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Autore: time_wings    03/09/2020    2 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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9. Fantasmi







1 settembre, 1993
 
Remus Lupin si strinse nel suo cappotto rattoppato e tirò su col naso. Aveva le ossa indolenzite e un’eccitazione inusuale per quel periodo del mese gli montava nel petto.
Normalmente avrebbe fatto carte false per godere appieno della prima, vivida emozione positiva dopo anni, ma una stanchezza anche più feroce del normale gli stava divorando pian piano la testa, come a invitarlo aggressiva a chiudere gli occhi per un po’.
Passò in rassegna con lo sguardo gli scompartimenti ancora mezzo vuoti del treno e gettò l’occhio in una cabina quasi come se qualcosa, al suo interno, lo avesse chiamato. Due giovani Tassorosso parlottavano fra loro a bassa voce, come a non volersi far sentire e, alla vista dell’uomo, alzarono uno sguardo allarmato, poi abbassarono gli occhi in fretta. Se per il suo aspetto o perché era un adulto, Remus non lo seppe mai.
Superò la cabina in fretta. La cosa non aveva nulla a che fare con i loro sguardi, però, c’era qualcos’altro.
Un incantesimo scherzoso gli sfiorò un orecchio e due ragazzi praticamente identici sgranarono gli occhi sorpresi. “Scusi,” disse uno dei due, con un sorriso che non sembrava affatto dispiaciuto. L’altro ridacchiava come un pazzo dietro la sua schiena. Remus sorrise debolmente, anche se non voleva mostrarsi subito troppo accondiscendente, poi scosse la testa come a rassicurarli. Sapeva benissimo che non avevano bisogno di essere rassicurati.
Fu solo quando si infilò nell’ultimo scompartimento del treno e si lasciò cadere sul sediolino che realizzò che, per ben sei anni, passare davanti a quella cabina era stato un incubo. Ed ecco il motivo della strana fretta. Vedere quei due gemelli, in un certo modo, l’aveva come svegliato.
Era il luogo in cui si rintanavano Piton, Regulus e un altro paio di amici strani che a James piaceva tanto insultare. Non aveva idea del perché il suo corpo l’avesse percepito prima ancora che lui stesso fosse in grado di realizzarlo, era come se avesse sempre mantenuto la memoria del numero di passi che, dall’ingresso, ci avrebbe impiegato a raggiungere quella cabina. Come se i suoi muscoli si fossero nuovamente plasmati su una storia che andava solo rispolverata, a compiere azioni di cui non aveva mai perso l’abitudine.
Sospirò; l’eccitazione che scemava in una nostalgia pungente, che gli picchiettava la nuca come a ricordargli che tornare sul luogo del delitto non era facile neanche per il complice dell’assassino. A maggior ragione se l’assassino era improvvisamente a piede libero.
Dannato lui e dannata quella sua tendenza a rendere teatrale anche una maledettissima evasione.
Dormire gli avrebbe fatto bene. Si accasciò con il fianco sul finestrino del treno e chiuse gli occhi, tre voci appena udibili gli giunsero all’orecchio lontane, come provenienti da un altro tempo, un altro mondo. Scherzavano su qualcosa, ma non riuscì ad afferrare cosa con precisione, così in bilico sul filo del sonno.
“Dovremmo inaugurarla,” James si guardava attorno, analizzando ogni angolo delle pareti del treno. Il loro secondo anno era alle porte e lui non era nella pelle all’idea dei nuovi fantastici scherzi che aveva in mente.
“Allora è questa? La nostra cabina?” Peter, invece, aveva una vena ironica nella voce. Remus sorrise e si guardò attorno a sua volta, per pensare a qualcosa da lasciare nello scompartimento. Qualcosa di piccolo, invisibile a tutti se non a loro, che sapevano dove cercare. Qualcosa che avrebbe reso quella cabina loro.
“Non si sa come sia riuscito a scappare da Azkaban,” una voce nuova si intromise in un sogno che assumeva sempre più i contorni di un ricordo. Suonava nervosa, inorridita, “nessuno c’era mai riuscito prima. Ed era anche un sorvegliato speciale.”
“Certo, potremmo… Non lo so, appendere uno striscione e scriverci su ‘James Potter è vergine. Ragazze, vi va di convertirlo?’ Suona bene,” un commento leggero fatto con una nota divertita nella voce.
Remus sorrise e diede del vandalo a Sirius.
“Oh, Ron, non dire sciocchezze,” una voce femminile, derisoria, distorse quel ricordo, “Black ha già ucciso un mucchio di persone in una strada affollata!”
“Io ce lo attacco,” Sirius tirò fuori una specie di lungo pezzo di tessuto che somigliava un po’ troppo a una tenda bianca di altissima fattura. Nessuno fece domande, ma poterono giurare di sentire Walburga Black urlare anche da lì.
“Ma sei scemo?” domandò retorico James, battendosi una mano in testa, “guarda che lo cambio, ci scrivo sopra il tuo nome.”
“Oh, ti prego, James,” ribatté il ragazzo, muovendo leggero una mano davanti a lui.
Remus alzò gli occhi al cielo e lo imitò, esagerando ulteriormente quel gesto con la mano e concludendo la frase al posto suo, in una caricatura del suo accento. “Ti prego, James, non ho bisogno di uno striscione per rimorchiare!”
Sirius assottigliò lo sguardo. “Ti ammazzo, Lupin.”
