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Autore: Alessia Krum    07/09/2020    0 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 34
Punto di rottura

Max camminava verso il castello con la solita sensazione di frustrazione che lo seguiva come una vecchia amica. Quel giorno aveva condotto una spedizione all’esterno, verso gli accampamenti militari fuori dalle mura. Era un’operazione di routine, che dirigeva una volta al mese, per accertarsi che tutto andasse bene. Ma quel giorno il malcontento dei contadini che vivevano lì si era riversato come un fiume in piena su di lui e le due squadre che aveva portato con sé. La situazione era troppo instabile al di fuori, con continui attacchi che occupavano ogni forza disponibile per essere fronteggiati. Senza contare che pochissimi, negli accampamenti, erano soldati con un solido addestramento, la maggior parte degli abitanti erano contadini che se la cavavano come potevano in battaglia.
Max aveva lasciato laggiù la sua squadra speciale per le spedizioni, capitanata da Alathiel, sperando che lui riuscisse a metter un po’ d’ordine in quel casino.
Il salone del castello era deserto. Dopo aver riposto le sue spade nel sotterraneo, non senza aver rivolto uno sguardo rassegnato all’Intoccabile, Max imboccò il corridoio per le scale che lo avrebbero portato alla stanza di Olimpia. Il ragazzo non ne aveva nemmeno percorso la metà, che sentì degli strani rumori provenire dall’esterno. All’inizio lasciò perdere, ma poi riconobbe in mezzo a quei rumori il suono di metallo contro metallo. Si arrestò nel mezzo del corridoio, indeciso sul da farsi, giusto il tempo che gli servì per decidere di tornare indietro ed entrare nella prima stanza sulla destra, una stanza vuota che una volta era utilizzata per i ricevimenti importanti. Attraversò lo spazio a grandi falcate, fino ad arrivare alla finestra.
Uno strano presentimento gli fece montare un’agitazione febbrile che non fece altro che farlo innervosire ancora di più. Circospetto, fece scorrere lo sguardo sul giardino, scandagliando ogni albero e arbusto per scoprire la fonte di quei rumori. Ora riusciva a distinguerli più chiaramente: oltre allo stridio del metallo, c’era il fruscio di fronde che venivano spostate e poi c’era il rumore di passi  di due persone ansimanti. Max s’insospettì: prestò più attenzione ai suoi sensi e uscì dalla finestra, camminando lento e circospetto, fino ad aggirare un gruppo di cespugli alti che gli ostruivano la visuale. Si nascose, silenzioso, dietro un albero e sbirciò tra gli arbusti più avanti. Quello che vide non gli piacque per niente.
Una delle due persone che si stavano fronteggiando era Acqua, concentrata sui propri movimenti, con la fronte corrugata e i denti che tormentavano il labbro inferiore. L’altra persona invece era più sciolta e si muoveva con discreta sicurezza. Max imprecò mentalmente quando capì con certezza chi era: lo sguardo scuro di quel bastardo del ballo era inconfondibile. Il Generale aveva una gran voglia di raggiungerlo e prenderlo a pugni finché non si sarebbe più mosso. Non sapeva esattamente da dove venisse quell’odio, ma quella faccia non gli ispirava neanche un minimo di simpatia. Max si trattenne per evitare di andare da lui e fare quello di cui aveva tanta voglia. Immaginò l’impatto delle sue nocche contro la mandibola del ragazzo e fremette di rabbia. Ogni secondo che passava era sempre più furibondo e faticava a tenere a bada i suoi istinti.
Si concentrò su Acqua e notò con soddisfazione che era brava. Chissà da quanto tempo si allenavano a quel modo. La ragazza non aveva certo una tecnica precisa - con quel principiante come insegnante, poi! - ma riusciva a difendersi e aveva una buona impostazione. A volte gli affondi che tentava andavano a segno:  allora la ragazza abbandonava l’espressione concentrata e sorrideva,  con una luce fiera negli occhi che ricordava a Max quando da piccoli giocavano a palle di neve e lei riusciva a beccarlo. Qui, però, c’era molto di più in gioco, non era una semplice battaglia a palle di neve. Acqua tornava seria subito dopo, attenta alle raffiche di attacchi che quel bastardo le infliggeva senza esitazioni. Lei riusciva a pararli quasi tutti, ansimando per lo sforzo e rischiando più volte di perdere la presa sull’elsa della spada. Ogni tanto il ragazzo le lanciava dei complimenti o dei consigli, e ogni volta Max era invaso da un’ondata di rabbia sempre più forte. Acqua restava impassibile e cercava di aggiustare il tiro, ma il Generale registrava ogni minimo errore che commetteva, come se li avesse visti su uno schermo, che si trattasse di un’angolatura sbagliata della lama o di un piede messo male.
