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Autore: Eevaa    06/09/2020    10 recensioni
A due anni dalla conclusione della Seconda Guerra Magica, Harry Potter decide di prendersi una pausa dalla vita frenetica dell'eroe. A sua insaputa troverà qualcuno che, come lui, sta fuggendo da un passato colmo di orrori.
Un viaggio. Una strada. Due persone che, per la prima volta nella loro vita, si ritrovano a camminare nella stessa direzione.
In un momento storico in cui viaggiare sembra solo un ricordo lontano, voglio portarvi in viaggio in una terra che tanto ho amato e che porto sempre nel cuore.
L'Irlanda.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale su EFP.

 

–THE WILD ROVER–

CAPITOLO 5
Drunken lazy bastards



 

Quando Harry si svegliò, ci impiegò più di un minuto per comprendere dove si trovasse e perché.
Strizzò gli occhi prima di aprirli, come se questo potesse azzerare la sua miopia. Fece per stropicciarseli con un braccio, ma si accorse che quel braccio fosse drasticamente bloccato da una presenza alla sua sinistra.
Voltò la testa e si trovò il naso invischiato in un ammasso di capelli di un biondo quasi accecante.

Senza fiato.
Draco. Draco Malfoy stava dormendo rannicchiato in un angolo accanto a lui, schiacciato riverso alla parete di un muro scrostato, in una brandina inferiore di un letto a castello monoposto.
Harry realizzò quindi che quello non fosse il suo appartamento.
Con un lieve moto di sollievo realizzò che quantomeno fossero entrambi vestiti. Gli altri quattro letti della camerata non ospitavano nessuno se non una ragazza in una branda lontana, ancora assopita.
Ma come diavolo c'era finito lì? Harry, colto da un improvviso mal di testa, chiuse di nuovo gli occhi e si sforzò di ricordare.

 


«Giù! Giù! Giù! Giù!»
Un coro folle di persone intorno a loro al bancone di un bar. Lui e Draco, fronteggiandosi con aria di sfida, tenevano in mano due bicchieri minuscoli di liquido ambrato. Intorno a loro un'altra decina di bicchieri oramai vuoti.
«Paura, Potter?» sibilò Draco, con un ghigno preoccupante sul volto.
«Ti piacerebbe, Mamphies!» replicò Harry, scolandosi alla goccia il bicchiere. Poi, con un gesto irripetibile, iniziò a muovere le mani su e giù in direzione delle pudenda.
Il coro di irlandesi intorno a loro esplose in acclamazioni.


Draco, concentrato da morire, stinse gli occhi con la lingua tra i denti. Il silenzio era scandito solo dai respiri pesanti della gente.
Inspirò forte, poi lanciò la freccetta verso il bersaglio. Centro. Ding-ding-ding, cinquanta punti.
Il pub esplose in un'esultanza esagerata.
«Oh, andiamo! Ma come cavolo fai?!» berciò Harry, lanciando per terra la sua freccetta in segno di sconfitta.
«Da bambino ho imparato anche tiro con l'arco». Draco fece spallucce e gli porse un nuovo bicchiere appena riempito.
«Ma allora è come barare! Sei uno stronzo e un disonesto!» si lagnò Harry.
«Ma ho anche dei difetti...» sorrise Draco, poi gli fece cenno che il bicchiere non si sarebbe svuotato da solo se avesse Harry continuato a tenerlo in mano. «Beh?! Alla goccia... perdente!»


