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Autore: Nao Yoshikawa    04/09/2020    4 recensioni
Crowley inizia lentamente e inesorabilmente a perdere la memoria a causa di una maledizione lanciata dai demoni. Lui e Aziraphale riusciranno a spezzarla o dovranno semplicemente rassegnarsi ad un destino già scritto?
Quanto è importante la forza di un ricordo?
«Posso azzardarmi a dire che questi oramai non sono più vuoti di memoria, giusto? Da quanto vanno avanti?» domandò stringendogli un ginocchio con una mano. Era una situazione inquietante e piuttosto spiacevole, ma l’angelo stava cercando di non pensare al peggio.
«Non saprei… una settimana, forse? Non capisco. Perché sto iniziando a dimenticare delle cose? Anche quelle più recenti…mi sono dimenticato del giorno in cui ti ho chiesto di sposarmii», Crowley si portò una mano tra i capelli, scombinandoli, con gli occhi lucidi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Belzebù, Crowley, Gabriele
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Così l’inevitabile era arrivato e nessuna preghiera era stata ascoltata. Se non fosse stato un angelo e non avesse avuto la certezza che Dio esisteva, forse non ci avrebbe creduto, perché Dio non poteva essere così crudele, non con lui che di male non aveva fatto nulla.
Si sentiva uno sciocco per quel suo modo di reagire. C’era una promessa che aveva fatto a Crowley, più di una in verità: il rimanergli accanto, nonostante tutto, il farlo innamorare di nuovo di sé. Perché dopotutto erano sposati, anche se lui non avrebbe potuto ricordarlo. Ma si sentiva arrabbiato. Furioso. Forse in qualche modo si sarebbe potuto impedire, ed invece ora eccolo lì a struggersi. Ma non era Dio l’unica a cui poter recriminare qualcosa. Erano stati i demoni ad agire per punirlo e Aziraphale sentiva che avrebbe potuto ucciderli. Per la prima volta, avvertì quel desiderio bruciante di vendetta. Una cosa non da angeli, ma che importava oramai?
Rinchiuso nella sua libreria, il cartello fuori diceva chiuso.
Aziraphale aveva bisogno di calmarsi. E mentre si calmava, Crowley era chissà dive per Londra a combinare guai. Era suo dovere preoccuparsi, era suo marito, ma era l’unico a saperlo! E più ci pensava, più rischiava di impazzire.
Come avrebbe fatto, adesso?
Qualcuno bussò alla sua porta, ma Aziraphale lo ignorò. Non aveva tempo, non aveva voglia, troppo concentrato sul suo dolore.
Altri colpi, che ignorò ancora.
Doveva fare qualcosa…. Qualcosa.
Gabriel decise di lasciar da parte le buone maniere e di apparire direttamente dentro la libreria. Aziraphale, davanti a lui, era con lo sguardo vitreo nel vuoto, accanto a sP una tazza di tè mai toccata.
«Allora è come temevo. I miei presentimenti non sbagliano mai», disse guardandolo. «È successo, vero?»
Riconobbe in lui  lo stesso smarrimento che aveva provato non molto tempo prima. Lo capiva fin troppo bene, fin troppo si ritrovava a provare quella cosa, l’empatia, prettamente umana.
«Qualcuno dovrà pagare per questo», la voce del Principato tremò e quasi Gabriel fece fatica a riconoscerlo. Nei suoi occhi di solito buoni e gentili, c’era ora la rabbia e la disperazione.
«Andiamo, ma seriamente? Non c’è niente che puoi fare.»
Aziraphale però gli arrivò davanti, con gli occhi fissi nei suoi. Era coraggioso, forse spericolato, forse a causa del dolore aveva dimenticato di provare timore.
«Portami da loro», sibilò. Gabriel non chiese chi fossero loro, era piuttosto chiaro.
«Non sono sicuro che sia una buona idea. Non sei lucido.»
«Se non vuoi portarmi tu, sappi che andrà da solo anche fino all’Inferno!» esclamò passandogli davanti. Gabriel alzò gli occhi al cielo con un sospiro. Non sarebbe riuscito a fermarlo, quindi forse era meglio andargli dietro prima che finisse ammazzato. Quell’idiota, sconsiderato angelo che lo aveva cacciato in una situazione.