Max non poteva fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se Acqua avesse veramente partecipato ad una battaglia. Oramai era convinto che lei se la sarebbe sbrigata da sola e, anche senza il suo consenso, avrebbe comunque fatto di testa sua. Non poteva fare nulla per impedirle di scendere in campo, per quanto questo lo turbasse. Acqua non era pronta per la battaglia. I suoi movimenti erano troppo imperfetti, e anche utilizzando i suoi poteri, Max era certo che non ne sarebbe uscita illesa. Per di più, quel ragazzo spuntato dal nulla la stava incoraggiando, lodandola anche quando sbagliava, e questo peggiorava tutto. Con un moto di stizza, Max si allontanò cautamente dal luogo dello scontro, cercando di calmare tutta quella collera che rischiava di sopraffarlo.
 
***
 
Acqua controllò che non ci fosse nessuno ad osservarla e si nascose meglio dietro alla siepe. Finalmente aveva un giorno libero sulla Terra e poteva dedicarsi all’allenamento. Lei stessa era sorpresa da quanto si stesse impegnando ultimamente. Aveva preso quella questione molto a cuore e cercava di dare del suo meglio in ogni occasione. A volte, mentre si allenava con Julian, le veniva in mente suo padre e si chiedeva come sarebbe stato se ad insegnarle quelle cose fosse stato lui. Ma quel pensiero durava poco: di recente Acqua si era accorta di essere diventata molto più realista di quello che era prima e tendeva a lasciare da parte i sogni a occhi aperti. Quello che le importava era l’azione, doveva fare qualcosa.
Recuperò il pesante bastone che si era procurata in mancanza di una spada, e cominciò a scaldarsi provando alcuni affondi verso un albero che si trovava lì vicino. Non era esattamente un avversario ideale, ma quello che cercava di fare sulla Terra era solamente rafforzare i muscoli, al combattimento vero e proprio ci pensava con Julian. Acqua si focalizzò sull’albero ed eseguì tre affondi di seguito, provando a sentire ogni muscolo che si tendeva, concentrandosi al massimo per ottenere il miglior risultato possibile. L’albero era il suo obiettivo: nulla poteva distrarla. Attaccava, ancora e ancora, ignorando lo sforzo e il caldo di giugno.
Atlantis l’aveva cambiata in molti aspetti, le aveva restituito parte della famiglia che le mancava e le aveva fatto scoprire una realtà distrutta ma tenace, ed era quella una delle cose che aveva acquisito con l’allenamento, oltre al costante dolore ai muscoli e una maggiore consapevolezza di quello che poteva fare: la determinazione. Era fiera di sé stessa, sapendo che quella era una delle caratteristiche per cui veniva ricordato suo padre. E non si sarebbe fermata per nulla al mondo.
 
***
 
Le labbra di Max si piegarono in un sorriso amaro, quando vide che anche sulla Terra Acqua si allenava a combattere. La ragazza aveva una fermezza invidiabile, continuava ad attaccare senza sosta l’albero davanti a lei, ignorando la fatica e il sudore che le imperlava la fronte per poi scendere a gocce lungo le tempie. Max la tenne d’occhio, seguendo la coda bionda che non accennava a fermarsi, mentre Acqua eseguiva un affondo, un altro e ancora un altro.
