affabile e a modo, lui e i suoi cambiamenti d’umore erano sempre stati un po’ troppo persino per i miei standard. Per quanto riguardava la Sakura 2.0 dai capelli rossi non volevo nemmeno sprecare il tempo di un pensiero su di lei; alla fine, anche se fosse stata lì, la sua presenza sarebbe stata inutile quanto l’idea di regalare a Gaara delle pinzette per sopracciglia.  
Ad ogni modo, la prospettiva che l’allegra brigata del corvino potesse raggiungerci da un momento all’altro gravava pesantemente sulle nostre percentuali di sopravvivenza e sul mio povero cuore, ormai prossimo all’autodistruzione a giudicare dalla velocità con cui stava martellando contro la mia cassa toracica. 
«Ha altri tre compagni oltre Fuko» sussurrai al bombarolo, ancora piegata verso il suo orecchio «Non mi sembra di vederli, ma di solito si muovono in gruppo» aggiunsi, concludendo mentalmente che quell’informazione gli sarebbe stata sicuramente più utile che a me; alla fine il ninja era lui, non potevo fare altro che sperare sapesse cosa stava facendo e affidarmi al suo metro di giudizio; per quanto improbabili suonassero le parole “giudizio” e “Deidara” nella stessa frase.  
Proprio mentre stavo per improvvisare una possessione sciamanica da parte di Wikipedia e lanciarmi in un’accuratissima descrizione dei suddetti personaggi, l’Uchiha, stancatosi di ammirare le nostre invidiabili silhouette in lontananza, scattò in avanti con una velocità tale che l'unica cosa che riuscii a registrare, un battito di palpebre più tardi, fu la luce riflessa sulla lama della katana che incombeva sopra di noi, pronta ad affondare un fendente sul corpo dell’artista, infrangendo qualsiasi regola fossi certa che la fisica prevedesse per lo spostamento di un essere umano nello spazio.  
Facendo più che onore al mio essere una ninja ormai stagionata lanciai un urletto stridulo con la stessa frequenza sonora di un'unghia trascinata contro la superficie di una lavagna, e chiusi automaticamente gli occhi, sperando soltanto che quella non sarebbe stata l’ultima volta. 
Per fortuna Deidara, con dei riflessi che facevano decisamente più shinobi dei miei, non si lasciò particolarmente impressionare dalla cosa, allungando rapidamente un braccio in avanti: le labbra che attraversavano innaturalmente il palmo della sua mano si aprirono, accompagnate da un suono inquietante, un misto di denti che scorrevano fra di loro e dell’argilla che veniva impastata, e un lunghissimo lombrico fuoriuscì dall’apertura, muovendosi velocemente verso l’arma del corvino in una spirale costrittiva; invidiavo terribilmente la sua prontezza di riflessi in situazioni simili; a volte, mentre non facevo nulla, dimenticavo persino come si facesse a respirare e deglutire la propria saliva senza rischiare di affogarci in mezzo. 
Sasuke, l’espressione calma e tranquilla come se si stesse dedicando alla raccolta di tartufi, spostò velocemente indietro la lama impedendo che la creazione dell’altro si avvinghiasse su di essa e portò invece in avanti la mano sinistra. Delle saette cominciarono a circondargli innaturalmente il braccio in un gorgoglio elettrico molto poco rassicurante, un suono che sembrava ricordare quello dell’eco in lontananza di uno stormo di uccelli. 
«KATSU!»  
Riuscii a registrare solo a malapena la voce decisa di Deidara rimbombare nella grotta, prima che venisse sovrastata dal violento suono di un’esplosione: il boato si infranse contro i miei timpani con la forza di un colpo di martello, lasciandomi la testa leggera e ronzante; un fischio fastidioso avvolse quella che era la mia percezione del mondo, riducendo ogni altro suono in qualcosa di lontano e indistinto. 
