Capitolo uno
Merlyn
non era mai arrivata al cospetto del Re, appena entrati nella città era stata
portata in un enorme edificio che a primo impatto non era riuscita ad identificare considerando che non era mai stata in una
grande città, non aveva mai messo piede fuori da Ealdor.
Aveva
camminato per sette lunghi giorni, i piedi le chiedevano pietà come mai prima
in vita sua. Non avevano fatto molte pause lungo il cammino e nessuno dei
cavalieri le avevano mai rivolto la parola. Non che lei non avesse fatto
domande, era nella sua natura fare domande, aveva una curiosità immensa
riguardo il mondo e viaggiando per la prima volta aveva incontrato più animali
che non aveva mai visto in vita sua.
La
portarono in una piccola stanza sudicia, c’era una donna all’interno e la
guardò da testa a piedi «Non sai proprio tenerti le mani per te, Urian.» disse
la donna guardandolo truce.
«Non è
quello che pensi, l’ho solo colpita in viso.» disse il cavaliere scrollando le
spalle incurante. Trovava la ragazza carina, aveva lunghi capelli neri, occhi
azzurri quanto l’acqua si un lago in una giornata calda e la pelle bianca
quanto la neve, ma sapeva che doveva portarla come medico, non come una
concubina.
«Bene, mi
sarebbe dispiaciuto mandarla con le altre.» asserì la donna prima di fare segno
con le mani di andarsene. Il cavaliere si inchinò leggermente e uscì
chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Merlyn sola con la donna dai capelli
biondi.
«Spogliati
e infilati nella vasca da bagno.» le ordinò andando verso l’armadio e Merlyn
aggrottò la fronte.
«Cos’è
una vasca da bagno?» domandò senza utilizzare alcun titolo, ma la donna non
sembrò curarsene.
«Quella.»
indicò una grande tinozza di legno piena di acqua leggermente fumante, Merlyn vedendola
aveva creduto fosse per il bucato. Ad Ealdor si lavavano con una pezza di
stoffa e dell’acqua in un piccolo secchio, non aveva mai immaginato una cosa
del genere.
Titubante
si spogliò e si immerse nell’acqua piacevolmente calda, improvvisamente la
stanchezza del viaggio sembrò scomparire e si concesse di chiudere gli occhi.
«Perché
il Re ha mandato fino ad Ealdor per un medico?» domandò sentendo che la donna
sarebbe stata più collaborativa dei cavalieri.
«L’ho
suggerito io.» rispose la donna mentre tirava fuori dei vestiti dall’armadio
«Ricordavo ci vivesse la sorella di un mio vecchio amico, ma hanno portato te.»
borbottò più a sé stessa che alla fanciulla «Non temere, ora, non succederà
nulla di grave.» aggiunse sorridendole per la prima volta.
Merlyn
non era sicura di potersi sentire rassicurata, non aveva ancora ben capito cosa
ci facesse in quel posto.
La donna
iniziò a lavarle la schiena «Re Cenred ha costruito un’arena, ha sentito di una
Regno al di fuori di Albion, a Sud, dove ci sono uomini che combattono tra di
loro per intrattenere i nobili.» iniziò a spiegare «Una pratica antica che non
viene più messa in pratica, io personalmente la reputo estremamente barbarica,
ma non posso certo contraddire il Re.» sbuffò una risata e passò a pulire i
lunghi capelli della giovane fanciulla, non sapeva bene il perché ma le
ricordava qualcuno «Comunque, ha costruito un’arena, i prigionieri di guerra
sono stati trasformati in gladiatori – gli uomini che combattono – e ovviamente
avevamo bisogno di un medico per i feriti.» spiegò brevemente dandole
finalmente la risposta che stava cercando fin da quando era partita.
«Oh.»
disse confusa la maga, non voleva far parte di quel gioco del Re, curare
persone che combattevano per la loro sopravvivenza per l’intrattenimento dei
nobili. Aveva sempre sognato di aiutare gli altri, ma a Camelot, la città di
cui sentiva sempre storie straordinarie da sua madre. Almeno le piaceva per
come le era stata raccontata, sapeva che adesso le cose erano molto diverse,
lei per prima rischiava di essere uccisa a causa della sua magia se solo avesse
messo piede nella città, ma cos’è la vita senza un po’ di rischi?
La donna
l’aiutò ad uscire dalla vasca e la fece asciugare con un panno morbido,
successivamente la vestì in un abito semplice, blu con rifiniture argentee, le
pettinò i capelli e fermò quelli ai lati con delle graziose spille. Merlyn era
così stanca che si lasciò manovrare dalla donna, cullandosi dalle piacevoli
sensazioni che stava provando, ma quando sentì un collare venirle agganciato
sul collo si ridestò di scatto e osservo con orrore la sua figura nello
specchio.
La donna
le aveva appena messo un collare che sembrava essere d’oro «Cosa state facendo,
levatemelo.» pretese guardandola dritto negli occhi.
«Non
posso.» rispose la bionda aggiungendo una collana con una piccola pietra
bianca. La stava vestendo come una nobile, ma Merlyn sentiva la sua magia
formicolare, sembrava dirle di scappare prima che fosse troppo tardi.
