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Autore: NyxTNeko    06/09/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Ollioules

La notizia della morte dell'ex regina Maria Antonietta si sparse in dove, tra la gioia incommensurabile dei rivoluzionari, che festeggiavano la dipartita dell'odiata austriaca, e la rabbia soffocata dei monarchici, i quali speravano nella forza degli alleati per distruggere definitivamente i regicidi e riportare l'equilibrio in Francia.

Raggiunse anche le orecchie di Napoleone, si era trovato davanti un giornale fresco di stampa, con quella notizia sbattuta orgogliosamente in prima pagina. Sapeva che quel terribile momento sarebbe arrivato, eppure aveva sperato, fino all'ultimo, che nei suoi riguardi si sarebbero comportati in maniera differente rispetto al Borbone. Aveva sempre pensato che l'esilio sarebbe stata la soluzione migliore per risolvere la questione 'Maria Antonietta'.

Lei era, in fondo, la regina consorte e ciò stava ad indicare che non aveva lo stesso potere del marito. Poteva consigliarlo, aiutarlo, ma non avrebbe mai potuto prendere una decisione al posto suo, questo non era di sua competenza, sarebbe stato un oltraggio persino per un inetto come Luigi XVI. "Questo lo sapevano, ma lo hanno eclissato al popolo" rifletteva tra sé, mentre appallottolava il giornale, sfogando la sua rabbia su di esso "Per poter agire indisturbati" lanciò la palla di carta contro l'asse di legno che reggeva la tenda. 

- Come hanno potuto agire in tale maniera contro una donna? - mormorava tra i denti, per non farsi udire da alcuno. Guardingo, controllava le varie ombre di soldati e ufficiali che si muovevano, specialmente quelle che sostavano vicine all'entrata. "Meno male che ho mandato fuori i miei aiutanti" Gli risultava difficile trattenere un commento contrario all'opinione diffusa, si sentiva un po' ipocrita dimostrandosi favorevole a pensieri che lo disgustavano. Aveva capito troppo bene che non aveva altra scelta se voleva resistere alla tempesta denominata Rivoluzione.

Solo in quella circostanza poté comprendere il padre e il perché del suo doppiogiochismo, per pura sopravvivenza, era la chiave di tutto. Non aveva mai digerito un simile atteggiamento, nemmeno ora, lo ammetteva a sé stesso, quasi volesse giustificarsi di ciò che stava facendo. Se si voleva proteggere qualcuno, a volte, si doveva essere disposti a tradire se stessi, a rinunciare alla propria integrità. Quella fu l'ultima lezione di suo padre, ci aveva messo anni prima di comprenderla appieno, da quando aveva messo piede in Francia.

"Una donna che non aveva se non gli onori senza il potere; una principessa straniera, il più sacro degli ostaggi; trascinarla dal trono al patibolo, attraverso ogni sorta d'oltraggi... Vi è in ciò qualcosa di peggio del regicidio" disse fra sé, risentito e rispettoso nei confronti della vedova Capeto. Non l'aveva mai chiamata austriaca, specialmente con quel tono di disprezzo e cattiveria che a Napoleone ricordava i tempi dell'accademia. Forse era uno dei pochi, se non l'unico, in grado di capire come l'ex sovrana aveva vissuto il distacco dalla terra d'origine, il dolore che si provava nel piangere e nel ricordare la dolce infanzia in un posto lontano, completamente diverso da quello che si conosceva e amava.

Come lui, la donna aveva sicuramente ricevuto occhiate maligne e avare, udito risatine di scherno soffuse e infine sarebbe stata marchiata con nomignoli e soprannomi offensivi, odiosi. La solitudine autoimposta sarebbe stata l'unica barriera per evitare di contaminarsi, la creazione di legami con gli altri, con gli estranei, avrebbe generato soltanto nuovo dolore. Tuttavia Maria Antonietta non aveva avuto la sua stessa educazione, né la sua tempra ed aveva finito, pur di non sentirsi sola, straniera, inadatta e insicura, per circondarsi di avvoltoi, di sciacalli pronti ad arraffare quel poco di felicità rimasta, mascherando la loro reale, meschina natura dietro gentilezza e falsi sorrisi.