Per un millesimo di secondo l’espressione di Sasuke si fece vagamente sorpresa, nient’altro che un leggero barlume confuso nello sguardo illuminato dal bagliore dello scoppio, ma fu rapido a riacquistare la solita compostezza che lo contraddistingueva, piegando il suo corpo all’indietro in una linea innaturale ed evitando, con un aggraziato salto di gazzella all’indietro, l’onda d’urto che si era propagata velocemente intorno a noi, scontrandosi con le pietre della grotta e riducendola a niente più che ad un ammasso di macerie scomposte e polverose; una pesante coltre di detriti riempì l’aria circostante in una nube chiara mentre alcuni calcinacci venivano spinti in diverse direzioni. 
Solo allora, riaprendo lentamente gli occhi lacrimanti – per la polvere, ovviamente!-, realizzai di non trovarmi più al suo interno: il bombarolo, senza che me ne rendessi conto, mi aveva trascinata con lui nello spazio aperto della radura, le gambe fastidiosamente umide e appiccicaticce per via del fango pastoso e molliccio su cui mi aveva malamente lasciata cadere subito dopo. 
Dall’alba dei tempi avevo sempre odiato quando nelle storie i personaggi femminili esistevano solo in funzione dell’essere salvati o protetti, finendo per essere solo un peso morto per gli altri, ma in quel momento non riuscivo a pensare assolutamente a nulla, quasi come se non mi trovassi veramente lì e stessi osservando la scena come spettatore esterno. 
Non era certo la prima volta che finivo coinvolta in uno scontro improvviso, ma l’angoscia paralizzante della battaglia non era qualcosa a cui sarei mai riuscita ad abituarmi. Le situazioni da “muori o uccidi” che gli altri in quel posto vivevano con la stessa serenità mentale dello scendere in piazza a prendere un gelato e l’adrenalina che deriva dal percepire la propria vita in bilico sul filo del rasoio non facevano certo bene al mio povero cuore e non incoraggiavano sicuramente le mie capacità di reazione; insomma, non riuscivo nemmeno a salire sulle montagne russe, figuriamoci se sarei mai stata capace di lanciarmi di mia iniziativa in uno scontro all’ultimo sangue con un serial killer addestrato! 
L’idea di come quella battaglia potesse concludersi e l’immagine di Deidara che si trasformava in un gigante petardo colorato continuava a flashare ininterrottamente davanti ai miei occhi, senza che riuscissi nemmeno a pensare a un rimedio plausibile per evitarlo.  
E se avessi peggiorato tutto? E se mettendomi in mezzo avessi finito per accelerare le cose? Cosa dovevo fare? Come- 
«Oi» la voce del dinamitardo interruppe di punto in bianco la spirale di disperazione in cui mi stavo inesorabilmente affondando, il viso leggermente curvato verso di me e l’espressione aggrottata in un cipiglio scettico «Quel ragazzino ti fa così tanta paura? Aahche bambina...» aggiunse canzonatorio, occhieggiandomi con quel suo solito sorrisetto provocatorio, ben consapevole di quanto mi irritasse. 
«C-certo che no, ti pare?!» sbottai infastidita, spingendo con le mani sulle ginocchia per alzarmi in piedi, cercando di non fare caso alle proteste delle mie articolazioni indolenzite da tutto quel movimento improvviso «Piuttosto, è per te che sono preoccupata, quello lì è forte, sai?!» borbottai, puntando un dito contro la figura dell’Uchiha, che aveva preso nuovamente le distanze per analizzare meglio la situazione; effettivamente non era molto saggio lanciarsi di faccia contro un potenziale kamikaze, persino io ci sarei potuta arrivare. 
«Non è possibile che un mocciosetto viziato come quello possa competere con la mia arte, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, uhm» assicurò lui, un senso di orgoglio sconfinato che trasudava da ogni singola parola «O non hai fiducia in me?» 
«So benissimo che puoi batterlo senza problemi!» ribattei, fin tropo velocemente, sentendo le guance bruciare fastidiosamente nel notare la soddisfazione farsi strada su quella sua faccia da schiaffi.  
Per quanto fosse irritante da ammettere di fronte al sorrisetto strafottente con cui mi osservava era vero, l’avevo sempre pensata in quel modo; anche quando avevo assistito a quella battaglia nell’anime ero sempre stata sicura che Deidara sarebbe stato in grado di batterlo se non fosse stato per la corsia preferenziale della trama riservata ai protagonisti. Ero sempre stata certa che se alla fine non si fosse lasciato accecare dalla rabbia decidendo di farsi saltare in aria a caso sarebbe riuscito a finirlo senza problemi. Maledetto Kishimoto!  
