Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
Segui la storia  |       
Autore: KaterinaVipera    02/09/2020    2 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

No, non è vero. È assolutamente impossibile.
Lei ed Edoardo si sono messi d’accordo e tra poco mi diranno che è tutto finto, che stavano scherzando, io gli manderò a quel paese e tutto tornerà alla normalità.
Solo che il tempo sta passando e Judy non accenna a sorridere, né Edo interrompe questo spettacolino di cattivo gusto.
Sono bravi a fare i finti seri.

“Amira, hai sentito cosa ho detto?” mi si avvicina.

Anche Edoardo cambia posizione, cercando di alzarsi come meglio può con la schiena, facendomi sentire la sua vicinanza e il suo fiato caldo sulla pelle, cingendomi la schiena con un braccio, in segno di amorevole protezione.
Ma io non ho bisogno di essere protetta, non ce n’è davvero bisogno.
Questo è uno scherzo.
Le mie sensazioni sono sempre sbagliate, non ne indovino mai una. Perché ora dovrebbe essere diverso?
I due non accennano un sorriso, i volti seri e sbiancati.
No, questo non è uno scherzo.
A questa consapevolezza, gli occhi mi si inumidiscono e guardo Judy disperata.

“Q-quando?” mi esce un suono flebile, spezzato, come il mio cuore. “Dov’è ora?”

La mia mente non riesce a ragionare, completamente svuotata da ogni pensiero logico o sentimento che non sia paura e incertezza.
Mi appoggio al corpo di Edo, che prontamente mi abbraccia. Un rifugio caldo e accogliente, in mezzo alla disperazione.

“L’hanno portato a casa. Eric gli sta asportando il proiettile.”

Rabbrividisco, sentendo poi i muscoli irrigidirsi al suono macabro delle sue parole, mentre un dolore sordo si dipana dal cuore.
Vorrei andare da lui, accettarmi che stia bene e che quella di Judy sia sono un’esagerazione, ma le parole non escono ed io non sono capace di muovermi.
Cala ancora il silenzio, denso e freddo, come lo è diventata l’aria di questa stanza; ed a me pare di aver perso ogni facoltà raziocinante.

“Io… io vorrei… devo...” ma ogni suono, ogni parola, muore drasticamente in gola, troppo asciutta per pronunciare anche il più debole suono.

“Vuoi andare da lui?” suggerisce la ragazza, con tatto, muovendo un passo verso di noi, percependo il momento delicato.

Mi limito ad annuire, fissando i miei occhi nei suoi ma non guardandola realmente.

“Va bene, sì. Dai, andiamo.” la sua voce è gentile, come un guanto caldo su una mano fredda.

Mi volto verso il mio amico e basta uno sguardo per capirci, senza dover pronunciare una sillaba.

“Andrà tutto bene, non preoccuparti, piccola.” mi bacia delicato la guancia, prima di lasciarmi andare.

Gli sorrido grata, prima di farmi forza ed alzarmi, pronta a seguire Judy.
Io e Garreth non siamo niente, forse non saremo mai niente, allora perché sento un peso così soffocante schiacciarmi il petto? Perché il cuore fa così tanto male?
Camminiamo veloci per le vie pressoché deserte del villaggio; molti si sono rinchiusi nelle proprie case, altri sono con il nuovo branco, nella sala del consiglio ad aiutare. Incontriamo pochi licantropi per strada, che vengono salutati solo dalla ragazza con un cenno breve e superficiale della testa.

“Nessuno deve sapere che l’alfa è stato ferito o sarà il caos.” mi fa sapere in un bisbiglio, attenta che non ci senta nessuno.

La mia unica preoccupazione è sapere se le condizioni di Garreth sono migliorate, se Eric è riuscito ad estrarre il proiettile oppure no; di tutto il resto non me ne importa niente.
Sento che, in questo momento, tutto il mondo potrebbe persino bruciare, ma se lui sta bene, nient’altro è importante.
Nel giro di pochi minuti arriviamo davanti alla casa di Garreth, dove sono parcheggiati nel vialetto due fuoristrada, uno suo e l’altro, suppongo, del padre.
Mi guardo intorno, il vialetto deserto, l’erba calpestata dove ancora ci sono impresse le orme pesanti; il leggero strato di acqua causato dalla nebbiolina che ci ricopre come una coperta fredda ed umida e che rende tutto velato. Persino le piccole macchie di sangue cadute sull’erba e all’entrata.
Camminiamo assorte sul lastricato fino al portone d’ingresso, dove vengo fatta passare dalla mia amica, per poi chiudere la porta da occhi indiscreti che, fortunatamente, pare non esserci.
Me ne rimango ferma sulla soglia, impacciata e spaventata ad andare oltre.
Judy mi fa solo un segno con la mano, invitandomi a seguirla al piano superiore; ed è proprio da là che giungono i pochi ed ovattati rumori che sento in casa: dei passi ed alcuni bisbigli.
Seguo la ragazza, ma conosco la strada. So già dove mi sta conducendo e per me è uno strazio sapere che oltre quella porta si trova Garreth in fin di vita.
Sento il coraggio venir meno, gli occhi farsi lucidi e il cuore iniziare a battere più forte.

“Te la senti?” mi domanda, piena di tatto, mettendomi una mano sulla spalla, vedendo il mio stato.

Ingoio a vuoto, schiaccio tutte le emozioni in fondo allo stomaco, più in basso che posso per non farmi sopraffare e annuisco incapace di parlare, con la testa completamente annebbiata.
Apre le porta cercando di fare meno rumore possibile, per non disturbare le persone che si trovano all’interno e che non si sono ancora accorte della nostra presenza, troppo impegnate a sussurrarsi parole tra loro, passarsi piccole pinze, chine sul corpo inerme, pallido, coprendolo in gran parte alla nostra vista. Ed io non ho il coraggio di soffermarmi un attimo di più, quando scorgo gli asciugamano intrisi di sangue e una bacinella dall’acqua ormai sporca.
La prima che si accorge di noi è Ellie, nascosta in un angolo della camera da letto, nella penombra, nonostante le tende siano completamente aperte per far passare tutta la luce possibile.
Ci fa segno con la mano, invitandoci silenziosamente ad avvicinarci a lei.
Muovo i piedi, uno avanti all’altro sulla moquette che attutisce ogni rumore, distogliendo lo sguardo dai tre licantropi e concentrandolo sulla figura della donna, cercando di non pensare a ciò che sta avvenendo a poca distanza da me.
Diventa ancora più complicato trattenersi, quando Ellie mi rivolge uno sguardo dolce e significativo, poggiandomi una mano sulla spalla, come gesto di conforto.
Poi prende un profondo respiro, come se quello che sta per dirci le costasse un enorme sforzo.

