Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
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Autore: KatWhite    02/09/2020    1 recensioni
Elizabeth era sì rossa in viso e col respiro affannato, ma le sue labbra erano ancora schiuse ed umide, i suoi occhi gonfi e sicuri, determinati. Non c’era nemmeno una briciola di esitazione in lei, ed infatti, con enorme sgomento di Meliodas, questa volta fu lei a baciarlo posando delicatamente una mano sulla sua guancia.
Meliodas si aggrappò a lei come se la propria vita dipendesse da quel bacio: si fece largo tra le sue braccia e intrecciò le proprie dita con le sue, stringendola a sé per non lasciarla andare mai più. La sua lingua si insinuò piano nella bocca di lei, la quale acconsentì tacitamente sorridendogli a fior di labbra, mentre entrambi, scarlatti in volto, approfondirono il bacio.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Liones, Meliodas
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Igniting the Spark

Elizabeth volava pigramente con occhi sconsolati e apatici, facendo attenzione a rimanere ad almeno un metro di distanza dalla madre che la precedeva.  
«Muoviti Elizabeth» ordinò tuonante e imperante la Dea Suprema, ma la figlia la ignorò come segno di protesta. Non capiva davvero il motivo, ma soprattutto il senso, nell’accompagnarla ad un incontro diplomatico che di diplomatico non aveva assolutamente nulla: la Dea Suprema l’aveva incitata a venire al fine di mostrarle che non era possibile alcuna via diplomatica con i demoni villani
Elizabeth sapeva benissimo che non stavano andando ad incontrarsi col Re dei Demoni per promuovere la pace, ma solamente per avere un pretesto per lanciargli ulteriori guanti di guerra. Odiava il fatto di essere l’unica che ritenesse che fosse tutto troppo sbagliato, che fosse l’unica che avesse il fegato logorato perché loro non erano i buoni.
Trascorse un’altra mezz’ora abbondante prima che arrivassero al punto prescelto. Una volta giunte, il Re dei Demoni non era ancora arrivato, perciò la madre di Elizabeth si eresse in tutta la sua fierezza e alterigia verso il cielo, attendendo con espressione tronfia l’arrivo della controparte.
Dei fulmini improvvisi scossero il cielo, che divenne improvvisamente e rapidamente scuro, per poi rasserenarsi così come era rannuvolato. Sotto il punto in cui si erano scatenate le saette troneggiava l’imponente, macabra e oscura figura del Re dei Demoni che, come la Dea Suprema, non era venuto solo: accanto ai suoi piedi vi era la minuscola figura di un uomo dai biondissimi e spettinatissimi capelli color giallo limone.
Elizabeth era visibilmente un po’ spiazzata, al contrario Meliodas appariva impassibile mentre la studiava con occhio critico dalla ciocca di capelli argentata fino alla punta appuntita delle scarpe. 
«Re dei Demoni» esordì la Dea in tono stucchevole e affettato alzando la mano in un vago e svogliato saluto. Lui fece altrettanto. «Una giornata perfetta per un incontro di pace, non trovi?» domandò con voce altrettanto smorfiosa e studiata. Elizabeth si chiese se fosse l’unica a trovarla così palese o forse sua madre credeva davvero di riuscire a celare la propria falsità. 
«Io e la mia gente non chiediamo altro!» esclamò esaltato ed entusiasta il Demone. Le sue parole risultavano più vere al confronto di quelle della Regina delle Dee, ma Elizabeth ritenne che ci fosse qualcosa che non quadrasse: era come se stesse comunque cercando di ingannare, ma con metodi più melliflui e lusinghieri.
«Ho portato mio figlio Meliodas affinché ne esca istruito del nostro dialogo. È mio desiderio compiere ogni gesto necessario per la pace e l’armonia tra i nostri popoli, superando le differenze delle nostre nature e stili di vita» e mentre il padre parlava con la massima austerità, il figlio sorrise e sbuffò roteando gli occhi, con una smorfia da “Ma chi vuoi che se la beva”. «Chi ha mai detto che Demoni e Dee non possono essere amici? O quanto meno collaborare per uno scopo comune?» concluse con lo stesso tono affabile di un candidato alle elezioni che cerca di esporre il proprio piano politico per vincere la poltrona.
«Beh la vostra stessa natura lo dice» arrivò la risposta insolente e arrogante della Dea Suprema. «Dite di volere un vostro posto su questa terra pacifica, ma ciò che vedo che portate è solamente morte e distruzione ad essa e ai suoi abitanti». La Regina portò l’indice destro sulla guancia e se la massaggiò, poi riprese con voce afflitta: «Come ci può essere pace con un popolo così rozzo e bruto che fa affidamento solo sulla forza fisica e non prova nemmeno un briciolo di compassione per gli avversari caduti e per i loro cari?». «Ogni mese ci incontriamo caro Re dei Demoni» continuò dopo una breve pausa, preparandosi a sferrare la stoccata finale. «Ma pare che una soluzione a questo cruccio non la si riesca mai a trovare, dato che le vostre azioni parlano più delle vostre parole» concluse con tono aggressivo, se ne fosse stata in grado avrebbe sputato anche veleno.
Il Re dei Demoni e Meliodas erano rimasti impassibili per tutta la durata della tiritera della Dea Suprema; proprio quando uno dei due stava per rispondere, Elizabeth raccolse tutto il coraggio che poté, incamerò più aria possibile nei polmoni e parlò in direzione della madre: «Non è vero madre» disse in un soffio, ma ben udibile da tutti i presenti. «L’odio genera altro odio. La guerra genera nuova guerra. Tutti i nostri alleati Stigma, Clan delle Dee, Clan delle Fate, Clan dei Giganti e umani, così come il Clan dei Demoni, non abbiamo provato pena o pietà per le vite che abbiamo preso. Ho visto tantissimi appartenenti al Clan delle Dee con lo sguardo iniettato di sangue ed inebriato dal potere che hanno strappato innumerevoli vite di demoni che si erano arresi e chiedevano indulgenza» il tono della giovane dea divenne sempre più acuto e infervorato, il cuore le batteva all’impazzata mentre sperava che le sue parole potessero fare breccia nel cuore di qualcuno.
Ma dopo qualche secondo di pausa continuava a regnare il silenzio, nessuno più osava parlare. E allora Elizabeth continuò, questa volta urlando a squarciagola: «E poi parli parli, ma mi sembra solo che tu stia blaterando a vuoto. È chiaro che non hai nessuna intenzione di intercedere con loro, ma come pensi che potrà mai avere fine questo bagno di sangue se nessuno è disposto a fare un passo nella direzione dell’altro? Perché non iniziare a fare prigionieri invece di uccidere chiunque? Perché non graziare qualcuno invece che calare la spada sulla sua testa? Perché non-»
«ORA BASTA ELIZABETH!» tuonò furente la madre. «Mi sembra che abbia sprecato fiato a sufficienza. La tua insolenza è pari solamente alla tua ingenuità. La tua Regina ti ordina di andartene immediatamente» ordinò perentoria e adirata.
«Ma-»
«ORA»
Ecco, quello era il capolinea: oramai non c’era più nulla che potesse fare. Elizabeth chinò mestamente il capo, e mentre ancora si mordeva le labbra stizzita, si allontanò da essi.
Volò per qualche metro diretta verso la propria casa, dove si sarebbe buttata in lacrime sul suo letto: ci aveva provato ma aveva solo ottenuto di rendersi ridicola davanti a tutti. Fu solo in quel momento che si accorse di qualcosa accartocciato nel suo palmo destro; aprì la mano e all’interno vi era un pezzetto di carta dai lembi fumanti e bruciacchiati sul quale vi era scritto: “Vediamoci dove ci siamo conosciuti. -M”.