 
Il cielo sopra le loro teste era grigio. Né Dagon né Belzebù amavano troppo la pioggia, così umida e bagnata. Anche se il profumo era piuttosto buono. Avevano portato a termine la loro ennesima missione di tentare gli umani, le due insieme erano squadra formidabile e Dagon era sempre la più entusiasta.
«Oh, sono stanca, possiamo fare qualcosa di divertente adesso? Gli umani hanno sempre delle idee curiose. E poi sta per piovere, non vogliamo bagnarci, vero?» domandò infatti.
Belzebù non l’ascoltò nemmeno. C’era silenzio attorno a lei, in quella strada di città, ciò era bizzarro, nonostante la pioggia. Aveva avvertito la presenza di angeli, aveva avvertito la loro presenza.
«Smettila di scherzare e stai in guardia. Arriva qualcuno», annunciò.
Aziraphale aveva fatto di testa sua. Non ci sarebbe stato né angelo, né demone,  né Dio a fermarlo.
«Aziraphale, tu sai che io non ti permetterò di farle male, vero?» gli aveva domandato Gabriel.
Ma, ancora una volta, non lo aveva ascoltato. Comparvero davanti alle due, i due demoni rimasero a fissarlo.
«Ma quello è Aziraphale!» esclamò Dagon con un tono divertito. «Oh, ciao anche a te, Gabriel.»
Con il viso contratto in una smorfia di rabbia. Aziraphale si fece vicino, puntando Belzebù.
«Come hai potuto? Come hai potuto tu fare questo a noi? Maledetta…»
Belzebù fu sorpresa. Quell’angelo voleva forse farle male? Aveva tutte le ragioni per farlo. Ma prima che l’altro potesse fare qualsiasi cosa, Dagon e Gabriel formarono una specie di scudo tra i due, ciò la lasciò sorpresa.
«Andiamo, sfidarla non è poi una cosa così saggia, Aziraphale. Vuoi morire per caso?» chiese Dagon con un ghigno.
«Fanculo! Voi mi avete già ucciso! Perché l’avete fatto? Perché avete fatto questo a me? A noi? Non era giusto, non lo meritavamo. Non lo merita nessuno!» esclamò guardando negli occhi Belzebù.
Quest’ultima non disse una parola. Prima Gabriel, adesso anche se ne usciva in quel modo.
«Se c’è qualcuno con cui devi prendertela, quella sono io», disse ancora Dagon. «Sono stata io a lanciare la maledizione a Crowley, ma lui non avrebbe potuto ricordarlo.»
Aziraphale si voltò a guardarla, stravolto.
«…Come?»
 
Era una bellissima serata nonostante le basse temperature. Alle volte Crowley amava fare lunghe passeggiate nel boschetto limitrofe alla casa. C’erano delle piante e dei fiori molto interessanti. Aziraphale gli diceva sempre di fare attenzione, ma dopotutto era un demone, nulla di male poteva accadergli?
Così, anche quella sera si insinuò tra gli alberi Tranquillo, ascoltando il verso dei gufi che iniziavano a svegliarsi. Forse avrebbe potuto portare dei fiori particolare ad Aziraphale? Mentre pensava a ciò, udì un fruscio dietro di sé, come qualcuno che calpestava le foglie. Non ne sarebbe stato disturbato, se solo non avesse avvertito chiaramente la presenza di un altro demone.
«Chi sei? Fatti avanti, non voglio problemi»
Dagon si fece avanti poco dopo, i raggi della luna la illuminavano appena.
«Oh, Dagon. Ma che sorpresa, non ti aspettavo proprio, passeggiata in notturna anche tu?» domandò Crowley, cercando di nascondere il nervosismo nella voce. Se Dagon era lì non poteva essere un buon segno.
«Crowley, c’è una cosa che devo fare, ti prego di non opporre troppa resistenza» non ci girò troppo attorno, facendosi più vicina. Crowley indietreggiò appena.
«No vuoi uccidermi, vero? L’ultima volta non ha funzionato»
Era sempre molto bravo a mostrarti impavido e divertito anche nelle situazioni più disparate, nonostante molte volte avesse paura E Dagon lo guardava i un modo che faceva intendere tutto e niente.
«Non sono venuta qui per ucciderti, la tua punizione prevede dell’altro. Niente di personale, ma va fatto.»