“Sono già due ore che stanno cercando di togliergli tutte le schegge del proiettile.” sussurra, un filo di voce appena udibile, non togliendo mai lo sguardo dalle tre figure. “Quando è stato colpito, la pallottola si è rotta, come se fosse esplosa, andando a conficcarsi in più parti.”

Sento un brivido gelido dipanarsi lungo la schiena alla sola idea di quanto è accaduto; inconsapevolmente, mi appoggio al muro per non crollare. Il mio unico appiglio in mezzo alla tormenta.
Judy si porta una mano alla bocca, angosciata, spostando lo sguardo dalla donna ai due licantropi, e viceversa.

“Ma cosa è successo?” chiede, carica di apprensione e dolore.

“Non lo sappiamo. Eric ne sa di più, ma al momento è impegnato e non lo possiamo disturbare.”

Ho la mente così colma di pensieri ed emozioni, che per un attimo dolorosamente infinito, mi sembra tutto vuoto, di non star pensando a niente. 
In lontananza, mi giungono le voci delle due donne che continuano a parlare, così a bassa voce, che per me sarebbe complicato star loro dietro e comprenderle, perfino se le stessi ascoltando. E questo, per me, diventa un altro motivo di estraniamento, potendo in questo modo osservare le mosse ed i gesti degli uomini, alle prese, mi sembra, con le ultime operazioni.
Hanno preso delle garze, iniziando a fasciarlo e solo a lavoro completato si lanciano uno sguardo eloquente che non passa inosservato.
Non a me.
Ed è quello che mi fa temere di più.
Si avvicinano a noi, con aria stanca, i visi segnati intorno agli occhi e la carnagione più chiara del solito.
Ognuno di loro porta dentro di sé un dolore diverso e profondo: Eric, stava per perdere un amico e il suo alfa; Richard, stava per perdere suo figlio.
Gli occhi del licantropo più grande cercano subito quelli della moglie e lei lo ricambia con uno sguardo dolce, tenero, da donna innamorata, che cerca di dare tutto il proprio sostegno alla persona amata.
E credo che per lui, in questo momento, non ci sia medicina migliore.
Mi sposto, per permettere ai due di stare accanto e confortarsi a vicenda, mentre Eric, prostrato, ci da la diagnosi.

“Per ora è stabile, ma ha la febbre.” la sua voce esce come un bisbiglio lontano, arrochito dalla stanchezza e dalle molte ore di silenzio. “Siamo riusciti a togliere tutti i frammenti del proiettile, ma adesso tocca a lui guarire e svegliarsi. Gli abbiamo dato alcune gocce di morfina, almeno potrà dormire tranquillo per le prime ore, senza alcun problema.”

Ellie gli poggia una mano sul braccio e sorridendogli grata, lo ringrazia dello sforzo fatto; l’uomo si limita ad annuire e insieme a Judy, sono i primi ad andarsene portandosi con loro tutto ciò che è stato usato per curarlo.
La ragazza non perde tempo e senza lasciarli un po' di tregua, chiede subito cosa sia accaduto.
Sono già alla porta, ma riesco a sentire un paio di parole che bastano a capire cosa sia successo e ricostruire bene o male la storia, senza che nessuno mi dica niente, per il momento.

“Tradimento… agguato...”

Chiederò maggiori informazioni quando Garreth si sarà ripreso, perché ho la sensazione che tutto sia correlato all’attacco che abbiamo subito io ed Edoardo.
Richard poggia una mano sulla schiena della moglie e ci invita ad uscire, poiché adesso non ci rimane altro da fare, se non aspettare.
Prima di varcare la soglia, chiedo il permesso di poter rimanere ancora un altro po' con lui, per vegliarlo. I genitori acconsentono senza obiettare, facendomi però promettere di non rimanere per molto.

“Devi riposare anche tu.” mi fa notare il padre, ribadendo che ormai dovevamo solo aspettare.

“E’ nelle mani della Dea Luna, è vero, ma sono convinta che le tue cure e le tue mani lo aiuteranno a tornare da noi prima.” detto ciò, si allontanano e mi lasciano sola.

Sospiro, stanca e molto giù di morale, mentre avvicino una sedia al letto, proprio accanto a lui, continuando a guardarlo e a provare una strana, sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
Dentro di me continuo a ripetermi che sta dormendo, che ha solo la febbre, domani sarà tutto passato e non ci penseremo più, ma so bene che la storia potrebbe andare a finire molto diversamente. I volti preoccupati dei genitori ne erano la chiara conferma.
Lo guardo, l’immagine che ho di lui, forte indomito e sì, anche bello, si scontra con violenza con l’immagine che ho adesso di un Garreth estremamente fragile, vulnerabile.
Mi passo una mano sul viso, strofinando gli occhi che bruciano, e poi tra i capelli, una massa intrigata a causa dell’umidità e della pioggerellina che cade incessante che mi sono beccata venendo qua.
Se non altro, abbiamo messo al riparo il nuovo branco, siamo riusciti a sfamarli e potranno dormire al caldo e al riparo. E questo è di gran conforto.

“Puoi stare tranquillo, i tuoi amici stanno bene. Tu devi solo pensare a guarire, adesso.” dico con un filo di voce, sentendo la mia voce distorta nel silenzio surreale della stanza.

“Perché tu ce la devi fare, Garreth. Qui hanno bisogno di te.” gli prendo una mano con delicatezza, sfiorando la pelle. “Io ho bisogno di te.” gli confesso, stanca, stremata, di nascondere i miei sentimenti.