«Allora smettila boccheggiare in quel modo e mettiti al lavoro, abbiamo un nemico da abbattere, uhm» affermò, dandomi le spalle; i capelli e la cappa dell’organizzazione ondeggiarono in modo terribilmente scenico per via del movimento repentino e i raggi del sole circondarono la sua figura, conferendogli un’aura sbrilluccicante e alquanto suggestiva; emanava così tanta sicurezza e fiducia in sé stesso che per un attimo ne fui travolta anch’io e lasciai che contagiasse un po’ anche me, uscendo dal labirinto di forse e di ma che non mi avrebbero sicuramente portata da nessuna parte... oltre che qualche metro sottoterra s’intende; e io ero abbastanza sicura che nessuno lì avesse voglia di spendere soldi per organizzare un mio possibile funerale e sarei finita quasi sicuramente lasciata a marcire tra le lumache.  
«Ci sono delle domande che devo farti» affermò Sasuke, la punta della katana rivolta nella mia direzione che non prometteva nulla di buono.  
Innanzitutto, non lo sapeva che non era buona educazione puntare oggetti contundenti e potenzialmente letali verso gli sconosciuti? Non mi sembrava il modo migliore per mettere a suo agio qualcuno e intavolarci una conversazione; e poi... domande? A me, me medesima? Era perché pensava fossi l’anello debole del gruppo? Non aveva tutti i torti, però... 
«Non opporre resistenza e ti lascerò andare» concluse, lanciando un’occhiata disinteressata verso Deidara, come se accanto a me non ci fosse uno degli shinobi pluriomicidi più ricercati del mondo ninja, ma soltanto un moscerino ronzante e fastidioso; più o meno l’ABC del comportamento da adottare per fargli partire un embolo e fare in modo che l’artista ti inserisse direttamente nella sua lista nera, con conseguente uccisione immediata. 
«Quell'atteggiamento...» sibilò a denti stretti lui, il sorriso che si allargava sul suo viso in modo decisamente poco amichevole e una vena che cominciava a gonfiarsi sulla sua fronte per via della rabbia crescente, probabilmente immerso in flashback di guerra del non proprio piacevole primo faccia a faccia che aveva avuto con il fratello maggiore. 
«Non abbiamo la più pallida idea di dove si trovi Itachi!» intervenni allora io, prima che la situazione precipitasse ulteriormente «Nessuno nell’organizzazione conosce gli spostamenti degli altri, non avrebbe senso!» provai addirittura buttarla sulla logica, tale era il mio livello di disperazione, ma dallo sguardo disinteressato che ci stava rivolgendo ero piuttosto sicura che non sarei riuscita a smuoverlo nemmeno se avessi cominciato a recitargli a memoria la Divina Commedia improvvisandogli una danza folkloristica. 
«Se avete intenzione di opporvi, allora-» prima che il corvino potesse concludere la sua frase con una qualche minaccia di morte non proprio gradevole, Deidara mosse le braccia in avanti, lanciando dai palmi delle mani delle sfere bianche che sembrarono bloccarsi in aria per qualche secondo, contro ogni legge della gravità; l’argilla bianca si agitò, come se qualcosa stesse crescendo al suo interno, e si contrasse su sé stessa; i dispositivi presero la forma di alcuni uccelli dal tratto tipico che accumunava le sue creazioni, che partirono all’attacco fendendo l’aria, diretti verso il loro obbiettivo. 
«Sai cosa devi fare, uhm» si limitò a dirmi, raccogliendo le mani davanti al petto per formare un sigillo, lo sguardo impegnato a seguire i movimenti dell’Uchiha, pronto a cogliere la minima apertura nella sua guardia per poter passare all’attacco; in realtà erano soltanto un’esca: finalmente, dopo tutto quel tempo, potevamo mettere in atto la combo – speranzosamente- fatale che avevamo elaborato insieme qualche mese prima in un momento di noia generale. 