“Tu?” lo interruppe James, “tu a duello non hai speranze.”
Sirius sembrò pensarci su. “Contro Peter sì,” soffiò, scoccando un’occhiata al ragazzino.
Peter si strinse nelle spalle, sarebbe quasi potuto sembrare offeso se non avesse masticato un veloce ‘va’ a farti fottere, Sirius,ʼ prima di scoppiare a ridere.
“Volentieri, qualche volontario?”
Un miagolio contrariato si intromise nel sogno.
“Non fare uscire quella cosa!” gridò un ragazzo.
“Grattastinchi!”
“Via di qui!”
“Ron, lascialo stare!” esclamò ancora la studentessa. Lo squittio di un topo risuonò terrorizzato nel vagone.
Lupin si mosse a disagio sul sedile, ancora troppo cedevole alle avances del sonno per svegliarsi davvero.
“Ehm… professor Lupin?”
Un altro squittio.
“Deve essere qualcosa di meno… appariscente,” propose Remus, abbassando uno sguardo ironico su Sirius. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto.
“Uno striscione per te?”
“Ti sembra meno appariscente?” domandò Lupin, aggrottando le sopracciglia e osservandolo in attesa.
Tu sei meno appariscente.”
Remus si indicò le cicatrici sul viso, in maniera eloquente. “Ti sembro poco appariscente?”
“Secondo me sono da duro,” ribatté Sirius e James, accanto a lui, annuì solenne, come se quella fosse stata una verità incontraddicibile.
Remus li guardò entrambi per un attimo, poi scosse la testa rassegnato, un sorriso accennato ad alzargli gli angoli della bocca e una traccia di speranza a illuminargli lo sguardo.
“Hermione?”
“Che cosa fai?”
“Stavo cercando Ron…”
“Entra e siediti.”
“Non qui!”
Bastò quello, a dire il vero, una voce più alta, ma spaventosamente simile a quella di James. Sembrava… così fuori contesto, immersa in dialoghi di cui non afferrava le coordinate, affiancata a nomi che non conosceva.
“Qui ci sono io!”
Remus Lupin aprì gli occhi di scatto e la verità lo colpì come le secchiate d’acqua gelata che gli avevano fatto da sveglia ai tempi di Hogwarts. Quello scompartimento era lo scompartimento dei Malandrini, vi si era rintanato senza nemmeno dar conto alle sue gambe.
James e Peter erano morti, Sirius era evaso di galera.
Tutto era abbastanza ovvio, ma non comprese subito perché la cabina fosse immersa nel buio, né perché un freddo pungente si stesse aprendo unʼinquietante strada per le sue ossa. 
La rabbia gli risalì alla testa, il dolore gli arpionò la gola e il collegamento al gelo e al buio gli parve subito chiaro.
“Ahia!” gemette ancora un’altra voce.
“Silenzio!” esclamò all’improvviso, con voce sorprendentemente roca. Aprì con calma una mano e una luce tremolante gli scappò dalle dita con un crepitio. “Restate dove siete,” aggiunse e lo sguardo gli cadde su un ragazzino dai capelli disordinati e neri. Un paio d’occhi verdi lo guardavano con curiosità e un pizzico di timore reverenziale, una cicatrice svettava sulla fronte, marchio del famoso ‘bambino che è sopravvissuto’. A lui ricordava solamente un misto di James e Lily.
Quando la porta si aprì e una figura incappucciata si fece largo nello scompartimento, il freddo si impennò e una quantità indefinibile di angoscia piombò loro addosso. Gli occhi di Lupin saettarono in direzione di Harry e gli parve di sentire il sangue nelle vene ghiacciare tutto insieme. Il Dissennatore lo stava attaccando.
“Professore…” sussurrò una ragazzina dai lunghi capelli castani.
Remus non disse niente, diede una rapida occhiata alla cabina, per accertarsi di non fare danni, poi scavalcò Harry Potter e si interpose tra lui e quella figura deplorevole. “Nessuno di noi tiene nascosto Sirius Black sotto il mantello. Va’ via,” sussurrò, agitando la bacchetta con un gesto fluido.
Lasciò vagare lo sguardo appena dietro il cappuccio del Dissennatore. Lì, poco più sopra il cornicione della porta, un’incisione storta spiccava sul muro e un tessuto bianco ormai impolverato incorniciava la scritta. Oltre alla polvere, doveva portare attaccato anche qualche traccia di felicità. Remus si concentrò.
“Oh, avanti, col pezzo di tenda è più bello, è una cornice!” osservò Sirius, dopo aver performato un incantesimo di adesione permanente sul muro dello scompartimento.
“Ci vuoi questa tenda a tutti i costi, eh?” domandò Peter, osservandolo armeggiare col tessuto strappato per abbellire il loro capolavoro.
“Oh, ma… Riesci a sentirla?” James sembrò trattenere il fiato e cercare di captare un rumore in particolare. “Oh, sì!” esultò poi, guardando Sirius, “questa mi sembra proprio la voce di tua madre che ti maledice!”
Tre parole incise lo osservavano sbiadite. Si concentrò a fondo, cercando di non associare il resto di quella storia – della loro storia – al momento in cui vennero scritte.
Poi puntò la bacchetta contro il Dissennatore e, senza esalare neanche una parola, osservò come se non l’avesse evocata lui una luce argentea scivolare via dalla punta. Non lo guardò direttamente, a dire il vero, gli occhi gli erano rimasti incollati su quelle tre parole, scritte ancor prima che venissero usate per uno dei più grandi e geniali progetti mai ideati nei confini di quella scuola.
Fatto il misfatto.
 