«Musha ring dum a doo, dum a da!»
Quattro battiti di mani consecutivi si levarono dalla folla.
«Whack for my daddy, oh, whack for my daddy oh, there's whiskey in the jar!»[1]
Quando Draco terminò di cantare, incitato e accompagnato dal coro di tutti gli irlandesi, uno scrosciare di applausi e tintinnii di bicchieri riempì il pub.
«Ok, razza di spugne, questo è l'ultimo giro, poi devo chiudere che sono le due» ringhiò il proprietario, suonando una grossa campana a lato del bancone[2]. Come pronosticabile, però, venne schernito dalla folla. Anche Harry e Draco - ambedue con i bicchieri sollevati in aria - gridarono sonori versi di disappunto, spalleggiandosi e annaffiandosi maldestramente col whiskey. «E va bene, altri due!» si arrese il barista, acclamato quindi dalla gente. «Però, Mamphies, riprendi in mano quella cazzo di chitarra e suona!»


«La smetti di spingere?!» urlò Harry, inerpicandosi sulle scale con difficoltà.
«Non s-sto sping-endo, idiota» lo redarguì Draco, tra singhiozzi ubriachi. Tentò di aggrapparsi a lui per la maglietta, ma inciampò rovinosamente. Harry, perdendo l'equilibrio, gli si ribaltò addosso e capitolarono entrambi contro il corrimano.
Risero sguaiatamente.
«Ok, riproviamo. Aggrapp-aggrappati a me! NO! Non così, cos-ì cadiamo» lo spronò Harry, cingendolo per un fianco. Quello era il terzo tentativo malriuscito di portare le loro carcasse su una superficie piana.
«Potter, se-i maldestro!»
«Ha parlato la Veela!» lo redarguì Harry, il quale sbandò ancora nel tentativo di procedere. «Sbrigati, Malfoy, che voglio portarti a letto!»
Draco rise sguaiatamente. «S-sei un pervertito!»
«Non in quel senso, pezzo di cretino!»


 

E poi, il vuoto. Per quanto Harry si sforzasse, non ricordava altro. Solo il fondo di ogni bicchiere in cui era annegato.
Colto da un'eccessiva paranoia - e senso di colpa - si diede uno slancio per mettersi a sedere; tuttavia una voce proveniente dall'oltretomba lo redarguì con sprezzo.
«Che pessima idea» mugugnò Draco. Che non aveva affatto torto, peraltro. Alzarsi era stato come scoprire di essere su una nave in piena tempesta. Testa che girava, stomaco in subbuglio, smarrimento.
Harry si portò una mano alla bocca. No, non avrebbe retto un minuto di più.
Crollò con poca grazia giù dalla brandina e caracollò verso il bagno piegato in due e, una volta giunto a destinazione, l'intera nottata gli si ripropose davanti nella tazza del gabinetto.
Vomitò anche l'anima oltre che, sicuramente, la dignità. E, con sommo rammarico, realizzò di aver lasciato le pozioni Antisbornia nello zaino. Nel suo appartamento.
Rigettò altre tre, quattro volte e, quando si sciacquò la faccia e la bocca, non ebbe la tempra necessaria per osservare la propria immagine riflessa.
Non appena tornò nella camerata, trovò Draco a gambe incrociate sul letto, con la schiena contro il muro e gli occhi chiusi. Harry non avrebbe mai, mai immaginato di vederlo più pallido di quanto già non fosse nella normalità.
«Te l'avevo detto» soffiò, aprendo un occhio solo.
Harry, distrutto psico-fisicamente, crollò sulla branda, urtando prima accidentalmente il letto superiore con la testa. Beh, tanto i sintomi del trauma cranico li aveva già tutti.
Si sedette accanto a Draco e si prese la testa tra le mani, respirando forte con il naso per tentare di non vomitare di nuovo.
Quando il dolore si placò, Harry si voltò di nuovo verso l'altro e lo osservò con occhi gravi. Aveva un aspetto orribile.
«Tu stai bene?» domandò infine, scoprendo che la sua voce fosse ben più roca di quanto si ricordasse.
«Una favola» cinguettò Draco, compiendo il grave sforzo di mettersi in mostra con le mani. Uno spasmo involontario gli scosse il volto. «Con permesso» disse poi con estrema eleganza, congedandosi per ripercorrere i medesimi passi di Harry.
Da quello che quest'ultimo riuscì a udire, fu pronto a scommettere che anche Draco avesse visto l'intera serata nella tazza del cesso.
Quando tornò indietro - meno pallido ma non per questo meno orribile - gli si sedette accanto con un grugnito.
«Una favola, eh?» sogghignò Harry.
«Sì."Il mago Otis"» rispose Draco, ottenendo però in risposta solo uno sguardo interrogativo. «Presente quando il mago Otis viene schiacciato dal mezzo-gigante Grim? Quando... oh, che te lo dico a fare!» sbuffò.
«Scusa tanto se sono cresciuto con Pinocchio o Biancaneve!» sbottò Harry, con una risata mesta.
«Chi diavolo è Pidocchio? No, aspetta, non me ne frega» brontolò Draco.
Sostarono così, seduti con la schiena contro il muro, in un cubicolo di brandina sfatta l'uno affianco all'altro, con le gambe incrociate. Si voltarono entrambi per guardarsi negli occhi, con la medesima espressione nauseata dalla vita. Facevano schifo, ma iniziarono a sorridere, poi a ghignare.
Harry non avrebbe mai pensato di ubriacarsi con Draco Malfoy. E di trascorrere una delle serate più divertenti della sua intera esistenza.