Lo guardo, ma il suo viso rimane impassibile.

“Posso entrare?” è la richiesta detta a bassa voce di Ellie, mentre fa capolino dalla soglia della porta.

Annuisco, ma non dovrebbe chiederlo dal momento che io sono un’ospite e questa è casa di suo figlio.
Quando entra, vedo che porta con sé un piatto con un panino e dei biscotti, e un bicchiere di latte macchiato da non so cosa.

“Ti ho portato qualcosa da mangiare.” sorride affabile, premurosa, posando tutto sul comodino accanto al letto.

“Ellie, non dovevi! Io sarei potuta scendere se avessi avuto fame.”

Mi si affianca, elargendomi una breve carezza, guardandomi con aria preoccupata.

“Sei tanto pallida e inoltre non tocchi cibo da non so quanto. Devi essere in forze e mettere qualcosa nello stomaco.”

Le sorrido grata per le sue dolci attenzioni, poi entrambe ci voltiamo verso il licantropo, ognuna immersa nei propri pensieri.

“E’ tardi, perché non mangi e poi vai a riposare? Fino a domattina non ci saranno novità.” mi passa il bicchiere con il latte, invitandomi almeno a bere.

Il liquido è tiepido e molto dolce, ci ha aggiunto il cacao perché ne è rimasta ancora traccia di polvere.
Questa donna sa come tirarti su il morale, anche in un momento come questo.

“Andrò tra poco, se per te non è un problema.”

Ne bevo un altro sorso, scoprendomi decisamente golosa di questa bevanda che non sono solita bere, finendolo quasi subito, e gustandomelo un po' prima di tornare concentrata sulla persona che riempe ormai da tempo i miei pensieri.

“Ti piace molto, non è vero?”

Mi prendo un attimo per riflettere se essere sincera, ma arrivo alla conclusione che se ne è accorta e che mentire non servirebbe a niente. Prenderei solo in giro me stessa. E poi, a ben pensarci, non ho problemi ad ammetterlo, non con lei, almeno.

“So che ci conosciamo da poco e sono ancora più consapevole che apparteniamo a due specie e a due mondi diversi, però sì, lui mi piace tanto Ellie.” gli confesso, col cuore più leggero, giocando il bicchiere vuoto.

Segue un brevissimo attimo di silenzio.

“Io mi riferivo al latte e cacao.”

Giro la testa lentamente, sentendo il cuore sprofondare e perdere quel poco calore che la bevanda mi aveva fatto acquistare, per vederla sorridere compiaciuta e sorniona.
Estremamente soddisfatta.

“Buonanotte Amira.”

Non mi lascia il tempo di aggiungere altro, se ne va, lasciandomi con la consapevolezza di essermi esposta.
Dopo essermi ripresa dallo shock della mia confessione, incrocio le braccia sul materasso, vi appoggio la testa, voltandomi verso di lui, pronta ed attenta a captare qualsiasi cambiamento o movimento.

 

Sono in una foresta dagli alberi altissimi, non è la stessa del villaggio, ha un che di fiabesco, magico; è notte fonda, ma ogni cosa è illuminata da una chiara, opalescente luce lunare, tanto vicina che se allungassi la mano, la potrei quasi toccare.
Benché non conosca il luogo, mi sento a mio agio, non ne ho paura e l’idea di stare qui per sempre non mi spaventa, se non fosse che mi sento sola.
Soffro per la mancanza di qualcuno, ma non riesco a capire chi, i miei pensieri sono sfuggevoli, poco concreti.
Mi guardo intorno, curiosa ed attratta, fino a che il mio sguardo si concentra su un fascio di luce più luminoso degli altri, che per un breve attimo, non mi fa vedere più niente.
Quando l’intensa luce svanisce e i miei occhi si abituano nuovamente alla semi oscurità, vedo una donna bellissima, dai lunghi capelli ondulati, bianchi come la neve e rilucenti di uno splendore tutto loro.
Mi viene incontro sorridendo, muovendosi piano, come fosse talmente leggera da non toccare neppure il suolo. Ha i piedi nudi, che malapena si intravedono da sotto la lunga veste candida che indossa.
È la creatura più bella che abbia mai visto e mi stupisce che la mia fantasia riesca a immaginare tanta bellezza.
Neanche i miei figli mi hanno fatto tanti complimenti. Ti ringrazio, Amira.” dice la donna, sorridendomi, sia con le labbra fini, di un pallido rosa, che con gli occhi color del ghiaccio.
Conosce il mio nome. Beh, certo, è il mio sogno, quindi ci può stare.
Non riesco a smettere di ammirarla, incapace di dire una parola.
È bellissima da togliere il fiato e farti perdere il filo logico dei pensieri. Di una bellezza obliante.
Però, povera donna, anche i suoi figli potrebbero farlo un complimento alla mamma…
La dama bianca ride, divertita, cercando di tornare subito seria.
Ed io penso cosa ci sia mai di tanto divertente da ridere.
Rido perché ho fatto bene a sceglierti come la compagna di Garreth, gli farai bene.”
Ah, è per questo…
Aspetta, cosa?!
Sì, Amira, hai capito.” la sua voce non muta, rimanendo gentile ed affabile.
Tu sei… sei la famosa Dea Luna?”
Adesso che devo fare? Inginocchiarmi? Chiamarla Mia Signora?
Non devi fare niente di tutto questo, cara ragazza.”
La guardo allibita. “Leggi i miei pensieri?” sono sconcertata. “Anche i licantropi possono?” chiedo angosciata, ricordandomi di quanti pensieri stupidi ho avuto in loro compagnia, sopratutto i primi tempi che mi ospitavano.
Questo è concesso solo a loro, non possono farlo con voi umani.”
Oh, menomale.
Quante figure di merda risparmiate…
Poi la guardo negli occhi, consapevole.
Mi dispiace, sono desolata. Io non volevo dire… cioè sì, ma non proprio quello.”
La dama bianca non perde il sorriso dolce.
Perché sono qui?” le chiedo, rendendomi conto che se lei si è mostrata, un motivo ci sarà.
Io appaio a coloro che hanno accettato il proprio compagno. Solo allora mi vedrete.”
La guardo dubbiosa, con un po' di disappunto, perché io non ho accettato nessuno e nessuno, sopratutto, ha accettato me.
La dama sorride e toccandomi la fronte con il pollice, mi fa rivivere alcuni momenti passati.
Rivedo il primo momento in cui ho incontrato Garreth, il timore ed il sospetto che nutrivamo l’uno per l’altra; rivedo il giorno in cui ci siamo incrociati alla tavola calda e quel battibecco finito in maniera non proprio educata.
E i ricordi continuano, si sovrappongono, si aggiungo gli uni agli altri. Ed io non immaginavo neppure di aver passato tanto tempo con lui.
Rivivo quel suo sguardo che non capii la sera del barbecue, mentre ballavo con Giulian, quell’incontro casuale per strada che mi fece scappare via, spaventata da non so cosa o da chi – da lui? O dal mio comportamento nei suoi confronti –. Io che gli salvo la vita dai cacciatori e lui che sfonda la porta di casa per salvare me, il momento della sfuriata di stupida gelosia, quando lo trovai a casa di Julia; quella maledetta frase che mi lasciai sfuggire: “Ma io volevo te!” e quel suo silenzio che mi fece capire molto più di quello che avrei voluto.
Infine, i ricordi rallentano all’improvviso, come fermati bruscamente, e vedo me, da ultimo in camera sua, e sento vibrare nell’aria l’ultima cosa che ho detto, prima di addormentarmi. “Io ho bisogno di te.”
I flash terminano ed io sbatto violentemente le palpebre per poter mettere nuovamente a fuoco la donna di fronte.
E’ stato un piacere sceglierti. Hai salvato molti dei miei figli ed altri ne salverai.”
Questa frase criptica sul futuro non mi piace molto, sa tanto di guai, ma dal momento che lei sembra conoscere cose che ancora dovranno avvenire, la domanda mi sorge spontanea.
Garreth guarirà? Tu puoi fare qualcosa?” chiedo accorata, portandomi le mano al petto, piena di speranza.
Mi guarda come se non aspettasse altro che questa domanda.
Stai facendo molto più te con la tua vicinanza. Continua a parlargli. Arrivederci, Amira.” si volta e sta per andarsene.
Aspetta, ti prego!” volta solo la testa, pronta per andare via, già circondata in un fascio di luce talmente abbagliante, che mi costringe a socchiudere gli occhi.
Hai detto che tu appari solo a chi ha accettato il suo compagno...” tentenno titubante, giocherellando con la punta delle dita per scaricare la tensione. “Ecco, lui… insomma, tu sei già apparsa...” mi inumidisco le labbra che sono secche anche in un sogno.
Mi guarda con occhi inteneriti e pieni d’amore, per me, per i suoi figli. Pieni di un sentimento che noi umani non potremmo mai capire, non fino in fondo.
Questo sta a te scoprirlo.”
La dama bianca svanisce e con lei, tutto ciò che ci stava circondando.