Feci un respiro profondo, cercando di riportare all’ordine i neuroni che impazziti vagavano senza scopo alcuno, e cominciai a muovere le mani scompostamente, nel solito modo che ormai cominciava a essermi sempre più familiare. 
«Super... hyper... shiny... combo!» sussurrai faticosamente, il sudore che mi scaldava le guance, colta però da un profondo senso di soddisfazione nel notare un varco aprirsi perfettamente alle spalle dell’Uchiha, la cui attenzione era ancora completamente polarizzata verso gli esplosivi manovrati a distanza da Deidara. 
«Ti ho già detto mille volte...» cominciò l’artista, le sopracciglia aggrottate sotto l’ombra del coprifronte, mentre con un semplice gesto della mano liberava altri esplosivi nel varco gemello che avevo appena aperto di fronte a lui «Che non lo chiameremo mai in modo tanto ridicolo. KATSU!» urlò, la voce già incrinata dal desiderio di vittoria, che gli stringeva già lo stomaco in una morsa carica di aspettativa; gli esplosivi attraversarono il passaggio creato di fronte a lui, ritrovandosi, un istante più tardi, alle spalle di Sasuke; prima che avesse tempo di rendersene conto si azionarono, avvolti da un bagliore. 
L’esplosione fu sorda e travolgente, non troppo ampia ma abbastanza potente da spazzare via qualsiasi cosa avesse avuto la sfortuna di ritrovarsi nelle sue vicinanze. L’onda d’urto parve riverberare attraverso ogni singolo osso e lungo i muscoli del mio corpo, pizzicando la pelle e lasciandomi le mani ricoperte da un leggero formicolio; se non altro questa volta avevo avuto il tempo di tapparmi le orecchie: ero abbastanza sicura che l’Akatsuki non offrisse alcuna forma di copertura sanitaria nello sfortunato caso capitasse che a qualcuno implodessero i padiglioni auricolari.  
«Si sta ancora muovendo... Fu!» mi avvertì Deidara, che non aveva abbassato la guardia nemmeno per un secondo, tornando nuovamente in posizione e generando altri esplosivi, questa volta di dimensioni ridotte, ma decisamente più veloci rispetto ai precedenti; le nuove armi si mossero verso l’Uchiha ancor prima che la nube di polvere sospesa nell'aria liberasse la nostra visuale, le ali che si agitavano veloci come quelle di un colibrì. 
«Mi chiamo Ambra!» ribattei piccata, troppo presa dalla tecnica per essere veramente irritata dal fatto che non si fosse ancora abituato ad utilizzare il mio vero nome, piegando un po’ la schiena in avanti e stringendo le palpebre per cercare di individuare la posizione del ninja di Konoha, nient’altro che un’ombra confusa dietro la coltre di terriccio e detriti che lo avvolgeva, pronta ad aprire altri varchi non appena avessi individuato anche solamente uno dei suoi sacri mignoli Uchiha. 
A fare per prima la sua apparizione, tuttavia, fu la sagoma di alcune creazioni ancora inesplose dell’artista, che dallo schiocco irritato della sua lingua contro il palato sembrò non esattamente gradire la cosa, bloccate e rese inefficaci dal chakra del fulmine del corvino, che in quel modo era riuscito a limitare i danni subiti. 
Con un gesto fluido balzò all’indietro e girò su sé stesso con una capriola, a mio parere parecchio inutile vista la situazione: non capivo l’esigenza che avevano i ninja di mettersi a fare di tanto in tanto acrobazie da circo durante i combattimenti, quando ci avrebbero messo la metà del tempo e della fatica limitandosi a spostarsi in modo normale; beh, onestamente anch’io se ne fossi stata in grado non avrei fatto altro che pavoneggiarmi della cosa, ma quelli erano dettagli... 
Il viso di Sasuke apparve finalmente dalla cortina di fumo, leggermente impolverato a causa dell’esplosione e le maniche del kimono bianco – pessima scelta di colore, a mio modesto parere, per uno che se ne andava in giro a sfilettare la gente senza pietà- erano leggermente bruciacchiate nella zona che gli fasciava le spalle, senza tuttavia nessuna ferita visibile; gli occhi, però, si erano tinti di un una tonalità di rosso sgargiante ed erano puntati dritti verso di noi.  