 

A nulla servì la doccia, a nulla servirono i caffè e l'aria fresca della baia. Una sbronza come quella non si sarebbe potuta cancellare se non con una pozione.
Harry, dopo ripetute insistenze, convinse Draco ad alzare le chiappe dalla sedia e trascinare il suo cadavere fino all'appartamento.
Camminarono per le vie del centro con aria funerea, contemplando i netturbini che sanificavano le strade da quelli che erano centinaia e centinaia di vuoti di bottiglia. Non erano stati gli unici a fare serata. Non a caso il turismo irlandese si basava principalmente sui pub.
Appena giunsero alla dimora di Harry e assunsero entrambi la pozione Antisbornia, Draco sembrò voler resistere alla tentazione di gettarsi ai suoi piedi e osannarlo per avergli offerto un rimedio così veloce di riprendersi.
«Dove suoni stasera?» domandò Harry, appoggiato con le natiche alla cucina, godendosi il suo bicchiere d'acqua fresca. Buona l'acqua. Troppo buona.
«Non ti far venire strane idee: io non berrò mai più in vita mia» promise Draco, puntandogli un dito contro.
«Sì, come no» ridacchiò Harry, conscio di quanto fossero vane quel tipo di promesse. «Ti va di venire nel quartiere magico?» azzardò poi.
Draco sollevò un sopracciglio.
«Quale parte del "voglio tenermi alla larga da quelle cose" non hai capito?»
Harry si strinse nelle spalle, poi sorrise.
«Non vuoi davvero? Perché se non vuoi davvero me ne guarderò bene dall'insistere e dover sopportare i tuoi tediosi lamenti. Ma sappi che potrei facilmente acconciarti in modo che nessuno possa riconoscerti. Non sei mica un mago famoso, qui in Irlanda» insistette Harry, più che convinto che il problema di Malfoy fosse il terrore che qualcuno potesse ricondurre il suo viso ai Mangiamorte.
Egli, infatti, gli aveva già spiegato che non poteva assumere la pozione Polisucco per via delle restrizioni del processo. Certo, non gli era consentito cambiare identità, ma camuffarsi non era un divieto.
«No, certo, non mi chiamo mica Harry Potter» sibilò lui, un poco più cupo.
Harry ignorò le lamentele e si avvicinò a lui con un largo sorriso.
«Allora? Vieni o no?» insistette di nuovo, facendo poi leva sulla risaputa passione di Malfoy per i dolci, già nota dai tempi scolastici. «Ti dico solo una cosa: dal Follacchio il cioccolato è ancora più dolce che a Mielandia».
Draco spalancò gli occhi e aggrottò la fronte.
«Questo è decisamente IMPOSSIBILE».