 

Riapro gli occhi nella stessa posizione in cui mi sono addormentata, con l’unica differenza che mi fa male la schiena.
Perfetto.
Mi massaggio il punto dolorante, mentre osservo Garreth continuare a dormire, notando con sollievo che il respiro gli si è regolarizzato ed è diminuito il sudore.
Mi alzo, stando attenta a non fare alcun rumore, dirigendomi in bagno per prendere un piccolo asciugamano e dopo averlo immerso nell’acqua fredda, ritorno in camera, per adagiarglielo sulla fronte, per dargli un minimo di sollievo.

“Sai, mio padre me lo faceva quando avevo la febbre. Non so se servirà a qualcosa, ma io mi sentivo meglio.” bisbiglio.

Cambio lato al panno, constatando che il suo calore, un po' naturale un po' dovuto alla febbre alta, lo sta già asciugando, e con questa scusa, gli accarezzo la guancia.
Mi siedo nuovamente, indecisa se continuare a parlargli possa davvero funzionare oppure no. In molti dicono che serva, in casi come questi; persino la Dama Bianca, l’ha detto. Quindi, se lo dice lei, mi dovrei fidare, no?
Solo che mi sento così sciocca a parlare a voce alta…

“Mi dispiace che i nostri primi incontri non siano stati proprio pacifici, né molto diplomatici… in realtà non lo sono stati per niente, ma io non avevo voglia di fare amicizia e tu non mi sei stato d’aiuto.” trattengo a stento un piccolo sorriso, ripensando a come sono andate le cose tra di noi.

“Sono venuta qua, scappando da casa mia, quasi, non solo per venire a trovare Anna, ma anche per fare pace col mondo e iniziare una nuova vita. Solo che poi ho conosciuto te e niente è andato secondo i piani.” prendo una pausa, cambiando ancora posizione, perché la sedia inizia ad essere scomoda.

Oppure è solo la verità che gli sto raccontando ad esserlo.

“Quando ho scoperto la verità su di voi, ero spaventata. Chi non lo sarebbe stato? Poi però, ne sono stata affascinata e temevo che una creatura forte e...” deglutisco, prendendo coraggio. “bella come te, non si sarebbe mai potuta affezionare ad una come me. A dire il vero, non so ancora bene se mi hai accettato davvero.” mi stringo nelle spalle, cadendo nel patetico.

Ringrazio solo che non mi possa vedere.
Il tempo sta trascorrendo con una lentezza innaturale e dannatamente spossante. Ogni tanto mi alzo per sgranchirmi le gambe, per bagnare il panno o per chiudere le tende e lasciare solo la luce di una lampada, all’interno della stanza.
Stare seduta senza poter fare niente è destabilizzante, ma sono consapevole che ha ragione Eric e che a noi non rimane altro se non sperare, aspettare, fiduciosi che superi la notte senza complicazioni.
Dovrei andare a dormire anche io, come mi aveva suggerito Ellie, ma non riesco ad uscire da questa camera; mi sembra di essere legata a lui da una corda invisibile che mi impedisce di allontanarmi. Anche solo l’idea di doverlo fare, perché costretta, mi fa venire voglia di piangere.