Crowley indietreggiò: era convinto che dell’Acqua Santa sarebbe scesa gi dal cielo per ucciderlo, non si fidava delle parole di Dagon. Ma quest’ultima, invece, con molta semplicità gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla fronte. Crowley rimase immobile, confuso e pervaso da un senso di impotenza orribili.
«Cosa…?Che stai facendo?» le sentì poi pronunciare delle parole intraducibili, come se stessi recitando un incantesimo. Poi finalmente Dagon incrociò il suo sguardo.
«Ogni traccia dell’angelo Aziraphale verrà lentamente cancellata dalla tua vita. Così deve essere e così sarà.»
«Eh?! Ma di che parli? Perché tu…?»
«Non ricorderai nulla di questa notte. Vai a casa, ora…»
Qualche attimo dopo, ecco che l’espressione di Crowley era cambiata, divenendo tranquilla e quasi assonnata. Senza aggiungere una parola, si voltò e s’incamminò verso casa, dimenticando già quanto successo. Dagon lo guardò allontanarsi, con un sonoro sbuffo: non avrebbe mai immaginato di arrivare a fare una cosa del genere per due volte.
 
Quando Aziraphale finì di ascoltarla, aveva ancora una mano stretta al braccio di Dagon. Non si era accorto di niente, era stato uno sciocco, un illuso, un incosciente.. Non aveva protetto Crowley.
«Riprenditela! Riprenditi quella maledizione!» esclamò scuotendola appena. Stanca Dagon si scostò dalla sua presa.
«Non posso! Come te lo devo dire? È irreversibile!»
Lo disse con un tono tanto convincente che Aziraphale credette di sentirsi male. Avrebbe voluto fare qualcosa, eppure la sua caparbietà non avrebbe cambiato le cose. Si allontanò dal demone, guardando Gabriel che ancora faceva da scudo a Belzebù.
«Aziraphale, mi dispiace», sussurrò l’Arcangelo.
E Aziraphale sapeva quanto fosse sincero, quella volta. Sentendosi tutto ad un tratto debole, avvertì la pioggia iniziare a cadergli addosso.
Oh, la pioggia. Proprio quella del giorno in cui aveva conosciuto Crowley. Ma se ai tempi non gli aveva dato fastidio, adesso avvertiva il gelo entrargli fin nelle ossa.
«Adesso io devo tornare a casa», mormorò stancamente. Nessuno obiettò, nemmeno Gabriel. Guardare Aziraphale, era un po’ come guardare se stesso. Stesse sofferenze, stesse dolore. Quando l’angelo fu sparito dal loro campo visivo, Belzebù finalmente parlò.
«Chi ti ha detto di intrometterti? Chi ti ha detto di farmi da scudo?» domandò con un certo tremore nella voce. Gabriel avrebbe voluto stringerla, abbracciarla, baciarla, solo Dio sapeva quando.
«Non faccio le cose perché me le chiedi tu. Aziraphale non era in sé.»
«Quello lì non mi avrebbe mai fatto del male!»
«Quello lì ha il cuore spezzato ed io lo capisco fin troppo bene!» disse duramente. Belzebù fece una smorfia, l’acqua gelida la stava bagnando da capo a piede e ciò la stava infastidendo abbastanza.
«Tutto ciò mi ha stancata. Andiamo, Dagon. Anche per noi è arrivato il momento di tornare a casa. Dagon, ci sei?»
La sua sottoposta era rimasta ad osservare il punto in cui Aziraphale era sparito.
«Sì… ci sono.»
 
Aziraphale non era davvero tornato a casa. Avrebbe fatto troppo male andare lì, lì dove c’era tanto di loro, ciò che avevano vissuto e condiviso. No, se n’era andato in libreria, si era rinchiuso nella speranza dir reagire. Nella teoria era stato molto facile decidere come agire, ma metterlo in pratica era difficile. Accettare innanzitutto il fatto che Crowley l’avesse dimenticato era orribile e difficile. Reagire lo era altrettanto. Aziraphale non si preoccupò nemmeno di asciugarsi, in realtà non gli passò proprio per la testa, nonostante il fastidio. Come avrebbe fatto a tornare da lui? Come avrebbe fatto ad essere forte abbastanza.
Chiuse gli occhi, gocciolante di pioggia.
Torna da me, Crowley. Torna da me…
E improvvisamente, qualcosa accadde.
«Ah, allora non è chiuso!»