 

«Giuro che se non la smetti ti ridere, ti cambio i connotati con un pugno in faccia. Così non ti servirà nemmeno la Polisucco» ringhiò Draco, fissandosi allo specchio con aria schifata.
Aveva dato a Harry il permesso di compiere un incantesimo allungante ai suoi capelli, ribadendogli però il fatto che sarebbe andato bene qualsiasi colore, eccetto il rosso. Così aveva scelto il nero.
Harry, appena dietro di lui, si asciugò una lacrima all'angolo dell'occhio.
«Ok, scusa» si placò, stringendo forte le labbra. Inutilmente, visto che un'altra soffocata risata gli uscì dal naso. Draco lo congelò con lo sguardo. «Scusa, non ce la faccio. È che sembri Marilyn Manson!»
Draco ringhiò e roteò tanto forte gli occhi da sembrare ancor di più uno squilibrato.
«Ti odio, Potter. Te l'ho mai detto?»
«Un miliardo di volte».
Ci vollero altri cinque disperati minuti per abituarsi alla chioma corvina di Draco e, per nascondere ancora meglio il viso magro e pallido, Harry evocò un cappellino da baseball e glielo piazzò in testa. Ignorò le proteste sul fatto che, tra tutte le squadre che poteva scegliere, perché diamine i Chicago Bulls?! A quanto riuscì a capire tra le perpetue lagne, Draco era un grande fan dei Celtics.
Con cura, Harry estrasse dallo zaino una fiaschetta ramata e una boccetta con dei capelli chiari al proprio interno. Li infilò nel liquido e mescolò con cura, e la pozione assunse un discreto odore di porridge andato a male. Ne bevve qualche sorso, tappandosi il naso.
In meno di un minuto, i suoi occhi diventarono scuri e meno miopi, il naso si riempì di lentiggini e i capelli si tinsero di un bel biondo miele. Divenne leggermente più alto, tanto che dovette compiere un incantesimo allungante anche alle braghe per non far intravedere i calzini.
Si guardò allo specchio, compiacendosi del suo nuovo aspetto e rimembrando con piacevolezza la serata di un mese prima, poi recuperò portafogli e giacca e si preparò per uscire.
«E chi sarebbe costui?» domandò Draco, squadrandolo dalla testa ai piedi.
«Julian. Un tizio che ho abbordato in un pub a Tullamore. Carino, vero?» rispose Harry, candidamente.
«TU HAI FATTO COSA?!» gridò Malfoy, con gli occhi fuori dalle orbite.
Harry, però, lo prese per un braccio e lo trascinò in direzione dell'uscita senza.
«Muoviti, usciamo».

 


 