«Ambra!» 
«Lo so!» 
Distolsi gli occhi alla velocità della luce -non mi andava particolarmente di passare novanta ore a farmi infilzare dentro una qualche macabra illusione concepita da un altrettanto macabra mente malata- mentre agitando scompostamente le mani aprii un altro varco sotto il corpo del nostro avversario, nella zona in cui sarebbe finito inevitabilmente per atterrare per via della traiettoria del suo spostamento e collegai il varco a una grande pietra che poco più in là spiccava nella valle.  
«Tecnica della tagliola: trappola per orsi!» esclamai esaltata; avevo sempre voluto provare ad usare quell’attacco! 
Il corvino abbassò lo sguardo nell’avvertire il suo piede non raggiungere nessun tipo di appoggio e attraversare lo squarcio, rimanendo incastrato all’interno del materiale roccioso, i movimenti bloccati almeno per qualche istante. 
«Chiudi il varco e tagliagli la gamba, uhm» suggerì candidamente l’artista, con una tranquillità tale che sembrava mi avesse appena proposto di andare prenderci una tisana in allegria. 
«Cos- NO! Non posso!» balbettai agitata, lanciandogli un’occhiata allarmata per quella prospettiva; stavamo combattendo, era vero, ma non avrei mai potuto tranciargli un arto così all’improvviso! Insomma, non stava bene, non era molto carina come cosa! 
Il biondino sbuffò, irritato dalla mia esitazione, ma non disse nulla – probabilmente nemmeno lui si aspettava che sarei stata veramente in grado di farlo- e, senza perdere nemmeno un secondo, raccolse nuovamente le mani in un sigillo.  
Altri lombrichi esplosivi - non avevo idea di quando li avesse creati e fatti arrivare fino lì- emersero rapidamente dal suolo, avvolgendosi intorno al corpo del ninja prima che potesse reagire, stringendogli il busto e bloccandogli le mani in una morsa ferrea. 
«KATSU!» urlò nuovamente, innescando le sue creazioni, che travolsero completamente la sagoma del corvino, scomparsa dietro la luce chiara e accecante dell’esplosione e ingoiando tutto quello che lo circondava. 
«Ah-ah! Ecco cosa ottieni a guardami dall’alto in basso, uhm!» sbottò soddisfatto, il sorriso che gli attraversava il volto da parte a parte nel modo compiaciuto e vagamente maniacale a cui ormai ero abituata. 
Registrai a malapena le parole il mio compagno, completamente preso dal decantare le sue fantastiche capacità strategiche e a sottolineare la meravigliosa efficacia delle sue creazioni, lo stomaco aggrovigliato in un’emozione complicata; e... quindi? Finiva così? Era morto? Avevo appena preso parte all’uccisione di Sasuke Uchiha? Non mi era mai piaciuto particolarmente, però farlo saltare in aria mi pareva un po’ eccessivo... e cos’avrebbe detto Itachi? Oh no, come avevo potuto fargli una cosa simile?! Non sarei mai più riuscita a guardarlo in faccia! 
Dall’ombra creata dalla nebbia dell’esplosione emerse la figura di un tronco di legno, che cadde a terra con un tonfo leggero, spezzando il chiacchiericcio concitato di Deidara. 
«La tecnica della sostituzione!» sentii sbottare il biondino irritato, registrando che il suo ultimo attacco era andato a vuoto, quando, persa nei meandri dei miei pensieri, notai distrattamente un’ombra cominciare a ingrandirsi sotto i miei piedi, come se qualcosa fosse apparso alle mie spalle, bloccando i raggi del sole che si trovava dietro di me. 
«Amb-!» 
Mi voltai appena, sentendo i muscoli improvvisamente rigidi e pesanti ancorarmi al suolo, notando soltanto con la coda dell’occhio la lama della katana di Sasuke dirigersi verso di me, decisamente troppo vicina per i miei gusti 
Oh. Non sarei mai riuscita a schivarla, ero veramente morta. 