Che sciocchezza!

Può darsi che ragioni così per via dell’ora tarda e delle tante emozioni che mi hanno sconvolta oggi.
Mi siedo, cercando un po' di sollievo, ma non so bene neppure io da cosa. Mi sento stanca, sfinita, eppure se appoggiassi la testa sul materasso, non sarei in grado di dormire.
Il sogno che ho fatto, l’incontro con la Dama Bianca, mi ha destabilizzata e rincuorata; dandomi nuova fiducia che non tutto sia perduto.
Guardo il licantropo disteso; lo sterno fasciato da garze pulite, si muove al ritmo regolare e lento del suo respiro.
Lo hanno coperto fino alla pancia per permettere alla ferita di respirare e rimarginare per quanto la fasciatura lo consenta, e per fargli perdere l’alta temperatura causata dalla febbre.
Il silenzio sordo che regna qui dentro, mi fa fischiare le orecchie e mi ritornano alla memoria le parole della Dama: gli dovrei parlare.
Ma cosa dirgli? Cosa c’è da raccontare della mia vita? E poi lui nemmeno ne sarà interessato; come potrebbe esserlo una creatura superiore come Garreth sulla vita di una semplice umana come me?
Guardo l’orologio, constatando che è quasi mezzanotte e che ormai saranno andati tutti a dormire e che non potranno sentirmi se dovessi seguire il consiglio che mi è stato dato e ciò mi spinge ad andare avanti nel mio bizzarro monologo.

“Tu mi ricordi molto il Garrett di un cartone animato. Neanche lui voleva fare amicizia o che le persone entrassero nella sua foresta, ma alla fine cambia idea grazie ad una ragazza. E i due si innamorano.” mi mordo la lingua per essermelo lasciato sfuggire, pregando tutte le divinità esistenti che non abbia sentito. Potevo anche evitare l’ultima frase.

“Sì, ma tanto è solo un film d’animazione...” mi picchietto una mano sulla fronte per essermi messa sempre più nei casini. “Anche la canzone che canta il protagonista mi ricorda moltissimo te.” divento rossa e non so nemmeno io il perché.

Felice che non mi possa vedere, cambio argomento immediatamente, pregando che non abbia sentito niente di tutto quello che ho detto.

“Un’estate, io ed Anna, siamo andate ad un concerto di nascosto… peccato che al ritorno la mattina dopo i nostri genitori ci stessero aspettando. Dal momento che non era la prima volta che io e lei facevamo una cosa del genere, ci hanno proibito di vederci per dei mesi.” Lo racconto col sorriso, adesso, ma quando accadde, mi infuriai come un’animale perché Anna era la mia amica di avventure e mi sentivo defraudata di una persona importante.
Continuo a parlargli della mia vita, che per fortuna non è stata del tutto turbolenta, fatta eccezione di quella volta che rubammo la macchina e di quel piccolo incidente in chiesa, e cerco di parlare bene di mia cugina, per paura che lui possa cambiare idea sulla moglie del suo beta.
Non voglio essere responsabile di una catastrofe.

All’improvviso sento la stanchezza farsi strada sul corpo e sugli occhi, il che mi spinge ad incrociare le braccia sul letto ed appoggiare la fronte, per riposarmi un poco e per dare anche un po' di sollievo anche a Garreth e non fargli più sentire il mio fiume di parole.
Dopo non so quanto tempo, riapro gli occhi.
Devo essermi addormentata perché adesso l’orologio segna le due passate.
Certo, è ancora presto per fare delle previsioni sul suo stato di salute, ma sembra che l’alfa stia riacquistando salute, ma non da segni di volersi svegliare e questo mi demoralizza e mi fa sprofondare in uno sconforto senza fine.
Non voglio perdere le speranze.

“Edoardo sta meglio, Eric lo ha imbottito di antidolorifici, però non sappiamo se potrà più camminare come prima.” mi massaggio le tempie, in un gesto che ormai è diventato automatico, nei momenti di forte stress. “Adesso ti ci metti pure tu, brutto bestione arrogante!” chino la testa, sentendo le lacrime trattenute per troppo tempo, premere e pungermi gli occhi.

“Non ti devi arrendere. Fallo almeno per il tuo branco, se non lo vuoi fare per me perché sono umana e mi odi, ma io no...” mi asciugo una lacrima rimasta all’angolo dell’occhio. “Io non ti ho mai odiato, anche se sei arrogante e ti comporti da dittatore, sopratutto con me.”

Le parole mi muoio nella gola, come se fossero rimaste impigliate in una rete che non vuole farle uscire.
Mi alzo veloce, prendo il panno che ormai è asciutto per bagnarlo e rimetterglielo nuovamente sulla fronte.
Devo dirglielo adesso o non avrò più il coraggio di farlo quando riaprirà gli occhi.

“La verità però è questa ed io l’ho capita e la ammetto, così come ho accettato la differenza abissale tra di noi e la consapevolezza che tu non potrai ricambiare.” sento un dolore pungente al cuore, e la voce si incrina senza che io riesca ad impedirglielo.

“Io ed Edoardo ripartiremo appena starà meglio. Non ti saremo… non ti sarò più di nessun fastidio, ma tu devi svegliarti e guarire perché…”

Incrocio le braccia sul materasso e vi appoggio la testa, nascondendocela quasi.

“Perché sono innamorata di te.” dico con un filo di voce, per paura che mi senta, ma anche consapevole che ormai, anche se udisse le mie parole, non importerebbe più niente.

La mia voce si perde nel silenzio per attimi infiniti ed io ringrazio la mia buona stella che lui stia ancora dormendo.

“Una dichiarazione in piena regola, non c’è che dire...” dice una voce roca, gracchiante, resa ancora più bassa dal troppo silenzio a cui è stata costretta.

E mentre la sua voce riempe la stanza e il cuore, sento una mano sulla testa, sopra i capelli spostati delicatamente da dita intorpidite.
Mi volto verso il proprietario, trovandolo sveglio.
Rimango in silenzio, troppo emozionata e confusa per fare o dir qualcosa di senso compiuto, con le emozioni che si agitano e si aggrovigliano nello stomaco.
Felicità, perché si è svegliato e pare che la febbre sia calata di molto.
Paura, perché se adesso è vigile, è probabile che sia stata colpa mia e del troppo parlare; quindi ci sono buone probabilità che mi abbia sentito.