Sgattaiolarono per le vie di Galway, e Harry fu più che ben deciso a ignorare qualsivoglia protesta di Malfoy. Giunsero al quartiere del mercato di St.Nicholas in meno di cinque minuti e, una volta addentrati nella folla, presero a camminare più lentamente, con disinvoltura.
Si fecero largo tra le coloratissime bancarelle di vestiario, fiori, cibo, bigiotteria. L'aria profumava di zucchero filato e caramello, oltre che d'incenso speziato. Una signora al banchetto dei formaggi di capra insistette per offrire loro un assaggio. Draco lo prese con diffidenza – piccola reminiscenza di un passato da nobile – ma, infine, decretò che fosse buono.
Spesero qualche secondo di fronte a una bancarella di souvenir e insieme convennero – sottovoce - che le rappresentazioni Babbane dei Lepricani fossero ben più sorridenti di quanto quegli esseri fossero in realtà.
Non persero altro tempo al mercato Babbano, Harry aveva sufficiente pozione Polisucco con sé per sole due ore.
Lì, in un angoletto semi nascosto dietro la chiesa, vi era una piccola bancarella verde di maglioni, sciarpe e cappelli, tutti in pura lana di pecora irlandese. Un signore con un paio di baffoni color carota li accolse con un sorriso sornione, poi iniziò a elencare i pregi e la provenienza dei loro articoli.
Prima di far perdere lui troppo tempo, Harry lo interruppe con gentilezza.
«Desideriamo provare il maglione Verde Asticello».
L'uomo, all'udire della parola d'ordine, fece un segno d'assenso e indicò loro di farsi largo tra i vestiti e raggiungere un fatiscente tendaggio all'interno della bancarella.
«Prego, accomodatevi».
Harry prese Draco per un braccio e lo trascinò con sé dentro all'improvvisato camerino - che era molto, molto stretto per poterci stare in due – e aprì la tenda sul lato opposto, ove teoricamente avrebbe dovuto trovarsi lo steccato della chiesa.
Si ritrovarono invece in un immenso piazzale rotondo, con una grossa statua di un'arpa al centro.
«Benvenuto a Harplace».[3]
Harry sorrise allegramente nel vedere gli occhi di Malfoy sgranarsi di una meraviglia che gli ricordò tanto la sua primissima volta in un quartiere magico.
Draco non era più abituato alla magia, dopo quasi due anni trascorsi nel mondo Babbano. Rimase a bocca aperta nel guardarsi intorno, e si stupì di ogni singolo dettaglio.
Le corde dell'arpa, nonostante sembrava fossero di marmo, suonavano un motivetto tipico irlandese.
Sui cavi che collegavano gli edifici della piazza, vi erano centinaia e centinaia di trifogli e germogli. Le insegne dei negozi - a differenza di quelle del mondo Babbano - si muovevano a ritmo della musica dell'arpa. Il vociare e l'allegria ricordavano senza dubbio il quartiere di Diagon Alley, ma dai colori della bandiera irlandese e un'euforia tipica della popolazione che li rappresentava.
I negozianti indossavano capi di vestiario più celtici e folcloristici. Le streghe irlandesi preferivano gli abiti lunghi e dalle maniche larghe – tipiche delle rappresentazioni pittoriche Babbane degli elfi – e i maghi, piuttosto che il mantello, preferivano salopette o, quelli più eleganti, tuniche medievali a mezza manica dallo stile vichingo.
Harry riteneva la moda magica irlandese fosse molto suggestiva mentre Draco, abituato all'eleganza inglese, faticava a comprenderla.
Ma i maghi e le streghe non erano gli unici abitanti del quartiere magico: centinaia e centinaia di fate dei boschi svolazzavano qua e là nella piazza, danzando e canticchiando nella loro lingua sconosciuta. Vi erano inoltre una grande quantità di folletti e, a differenza di quelli inglesi che popolavano la Gringott, questi erano perlopiù ubriachi e allegri. Tuttavia - Harry ne aveva già fatto esperienza nel quartiere magico di Dublino - essi avevano la pessima abitudine di diventare troppo molesti.
Dopo un primo giro di perlustrazione della piazza, Harry trascinò Draco fino a un negozio dall'insegna verde smeraldo con un folletto arancione che si tuffava in un barile di caramelle. Dopo venti minuti, i due ragazzi uscirono dal Follacchio con le tasche strabordanti di dolciumi di ogni tipo. Harry ne aveva comprati a sufficienza per entrambi, esattamente come aveva fatto per Ron il primo giorno di scuola, sul treno. Draco, il quale aveva la fama di essere assai goloso di cioccolato, aprì una confezione di Trifogli al Gianduia e ne divorò uno dopo l'altro come se fossero ciliege.
«Che ti avevo detto?!» ridacchiò Harry, succhiando avidamente una Violinella al gusto di caramella mou.
«Per Salazar! Questa roba dovrebbe essere illegale!» bofonchiò Malfoy, con un'espressione appagata dipinta in volto. Nonostante i capelli nero corvino, qualcosa brillò sul suo viso, e Harry ne fu inaspettatamente felice.
«E aspetta di assaggiare la Burrobirra Verde!» puntualizzò Harry, iniziando a camminare verso il lato opposto della piazza, in direzione del pub L'Augurey Di Audrey.
Draco si incupì per un secondo.
«Pott... Julian» si corresse Malfoy, convenendo che ci fossero troppe creature magiche intorno per poterglisi appellare col nome vero. «Non ho Galeoni con me. Ho solo la moneta Babbana».
Harry fece spallucce.
«Offro io. Stasera mi offrirai tu qualcosa, nel mondo Babbano».
Draco frenò e incrociò le braccia al petto, costringendo così Harry a voltarsi.
«Stai per caso dicendo che anche oggi verrai a perseguitarmi mentre lavoro?» domandò Malfoy, sottecchi. «E poi, diamine, fai schifo! Non ti è bastato ieri? Ho ancora in bocca il sapore dell'ultimo Jameson».
«Vorrà dire che mi offrirai un analcolico».
«Meh, che roba da checche...» strascicò Malfoy, arricciando il nasino aristocratico com'era solito fare ai tempi della scuola - durante qualunque lezione che non fosse quella di Piton.
«E quindi perfettamente adatta a noi» puntualizzò Harry. Ridacchiò del carminio che tinse le gote di Draco il quale, scioccato, attirò l'attenzione di cinque o sei fate non appena iniziò a gridargli dietro.
«PO-JULIAN!»