***
 
“James, Peter, alzatevi immediatamente!”
Sirius scivolò e non cadde per puro miracolo. Aveva illuminato a giorno la stanza del dormitorio tra lanterne e bacchetta e continuava a urlare indaffaratissimo, inserendo qualche parolaccia nel discorso, perché dovevano davvero fare in fretta.
James si stropicciò un occhio con il dorso della mano e si alzò a sedere con un lungo sbadiglio. “La devi smettere,” mormorò, preparandosi già al compito che detestava di più sulla faccia della Terra: sedare Sirius quando era irrimediabilmente su di giri… e lui no. 
“Ti devi alzare adesso,” ribatté Sirius, avvicinandosi al letto di James e tirandogli le coperte via di dosso.
“Quello che hai fatto con Marlene ce lo puoi raccontare domani.”
Sirius si bloccò per un attimo, aggrottò le sopracciglia confuso, poi sgranò gli occhi e scosse la testa energicamente. “No, non avete capito niente, sta piovendo!”
Il silenzio durò un attimo. James sgranò gli occhi e scambiò uno sguardo veloce con il suo migliore amico, poi afferrò il cuscino e lo lanciò dall’altro lato della stanza, sul letto di Peter, senza neanche preoccuparsi di accertarsi che stesse effettivamente piovendo a dirotto.
Si alzò incespicando sui suoi stessi passi e, senza aspettare che la testa smettesse di girare, inforcò gli occhiali e corse a tirare Peter giù dal letto.
“Pete, piove! Un temporale!” gli gridò Sirius, entusiasta come se non stesse per mettere a punto uno degli incantesimi più difficili del mondo magico.
James gli rivolse un’occhiata allarmata. “Abbassa la voce, idiota, se svegliamo Remus è la fine.” Scoccò un’occhiata al letto del ragazzo. Le tende erano chiuse e nessun suono oltrepassava la loro barriera.
“Remus non c’è, per questo dobbiamo muoverci,” spiegò pratico Sirius, scuotendo ancora Peter, che aveva preso a lamentarsi e grugnire, “Pete!”
“Che vuol dire che non c’è? Dov’è?” James aveva smesso di tartassare Peter e aveva preso a guardare Sirius chiedendogli con gli occhi qualche pezzo in più del puzzle.
“Era con me, ho guadagnato tempo, è senza mantello, ci metterà una vita a tornare,” spiegò veloce Sirius, dando letteralmente uno schiaffo al povero Peter.
“Ma che ore sono?”
“Che ne so? L’una?” Sirius si soffiò un ciuffo via dagli occhi e piazzò il mantello dell’invisibilità tra le mani del suo amico. Aveva finalmente entrambe le mani libere. “Peter!”
“Ma che stavate facendo?” James si rigirò pensieroso il mantello tra le mani.
“Alla buonora!” gridò Sirius, a braccia conserte, ignorando la domanda dell’amico, perché Peter pareva essere tornato dal Regno dei Morti. “Alzati,” comandò, privandolo delle calde coperte in cui si era rintanato.
“Ma che ore sono?”
“L’una,” rispose James, fidandosi del calcolo approssimativo dell’amico.
“Sta piovendo!” Sirius lo tirò per un braccio e avrebbe portato avanti il suo progetto di farlo cadere dal letto, se solo Peter non si fosse divincolato mezzo assonnato e avesse messo i piedi giù di sua spontanea volontà.
“E io che ci devo fare?” domandò, sbadigliando sonoramente.
“Pete…” iniziò James, un sorriso furbo che non era assolutamente scontato sul volto di uno che aveva aperto gli occhi da praticamente sette secondi.
“Un temporale…” continuò Sirius, allusivo, muovendo una mano in cerchio, come a mimare il comportamento delle lente rotelle del suo amico.
“OH!” Peter saltò letteralmente giù dal letto, guardandosi attorno con fare pratico e occhi grandissimi. “È il momento!”
 