“Proprio adesso smetti di parlare, ragazzina?” domanda ironico, trovando la forza di sorridere e voltandosi per guardarmi meglio.

Non oso ricambiare lo sguardo, troppo imbarazzata. Devio così il discorso, concentrandomi sul suo stato di salute, cambiando posizione al pezzo di stoffa sulla sua fronte.

“Come ti senti?”

“Sono stato peggio.” socchiude un attimo gli occhi, mentre gli passo il panno sul viso per detergerlo dal sudore in eccesso e rinfrescarlo, facendoli trovare in questo modo un po' di sollievo.

L’attimo successivo ce ne ritorniamo in silenzio; il suo respiro pesante ma regolare che risuona nella stanza, ed il battito accelerato del mio cuore che sembra volermi scoppiare nel petto e voler uscire.

“Garreth, senti… riguardo a quello che hai sentito prima, io...” neppure io so dove ho trovato la forza per intraprendere questo discorso.

È probabile che mi stia facendo forza solo perché lui è ancora convalescente e non del tutto idoneo ad una conversazione, o forse è la mia immensa stupidità che mi fa parlare.

“Anche la Dama Bianca mi ha detto che potevo parlarti.” gioco con un filo della coperta, scucendola ancora di più.

Adocchio verso di lui, trovandolo intento a guardarmi intensamente; uno sguardo profondo, magnetico, reso ancora più scuro dalle pupille dilatate e dalla poca luce nella stanza.
È il suo mutismo, questi occhi intriganti, che mi danno l’ultimo barlume di volontà per parlare.

“Ed io ho detto quello che provo, per te.” esalo a corto di fiato, col cuore che non smette di accelerare i suoi battiti, tanto da farmi credere che li stia sentendo anche lui.

Io, senza dubbio alcuno, ho sentito il verso basso e gutturale che ha emesso, un suono roco, di gola, e lo guardo senza capire il motivo che lo abbia portato a fare ciò, dal momento che lui ringhia spesso e le ragioni mi sono il più delle volte ignote.
Chiude un attimo gli occhi, senza avere più quell’espressione tesa e seria; i lineamenti si rilassano e lui torna a guardarmi, adesso, molto più sollevato.

“Mi dovrai spiegare chi è la Dama Bianca, ma non adesso.” mi fa segno di tacere e sposta gli occhi sulla porta, alle mie spalle, sospirando frustrato. “Stanno arrivando.”

“Chi? Chi sta arrivando?” sono perplessa.

Nel giro di qualche istante, la porta si apre, lasciando entrare i genitori di Garreth, scombussolati ed ancora assonnati, Eric ed Alan adir poco sconvolto.
Scatto in piedi, come fossi stata colta a commettere un reato, allontanandomi dal letto e mi fiondo dal marito di mia cugina, per chiedere informazioni su di lei e per sapere perché si trovi qui.
Scopro così che ha guidato tutta la notte, non appena ha saputo di quanto accaduto, che rimarrà al villaggio per occuparsi del branco in attesa del miglioramento dell’alfa.

“Lei e il bambino stanno bene, ma dovrà rimanere dai miei finché questa situazione non sarà risolta.” aggiunge dopo la mia preoccupazione per mia cugina. “Anche tu, Amira, se ci dovesse essere uno scontro, dovresti andare da lei e portare il tuo amico. Non è prudente rimanere, non per due essere umani che sono dalla nostra parte.” dice accorato, dopo avermi preso in disparte, mente gli altri visitano l’alfa, gli fanno domande e cercano di sapere di più sull’aggressore e su come sono andati i fatti.
Vorrei poter origliare e sentire cosa si stanno dicendo, ma Alan me lo impedisce.

“Lo so, capisco… ma io vorrei poter rimanere qui, aiutare se ce ne fosse bisogno.”

Il suo viso è segnato dalla stanchezza di un lungo viaggio, per colpa di una brutta situazione che lo costringe lontano dalla sua compagna e mette a rischio la sua vita.

“Ho sentito cosa hai fatto e te ne siamo tutti molto grati, ma non possiamo mettere in pericolo ancora una volta la tua vita e quella di Edoardo.”

Ora capisco perché Anna ci si scontra spesso con lui: sono entrambi simili di carattere, su certi aspetti, così testardi che il risultato non può che essere questo.

“Io non me ne voglio andare. Voglio… vorrei rimanere qui, con...” mi fermo prima di dire il suo nome, ma Alan ha già capito ed è plausibile che abbia intuito persino i miei sentimenti, perché non controbatte.

“Capisco cosa provi, Amira. Per me, è lo stesso con Anna.”

“Ottimo!” esclama Eric, interrompendo la conversazione tra me ed Alan, e concentrando l’attenzione di tutti su di sé. “I segni vitali sono nella tua media, la febbre non c’è quasi più.”

Vedo il sollievo più puro dipinto negli occhi di sua madre e solo adesso mi ricordo che sono giorni che non mi faccio viva con la mia, di madre, e che spero ci abbia pensato ancora una volta Anna.

“Qualche altra ora di riposo non ti farà male. Adesso va lasciato solo.”

Eric ed Alan se ne vanno, accompagnati da Richard.
Io e sua madre ci attardiamo solo un paio di minuti.

“Sono così felice che tu stia meglio. Ci hai fatto prendere un terribile spavento.” dice la madre, sull’orlo dell’emozione.

“Non è la prima volta, mamma.” ribatte il figlio, cercando di darsi un contegno, mantenendosi distaccato.

O provandoci, almeno.

“Per fortuna c’era Amira, che ha badato a te, in queste ore.” lancia la freccia, con disinvoltura, facendomi andare letteralmente a fuoco e costringendomi a distogliere lo sguardo dal figlio.

Disgraziata di una donna!
Ellie gli da un bacio sulla fronte ed io la seguo, pronta ad andarmene, non volendo essere oggetto delle insinuazioni della donna o dover affrontare le conseguenze della sua affermazione.