 


La Burrobirra Verde, sebbene fosse di gradazione alcolica limitata, risvegliò in loro l'allegria della sera prima. Vagarono e passeggiarono per i vari negozi della piazza, prestando particolare attenzione al negozio delle scope Comet, la quale produzione centrale risiedeva proprio nella contea di Galway. Ne emerse un curioso dibattito sul Quidditch che portò entrambi i maghi a dover concordare che i Falmouth Falcons fossero oramai più prossimi al fallimento che alla vittoria. Momento di conciliazione che durò veramente poco: Draco si mostrò irremovibile sulla rimonta (improbabile, a parere di Harry) dei Caerphilly Catapults, al campionato di quell'anno. Malfoy si era tenuto alla larga dal Mondo Magico, certo, ma non aveva rinunciato a seguire sulla Gazzetta l'andamento della stagione sportiva. Aveva addestrato un gufo mezzo scemo a portargli il quotidiano, anche se questo se ne ricordava una volta al mese.
Dopo una concitata discussione sul Quidditch, i due ragazzi si ritrovarono di fronte a un negozio di oggetti magici antichi dall'aria curiosa. Tanto antichi che, per precauzione, era richiesto che i maghi consegnassero la loro bacchetta per potervici accedere. Peccato che Malfoy non ne possedesse alcuna, e il controllore operò un'indiscreta serie di domande – lei è un Babbano? Un Magonò? Perché mai allora dovrebbero interessarle questi artefatti, se non ne comprende la magia?
Draco non rispose. Si ammutolì, abbassò la testa.
«Non importa, ce ne andiamo. Torniamo dal Follacchio?» domandò Harry nel tentavo di deviare il discorso, di far tornare il sorriso a Draco, ma a nulla valsero i suoi sforzi. Neanche il tempo di allontanarsi dal negozio, che quest'ultimo scappò di corsa verso la tenda verde dell'ingresso alla piazza, con il volto basso e arrossato dalla rabbia.
Harry, dopo aver lanciato un'occhiata truce al negoziante, partì all'inseguimento. Si ritrovò di nuovo a St.Nicholas ma, naturalmente, di Draco nessuna traccia. Troppa folla, troppi Babbani, troppa confusione e, senza quella testa di capelli biondo-argentati, era pressoché impossibile individuarlo.