«Senti,
qua funziona in questo modo: chiunque lavori nell’arena è uno schiavo, ma ci
sono tre tipi. Chi ha un collare d’oro ha più libertà, delle stanze private ed
è soggetto ad una parziale protezione da parte del Re. Poi ci sono i
gladiatori, loro hanno collari d’argento, dormono nelle camerate sotto l’arena.
Infine, le donne con i collari di bronzo sono delle semplici schiave che
servono anche da ricompensa per i gladiatori.» spiegò afferrandole il polso,
obbligandola a guardarla «Io sono la tua Protettrice, ti è chiaro?» domandò con
sguardo duro.
«Come
posso riacquistare la mia libertà?» chiese la maga sentendosi un nodo alla
gola, si ringraziò mentalmente per non aver permesso alla madre di andare.
Poteva solo immaginare che non avrebbero trattato con la stessa cura una
signora più anziana.
«Tu non
puoi, mia cara.» disse la donna sedendosi su una lussuosa sedia ricoperta di
velluto «Ma i gladiatori possono, devono solamente vincere gli incontri. Ogni
incontro vinto Re Cenred segnerà sotto il nome del gladiatore il suo sigillo e
quando riterrà che ve ne sono abbastanza l’uomo potrà andarsene come uomo
libero.» la donna afferrò una mela dalla grande cesta di frutta fresca che vi
era sul tavolo «Ma a te conviene rimanere qui, fanciulla, sarai trattata come
una nobile fino a quando lo deciderò io. Ora dimmi il tuo nome.».
«Merlyn.»
disse la fanciulla sentendosi a disagio, domandandosi cosa sarebbe potuto
succedere se avesse provato a scappare. Sapevano dove abitava, non ci avrebbero
messo molto a trovarla e se fosse scappata in un altro Regno avrebbero preso
sicuramente sua madre. Non le importava essere trattata come una nobile,
preferiva di gran lunga tornare nella sua semplice vita da campagna, raccogliere
la legna con Will e mangiare avena con la madre alla fine del giorno. Poi c’era
Camelot, suo zio Gaius la stava ormai aspettando da tempo, fin da quando sua
madre anni prima era andata da lui in cerca di aiuto per capire come
controllare i suoi poteri magici.
«Bene,
Merlyn, non avere paura.» disse la donna versando del tea in due piccole tazze «Dovrai
semplicemente lavorare, come una qualsiasi persona, l’unica differenza è che
non potrai mai uscire dalla città.» aggiunse invitandola a sedersi davanti a
lei con un cenno della testa.
La maga
si sedé tenendo la schiena dritta, sentiva le dita formicolare, voleva
solamente fuggire da quel posto e non farne mai più ritorno «Io… io dovevo
andare a Camelot.» disse prendendo la tazza tra le mani, sentendone il
piacevole torpore «Vede, mio zio Gaius…» la donna fece cadere la tazza a terra,
facendo schizzare il tea bollente sulle povere gambe della ragazza, la quale
non emise nemmeno un suono di dolore.
«Tu sei
la figlia di Hunith?» domandò alzandosi in piedi, le mani ancora morbide
nonostante l’età le presero il viso e Merlyn notò immediatamente l’espressione
della donna addolcirsi ulteriormente.
«Sì, lei
conosce mia madre?» chiese dubbiosa, sua madre non le aveva mai raccontato di
amicizie al di fuori di Ealdor, non aveva potuto viaggiare molto, non quando
era rimasta incita in giovane età di lei.
La donna
annuì «Certo, cara, ma diciamo che era una conoscenza acquisita. Frequentavo
più che altro tuo zio Gaius.» rivelò arrossendo timidamente e Merlyn rimase scandalizzata,
non credeva che suo zio avesse mai avuto un interesse amoroso in vita sua.
La
giovane si schiarì la gola a disagio «Quindi lei ha chiesto di mia madre per
renderla una prigioniera, non credo che lo zio Gaius ne sarebbe stato molto
felice.» disse in tono provocante, cercando di farla sentire in colpa e magari
darle una via d’uscita da quell’incubo.
«Non è
come pensi, Merlyn, volevo solo salvarla da quella povera vita che faceva, ma
non sapevo si fosse sposata.» rispose la donna tornando a sedersi sulla sua
sedia, il tea per terra completamente dimenticato.
La maga
rimase in silenzio, non voleva certo dire a quella donna che in realtà lei era
nata fuori dal matrimonio, i figli bastardi non erano mai apprezzati, né in un
piccolo villaggio né in una grande città.
La donna
sembrò cogliere il suo imbarazzo e decise che era arrivato il momento di
lasciarla sola ad assimilare i cambiamenti della sua vita «Bene, queste sono le
tue stanze private, domani mattina ti accompagnerò dai gladiatori. Dormi bene
Merlyn.» le augurò avviandosi alla porta.
«Aspetti!»
la chiamò la ragazza alzandosi a sua volta «Come vi chiamate?» domandò.
«Io sono
Alice.».