Si mosse senza alcun rumore verso di lei, afferrando lungo il percorso un ramo da terra. Acqua respirava pesantemente, arrancando sempre di più ad ogni movimento. Max era certo che la ragazza non l’avesse sentito arrivare. Si avvicinò ancora quel tanto che bastava, poi cominciò ad attaccarla con ferocia. Lei si girò di scatto, con un piccolo urlo di sorpresa, e cercò di difendersi come meglio poteva. Max ignorò lo sguardo allibito e interrogativo della ragazza e continuò ad indirizzarle un assalto dietro l’altro. Acqua era così stremata che riuscì a controbattere alle offensive di Max solo con deboli parate, che comunque erano troppo fiacche. La forza di Max le faceva spostare di molto le braccia ogni volta che i loro bastoni si incontravano, ed era costretta a retrocedere. La tecnica di Max era infallibile, prevedeva ogni singola mossa della ragazza; anche quando lei pensava di coglierlo di sorpresa, lui sapeva già cosa avrebbe fatto ed agiva di conseguenza, inducendola anzi a compiere errori che lo avrebbero favorito.
La colpì più volte, all’addome, alle spalle e su un braccio, senza trattenersi. Non avrebbe voluto arrivare a quel punto, ma doveva farle capire a cosa andava incontro. Si stava comportando esattamente come quando doveva mettere in riga qualche recluta arrogante, che non si rendeva conto fino in fondo di come fosse una battaglia. In battaglia si muore. Acqua non l’aveva ancora capito.
La principessa gemette per lo sforzo a cui la stava sottoponendo il ragazzo. Sentiva i polmoni in fiamme  e i muscoli che bruciavano, come se fossero stati sul punto di strapparsi. Con un’ultima mossa Max la disarmò e la inchiodò contro l’albero, ficcando la punta del suo ramo contro la corteccia accanto al collo di Acqua. Lei sobbalzò, ansando come se tutto l’ossigeno del mondo non bastasse per i suoi polmoni. Max la sovrastava con la sua altezza, guardandola dall’alto al basso con un’espressione dura. La furia gli aveva trasformato il viso in una maschera di pietra, la mascella serrata, le sopracciglia contratte. Acqua lo guardava come un cerbiatto smarrito, sempre respirando affannosamente. Il suo sguardo trasudava puro terrore.
Senza una parola, Max toccò il braccialetto di alghe e scomparve sotto i suoi occhi.
 
***
 
Il salone del castello era deserto e completamente buio. Acqua si guardò intorno, disorientata, riconoscendo a malapena il profilo delle finestre grazie ai lontani lumini verdi sulle mura e nient'altro. Nell'oscurità permeata di un silenzio totale, l'unico rumore erano i respiri affannosi della ragazza, che doveva ancora riprendersi dallo scontro. Il cuore le batteva a mille e si sentiva ancora carica di adrenalina. La sensazione di smarrimento non l'aveva ancora lasciata, e le sembrava di vivere nell'atmosfera ovattata di un sogno. L'unica cosa certa ora era che doveva trovare Max. Non importava dove lui si trovasse; se non fosse stato nel castello, Acqua avrebbe setacciato Atlantis intera pur di parlargli. Doveva. 
La principessa aveva ricondotto in un lampo la causa della furia di Max al suo allenamento segreto, e doveva spiegargli. Allo stesso tempo, non aveva idea di come iniziare a cercarlo. Semplicemente, rimase ferma al centro del salone, lasciando che l'affanno si riducesse, mentre i suoi occhi si abituavano a poco a poco alla mancanza di luce. Non vedeva altro che i contorni sbiaditi degli oggetti e dei mobili. Risvegliandosi dallo stato quasi di trance in cui sembrava essere caduta, la ragazza si avvicinò alla porta che conduceva ai sotterranei. Sapeva per certo che avrebbe trovato una torcia, e magari sarebbe riuscita ad accenderla per rendere la sua ricerca più agevole.
Ma appena si ritrovò nello stretto andito che precedeva le scale per scendere, notò uno strano chiarore provenire dal basso ed ebbe un tuffo al cuore: realizzò che la luce flebile proveniva dalla stanza delle armi e che l'unico ad essere lì in quel momento poteva essere Max. Scese le scale con un groppo in gola, prima a tentoni, poi sempre più rapidamente, aiutata dal chiarore che si intravedeva da sotto. La luce della torcia che Max utilizzava gettava ombre giallastre ovunque, e quando Acqua fu al punto di terminare le scale, la vista delle prigioni illuminate da quella luce malata e inquietante le fece accapponare la pelle. 