Dopo quasi mezz'ora di ricerche, però, lo trovò eccome. E dove, se non al porto? Se c'era una cosa che Harry aveva imparato di Draco in quella settimana, era che egli adorasse perdersi a guardare il mare. Sempre, ma specialmente quando era triste o pensieroso.
Lo trovò su una panchina che dava sul molo, con il cappello dei Bulls in mano e le labbra serrate dal disappunto. Non appena si accorse della presenza di Harry, alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
«Malfoy, mi dispiace, quell'uomo è stato u-»
«Lasciami perdere» lo interruppe, gelido e tagliente. Un'altra cosa che Harry aveva imparato di Draco in quella settimana, era che nelle situazioni scomode preferisse tirar fuori gli aculei, piuttosto che farsi rassicurare.
«Posso almeno farti tornare i capelli di un colore decente?» propose Harry in un sospiro. Draco gli riservò un'occhiataccia ma, rendendosi conto che non sarebbe mai tornato normale senza una magia o una seduta ossigenante dal parrucchiere, acconsentì e si mise il cappello per non dare nell'occhio.
Harry si squadrò intorno e, appurato che da quell'angolazione non ci fosse nessuno a guardarli, gli puntò la bacchetta contro e mormorò l'incantesimo di trasfigurazione.
In un batter d'occhio i capelli di Draco si accorciarono e sbiadirono fino a tornare del consueto colore lunare.
«Et-voilà. Niente più Malfoy-Manson» annunciò Harry con un sorrisetto, sorseggiando poi gli ultimi rimasugli della sua Polisucco. Una trasformazione corporea completa in mezzo a tutti sarebbe stata ben più di difficile gestione.
«Bene, adesso puoi anche andartene» tagliò corto l'altro, seccato.
«Veramente vorrei sapere come ti senti...»
Draco sbuffò e preferì il silenzio a doversi esporre. Si ammutolì e tornò a contemplare il mare, quasi come se sperasse di finirci inghiottito.
«Malfoy... devo per forza farti bere per cavarti fuori qualche parola? Hai un solo fegato come tutti i comuni mortali, lo sai?» domandò retorico Harry, dopo una consistente manciata di minuti di religioso silenzio.
Draco prese un profondo respiro e alzò gli occhi al cielo.
«È per via della magia, ok? La sento. La sento ogni giorno e sono costretto a reprimerla. Mi sento come un'aquila costretta a volare a un metro da terra. Ecco come mi sento!» sbottò lui, con un tono che aveva tutto fuorché dello scortese. Era solo rassegnato.
E Harry si sentì terribilmente stupido.
«Dev'essere orribile» constatò, con il palato secco e un groppo in gola. Era stato contento, dopo il processo, di essere riuscito a salvare Malfoy dalla prigione. Ma, al momento, si stava rendendo conto che la sua condanna fosse ben più invalidante di quel che avesse mai pensato.
«Lo è. Ma me lo sono meritato, quindi non posso far altro che sopportare e basta. Per questo tendo a evitare i luoghi magici. Essere lì e sapere di non poter fare nulla di quello che fanno gli altri mi ricorda... troppe cose».
Quando Draco concluse il suo discorso, fu il turno di Harry di rimanere senza parole di senso compiuto.
«Mi dispia-»
«Non dire che ti dispiace, Potter. Non ho bisogno di compassione e, come ti ho già detto, è solo la conseguenza delle mie azioni. E del simbolo che porto sul braccio sinistro» sbuffò Draco. Si aggrappò con una mano al polso incriminato e lo strinse.
Harry, a quel gesto, trovò qualcosa da dire. Perché era certo che Malfoy si fosse pentito, e lo aveva fatto ben prima della fine della Guerra. Stava accettando l'aiuto di Silente sulla torre di Astronomia. Aveva abbassato la bacchetta.
«Non era stata una tua scelta. Ci sei solo capitato, dalla parte sbagliata. Sei cresciuto con certi ideali e non hai potuto fare niente. Ciò che conta, per me, è che quando hai potuto hai cambiato idea. E hai fatto qualcosa di concreto» ribatté Harry, convinto. Draco l'aveva protetto al maniero, non rivelando la sua identità a Bellatrix e Lucius. Aveva scelto di mentire, di dire "non ne sono sicuro". Era stata la scelta più saggia: se avesse detto "sono loro", avrebbero chiamato Voldemort; se avesse detto "non sono loro", li avrebbero uccisi seduta stante. Invece aveva scelto di mentire, di dare loro del tempo.
In ogni caso, se non fosse stato per merito di Draco, Harry quel giorno sarebbe morto.
«Questo non mi ha salvato dall'estromissione. E salvarti il culo non ha risparmiato l'ergastolo a mia madre» disse frustrato Draco, faticando a non far tremare la voce nel nominare Narcissa. «Quindi smettila con tutti questi bei discorsi senza né capo né coda. Anzi, smettila proprio di tentare di essermi amico. Non ne vale proprio la pena, non me ne faccio niente» concluse, tentando di mettere nelle proprie parole una cattiveria che non gli apparteneva più.
Harry si prese la testa tra le mani e ci soffiò dentro. Si sentiva completamente inutile.
Non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto dire, a quel punto, per consolarlo, per cambiare le cose.
La decisione del tribunale era stata presa dopo un mese e mezzo di processi, nemmeno l'Eroe del Mondo Magico avrebbe potuto far niente per far cambiare idea alla corte, soprattutto dopo due anni. Questo lo sapevano bene entrambi. Come era stato per Hagrid, a Draco non avrebbero mai e poi mai restituito la bacchetta.
Quest'ultimo si alzò e strinse i pugni. «Devo andare a lavorare».
Non disse null'altro. Se ne andò e, quella volta, Harry decise di non seguirlo.