“Tu no, tu resta Amira.” dice categorico.

Anche da convalescente non ha perso il tono autoritario e prepotente.
Sua madre ci guarda con aria sognante, sorridendoci felice come se non avesse aspettato altro o lo avesse sempre saputo. Anche quando chiude la porta, non smette di ridacchiare gioiosa e per ultimo, mi regala un simpatico occhiolino.
Mannaggia a lei!
Rimango a guardare la porta, dando le spalle a Garreth, volendo procrastinare il momento della verità.

“Come facevano a sapere che ti eri svegliato?” domando colpita e incuriosita dalla loro prontezza.

“Lo hanno percepito. Ho cercato di tenerli fuori qualche altro minuto, per poter parlare con te, ma a mia madre non si può nascondere niente. O non per molto, almeno.” sfiata un sorriso.

Dal rumore di lenzuola, devo dedurre che stia cercando di muoversi o cambiare posizione, ma non ho la forza per girarmi e vedere cosa stia facendo.

“Povera donna, vorrei ben vedere! Era così in pena per te.”

Quale madre non sarebbe in pensieri per un figlio al quale hanno sparato e non sa se riuscirà a superare la notte?

“Anche tu lo eri.” constata ovvio.

Mi limito a scrollare le spalle, rimanendomene girata, a fissare la porta, nella vana speranza che dopo questo breve scambio di frasi mi mandi via.

“Guardami Amira.” lo chiede con gentilezza, proprio lui che non supplica mai ed è sempre così autoritario nelle richieste.

Ed io, altrettanto gentilmente, scuoto la testa in segno di diniego. Ma sono conscia, lo siamo entrambi, che questa resistenza da parte mia, non potrà andare avanti per molto altro ancora.

“Sono stanca e vorrei andare.” mi sembra un’ottima scusa per congedarmi, ma lui pare non ascoltarmi.

“Ho sentito quello che dicevi. Sentivo la tua voce.” parla dopo attimi di silenzio, forse trascorsi a riflettere se ammetterlo, in modo pacato; la sua voce è calma, dolce, tanto che mi fa venir voglia di girarmi, in preda ad una forza sconosciuta.

“E’ stato uno strazio percepire il tuo dolore ed essere confinato lontano da te.” mi guarda intensamente negli occhi ed io, mossa da una volontà non mia, mi avvicino.

Un passo e poi un altro ancora, fino a che, le mie gambe non incontrano il bordo morbido del materasso.
Gli occhi si fanno languidi e un piacevole calore inizia a diffondersi nel cuore.

“Devo chiedertelo, o mi tormenterà. Hai parlato di una Dama Bianca. Chi era, chi hai visto, Amira?” domanda incuriosito, ma con un presentimento che gli risuona nel timbro di voce.

“Credo che voi la chiamiate Dea Luna.” bisbiglio, sapendo che lui, gli altri e persino la stessa Dama, potrebbero offendersi se continuassi a chiamarla con il soprannome che le ho dato.

“L’hai vista...” esala accorato, esausto ma felice. “L’hai vista anche tu.” sorride come se fosse la notizia più bella del mondo. “Sai questo che cosa vuol dire, mia piccola Amira?” domanda, come se dovessi conoscere la risposta, ma il mio cervello è andato in tilt, completamente.

“Che non sto impazzendo?” cerco di ironizzare per scaricare la tensione che sento salire in me.

“Che anche tu mi hai accettato.” chiude gli occhi, estasiato.

Mi siedo sul bordo del letto, sentendo le gambe stare per cedere da un momento ad un altro, scossa dalla sua rivelazione.

“Quindi, anche tu… e quando?”

“La notte in cui mi hai seguito e sei fuggita nel bosco.” confessa, guardandomi colpevole di aver taciuto per tanto tempo e averci costretto a star male, separati inutilmente.

Da quella sera sono passati dieci giorni, perché, mi domando, mi ha sempre trattata con freddezza, cercando di tenermi a distanza, volendo addirittura mandarmi via, se anche lui, l’aveva vista e molto tempo prima di me, addirittura.
Dal mio sguardo deve intuire i miei pensieri.

“Non mi è piaciuto comportarmi come ho fatto, credimi, ma ho dovuto se volevo tenerti lontana dai guai. A quanto pare tu gli attiri i guai e hai scoperto tutto prima del previsto e da sola.” mi spiega con calma, accarezzandomi la mano.

Rabbrividisco al suo tocco delicato, beandomi delle sue attenzioni e lasciandomi trasportare dalle sue dita che si muovono leggere sulla pelle.

“Quindi non mi manderai via?”

Mi guarda accigliato, per un istante brevissimo.

“Non ho mai voluto mandarti via, non potrei allontanare la mia Luna. Sarebbe folle.”

“Anche altre persone mi hanno chiamato in questo modo, ma non capivo… non capisco neanche adesso, in realtà.” gli devo sembrare buffa, perché sorride divertito.

“Ti hanno considerata la mia compagna e guida del branco quando ancora non sapevi di esserlo.”

Mi ritrovo a spalancare la bocca, da sciocca, messa di fronte alla sua affermazione.

“Ti stai sbagliando, io non posso essere una guida per un branco, a fatica riesco a guidare la mia vita, figurati quella di altre persone!” inconsapevolmente alzo di poco la voce, spaventata dal ruolo che mi vuole dare all’improvviso. “Hai preso anche una bella botta in testa, oltre ad una fucilata, te lo dico io. Te sei tutto matto.” concludo infervorata, togliendo la mano dalla sua, e incrociando le braccia al petto.

La mia reazione lo disorienta per un attimo, poi sembra tornare padrone di se stesso e quel lieve dolore che gli ho letto per una frazione di secondo negli occhi, svanisce, tornando ad essere dolce ed amorevole.
Benché mi suoni così bizzarro associare la parola amorevole a Garreth.

“Tu hai solo paura di non esserne all’altezza, ma ti dirò questo, Amira. Hai rischiato non so quante volte per noi; hai messo a repentaglio la tua vita in modi che non puoi immaginare. Credimi, sei degna.”