“Non posso crederci. Hai nascosto la mia fiala nel cassetto di Gazza?!”
Peter si strinse nelle spalle e annuì. Per qualche secondo preferì guardarsi attorno, trovando particolare interesse nelle fiaccole che illuminavano quella che avevano ormai battezzato come ‘la loro classe segreta’.
“Avrebbe potuto trovarla!” si lamentò Sirius, “avrei potuto trovarla io durante una detenzione!” continuò, pensando al patto suggellato con Remus proprio lì.
“Ma ti prego!” si difese Peter, seccato, “come se tu svolgessi davvero qualche compito, durante le detenzioni.”
Touché” ammise Sirius, con un sorriso.
“Grazie per la fiducia, comunque.”
“Io sono d’accordo con Pete,” si intromise James, “è chiaramente l’ultimo posto in cui andresti a mettere le mani. Ed è anche buio, secondo me Gazza non lo pulisce da secoli.”
Peter lo guardò con una sfumatura di gratitudine che superava la normale simpatia e sfociava nell’ammirazione più profonda. Quando James aveva un’opinione, generalmente, tempo qualche attimo e questa diventava automaticamente anche quella di Peter. Questa stima lo stava quasi sommergendo.
Sirius soffocò una risata nel naso. “La tua è davvero finita nel dormitorio delle ragazze,” continuò, strizzando l’occhio a James e passandogli la sua fiala. Lui la accettò tra le mani come se il solo fatto di essere stata nel dormitorio delle ragazze gli assicurasse che fosse anche stata con le ragazze. “Ha visto più meraviglie di quante ne vedrai mai, Jamie! Era in un cassetto molto speciale!” lo prese in giro Sirius, scombinandogli ancor di più i capelli, con aria ironicamente tenera.
“Tieni, Pete, la tua era tra i miei panni nello spogliatoio di quidditch,” James tese la fiala a Peter, continuando a tenere gli occhi incollati a quella piena di scritte che aveva tra le mani.
“Scontato,” commentò Sirius.
Peter esitò. “Nei… Nei tuoi panni puliti, vero?”
James alzò gli occhi nei suoi per un attimo, poi abbassò lo sguardo e un sorriso vispo gli alzò un angolo della bocca. “Sì, certo.”
Peter rabbrividì e mollò immediatamente la fiala. James, che a quel punto si era lasciato andare a una vera risata, sgranò gli occhi terrorizzato. Il fatto che la fiala non si ruppe fu un autentico miracolo.
“Mi rimangio tutto,” ribatté Sirius, che non sembrava aver temuto troppo per il futuro della pozione di Peter, “geniale, Jamie. Chissà da quanto tempo non vedono la luce del sole.”
“Scusami, ma che vuol dire ‘puzzola’?” si lamentò James, dando una rapida occhiata alle scommesse di Sirius su di lui. Finalmente si era deciso a leggerle e non a pensare al luogo in cui era stata nascosta la sua fiala.
“Ti basta annusarti… o analizzare i tuoi nascondigli,” suggerì Sirius, dandogli uno spintone.
“Davvero credi che possa essere un orso?” domandò mezzo offeso Peter, rifilando un’occhiataccia a James e aggrottando le sopracciglia. Alla fine aveva accettato il suo destino e si era deciso a esaminare la sua fiala.
“Assolutamente sì, quando dormi vai in letargo! Ah, ho scritto anche un cane.”
“Un cane?”
“Non è proprio vero!”
Sirius, intanto, dopo la sua esclamazione, si era avvicinato di soppiatto all’amico, arrivando alle sue spalle con passo felpato. Cominciò a esibirsi in una serie di versi imbarazzanti che dovevano sembrare quelli di un cane che abbaia. Peter, però, non colse certo la finezza della battuta e preferì trasalire, spaventato e quasi facendosi scappare di mano la preziosa fiala… di nuovo.
“Pete?” domandò Sirius, un sorriso sinistro che, sotto la luce soffusa dell’aula in disuso, faceva quasi paura. “Come mai credi che possa essere un lupo?” Scoprì i denti e morse a vuoto, in una brutta imitazione.
Peter scrollò le spalle e se lo tolse di dosso con una manata. “Hai tutte le caratteristiche dei lupi.”
“Io e Remus non ci assomigliamo per niente,” argomentò Sirius, tornando a sedersi nel loro cerchio e aspettando il parere di James.
“Infatti è Remus a non sembrare un lupo,” rispose lui, dopo averci pensato per un po’.
“Un Animagus può essere un lupo?”
Peter guardò Sirius, aggrottando la fronte come se si fosse improvvisamente reso conto di quanto fosse stupido. “Certo.”
“Sarà, ma di certo, Pete, non sarò un furetto,” si difese il ragazzo, incrociando le braccia al petto come se la cosa fosse dipesa da lui.
James rise e stappò la sua fiala distrattamente, forse un po’ troppo, in una maniera che suonava come un segnale.
Fu un gesto fluido, quasi naturale, ma il battibecco tra Sirius e Peter cessò all’istante e i tre ragazzi si concentrarono sulle pozioni incredibilmente pericolose che avevano tra le mani.
Tutto pareva essere andato bene: il colore era rosso brillante, la densità non troppo elevata e gli ingredienti si erano disciolti e miscelati alla perfezione e senza grumi. L’odore era aspro e frizzante com’era descritto in quei pochi libri che erano riusciti a consultare, eppure la paura faceva sembrare tutto fuori posto.
Avevano passato ore, giorni interi a studiare e informarsi sulle fonti, a controllare che una notizia che trovavano per caso fosse riportata anche in altri testi. Avevano addirittura fatto irruzione nell’ufficio della McGranitt, perché James era convinto che un Animagus meticoloso come lei avesse certamente conservato qualche vecchio trucco e, in effetti, ci aveva visto lungo.
Anche la preparazione della pozione aveva reso tutto più reale, ma mai permanente. In più, il fatto che avessero passato mesi interi in attesa di un temporale aveva contribuito a rendere tutto più divertente e ancor più lontano e impossibile. Sembrava che il temporale non dovesse più arrivare.
Ma a quel punto le cose si erano fatte serie. Da quel momento in poi si sarebbero dovuti svegliare ogni mattina all’alba per mormorare una cantilena che aveva un che di inquietante e ripetere il processo al tramonto. Ogni giorno, senza eccezioni, fino al temporale successivo. Non c’era modo di tornare indietro, il pericolo era a quel punto solido, probabile e irreversibile.
James deglutì rumorosamente, lanciando un’occhiata fiera ai suoi amici, poi sorrise debole ma un po’ nervoso. “Alla salute,” scherzò, una vena di isterismo a colorargli la voce. Sirius lo imitò.
James si portò la fiala alle labbra e cercò di darle un’ultima occhiata mentre mandava giù il contenuto.
Era decisamente stopposo, quasi impossibile da deglutire e il sapore era terribile, era come se quell’odore penetrante di piedi che si trova sempre in un dormitorio maschile gli si stesse impregnando allo stomaco. La testa prese a girargli vorticosamente, chiuse gli occhi e aggrottò la fronte di rimando. Per un attimo, ne fu certo, credette di non poter più respirare.
Si piegò in avanti e portò veloce un mano alla bocca, soffocando un colpo di tosse o la possibilità di rimettere.
“James.”
La voce di Peter gli arrivò ovattata. Alzò una mano per rassicurarlo e cercò di calmarsi: quella roba non scendeva!
“Andiamo, è per Remus,” lo prese in giro Sirius. Aveva palesemente una voce più bassa e provata del solito, ma pareva essersi ripreso. “E poi non è educato vomitare in classe.”
James ci mise qualche secondo in più a tornare in sé, ma, impossibilitato com’era ad aprir bocca anche solo per respirare, si accontentò di mostrargli due dita. Sirius rise.
“Ma a te è piaciuto?” riuscì a parlare, infine, con un filo di voce, adocchiando la fiala vuota di Peter e lo sguardo ampiamente rilassato del ragazzo che ancora la reggeva in mano.
“No,” rispose piatto lui, con la faccia di uno che si stesse interrogando sul motivo per cui i suoi amici avevano deciso di fare a gara a chi le sparava più sceme. “E, onestamente, credevo che fosse Sirius quello esagerato, qui.”
“Pete, era tremenda, non stavo esagerando,” si difese James, quasi lanciandosi nella sua direzione, per un contatto con la realtà. Peter si scostò all’ultimo, con una risata.
“Farò finta di non aver sentito,” si limitò a rispondere Sirius, muovendo una mano come a scacciare una mosca e concentrandosi sulle altre scommesse di Peter sul vetro della sua fiala vuota. “Con questa faccia potrei mai essere un ippopotamo? Avanti, guardami Pete, sono uno schianto.”
James scoppiò a ridere, ringraziando l’Incantesimo Silenziatore che avevano fissato alla porta e alle mura dell’aula prima di iniziare.
Sperò vivamente, anche quella volta, che il temporale successivo non si sarebbe fatto troppo attendere.
 