 




 
Continua...

[0] Il titolo del capitolo deriva dall'omonimo brano dei The Mahones, "Drunken lazy bastards": https://www.youtube.com/watch?v=ojUOaYjNfA0
[1] Un verso preso dalla canzone “Whiskey in the jar”, uno dei brani tradizionali irlandesi più conosciuti. La leggenda narra che quando i Metallica ne hanno fatta una cover metal allo stadio di Dublino nel 2006, le sue fondamenta si siano abbassate di quattro centimetri per quanto gli irlandesi abbiano saltato. Ecco una versione più tradizionale: https://www.youtube.com/watch?v=kBngMfSwbxo
[2] Nei pub del Regno Unito esiste la “campana dell'ultimo giro”, che viene suonata appositamente per fare intende ai commensali che il bar è in via di chiusura.
[3] Harplace, ovviamente, è un luogo totalmente inventato da me, così come tutti i negozi al suo interno e i nomi degli articoli magici. Che io ricordi, la Rowling non si è mai soffermata molto sulle altre comunità magiche del Regno Unito, quindi mi sono presa la licenza poetica di inventare.


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente! Un'altra settimana è passata in fretta ed il viaggio prosegue. Vi dico la verità, mi ha divertito molto scrivere questo capitolo, tutta la parte della folle serata al Monroe's, dei postumi di una sbronza colossale e dei metodi magici per farseli passare. Lo so, lo so, speravate che si svegliassero nudi nello stesso letto, monelli! :D non vi preoccupate, ci sto lavorando.
Per me è stato anche molto divertente immaginarmi la comunità magica irlandese, il quartiere di Harplace. A voi è piaciuto? L'avete trovato sufficientemente credibile?
Il finale del capitolo, lo so, lascia davvero una nota d'amaro in bocca. Ma Draco è sempre Draco e, nonostante tutto, è una persona fragile che ha perso tutto ciò che aveva. Possiamo davvero biasimarlo? Cosa farà Harry, adesso?
Il viaggio prosegue domenica prossima e, preparatevi, perché vi porterò in un luogo stupendo!
Eevaa


  
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