Mi preparai mentalmente all’impatto e chiusi lentamente gli occhi; era successo tutto così in fretta che non avevo avuto nemmeno il tempo di sentirmi spaventata, di vedere cose tipo la mia vita passarmi davanti in un’emozionante pellicola cinematografica di tutte le mie sfighe fino a quel momento o di riuscire a formulare un qualsiasi tipo di pensiero. Forse era meglio così, avrei evitato di lanciarmi in grida stridule poco eleganti e umiliare ulteriormente la mia persona. 
Sentii il suono di qualcosa che veniva lacerato e attraversato, il tintinnio della lama di metallo che affondava spietatamente su qualcosa, ma non ci fu nessun impatto e nessun dolore atroce improvviso a rivoltarmi le viscere come mi sarei aspettata. 
Spalancai gli occhi, sentendo qualcosa di caldo cominciare a scorrermi sulle guance, delle linee rosse che scivolavano lentamente sopra di me, gocciolando dalla figura che mi sovrastava. 
«Non farti fregare da un trucco così banale, idiota» sussurrò Deidara, con un sorrisetto incerto, la fronte piegata verso la mia e il busto inclinato in avanti, coprendo completamente la mia figura con la sua ombra. 
Spalancai gli occhi, sentendo il respiro bloccarmisi in gola con un suono strozzato che soppresse ogni tentativo di articolare qualcosa, notando la chiazza rossa allargarsi velocemente sul suo addome al di sotto della cappa strappata e sporcando inevitabilmente i vestiti, la punta della spada che emergeva innaturalmente dal suo corpo. 
«D-Dei-» balbettai, la mente che ruotava su stessa nel caos più totale «N-non dovevi metterti in mezzo, non-» 
«Non è niente, uhm. Una cosa del genere non bast-» 
La spada venne improvvisamente ritirata all’indietro, accompagnata dal suono strozzato e gutturale sfuggito dalle labbra di Deidara; avvertendo la debolezza pervadergli il corpo si piegò sulle ginocchia, premendosi la mano contro il fianco con un sibilio carico di aria e fastidio, i lunghi capelli biondi che cadevano come una tenda intorno al suo volto, imperlato da alcune gocce di sangue misto a sudore; automaticamente mi abbassai anch’io, poggiandogli le mani tremolanti sulle spalle, senza riuscire a fare o dire nulla, le vertigini che attanagliavano il mio corpo e un senso di nausea crescente. 
Alle sue spalle emerse la figura di Sasuke, che troneggiava su di noi, l’espressione torva a causa dell’ombra che rendeva ancora più taglienti i tratti del suo viso, risultando persino più imponente mentre ci osservava dall’alto della sua posizione, l’indifferenza mista a un leggero velo di superiorità che macchiava il suo sguardo scuro. 
«Umph, vi avevo detto di non fare resistenza» si limitò a ribadire, atono, calmo, come se davanti a lui non ci fosse nulla, come se non avesse appena squartato qualcuno con l’arma che reggeva fra le mani; il corvino spostò la katana di lato con un movimento repentino, scuotendo via il sangue che ne impregnava la lama, che dipinse il terreno in una linea macabra, penetrando nella fanghiglia e tingendola di una tonalità innaturale. 
Sentivo le spalle del biondo tremare leggermente sotto la pelle dei miei polpastrelli, appesantendo ulteriormente il macigno che gravava sopra il mio stomaco, il battito del mio cuore che si infrangeva furiosamente contro le mie orecchie.  
Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare? 
«Non ho tempo da perdere» dichiarò semplicemente, spostando il braccio all’indietro, pronto a finire l’ostacolo che gli si parava davanti. 
Sentii Deidara cercare di alzarsi in piedi pronto a riprendere il combattimento, ma lo spinsi di nuovo in basso con le mani, impedendogli di muoversi; senza fermarmi a pensare a quello che stessi facendo mi spostai velocemente in avanti, mettendomi fra di loro. 
«Ferm-»  
Ignorai le sue proteste lasciandomi trasportare in avanti dall’impeto del momento, e mi lanciai senza troppe cerimonie come un koala verso il corpo del corvino annullando la distanza che ci separava, in modo da non rientrare nel raggio di attacco della sua spada - nella mia testa funzionava come strategia, ok?-. 