Crowley?
Non era stato uno scherzo della sua mente: Crowley era davvero lì, perfettamente asciutto (non aveva mai amato la pioggia) e si guardava intorno incuriosito. Per Aziraphale fu forte l’impulso di abbracciarlo, baciarlo e dirgli che lo amava, ma capiva bene che sarebbe stato un po’ strano.
«Ah…. No…s-sono aperto», balbettò, come se non fosse la prima volta che gli parlava e l’ammirava. Crowley si tolse gli occhiali.
«Ho avuto una brutta giornata. Hanno messo in vendita il mio appartamento, roba da pazzi, uno manca qualche giorno e… non senti freddo?» chiese poi nel vederlo fradicio.
Aziraphale doveva essere uno spettacolo comico con i vestiti eleganti bagnati e appiccati addosso.
«F-freddo? No, figurati, mi piace la pioggia. Cosa… ci fai qui?» domandò, sperando di non apparire sospetto.
Crowley si infilò le mani nelle tasche, guardandosi intorno.
«Onestamente non lo so. A me i libri neanche piacciono, preferisco i  film. È che sono passato di qui tante volte senza entrarci e… non so, ho sentito di doversi entrare. Ora capisco perché: tu! Allora deve essere vero,  noi ci conosciamo, sai anche il mio nome!»
Aziraphale sapeva che se gli avesse detto tutto e subito, lo avrebbe spaventato e avrebbe così perso ogni possibilità di stargli accanto.
«B-beh… ti conosco di nomina, ovviamente. Io conosco molti demoni e quindi… anche te, Crowley.»
Forse poteva parargli come se non lo conoscesse, ma gli sguardi, quelli non mentivano. Crowley se ne accorse, Aziraphale lo guardava in un modo così intenso e devoto come non aveva mai fatto.
«Ah, ho una nomina? Spero che sia buona. Anzi, cattiva, signor angelo…Aziraphale, giusto?»
L’angelo annuì. Poi, abbassando lo sguardo, vide la fede al dito di Crowlet, il segno della loro unione. Non se l’era tolta.
«Sei sposato?» domandò ad un tratto Aziraphale.
«Ah, lo dici per questa?» Crowley alzò le mano. «Mi credi se ti dico che non so come sia arrivata al mio dito? Di certo non sono sposato, me ne ricorderei altrimenti. Per mi piace come mi sta.»
Aziraphale avrebbe voluto rispondere, ma Crowley gli fece un’altra domanda.
«Tu invece sei sposato? Porti una fede simile alla mia?»
L’angelo fece il gesto di nasconderla.
«Io… no… cioè… lo ero… lui… è morto», mormorò, trattenendo a stento le lacrime. In effetti non era una bugia. In un certo senso, Crowley era morto davvero e ciò faceva male, terribilmente. Il demone assunse un’espressione addolorata e dispiaciuta.
«Cavolo… mi dispiace, ma… com’è morto? Era un angelo anche lui? Un essere umano. Perdonami», si ricompose subito. «Non sono affari miei e non è nemmeno una cosa educata da chiedere.»
Non lo vide, ma un piccolo sorriso spuntò sul viso di Aziraphale. Anche se senza ricordi, Crowley era sempre lui. Era come se si stessero rincontrando perla prima volta.
«Non fa niente, in un modo o nell’altro sento che lui è sempre con me», sospirò. «Mi ha fatto tanto piacere parlare con te, Crowley.»
C’era qualcosa di strano e di diverso, nel modo in cui Aziraphale lo guardava e gli parlava. Sembrava triste e sembrava star nascondendo qualcosa, ma Crowley non infierì. Gli piaceva quell’angelo, gli stava proprio simpatico, anche se non avrebbe dovuto essere così.
«Ha fatto piacere anche a me. Allora, visto che questa  è fatta posso andare», e dicendo ciò si infilò gli occhiali. «Devo trovare un posto in cui stare.»
A quel punto, Aziraphale parlò d’istinto. Sapeva quanto poco saggia fosse come proposta, ma alle volte non aveva proprio controllo.
«Ti andrebbe di venire a stare da me?!» esclamò, rosso in viso. Crowley si voltò a guardarlo, visibilmente sorpreso nonostante gli occhiali.
«Ospiteresti un demone? Capisco la bontà d’animo, ma questo mi pare troppo. E poi non mi conosci neanche.»