***
 
“Black.”
La voce della donna era stanca, esausta, mentre pensava, rassegnata, che la quantità di volte in cui aveva esordito in quella classe con quella frase, superava di gran lunga il numero di volte in cui non l’aveva fatto.
Minerva McGranitt sospirò severa, osservando il sorriso sfrontato del ragazzo in seconda fila attraverso gli occhiali. “Credevi che una lettera d’amore ti avrebbe dato accesso diretto ai tuoi G.U.F.O?” domandò, piegando le labbra in una smorfia seccata e preparandosi già a ribattere alla sua successiva uscita.
“Volevo semplicemente augurarle un buon compleanno a modo mio. Nella speranza di poter passare una felice detenzione con lei,” replicò ingenuo Sirius, portandosi una mano al petto quasi costernato. Gli occhi, però, brillavano di divertimento. Provocò una cascata di risatine nella classe, “da soli,” continuò, sull’onda di quel momento di gloria e ammiccando nella sua direzione.
La professoressa aggrottò le sopracciglia, si portò una mano alla fronte e sospirò. “Mi rincresce, ma non centrare il tema di un compito non è punibile con una detenzione,” spiegò, “per quanto sia evidente il motivo dell’errore.”
James Potter si allungò a dare una pacca sulla spalla dell’amico, come se avesse dovuto consolarlo per la mancata detenzione. “La giornata non è ancora finita, professoressa,” si intromise, con un sorriso sghembo.
“Grazie per la soffiata, signor Potter, lo terrò a mente.”
“Vogliamo essere clementi, d’altronde è il suo compleanno,” iniziò James, facendo alzare qualche risata in classe. Sirius scoccò un’occhiata divertita a Marlene e Remus alzò gli occhi al cielo, “quindi ci dica lei l’orario che più preferisce per una bravata, ci faremo beccare,” continuò angelico, dando una rapida occhiata alla classe. “Voi tenete gli occhi aperti, sarà fantastico!”
“Apprezzo la collaborazione, ma adesso, se non vi dispiace, mi farebbe piacere iniziare la lezione senza più disturbi,” concluse la donna, armandosi di bacchetta e posizionandosi dietro la cattedra, per mostrare l’esercizio pratico del giorno. “Se vi fa così piacere farmi un regalo, tuttavia, signor Lupin e… signor Minus,” continuò, faticando a pronunciare l’ultimo nome, “sarebbe gradito se tentaste di dissuaderli.”
Remus serrò le labbra dispiaciuto e si strinse nelle spalle. La professoressa McGranitt gli lanciò un veloce sguardo severo, perché, ultimamente, una parte di lei non faceva che domandarsi cosa ci facesse un ragazzo come lui con Black, Potter e Minus. E il sospetto che avesse molto più in comune con loro di quanto dava a vedere acquistava forza ogni giorno di più.
Quello di una lezione lineare e costruttiva, evidentemente, si rivelò un progetto troppo ambizioso.
 