Riconosceva gli errori che la regina aveva compiuto quando era al potere, primo fra tutti, il non comprendere il cambiamento imminente e inesorabile del mondo. Chiunque li aveva commessi durante la propria esistenza, quale individuo è esente dall'errore? Nessuno. Nonostante questo, neanche un essere umano pareva ricordare le opere buone che aveva compiuto nei confronti di tanti bambini abbandonati che aveva adottato e cresciuto con amore, o anche della povera gente. La crisi economica francese non fu causata da Maria Antonietta e neanche da Luigi XVI, ma dai predecessori del Borbone, che furono indifferenti ai bisogni del popolo, soprattutto il Re Sole.

I due giovani sovrani avevano aggravato il bilancio, era vero, ma a causa, principalmente, del grande contributo dato ai coloni americani, durante la Rivoluzione Americana. Se il massiccio sbarco dei francesi sui territori che costituiscono gli attuali Stati Uniti non fosse avvenuto, contribuendo alla vittoria, l'Inghilterra avrebbe trionfato ancora.

Oramai gli uomini al potere avevano dimenticato i princìpi della Rivoluzione che dall'America erano stati esportati in Francia, e che aveva portato allo scoppio di una nuova rivolta, più radicale e innovativa di quella statunitense. "Se li avessero davvero a cuore, non avrebbero ucciso i sovrani, ma li avrebbero privati di ogni potere ed esiliati, lontano da ogni contatto" ribadiva Napoleone, convintissimo "L'Europa avrebbe accettato questo atto di civiltà e senza spargimento di sangue, senza uccisioni terribili, senza divisioni di padri contro figli, di mogli contro mariti, la Rivoluzione avrebbe attecchito ovunque". In tal misura non avrebbe avuto l'occasione per mettere all'opera le sue abilità, ma almeno si sarebbe consolato rimanendo sulla sua isola, per il resto della sua vita, a creare la sua rivoluzione personale e una nuova Corsica.

"Adesso non si può più rimediare, questo regicidio legittima notevolmente i controrivoluzionari, i monarchici e le potenze europee a muovere guerra contro la Francia, un conflitto logorante che decreterà il vincitore: la neo Francia repubblicana o le antiche potenze assolutistiche" sancì alla fine, come sentenza decisiva. Ed era così. Il danno era fatto e niente avrebbe potuto far tornare indietro il tempo e impedire che quell'evento si verificasse.

La disapprovazione del gesto e la sfiducia nei confronti degli ideali rivoluzionari traditi non gli impedì di rinunciare alla lotta, piuttosto la morte, più dignitosa di qualsiasi viltà. Emise un lungo e profondo sospiro, facendosi forza. Il rimbombo, tra la polvere, di passi ben noti, lo fece uscire dallo stato meditativo che si concedeva ogni qualvolta veniva lasciato in solitaria. Gli faceva bene dedicare del tempo a riflettere sul mondo, sulla sua situazione, lo rendeva più sicuro e meno nervoso, poiché poteva emettere dei giudizi personali con maggiore libertà rispetto a quando si trovava in gruppo. La compagnia non faceva per lui...

La sagoma indistinta, che avanzava, da macchia informe acquistò rapidamente la figura di un uomo possente e abbastanza alto. Il maggiore sorrise, era un piacere rivedere persone che stimava, si augurò solamente di avere delle buone notizie da parte sua. Negli ultimi giorni si stava dando da fare nella gestione dell'artiglieria di Tolone e non avrebbe sopportato ritardi o contrattempi. Si raddrizzò lungo la rozza sedia, sperando di essere presentabile, poggiò le magre mani intrecciate sul tavolo traballante colmo di scartoffie e cartine, e rivolse lo sguardo rapace verso la fessura della tenda. Attese che quel giovane uomo rivelasse il suo messaggio.

- Comandante - udì una voce profonda proferire dall'esterno - Ho delle nuove per voi, spero non sia accorso in un momento inopportuno...

- Non disturbare affatto, Marmont - emise Napoleone tentando di rendere la sua voce asciutta, e a detta sua poco virile e mascolina, più spessa. Aveva creduto che con il tempo si sarebbe abbassata, al pari di tutti gli uomini che raggiungevano un'età matura, come lui - Entrate pure - ordinò autoritario. L'ufficiale obbedì e fece il suo ingresso, si avvicinò al suo superiore velocemente, aveva constatato, da molto prima di Tolone, quanto quell'artigliere prediligesse la rapidità e l'efficienza. Maldigeriva gli scansafatiche e gli ottusi.

Conosceva Buonaparte dai tempi di Auxonne, quando era un semplice sottotenente e agli inizi della carriera, ed era rimasto piacevolmente sorpreso nel vederlo in quel luogo tanto chiacchierato ultimamente, in veste di comandante.