«Non fa niente, mi fido», disse Aziraphale deciso. In parte Crowley si convinse che quello dovesse essere tutto uno scherzo architettato dai suoi simili per provare a farlo cedere. Ma cedere ad un angelo, in che mondo?
«D’accordo, allora facciamo che ci penso», dichiarò, dandogli le spalle. «Anche perché avermi come coinquilino non è facile.»
Aziraphale sussurrò sottovoce qualcosa del tipo “Lo so bene”, ma fortunatamente l’altro non lo sentì. L’osservò andarsene, con il cuore che  batteva forte nel petto. Era suo marito, ma agli occhi di Crowley era un estraneo, doveva praticamente conquistarlo e farlo innamorare una seconda volta. O forse innamorato lo era ancora, ma doveva aver dimenticato anche ciò. Sospirò, adesso un po’ più lucido. Era chiaro cosa dovesse fare, avvicinarlo a sé e solo dopo dirgli di ciò che era successo. Dirlo subito l’avrebbe solo allontanato, insospettito o spaventato. Decise che avrebbe trascorso la giornata in libreria per distrarsi, anche perché a casa non voleva tronare. Nel pomeriggio, sul tardi, entrò una cliente, la stessa donna che lui e Gabriel avevano conosciuto in chiesa. La donna lo salutò con un sorriso e diede una veloce occhiata ai libri.
«Ma che coincidenza, lavori qui?» chiese.
«Amh… io… sì», rispose l’angelo, che si stava chiedendo quanto in effetti fosse una coincidenza. «Cerca qualcosa di particolare?»
Lei però non rispose, si guardò intorno piuttosto incuriosita, sembrava sorpreso.
«Però, hai davvero tanti libri, qui dentro… allora, alla fine sei riuscito a trovare tuo marito?»
Aziraphale arrossì e si ricordò che quella donna sapeva. Abbassò lo sguardo, scuotendo il capo.
«Purtroppo ha perso i ricordi. Sono un estraneo per lui, oramai. »
«Mi dispiace per questo…»
«Non… non fa niente» sospirò. «Le mie preghiere non sono state ascoltate. Deve avercela con me», e dicendo ciò alzo gli occhi al cielo. Ma Francis prese a scuotere il capo.
«No, io non credo.»
«Se così fosse, mi avrebbe aiutato. Mi sta punendo per avere amato un… una persona diversa da me, ecco tutto. Che ne è dell’ama il tuo prossimo? Avessi commesso un grave peccato, potrei capirlo ma… prima Gabriel e poi anche me», disse affranto, deluso. Iniziava a non credere più in niente, ad essere scoraggiato. «Ma non è giusto che io stia qui  a lamentarmi, signora…»
«Chiamami Francis, caro. Lo so, lo capisco perfettamente, alle volte succedono cose orribili e non riusciamo a capire il perché. Ma alla fine c’è sempre una motivazione.»
Aziraphale sorrise con amarezza.
«La motivazione sarebbe il farci  soffrire. Ci hanno provato in tutti i modi a separarci, ma non potranno farlo, non finché io conserverò ancora tutti i nostri ricordi. Vuole quel libro?» domandò all’improvviso, vedendo come Francis stava osservando qualcosa nello scaffale sotto il nome Fitzgerald.
«Oh sì grazie. Ad ogni modo, Aziraphale, abbi fede. Le cose cambieranno.»
«Se devono cambiare in peggio, preferisco rimangano uguali», prese il libro e glielo mise in una busta. Non capiva perché si stesse aprendo così con un’estranea, ma con Francis gli veniva naturale. Proprio mentre le consegnava la sua busta, al negozio rientrò Crowley, sembrava affannato.
«Ciao, sì sono di nuovo qui!»
«C-Crowley! Sì, sei… sei qui», balbettò, guardando Francis, la quale gli lanciò un’occhiata eloquente, che sembrava volergli dir te l’avevo detto.
Rimasti soli, Aziraphale ricercò tutto il suo coraggio per parlare.
«Sei tornato in fretta. Allora, cos’hai deciso?»
Crowley si fece vicino, vicinissimo, così tanto che Aziraphale ebbe quasi la certezza che lo stesse per baciare. Ma ciò, per sua sfortuna, non avvenne.