La reazione dell’altro non tardò ad arrivare e, prima che me ne rendessi conto, avvertii i polmoni svuotarsi d’aria mentre il suo piede affondava contro il mio addome in un calcio che non ero nemmeno riuscita a vedere e sentii muscoli intorno al mio stomaco contrarsi pericolosamente e le ossa scricchiolare in maniera poco rassicurante, quasi come mi stesse attraversando da parte a parte con quel colpo.  
L'impatto mi spinse all’indietro ma, barcollando sulle gambe tremolanti, mi impedii in qualche modo di cadere a terra, lottando con ogni singola forza che mi rimaneva per non rigettarmi addosso tutto il contenuto del mio corpo -ci mancava soltanto quello, sarebbe stato alquanto patetico e disgustoso-; se non avessi avuto l’adrenalina a mille a corrermi velocemente nelle vene e i sensi offuscati per il terrore sarei già stramazzata pietosamente al suolo senza la minima possibilità di fare altro. 
Prima di permettere alla mia mente di soffermarsi sui danni che calcio di Sasuke aveva inflitto al mio povero corpicino indifeso allungai la mano in avanti, impiegando ogni goccia della mia ormai precaria forza di volontà per poter riuscire a concentrarmi; in qualche modo avvertii il chakra scorrere nella direzione che desideravo e il tipico calore e il formicolio che lo contraddistingueva cominciò ad avvolgermi la mano. 
«Super Super Kawaii Impact!» urlai, con fin troppa enfasi, il nome della prima tecnica ninja che ero riuscita a creare quando ero arrivata in quel mondo, manipolando il chakra sul il palmo della mia mano e ottenendo, tristemente, nessun particolare risultato: mi ero appena resa conto che quella tecnica era stata concepita per un corpo e un tipo di chakra diverso da quelli che avevo attualmente, quindi ero letteralmente fregata, avevo fatto tutta quella scenetta totalmente a caso. Erano questi i sentimenti che provava Magikarp dopo che, con tutto il suo impegno di pesce incompreso, provava ad usare splash? In difesa della mia persona, se nel mio mondo mi fossi messa a farmi brillare la mano sarei stata acclamata come una divinità scesa in terra, era quel posto ad avere degli standard strani! 
Ad ogni modo, per fortuna, questo Sasuke non lo sapeva ancora considerando il cipiglio scettico con cui mi stava osservando a distanza attendendo che succedesse qualcosa, quindi potevo trovare il modo di sfruttare la cosa a mio favore. 
Approfittando di quei pochi istanti che separavano l’Uchiha dal rendersi conto dell’orribile figura in cui mi ero appena esibita piegai il viso di lato, voltandomi verso Deidara che si era ormai risollevato e mi osservava titubante, probabilmente interrogandosi sulla mia sanità mentale – o forse stava cercando un modo per andarsene di soppiatto facendo finta di non conoscermi-, la mano premuta sull’addome per rallentare in qualche modo l’emorragia, fin troppo tranquillo per uno che era stato appena infilzato brutalmente da parte a parte come una pellicola dell’Estathè dalla cannuccia; cosa mi aspettavo dalla stessa persona che non aveva praticamente fatto una piega neanche dopo che gli erano state strappate entrambe le braccia nel giro di un paio di episodi? 
Dovevamo aver passato veramente troppo tempo insieme perché quando il suo sguardo incontrò il mio fui sicura che avesse già capito quello che volevo fare. 
«Vedi un po’ di sopravvivere!» 
«Non ci pensare neanch- merda!» in un istante un varco squarciò prepotentemente lo spazio alle spalle di Deidara, come un rapido colpo di coltello che separò con un taglio netto lo scenario, allargandosi e avvolgendo la sua figura prima che potesse opporre resistenza, i movimenti rallentati di un secondo di troppo dal dolore della ferita; il blu agitato dei suoi occhi si puntò per un secondo verso di me, ma scomparve presto, avvolto dalla luce che si richiuse su sé stessa ricomponendo l’ambiente circostante, quasi come se lì non ci fosse mai stato nulla; non osavo nemmeno immaginare gli insulti che mi stesse lanciando dall’altra parte. Speravo soltanto di non averlo fatto materializzare sopra un cratere vulcanico o cose simili, sarebbe stato veramente triste... 