Era stato memorabile.
Soprattutto per la professoressa McGranitt, che si era ritrovata sommersa di una quantità scandalosa di volantini con sopra stampata la sua faccia e uno scritta che recitava, precisamente: ‘Buon compleanno, Minnie’. Come se questo non fosse stato abbastanza, i puntini sulle ‘i’ del suo nomignolo erano stati sostituiti con dei cuori.
La Sala Grande era esplosa di auguri e, soprattutto, di scroscianti risate. Il preside Silente, per di più, con la solita intelligente ironia, si era anche preso la briga di parlare alla scuola e di fare personalmente gli auguri a una imbarazzatissima e seccata ‘Minnie’, dal momento che i suoi alunni ci tenevano così tanto. Dopodiché, i ragazzi erano finiti in detenzione senza uno straccio di prova contro di loro e Remus, a quel punto della serata, era arrivato a credere che James avrebbe fatto faville come avvocato nella società babbana.
“È che tutto questo non ha senso!” si lamentò, lasciandosi cadere sul divano della Sala Comune, una volta che ebbero terminato cena e festeggiamenti improvvisati, “ci hanno visti fare i volantini?” domandò al pubblico, che quella sera era composto dai suoi tre migliori amici e le ragazze del loro anno, fatta eccezione per Lily e Alice, “no! Ci hanno visti distribuirli?” James fece una pausa a effetto, “ve lo dico io: sempre no! Non è che se siamo famosi per combinare guai, allora la colpa è sempre nostra.”
Sirius ridacchiò. Aveva un braccio che cingeva le spalle di Marlene e si era stravaccato sullo stesso divano su cui James stava facendo la sua arringa. “Ma siamo stati noi, James.”
“Questo loro non potevano saperlo.”
Remus aggrottò la fronte, scoccando una breve occhiata in direzione di Sirius e Marlene, che si erano scambiati un veloce bacio a fior di labbra, “ma gliel’avete letteralmente detto oggi in classe,” ribattè Lupin, il tono appuntito infiacchito dalla distrazione.
“Questo non prova nulla.”
“Prova tutto, James,” si intromise Peter, compiacendosi particolarmente delle risate che provocò in Dorcas e Mary. Marlene era… provvisoriamente impegnata.
“Evans!” chiamò James. La cosa curiosa era che dava le spalle al ritratto che dava accesso alla Sala Comune, ma la sua schiena sembrava avere un particolare radar solo per Lily. Quando entrò nella Sala Comune evidentemente suonò. “per te ci meritavamo una detenzione quadrupla?”
La ragazza si bloccò a metà strada tra il ritratto e le scale che conducevano ai dormitori. “Uhm…” ci pensò su, “no, non direi.”
James rivolse un sorrisetto vittorioso agli amici e alle ragazze. “Visto?”
“Mi avrebbe fatto piacere un’espulsione,” continuò acida, cercando di salvare ogni goccia di sdegno per consegnarla a James.
“Grazie per il pensiero, Lily, ma non lo trovi un po’ eccessivo?” Remus alzò una mano dalla sua poltrona, il sorriso obliquo che evidenziava una cicatrice sul labbro inferiore.
“Ti prego, tu salvati,” lo implorò, addolcendo lo sguardo.
“Ti unisci a noi, Lily?” il tentativo di Marlene non poteva risultare troppo convincente, vicina com’era a Sirius.
James si arruffò i capelli in un gesto che sfiorava la compulsione e si voltò a guardare la ragazza, mordendosi un labbro e sorridendo insieme, come a sfidarla. Lily esitò per un attimo con lo sguardo su di lui, poi scosse la testa e inspirò profondamente, come a cercare di controllarsi per evitare di attaccare di nuovo i suoi testicoli. “Neanche morta, Marlene.” E, con questo, si avviò impettita alle scale del dormitorio.
“È noiosa, cercate di capirla,” commentò lui, stando bene attento a farsi sentire forte e chiaro.
Lily si bloccò a un passo dal primo gradino, inspirando a fondo, di nuovo, e voltandosi di scatto verso James. Non disse molto; a dire il vero non disse niente, si limitò a sfoderare la bacchetta e a puntarla di nuovo contro di lui.
“Ehi, ehi, ehi,” Sirius si alzò con uno scatto dal divano, tirando fuori la sua, di bacchetta, e mirando oltre le spalle di James. “Tu non hai idea di quello che ho dovuto fare l’ultima volta… e vedere.” Peter e le ragazze scoppiarono a ridere.
“Sirius.” Remus si batté una mano sulla faccia e appoggiò il collo allo schienale della poltrona, in un tentativo già fallito in partenza di riprenderlo.
Lily non lo degnò del minimo sguardo, mimando l’espressione di James quasi alla perfezione. “Non sai difenderti da solo?”
“Non farai niente,” la prese in giro lui, canzonatorio. Forse voleva essere preso a pugni, chissà.
“Grande smacco alla tua virilità,” continuò invece lei, tagliente, ignorando apparentemente il suo attacco.
“Almeno i miei amici sono dalla mia parte,” notò infine James, corrugando le sopracciglia con fare impietosito e alludendo all’apparente schieramento che avevano preso le ragazze. Marlene sospirò scettica.
Lily si morse la lingua, poi si voltò, con un mezzo ringhio nascosto tra le labbra, e prese finalmente le scale del dormitorio.
“Bene, io non so come facciate a essere sue amiche,” commentò James, aspettando questa volta che se ne fosse andata davvero. Sirius, intanto, era tornato al suo posto accanto a Marlene.
“Quando non parla con te è molto simpatica,” cercò di difenderla Mary, con una scrollata di spalle e un sorriso timido.
“Oh, non ho nessun dubbio,” ribatté James, poi rivolgendosi a Sirius e Marlene, “e voi due la finite?”
“Geloso?” Sirius abbandonò con una risata le labbra di Marlene e si concesse l’occhiata più provocatoria della serata. Il che era una sfida ardua, considerando l’incredibile vastità di occhiatacce di cui Lily aveva fatto sfoggio poco prima.
“Non ne ho bisogno.”
Remus grugnì, a metà tra un verso annoiato e uno di scherno.
Fu allora che Dorcas, ignara delle conseguenze disastrose che avrebbe scatenato di lì a poco, pensò bene che fosse arrivato il momento di parlare di qualcosa di utile. “Bene,” cominciò con tono pratico, “pensavamo di dare una festa tra un paio di settimane. Il compleanno di Mary è stato ad agosto e ci piacerebbe festeggiarlo.”
“Okay? Oh e… auguri in ritardo” Peter non era sicuro di comprendere, ma sorrise comunque gentilmente a Mary.
“Sì, beh, mi pesa doverlo dire, ma ci serve il vostro aiuto.”
“Ti pesa?” inquisì Sirius, sorridendo appena.
“Enormemente,” confessò Dorcas, ma non trattenne una mezza risata. La bomba aveva preso a ticchettare furiosa.
“Ah, be’, se me lo chiedi così certo che sì,” la prese in giro lui, acconsentendo con una scrollata di spalle.
“Perchè no?” si unì Remus, cogliendo il sorriso e l’assenso anche di Peter.
“Tra due settimane?” domandò James, con un cipiglio preoccupato.
“Sì.”
“Ehm… Non si potrebbe fare la settimana prima… o quella dopo?” James, al contrario dei suoi amici, aveva la fronte aggrottata e guardava con una punta di dispiacere le ragazze. Non succedeva tutti i giorni che James Potter perdesse un’occasione per farsi notare. Scoccò un’occhiata a Sirius e scosse la testa impercettibilmente. Gli venne voglia di alzarsi, spostare Marlene di torno e baciarlo, quando lo vide annuire lentamente, la realizzazione che gli si illuminava negli occhi.
“Oh, beh… è vero, noi abbiamo, cioè, dobbiamo…” Sirius rise e cercò di prendere tempo.
“Io devo tornare a casa,” annunciò Remus, impedendogli di fare altri danni. Come aveva fatto a dimenticare la luna piena? Si detestò da morire per aver messo i suoi amici in una situazione così scomoda: insomma, non era certo compito di James ricordarsi quando lui sarebbe dovuto andare incontro ad atroci sofferenze, dannazione!
“Oh, che… che devi fare?” domandò delicatissima Mary. Peccato che non fu davvero discreta.
“Ha un problema…”
“Un animale.”
Le risposte di James e Sirius arrivarono troppo in simultanea per evitare il danno. Peter osservò i suoi amici con occhi grandi di spavento, non osando parlare per paura di mettere altra carne indesiderata al fuoco.
“Un piccolo problema… peloso,” spiegò James, pratico come se stesse elencando gli elementi di una lista della spesa.
“Un piccolo problema peloso?” Marlene inarcò un sopracciglio.
“Proprio così!” James sembrava averci preso la mano e aver guadagnato sicurezza. “Un coniglio molto aggressivo.”
Remus lo osservava senza accennare alla più minima espressione facciale.
Seguì qualche attimo di terrificante silenzio, prima del verdetto.
“Voi siete strani,” commentò Dorcas, scuotendo la testa scettica e facendo tremare le budella di Remus. “Almeno fate in modo di non bersagliare noi per il prossimo scherzo.”
In quel momento, con una sola, banalissima risposta e, per giunta, senza che se ne rendesse conto, Dorcas diede il via a quattro profondi sospiri di sollievo.
 