«Tutto  ciò è molto sospetto, lo ammetto. «Una parte di me è convinta che ti abbiano mandati i mei per cercare di tentarmi e fare qualcosa di sbagliato.»
«N-non è così, te lo giuro! Non mi ha mandato nessuno!» balbettò Aziraphale, rosso in viso, alc he Crowley non poté fare a meno di sorridere e di trovarlo tenero.
«Però… è anche vero che sono un demone e nel caso fossi pericoloso, non potresti comunque farmi niente. E poi si tratta solo di un posto per passare la notte. Farei qualche miracolo ma… i miei mi osservano, sai com’è…»
«Sì, sì! Capisco perfettamente!» Aziraphale sembrava aver ritrovato l’entusiasmo. «Certo, solo per la notte. Vedrai, ti piacerà, è un posto magnifico quello dove noi… quello dove io vivo!»
Aziraphale gli schioccò uno sguardo.
«Va bene, allora quando finisci qui?»
«Adesso! Ho finito proprio adesso, possiamo andare!» esclamò contento, sprizzando una felicità che Crowley non seppe spiegarsi, ma non gli dispiacque. Capì subito che preferiva vederlo sorridere, piuttosto che triste.
Crowley non capiva esattamente  cosa lo avesse portato quel giorno ad accettare la proposta di un angelo sconosciuto. Non era stata la necessità, un demone poteva benissimo cavarsela da sola. Forse si trattava della stessa cosa che lo aveva portato a tornare in quella libreria, per guardarlo ancora una volta. Non conosceva Aziraphale, però in qualche modo gli era venuto istintivo tornare da lui. C’era qualcosa di quell’angelo che gli era piaciuto molto, fin da subito. Lo sguardo, probabilmente.
Lo guardava come se fosse innamorato, il che era ridicolo, ma comunque divertente da pensare. Aziraphale gli aveva dato ospitalità a casa sua. E che casa!
Ci avevano impiegato un po’ andando con l’auto, ma alla fine erano giunti ad un bellissimo cottage.
«Però, devo dire che ti tratti bene, angelo! E vivi qui tutto da solo?» domandò sorpreso.
Aziraphale sorrise timido. Era così irrealistico, essere nella loro casa ed essere l’unico a ricordarlo.
«Beh, dai… non sono esattamente solo. A volte i miei amici mi vengono a trovare. E poi ho le piante nella serra e…»
«Hai una serra?!» Crowley era bocca aperta. «Sembra quasi che fosse tutto organizzato per il mio arrivo, il che è molto sospetto. Ma chi se ne importa? Hai una serra! E comunque questo posto è proprio forte. Certo, diverso dal mio stile, ma non male, direi molto angelico.»
Aziraphale lo guidò fino all’ingresso, per poi entrare. Era una sensazione dolcissima e triste il vederlo guardarsi intorno con tanta meraviglia e inconsapevolezza.
«Ti prego, fa come se fossi a casa tua…»
Solo dopo l’angelo si era reso conto che in giro vi erano ancora diversi oggetti di Crowley, come il suo diario, per non parlare dei vestiti. Come lo avrebbe spiegato, questo?
Maledisse il vizio del demone di lasciare vari abiti sparsi in giro, perché Aziraphale adocchiò un paio di pantaloni, stretti e in pelle, poggiati su una poltrona.
E per sua grande sfortuna, Crowley li vide. Era normale che ne fosse attratto, era roba sua.
«E questi?» domandò.
«S-sono miei!» rispose prontamente l’angelo. Ma Crowley lanciò un’occhiata prima ai pantaloni, poi a lui.
«Ma sono troppo stretti, forse starebbero a me! E poi… scusa, ma non mi sembra proprio il tuo stile.»
«M-mi piace variare!» esclamò. «Senti, in nome dell’ospitalità, dormi tu nel mio letto, io dormirò sul divano, è comodo!»
Crowley fu sorpreso. Capiva l’ospitalità, ma perché  darsi tanto da fare per un estraneo?
«Ma sei sicuro? Questa è casa tua…»
«Sono assolutamente sicuro!» rispose lui con un affabile sorriso che convince Crowley.
Tirò poi un sospiro di sollievo. Almeno lo aveva ancora lì, almeno non lo aveva perso del tutto. Adesso sapeva bene cosa doveva fare, ovvero mantenere la promessa e farlo innamorare di nuovo di sé.
 
   
 
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