“Ma...”

“Ssshhh… fa silenzio, abbiamo parlato anche troppo.” mi riprende senza tanti convenevoli la mano, avvicinandosela al petto, facendomi così sentire il calore della sua pelle ed il battito del suo cuore. “Devi stare qui. Devi essere mia.” mi tira con decisione, facendomi sdraiare sul letto, al suo fianco e circondata dal suo braccio, per non farmi andare via, impossibilitata a muovermi, per timore di fargli male.

Non nego che non mi senta a disagio, qui sdraiata accanto a lui sul suo letto, così vicini e Garreth così poco vestito, per quanto non sia la prima volta che ci troviamo in una situazione analoga, le altre volte indossava più indumenti ed eravamo più lontani. E persino adesso, in fase di guarigione, non ha perso il fascino e quel suo lato attraente, tanto da farmi ritrovare ferma, rigida come un sasso, senza sapere dove mettere le mani e posare gli occhi.

“Rilassati, non ti mangio.” ridacchia sopra i miei capelli, abbracciandomi per avvicinarmi ancora di più.

La sua affermazione però non mi aiuta a stare tranquilla, tutto il contrario semmai.

“Cosa ti è successo? Nessuno sapeva dove fossi finito.”

“Non ti devi preoccupare, ora sono qui.” svia il discorso, per nulla incline a parlarmene.

Alzo la testa per poterlo guardare con lo sguardo più serio e minaccioso di cui sono capace; e se all’inizio non mi prende molto seriamente, tanto da iniziare a ridacchiare e trovarmi buffa, basta una frase per rimetterlo in riga.

“Se è vero quello che hai detto ed io sono la tua Luna, è giusto che sappia cosa ti è accaduto, non ti pare? Mica vorrai tenermi all’oscuro e avere già da adesso dei segreti?”

La sua espressione cambia radicalmente, diventa serio e taciturno, soppesando le mie parole.
Alla fine, dopo un lungo dibattito interiore, sospira rassegnato.

“Hai imparato fin troppo alla svelta.”

Inizia a passare le dita sulla schiena, su e giù, come per tranquillizzarmi e rassicurarmi della sua presenza.

“Credevamo che i traditori fossero già stati presi e cacciati. Mi ero recato in avanscoperta con un membro del branco, di cui avevo qualche sospetto, ma non ero sicuro.”

“Perché sei andato da solo e non hai avvertito nessuno?” lo interrompo accorata, spaventata da quello che deve ancora dirmi.

“Perché se i miei sospetti fossero stati fondanti, e lo sono stati, non potevo mettere a rischio la vita di nessuno del mio branco. Non ora che ne stiamo ospitando un altro.”

“E rischiare la tua vita, senza dire niente, ti sembra un buon modo per salvaguardare i due branchi?” sbotto, tentando di non adirarmi troppo.

Garreth mi stringe a sé, forte, possessivo, da farmi mancare il fiato. Ed io percepisco la frustrazione e la rabbia scemare.

“La mia piccola Luna guerriera.”

E con questo, mi arrendo del tutto.

“Ci sono cose che un alfa deve sempre mettere prima di sé stesso. Con il tempo lo capirai anche tu.”

“Cos’è accaduto dopo?”

“Roy, mi aveva portato nel bosco con la scusa di una traccia dei cacciatori, cosicché mi allontanassi dal branco.”

Non mi ricordo di lui, sicuramente sarà stato nel gruppo di Julia e di suo cugino, ragion per cui, non ho memoria del suo volto. Sarà stato ben attento a non farsi vedere molto.

“Non c’è più da preoccuparsi nemmeno di lui. Devi stare tranquilla, adesso.”

“Dov’è Roy adesso?”

“Devi dormire Amira. È tardi e tu sei stremata. Hai avuto tante emozioni oggi e noi avremo modo di parlarne domani.” mi bacia la fronte, attardandosi qualche secondo.

“E’ già domani, Garreth. Ho il diritto di sap-”

Mi bacia sulle labbra, zittendo ogni mia protesta, indugiando a mordicchiare il labbro inferiore. Le sue braccia mi stringono imperiose, non dandomi libertà di movimento, ma in questo momento non c’è altro posto in cui vorrei stare.
Ho atteso così a lungo che mi baciasse senza remore e senza pentimento, che non ho intenzione di fermarlo, né di fermarmi.
Muovo la mano per posarla sul viso e lasciarla vagare sui suoi capelli scompigliati, godendomi il verso animalesco che gli esce incontrollato dalla gola.
Ci stacchiamo tempo dopo, quando ormai i nostri respiri sono corti e le nostre labbra rosse e gonfie per i lunghi e concitati baci.
Con il dorso della mano, mi scosta i capelli, liberandomi il collo per rilasciare un bacio caldo ed umido, facendomi sentire la stretta dei denti, che mi fa rabbrividire e inarcare la schiena.
Arrossisco, provando a riprendere aria, senza sapere come dove nascondermi, sopratutto quando lo vedo sorridere compiaciuto del risultato del suo effetto.
Lo guardo interdetta, non capendo perché abbia fatto ciò, ma Garreth non da spazio a domande, si accomoda come meglio può e fa fare altrettanto a me, sempre al suo fianco, sotto le coperte per non farmi prendere freddo, circondandomi le gambe con la sua e il busto con il braccio, senza darmi la possibilità di muovermi, neppure per cambiare posizione.
Nonostante la vicinanza sia delle più intime mai avute finora, accanto a lui, cullata dal suo respiro, dalle sue mani, e riscaldata dal calore del suo corpo, mi addormento senza neppure rendermene conto; e per la prima volta da quando sono qui, da quando ho a che fare con lui, la mente è libera, spensierata, senza dubbi o domane.

Colma di rinnovata speranza.








*Angolino mio*
Salve! Spero che ci sia ancora qualcuno che legge  xD
Fatemi sapere se il capitolo è stato di vostro gradimento e se ci sono errori di cui non mi sono accorta....

Un bacione
Nina

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Licantropi / Vai alla pagina dell'autore: KaterinaVipera