14 ottobre

Auguste de Marmont, non appena aveva compreso l'importanza dell'assedio di Tolone, che gli avrebbe permesso avanzamenti di carriera considerevoli, aveva deciso di lasciare la sua guarnigione per raggiungere la città portuale. Appena giunto al quartier generale ad Ollioules, aveva chiesto informazioni sull'evoluzione della faccenda e su cosa avrebbe dovuto fare - Recatevi dal comandante dell'artiglieria - gli avevano riferito alcuni ufficiali operosi ed entusiasti, felici delle mansioni faticose a cui si stavano dedicando, ossia la riparazione e la sistemazione di alcuni cannoni - Lui sa tutto su qualsiasi cosa e potrà indirizzarvi meglio di chiunque altro

Una descrizione tanto esemplare tanto bizzarra lo aveva colpito, desideroso di conoscere chi fosse questo comandante così amato e rispettato, si diresse alla sua tenda, correndo, in cuor suo crebbe una fievole paura, il classico timore reverenziale che si aveva nel dover incontrare una personalità illustre "Se sa ogni cosa deve essere un tipo incredibile".

Quando fu ricevuto e i loro sguardi s'incrociarono, in entrambi si dipinse lo stupore - Buonaparte... - effuse Marmont, senza riuscire a dare freno alla lingua. Erano passati circa quattro anni dall'ultima volta in cui si erano visti, eppure ai suoi occhi, Napoleone non era cambiato affatto, il suo aspetto, malaticcio e macilento, non mostrava traccia del tempo trascorso. Sul viso, in particolare, non vi era ruga o segno che avesse intaccato la delicatezza dei suoi lineamenti giovanili, protetto dalle lunghe ciocche che gli scendevano sulle spalle. Gli era parso, da subito, un ragazzo strano, taciturno ed introverso; incredibilmente acuto e preparato, dalla cultura immensa, profonda, che spaziava in ogni campo, uno come lui non poteva passare inosservato.

Napoleone aveva riconosciuto il giovane ufficiale che si era presentato al suo cospetto e, quando questi aveva pronunciato il suo cognome, era balzato in piedi, incredulo. Auguste de Marmont, da anni non lo aveva incrociato sul suo cammino: fin dal primo istante al corso era piaciuto, a partire dal nome, apparteneva, infatti, ad una buona famiglia, nobile e rispettabile. Invidiava la sua alta statura e il fisico vigoroso, che l'uniforme blu esaltava, il volto dai tratti tipicamente francesi, il naso grosso e lungo, le labbra carnose, gli occhi grandi e scuri, le sopracciglia folte e le basette che incorniciavano il viso fino al mento, su cui spiccava una fossetta. I capelli castani, tagliati cortissimi, per poter indossare comodamente la parrucca, che al momento non portava sul capo, invece, non li piangeva affatto.

Il temperamento deciso e ambizioso gli avevano generato simpatia e stima, sarebbero andati d'accordo più che volentieri - Sottotenente Marmont, quanto tempo è passato - aveva allungato le braccia sottili al corpo robusto del diciannovenne - Che piacere mi rende la vostra presenza qui - lo aveva abbracciato calorosamente, realmente felice di averlo tra i suoi.

- Lo stesso posso dire io, comandante - rispose Marmont ricambiando l'abbraccio, stando attento a non stringerlo troppo, al tatto era rimasto gracile come il vetro. Spiazzato, non si era aspettato un simile slancio da parte sua.

Napoleone gli aveva dato una pacca sulla schiena, volendo siglare nuovamente quel rapporto di fiducia, di stima cameratesca, che aveva sempre avuto nei riguardi di Marmont. Lui, che aveva sempre considerato l'amicizia un semplice nome, non aveva esitato un secondo nel riabbracciare una vecchia conoscenza. Forse non era del tutto disilluso come credeva, forse aveva un briciolo di speranza per il futuro e l'umanità - Vi trovo in forma, inoltre siete cresciuto parecchio da allora o mi sbaglio? - gli aveva domandato con aria fraterna, dopo essersi staccato da lui, e lo aveva fatto accomodare al suo posto.

- Non vi sbagliate affatto, comandante Buonaparte - gli sorrise Marmont, confortato dalla suo tono confidenziale e dal fatto di poter far riposare le sue povere gambe, era esausto dal lungo tragitto percorso - Voi, invece, non siete mutato affatto - ridacchiò, ricambiando la pacca amichevole, a significare il ricordo di quell'amicizia - Le uniformi vi stanno sempre larghe... - aveva aggiunto infine, dopo che quel dettaglio gli era tornano in mente.