Max doveva averla sentita, perché Acqua lo vide uscire dalla stanza delle armi e cominciare a camminare con cadenza militare lungo il corridoio che costeggiava le celle, che nel buio le sembrava infinito. Lo chiamò, ma la sua voce rimbombò inutile e distorta contro i muri di pietra. 
– Max! – gridò di nuovo, seguendolo.
– Che cosa credi di fare? – le gridò lui, girandosi di scatto e fermandosi nel mezzo del corridoio. – Hai una vaga idea di quante volte saresti morta nello scontro di prima? Una decina circa, e di solito dopo la prima non hai altre possibilità. –
Come se glielo avesse ricordato, Acqua sentì la pelle pulsare dove Max l'aveva colpita col bastone e dove si stavano già formando dei grossi lividi violacei. Rabbrividì pensando alla foga con cui aveva visto Max attaccarla prima: per un po' aveva creduto che il mondo volesse giocarle uno scherzo - Max non avrebbe mai potuto farle del male a quel modo - e le era passata per la testa l'idea che fosse un cavaliere mutaforme arrivato chissà come sulla Terra. Ridicolo.
– Max, fammi spiegare... – tentò di dire Acqua, ma fu subito interrotta.
– No, fai parlare me. – gridò Max, avanzando di un passo. – Non so che cosa ti é venuto in mente, ma levati dalla testa questa storia degli allenamenti. Stai lontana da quell’idiota del ballo, capito? – Acqua incassò le urla di Max con la fronte corrugata.
– Ho chiesto io a Julian di allenarmi. – bisbigliò, sputando fuori le parole tra i denti, con una rabbia che sorprese anche lei. Max alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
– Acqua, come devo fare per farti capire che non c’è niente di bello nel combattimento? – sbottò di nuovo. Il suo tono insofferente dava sui nervi ad Acqua. Sembrava che stesse sgridando un bambino capriccioso. – Io sto solo cercando di protegg… –
– Perché, Max? Dimmi che senso ha ostinarti a proteggermi così, quando sai meglio di me che non serve a niente? – gli gridò contro Acqua.
– Acqua, devo tentare, sei la dannata principessa, ti rendi conto? –
– E questo cosa importa? Cosa cambia tra la mia vita e quella di un qualsiasi  ragazzo che combatte? – urlò Acqua, esasperata. Max si prese la testa tra le mani.
– Sei un riferimento per il popolo intero, Acqua. – mormorò, guardandola tra le dita. Sentiva la rabbia che prendeva il controllo su di lui.
– E tu no? – rispose Acqua, arrogante. – Presidente del Consiglio di Guerra, Generale… non sei anche tu un riferimento? – gli domandò, gesticolando.
– Come ti ho già detto, è diverso… – sentenziò Max, stringendo i pugni. Un lampo passò per gli occhi di Acqua.
– Ah, e comunque, quando pensavi di dirmelo, Generale? – ora era la ragazza ad avanzare verso Max, calcando, sprezzante, sulla parola “Generale”.
– Cosa importa? Tanto lo sei venuta a sapere… – rispose lui, non meno velenoso di Acqua.
– Ma non l’ho saputo da te! Cosa ti costava dirmelo? – gridò Acqua, il tono di voce che rasentava l’isteria. Max era sorpreso dalla veemenza con cui la ragazza continuava a controbattere alle sue risposte. Sbuffò e, reprimendo la voglia di prendere a pugni il muro, rispose ad Acqua nel modo meno nervoso possibile.
– All’inizio non te l’ho detto perché non volevo mettere troppa carne al fuoco, poi ho semplicemente pensato che fosse meglio continuare così… – rispose, cercando di liquidare l’argomento al più presto. Per un attimo il silenzio scese su di loro. Acqua lo sguardava in cagnesco, con le braccia incrociate. Alla luce tremula della torcia nella stanza delle armi, il suo volto pareva solcato da un’espressione tanto risoluta quanto spettrale.
– Tu non ti fidi di me… – Max faticò a riconoscere la voce della ragazza, nascosta sotto tutta quell’amarezza.