«Hai finito?» 
La voce di Sasuke suonò molto meno lontana di quello che mi aspettassi e solo allora mi accorsi della presenza accanto a me, un’aura pesante e minacciosa che mi incombeva addosso.  
Non feci nemmeno in tempo a voltarmi nella sua direzione; afferrò il polso della mano ormai libera dall’inutilissimo flusso di chakra luminescente e piegò l’arto all’indietro con una mossa rapida e calcolata, così velocemente che il dolore parve raggiungermi con qualche secondo di ritardo, un colpo di frusta inaspettato che sembrò polverizzarmi le ossa. 
Non mi dilungherò sulla serie di imprecazioni e frasi poco carine che rivolsi al Vendicatore, la sua discendenza e a qualsiasi altra cosa riuscissi a pensare in quei momenti di agonia e panico generale; avrei potuto scrivere un saggio di tre pagine con tutte le leggiadre parole che abbandonarono soavemente le mie labbra nel giro del minuto che seguì la rottura della mia mano.  
Tra il polso piegato in una direzione innaturale, l’osso che faceva capolino attraverso la pelle, il sangue colante e l’addome ancora straziato per il calcio che avevo incassato poco prima, caddi a terra come un sacco di patate, ormai oltre ogni mio possibile limite fisico e mentale; la testa aveva preso a vorticarmi talmente velocemente per via dell’agonia che continuare a mantenere gli occhi aperti cominciava a essere sempre più difficile, la coscienza che minacciava di sfuggirmi dalle mani in ogni momento, la vista e l’odore del sangue che aumentavano esponenzialmente la mia nausea di secondo in secondo. 
«Che teatrino commovente!» registrai a sento dal vortice di nausea e strazio che stavo sperimentando una nuova voce, femminile, fastidiosatrillare poco più in là, con un volume decisamente troppo alto rispetto a quello che la mia povera mente fosse in grado di tollerare e un’allegria non esattamente in linea con la mia situazione emotiva attuale. 
Piegai appena la testa di lato, sentendo la guancia affondare in modo poco piacevole sul terreno freddo e umidiccio, un misto di fango e sostanze che per il bene della mia precaria sanità mentale non gradivo approfondire, che si appiccicò fastidiosamente alla pelle e ai capelli, trasformandoli in un unico ammasso indefinito. 
Da qualche punto non ben identificato all’esterno del mio campo visivo notai apparire una figura sfocata, i capelli rosso fuoco che risultavano un vero e proprio pugno in un occhio per la mia mente annebbiata. 
«Non siamo riusciti a trovarla, certo che è veloce a scappare!» stava spiegando a Sasuke, più interessato a pulire la lama della sua katana che a quello che gli stava dicendo, dandole le spalle senza neanche troppe cerimonie «Juugo e Suigetsu sono rimasti indietro per controllare meglio la zona, ma non penso otterranno qualche risultato» 
«Non importa, non abbiamo più bisogno di lei» tagliò corto lui, riponendo nuovamente la lama nel fodero che gli cingeva la vita; anche da quell’angolazione quella cintura continuava ad essere veramente oscena
«C-certo Sasuke, come preferisci!»  
Ugh... non avevo nemmeno la forza di guardarla dal basso con il disgusto che si meritava, che fastidio.  
Occhieggiai, senza nemmeno riconoscerlo, il braccio che giaceva scompostamente di fronte a me in una posizione che ero abbastanza sicura nessun braccio avrebbe mai dovuto assumere nel corso della propria esistenza: se non altro, in qualche modo, si trovava ancora attaccato al suo posto, era già qualcosa... Da quando ero arrivata in quel mondo le mie priorità avevano subito un drastico cambiamento. 
«Occupatevi di lei» furono le ultime parole che riuscii a cogliere prima di cedere definitivamente alla pesantezza delle mie palpebre, arrendendomi all’oblio, che ormai appariva piuttosto invitante, lasciando che mi avvolgesse in una calda coperta silenziosa e rassicurante. Lo sapevo che quella mattina sarebbe stato meglio continuare a dormire. 

  
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