Napoleone era scoppiato a ridere, per la prima volta Marmont aveva scoperto questo suo lato amichevole e gioviale che ad Auxonne non aveva percepito. Gli sembrava un altro Napoleone - Avete ragione Marmont, fino a quando resterò magro come un chiodo non potrò sperare nell'avere delle divise su misura - aveva riferito con sarcasmo e autoironia il corso - Voi, al contrario state benissimo, le uniformi da artigliere vi donano molto - si era complimentato sinceramente e avevano finito per chiacchierare a lungo sul passato e sulle relative esperienze.

Si stupì del fatto che Marmont avesse ricevuto delle lezioni da parte di Laplace, un grandissimo matematico e aveva avuto numerose avventure sentimentali. Per finire Napoleone, convinto della sua preparazione e del suo buon carattere, gli aveva proposto di diventare suo aiutante di campo, assieme a Junot - Due sono meglio di uno - aveva precisato ridacchiando ed Auguste aveva accettato più che volentieri. Sopraggiunto l'altro aiutante, i due si erano presentati e subito era nata l'intesa.

16 ottobre

- Cosa avete da riferirmi, Marmont? - interrogò Napoleone, poggiando il mento sulle mani, scrutandolo attentamente - Spero buone notizie - precisò con tono fiducioso.

- Certamente comandante o... almeno così mi hanno detto... - affermò quest'ultimo, ingoiando la saliva, quegli occhi ipnotici e rapaci lo misero in soggezione. Stringeva una lettera tutta stropicciata e sgualcita dal continuo passamano, che porse al maggiore, il cui volto si fece pensieroso e al tempo stesso illuminato. Afferrò la missiva e la aprì brutalmente, puntando le iridi grigie sulle righe d'inchiostro, leggeva sottovoce, borbottando. L'aiutante di campo rimase immobile e in piedi, pronto ad eseguire qualsiasi ordine, nonostante fosse affaticato e affannato per via delle corse continue. 

Nei giorni precedenti Buonaparte aveva scritto innumerevoli lettere alle città limitrofi, pregando loro di spedirgli il più rapidamente possibile l'artiglieria che avevano a disposizione e che momentaneamente non serviva, assieme a cavalli e muli pasciuti, ben nutriti, in modo che fosse sufficiente per permettere di rafforzare le difese e creare un'efficiente macchina da guerra con l'unico scopo di catturare il forte. Il suo amico cocchiere era arrivato, qualche giorno dopo avergli mandato Junot, con il suo carico di polvere da sparo e di munizioni. Fu una benedizione.

Sulle labbra sottili di Napoleone si formò un sorriso compiaciuto, finalmente aveva ottenuto delle risposte positive da parte dei borghi più piccoli, i quali riportarono un minuzioso elenco di ciò che avevano inviato e che sarebbe arrivato nel giro di poco tempo - Ottime notizie, Marmont, si sta iniziando a muovere qualcosa - rivelò gioioso il comandante. Un passo alla volta il grande meccanismo bellico, che aveva in mente di mettere in funzione, stava cominciando ad azionarsi - Tuttavia non è ancora sufficiente, solo alcune città hanno risposto alla richiesta, ne mancano altre, andate subito a ricordare loro quali sono i doveri da compiere per la nazione! - replicò Napoleone alzando gli occhi su di lui, offrendogli carta e penna. In assenza di Junot, che lo aveva aiutato con la sua calligrafia leggibile e pulita, doveva accontentarsi di Marmont.

- Agli ordini comandante! - rispose Marmont, riportando puntigliosamente ogni singolo dettaglio che Napoleone gli stava dicendo, nel mentre gironzolava attorno al tavolo, posto al centro della tenda. La sua meticolosità e la sua memoria formidabile gli permettevano di sapere dove e cosa cercare da qualunque zona della Francia. Il giovane sottotenente fu sorpreso dalla precisione maniacale e non riusciva spesso a stargli dietro, pregando di rallentare un po'. Napoleone, di buon umore, lo accontentò. Una volta finito, Marmont non perse tempo e si mise in viaggio, dando le disposizioni ad altri ufficiali che Napoleone gli aveva indicato.

"Osservate, osservate Carteaux e mangiatevi le mani" sogghignò Napoleone sedutosi nuovamente, certo che il piano sarebbe stato messo in atto, accavallò le gambe "Perché avevo ragione io fin dal principio, tra poco non avrete più i vostri sostenitori e verrete sostituito". 





 

 

   
 
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