***
 
Novembre, 1996
 
Erano anni che non era in terreno così sconosciuto. Le stelle brillavano pigre nel cielo buio ed erano l’unica cosa che potessero davvero mettersi a guardare.
Remus sospirò, cercando di distendere i muscoli atrofizzati e il collo dolorante per la posizione scomoda.
Gettò un’occhiata all’abitazione: le luci erano ancora accese e qualche rumore sorpassava, di tanto in tanto, la barriera delle mura spesse del Mangiamorte a cui davano la caccia.
“Ancora niente?” La voce di Nymphadora Tonks, compagna dell’Ordine, gli arrivò altrettanto contrariata alle orecchie.
Remus scosse la testa.
Tonks lasciò cadere nuovamente il capo contro la pietra del muretto con un grugnito. “Se quel Mangiamorte non si dà una mossa, giuro che mi alzo e…” sembrò pensarci per un attimo, lasciando vagare le mani davanti alla faccia annoiata come a cercare una minaccia sufficientemente spaventosa. “Non lo so,” decise e Remus rise, guardandola di sottecchi fare facce buffe, “gli faccio molto male.”
Incrociò comunque le braccia al petto, mostrandosi più minacciosa. Remus si voltò a guardarla, a quel punto. Quando diceva di essere in territorio nemico non si riferiva affatto all'abitazione del Mangiamorte a cui davano la caccia; intendeva la sensazione destabilizzante di provare qualcosa per qualcuno senza che questi sapesse cosa gli passava per la testa. Una stupida, infantile, paura del rifiuto, ecco cosa.
Gli venne naturale chiedersi se non fosse stato uno stupido a non imparare dai suoi precedenti errori, a non capire, dopo che aveva dovuto processare un’ennesima morte lacerante, che forse l’imbarazzo di un minuto non poteva competere con il rimpianto di una vita.
Non riusciva a farselo entrare veramente in testa.
Arrossì, quando si ricordò che stava ancora fissando Tonks e ringraziò il buio del vialetto per averlo protetto da quell’imbarazzo. Lei, però, era assorta a guardare il cielo.
“Era ancora bellissimo, eh?” parlò all’improvviso, non staccando gli occhi dalle stelle. Remus inarcò un sopracciglio. “Anche dopo Azkaban,” puntualizzò lei e il soggetto della frase gli fu immediatamente chiaro.
Una fitta di dolore gli percorse la schiena.
Decisamente, era la risposta, anche un attimo prima di vedere i suoi occhi spegnersi.
Remus rise a disagio e scrollò le spalle. Oltre al dispiacere, anche una punta di gelosia gli attraversò la mente. “È sempre stato bravo con le donne,” buttò lì, arrendendosi anche lui a guardare il cielo. Quando notò che Tonks non era intenzionata a rispondere si voltò a guardarla, incuriosito. Mai si sarebbe aspettato di vederla letteralmente nera di rabbia.
“Sai che c’è?” iniziò lei, il tono della voce si acuì dall’irritazione e le punte dei capelli scuri iniziarono a prendere colori sempre diversi, “sapresti perfettamente di chi mi sono innamorata se non fossi stato così occupato a piangerti addosso per notarlo,” sbottò infine, scuotendo il capo arrabbiata.
Una felicità inspiegabile si impadronì del petto di Remus, qualcosa che non credeva possibile si fece strada in lui come a dare un senso alla paura che aveva vissuto al Dipartimento dei Misteri qualche attimo dopo una tragedia. Quella… cosa che non era riuscito mai a spiegarsi, quegli odori.
Non poteva crederci, era fuori dalla portata dei suoi sogni, l’idea di sposarsi davvero, di avere una famiglia e… di dover combattere con i pregiudizi.
La gioia durò un secondo.
Una prospettiva terribile fece capolino nella sua testa: avrebbe rovinato la vita di Tonks, costringendola a sopportare una pressione continua di sguardi, parole, sussurri.
Avrebbe approfittato della sua gentilezza, se l’avesse sposata? E se avessero avuto un figlio? Oh, non voleva neanche pensarci, lo spettro della licantropia, del vedere i capelli di Tonks ingrigire per star dietro alle sofferenze del figlio come quelli di sua madre Hope, quando era piccolo e tutto era diventato irreparabile. Era egoista, sbagliato, terribile.
Cercò di stemperare la tensione dando un’altra occhiata alle finestre della casa del Mangiamorte, perché era certo che se fosse stato costretto a restar fermo qualche secondo di più gli sarebbe venuto un attacco di panico. Scoprì, con immenso sollievo, che le luci erano finalmente spente. Si alzò di scatto, spazzolandosi i vestiti con entrambe le mani e facendo cenno a Tonks di seguirlo. Non riuscì a guardarla negli occhi quando parlò: “Via libera.”
“Già,” sussurrò lei, superandolo amara e dandogli le spalle. I capelli non brillavano nel buio di nessun colore sgargiante e Remus sospettò che la cosa non fosse affatto legata a una tecnica di mimetizzazione.
 