Elizabeth arrivò volando di corsa su quella collinetta fiorita; ci mise non poco a ritrovare il punto preciso in cui lei e Meliodas si erano appartati per curarlo, dato che aveva un pessimo senso dell’orientamento. Capì poi di averlo scovato quando intravide in lontananza il ciuffo appuntito e ribelle del ragazzo. Corse nella sua direzione e qualche minuto dopo gli fu di fronte: lui era in piedi di fronte a lei, basso ma col petto muscoloso, con le braccia incrociate al petto e un sopracciglio inarcato all’insù. Anche stando in piedi, Meliodas non le arrivava nemmeno al busto. Il suo corpo era ricoperto delle solite chiazze nere e vi era la solita runa nera sulla fronte a simboleggiare la sua appartenenza ai Dieci Comandamenti. I suoi occhi erano neri come la pece ma erano in qualche modo diversi. 
Nonostante non fosse la prima volta in cui stavano così vicini da potersi osservare attentamente, Elizabeth sembrò realizzare solamente in quel momento la loro breve distanza e arrossì. Non capiva come mai le provocava quell’effetto.
«Elizabeth» parlò Meliodas con voce perentoria. «Sono contento che tu abbia ricevuto il mio messaggio e abbia accettato il mio invito» continuò questa volta distaccato ma comunque autoritario.
«C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi, Meliodas?» domandò esitante Elizabeth. Non sapeva davvero cosa rispondere, e soprattutto cosa aspettarsi.
Meliodas sorrise, a metà tra un ghigno malefico e rassegnato. «Ti dirò il vero: mio padre… Mi ha portato con sé per ucciderti» disse e ad Elizabeth si ghiacciò il cuore. «Avrei dovuto farlo con tua madre a fianco, per provocarla» spiegò il ragazzo in tono eloquente e miseramente tentando di essere rassicurante. «Ma la verità è che dopo aver udito le tue parole, io non credo di…» la voce gli si affievolì ad ogni parola fino ad interrompersi. Chiuse le mani tremanti in pugni, e abbassò lo sguardo.
Non sapeva nemmeno lui che cosa gli stesse succedendo, in parte temeva questo suo esitare. No, in realtà lo sapeva, aveva solo paura di ammetterlo a se stesso e a suo padre: la verità era che era stufo marcio di uccidere, solo uccidere senza sosta. Era il Principe dei Demoni e questo avrebbe dovuto portargli solamente piacere, e glielo aveva dato per i primi decenni forse. Ma dopo un po’ le urla delle persone morenti, i loro occhi che si spegnevano tra le sofferenze… Avevano iniziato a segnarlo, sia che essi fossero amici sia che fossero nemici. E in più, spesso si soffermava a spiare la vita quotidiana degli umani semplici, e li invidiava: loro potevano sperimentare l’amore, avere una famiglia, fare figli, vivere sereni senza combattere e permeati solamente dall’amore della famiglia. La sua di famiglia non era così, non aveva mai provato questo con suo padre e nemmeno con Zeldris, il quale era da sempre stato geloso di lui.
Oramai scendeva sul campo di battaglia e lottava solamente per inerzia, con l’illusione che un giorno sarebbe riuscito a ritagliarsi il proprio posto sulla Terra e a provare una vita semplice come quella degli umani sulla propria pelle. E quando tutto sembrava andare verso un senso unico, quando oramai confondeva le giornate tra di loro, quando non sapeva nemmeno più se stesse combattendo per le mire espansionistiche di suo padre o per il suo piccolo sogno, era arrivata lei, Elizabeth, che sproloquiava esattamente sulle stesse cose che lui avrebbe voluto sentirsi dire. Solo che lo faceva con un approccio diverso dal quale tutti i partecipanti alla Guerra Santa ne parlavano, e questo lo affascinava: parlava davvero di una Pace con la P maiuscola, non una “pace” effimera che in realtà mirava ad altro. C’era questo ad attirarlo a lei, come una falena attratta dalla lanterna, e voleva conoscerla, aiutarla se era possibile.
Sentì del calore sul proprio pugno e vide solamente in quel momento che la piccola e bianca mano della ragazza era poggiata sulla propria. Alzò lo sguardo con occhi sbarrati e incontrò il viso sorridente di Elizabeth a pochi centimetri dal suo. Anche davanti alla morte, lei sorrideva, notò il ragazzo. Sentì uno strano calore sulle guance e una morsa allo stomaco che non seppe spiegarsi.
«Ho capito» sussurrò Elizabeth con voce dolce. «Non preoccuparti Meliodas, ti perdono» disse e si allontanò dal ragazzo, il quale non rispose e nemmeno cercò giustificazioni. Le era venuto spontaneo rassicurarlo avvolgendo le proprie mani nelle sue, ma forse stava attraversando un confine che non avrebbe dovuto attraversare.
Meliodas si ritrovò a sentire la mancanza di quel piccolo e flebile contatto, ma non disse nulla e si limitò ad alzare il mento. Seguì con lo sguardo la dea che si era andata a sedere in mezzo ad un’aiuola.
«Ludociel. Quella volta… Avresti potuto ucciderlo, ma non l’hai fatto. Perché?» gli chiese a bruciapelo.
«Per lo stesso motivo per cui poco fa non ti ho uccisa» rispose in un mormorio sommesso Meliodas, le labbra che quasi non si aprivano da tanto il suo tono era basso. 
«Elizabeth» la chiamò nuovamente con urgenza. «Pensi davvero che possa esistere la pace tra i nostri popoli?».
E fu così che i loro incontri clandestini iniziarono. Nessuno dei due avrebbe potuto sapere che questi avrebbero portato allo sbocciare sentimenti profondi per entrambi, sentimenti così forti e genuini che nessuno dei due aveva mai provato sulla propria pelle, ma di cui capirono presto di avere bisogno come l’ossigeno per i polmoni. E quando avrebbero inoltre capito che proprio questi loro sentimenti avrebbero portato alla morte ancora più persone della guerra stessa, sarebbe stato oramai troppo tardi per sopprimerli.
 