– Ma che dici? Sto solo cercando di fare tutto per il meglio, e sto cercando di tenerti lontana dalla morte! Ma tu rendi tutto più complicato, ti stai comportando come una bambina, maledizione! – l’ira bruciante di Max non fece altro che alimentare quella di Acqua.
– Voglio fare quello che è giusto nei confronti di tutti quelli che muoiono. – gli rispose, alzando la voce. – Con i miei poteri… –
– Acqua, i tuoi poteri non ti salveranno da una morte inutile! – gridò Max, sovrastandola di nuovo.
– Salveranno altre persone! –
– Maledizione, smettila di fare l’eroina e ragiona! Non puoi metterti in pericolo in questo modo! – Max sembrava sull’orlo di esplodere, il volto paonazzo. – Devi. Stare. Lontano. Dalla battaglia. Perché… – il ragazzo si fermò con il dito a mezz’aria puntato  contro di lei, incapace di continuare. – Perché sì. –
– Max… sembra che tu mi tenga nascosto qualcosa. – Acqua usò un tono deluso che lo punse sul vivo. Max sospirò, e assunse un’aria grave.
– Ci sono cose che non posso dirti. – dichiarò il ragazzo.
– Pensavo che non avessi segreti per me. – sibilò Acqua, e la sua voce non poteva suonare più amareggiata di così.
– Oh, anche io lo pensavo di te… – rispose Max, frustrato, prima che la ragazza ripartisse alla carica.
– Perché non puoi dirmelo? –
– Sono cose segrete. – Acqua immaginò di aver ricevuto una stilettata al cuore, e comunque il paragone non rendeva.
– Cosa c’è di così importante, Max? – ritentò Acqua, trattenendo il respiro.
– Diavolo, Acqua, non posso! – sbraitò il ragazzo, mandando in frantumi l’ultima parvenza di calma che si era imposto. – Tu non puoi capire. – 
– Ah, non posso capire, eh? – chiese beffarda Acqua, sollevando il mento in un’espressione di sfida. Max le sputò addosso un no irritato, con il viso trasfigurato.
– Non ti fidi di me. – mormorò di nuovo la ragazza. Questa volta ne era certa. Il volto di Max era tornato la maschera di pietra che l’aveva colpita, sulla Terra.
– Come posso fidarmi di una che non vede l’ora di suicidarsi? – disse, guardandola con gli occhi ridotti a due fessure. Acqua fu accecata dalla furia più assoluta che avesse mai sperimentato in vita sua.
– Allora, visto che non ti fidi di me, me la sbrigo da sola! – Acqua si voltò e prese a camminare a grandi passi verso le scale. Quando fece un gesto stizzito con le braccia, un vortice d’acqua si sprigionò dietro di lei, rischiando di spegnere le torce accese sui muri. Dopodiché la ragazza fu catturata dalla luce azzurra per ritornare sulla Terra. Le fiamme delle torce traballarono per qualche secondo prima di ristabilizzarsi. Max strinse i pugni e li riaprì varie volte, il respiro pesante, cercando di sbollire la rabbia, ma fu tutto inutile. Con un unico movimento fluido, estrasse il pugnale che aveva legato alla cintura e lo piantò contro il muro, assaporando il piacere della tensione che si allontanava e del grido che gli risaliva la gola. Il pugnale non scalfì nemmeno la parete; la punta della lama sì incrinò e fu quasi sul punto di spezzarsi. In un nuovo impeto Max lo scagliò lontano, lungo il corridoio delle segrete. Non gli importava dove sarebbe finito, ormai quel pugnale era inutilizzabile. Il Generale tirò un pugno a una delle sbarre di una cella e ascoltò l’eco del suo urlo disperato. Si allontanò da quel luogo buio con le mani tra i capelli, frustrato al limite del possibile.
Tutto quello che aveva costruito in quegli anni si era volatilizzato. Tutti gli sforzi immensi che aveva fatto, dedicando la sua intera vita ad Atlantis, erano stati inutili. Stava cercando di tenere la città lontana dal suo destino di morte, stava cercando di proteggere quelli che amava, e non ci riusciva. Stava andando tutto al contrario di quello che avrebbe voluto. Evidentemente il destino era troppo forte, non importava quanto lui cercasse di combatterlo. Era stato così anche per lui. Era già tutto scritto, e non poteva farci niente.
   
 
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