***
 
Certe cose si possono anche prevedere con una precisione millimetrica, ma quando succedono nell’arco di un secondo è comunque difficile impedire che accadano.
Quel giorno rientrava decisamente in quella categoria.
James lanciò uno sguardo veloce a Remus e Peter, scosse la testa e lasciò scivolare un braccio sulla spalla di Sirius, aggrottando le sopracciglia come in riflessione. Poi si spostò col corpo in maniera da coprire il più possibile il lato sinistro del corridoio. “Sai, mi chiedevo…”
Sirius mosse una mano a spostarselo di dosso. “James, dovrei essere cieco o totalmente stupido per non capire cosa stai facendo,” ribatté lui, guardandolo di traverso.
Non che James credesse di avere le spalle abbastanza larghe da coprire quattro interi ragazzi di cui uno ben piazzato, ma sperava almeno di non dare la possibilità a nessun polverone di alzarsi nel momento sbagliato. E avrebbe gradito anche un briciolo di gratitudine, a dire il vero, visto che era stato così clemente da aver messo in conto di risparmiare Mocciosus per il bene di Sirius.
“Sto buono,” assicurò lui, dando comunque un’occhiata storta a suo fratello Regulus, che camminava accompagnato da Piton, Mulciber e Avery.
L’errore più grande dei suoi amici fu credergli.
Bastò poco, davvero poco, una risatina di Mulciber che coprì con la mano, un sussurro ai suoi compagni, che, a catena, risero anche loro.
“Che vuoi?” sbottò Sirius, aggressivo e ironico insieme, lo sguardo puntato su quello identico ma più freddo del fratello.
Regulus si guardò attorno spaesato per un attimo, come a chiedersi se fosse seriamente così stupido da attaccar briga sulla base di niente, poi decise che, sì, doveva essere proprio così. “Pensi che giri tutto intorno a te?” gli domandò, lo scherno che traspariva appuntito dagli occhi. “Credevi che ridessimo di te?”
Sirius non parve troppo colpito, scrollò semplicemente le spalle, ma si tradì serrando le mani a pugno. “Ho sentito che sei il nuovo Cercatore, bravo!” lo elogiò, esagerando il complimento con la voce, “Mamma e papà sono felici, sì? Ti hanno già steso il tappeto di fiori?”
James diede una rapida occhiata a Remus, che si limitò a studiare il volto di Regulus.
Il ragazzo soffocò una risata nel naso. “Che c’è? Non sei al centro dell’attenzione per cinque minuti e già sei in crisi? Perché non ne fai un’altra delle tue? Non lo so,” Regulus si guardò attorno, come a prendere ispirazione, “potresti imbrattare i quadri a casa e scriverci ‘Black merda’ col sangue,” elencò, facendo sghignazzare Mulciber e Avery, alle sue spalle, “oppure potresti far trovare dei ragni nel mio letto, perchè no? Oh!” Regulus si illuminò, “senti questa! Puoi portare i tuoi amici a casa.”
Quell’ultima frase sarebbe anche potuta passare in sordina se solo Regulus non avesse fatto l’imperdonabile errore di riservare un’occhiata eloquente a Remus. Lui, però, non si scompose, continuò a studiare il volto del fratello di Sirius come se fosse stato a un passo dal capirci qualcosa.
Sorprendentemente, però, Sirius doveva essere così accecato dalla rabbia da non riuscire a cogliere la direzione del suo sguardo. Il problema era che James l’aveva colta eccome.
Cacciò fuori il fiato con la bocca, a metà tra una risata e un ringhio e mosse un passo per scagliarsi contro i ragazzi. Proprio allo scoccare di quel passo, però, Peter gli afferrò un polso e lo tirò indietro con uno strattone. James lo lasciò fare, ma non staccò lo sguardo da Regulus. Piton, invece, sorrideva come se avesse avuto davanti uno spettacolo molto stupido.
“Siamo diventati aggressivi,” scherzò invece Sirius, il sorriso sfrontato che aveva perso prima rinvigorito a quel punto dall’idea della provocazione, “mi chiedo se avresti avuto il coraggio di dire ‘merda’ da solo e attaccare, senza le guardie del corpo,” Sirius mosse un passo avanti, guardandolo con la tenerezza che si riserva a un nemico facile da battere.
“Potrei dire lo stesso di te,” ribatté lui, muovendo a sua volta un passo avanti e mantenendo il contatto visivo. “Mi chiedo se avresti avuto il coraggio di giocare a fare l’alternativo senza di loro,” sibilò, sminuendo di nuovo i tentativi di suo fratello di distaccarsi da certi ideali: sapeva che quel tipo di cosa funzionava.
“Vero, Reg, ma io almeno li ho scelti,” Sirius fece spallucce, portando piano una mano alla tasca posteriore dei suoi pantaloni. Lo sguardo di Regulus saettò in basso, poi tornò negli occhi del fratello ad ammonirlo.
Sirius si morse il labbro inferiore, concentrato, reggendo il suo sguardo. Inspirò, poi, come quando si sta per fare qualcosa, ma Regulus non seppe mai cosa avesse intenzione di fare.
Uno spintone piuttosto violento costrinse Sirius a fare un passo nella direzione che stavano percorrendo prima di quello sciagurato incontro. Si voltò e Remus si limitò a scuotere la testa e a costringere i suoi amici a continuare a camminare.
“Buona fortuna per la partita,” disse a Regulus, con un sorriso gentile, “sono curioso di vederti giocare,” concluse, prendendo la strada che portava alla Torre di Grifondoro e ignorando bellamente la risata di Piton.
Quella risata gli costò molto cara, perché James, alla fine, scelse di vanificare quel tentativo di pace.
Levicorpus,” pronunciò, dando le spalle al gruppo e voltandosi solo per un attimo a godere della vista di Severus a testa in giù.
Era guerra.






 

Note di El: Ciaoh. Madre, ragazzi, che fatica, questa volta mi ha uccisa.
Allora che dovevo dire? Ah, sì, abbiamo dato il via alla saga "El prende scene dei libri e le riscrive dal punto di vista di un altro personaggio facendo finta che siano inedite", che ha un titolo lungo ma ne vale la pena, non è l'ultima. No, allora, voi non lo sapete ma io sto cercando di prendermi una rivincita contro me stessa con quella prima scena perché l'ultima volta che ci ho provato è venuta una schifezza (cioè, non era questa la scena, era uguale la struttura), vabbè, non vi interessa. Come al solito il mio terzo libro è pezzotto, quindi spero che la traduzione sia ufficiale e che le battute che ho usato le riconosciate altrimenti vabbè. Per la scena di Tonks avverto che è una scena realmente avvenuta, ma nell'originale lei dice "è ancora bellissimo", cosa che per ovvie ragioni di multishipping conciliabilità, qui è stata modificata. Vi lascio una fanart sempre di Alessia Trunfio di questa scena, maga indiscussa quando si tratta dei Malandrini, perché l'ha disegnata e cioè, al capitolo non si adatta troppo bene perché ci sono delle battute in più ma è troppo bella tenete, mi ringraziate poi. Qui.
Un particolare grazie a Ran che mi ha detto dove nascondere le fiale dello spogliatoio e del cassetto di Gazza perché ieri sono entrata correndo nella sua chat tipo "Raaaaaaaan, aiuto aiuto aiuto dove nascondono le fiale? Raaaaan" e Ran ha parlato.
Ah, inoltre, mostrare due dita, col dorso della mano rivolto verso l'altro, in Inghilterra è un equivalente di un dito medio quindi ecco che è quel gesto di James mentre beve la pozione.
Bene, ci vediamo tra 10 giorni. Questo capitolo non mi fa impazzire, ma sono felice perché i prossimi mi sono divertita troppo a scriverli yeee, quindi niente.
Grazie DA MATTI per aver letto!
Adieu,

   
 
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