KitKat says- author's corner
Secondo capitolo sfornato in pochissimi giorni, wowowowo. Sì, non ho davvero nulla da fare a casa (: A parte il test d'ingresso di domani per la magistrale, ma di cui non so ancora ora e dettagli, dato che la mia uni è efficiente come al solito.
Comunque questo è un capitolo un po' morto, me ne rendo conto, però mi sembrava doveroso un piccolo accenno ai rapporti tra i due "boss finali". E sì, tra l'altro ho notato solo alla fine che in realtà solo Meliodas è il Principe dei Demoni, Elizabeth non è la figlia della Dea Suprema ma una semplice Dea, ma vabbè, fingiamo che sia così; aggiungere altro pathos alla Romeo e Giulietta può fare solo bene, no? *spera in una risposta positiva*.
Mi rendo conto che il mio stile sta lentamente declinando e tornando al solito schifo, ma vabbè. Giuro che mi impegnerò al massimo per fare una fiction decente.
Lascio come sempre alcune indicazioni musicali: i pezzi in cui interagiscono Elizabeth e Meliodas vanno letti ascoltando questa canzone bellissima. Ho cambiato invece il titolo alla fiction, mi sembrava troppo scarno e non trasmetteva appieno la mia visione. Face my fears è la opening di KH, altra saga che amo con tutto il cuore.
Sperando che la fiction vi sia piaciuta, mando

Baci stellari,
Kat
  
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