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Autore: ToscaSam    11/09/2020    0 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVII
 
La mattina seguente, Tullia pensò molto a quanto era accaduto.
Una volta sveglia, per prima cosa controllò il cellulare e vide che Cesare non le aveva mandato nessun messaggio. Ne fu un po' preoccupata, l'aveva lasciato in pessime condizioni e poteva essergli successo di tutto.
Erano le dieci e decise di chiamarlo.
Il telefono squillò, poi ci fu un bzz e la voce di Cesare rispose, rauca:
« Pronto?»
« Cesare? Sono Tullia. Come stai?»
« Si, abbastanza bene»
« Ieri non mi hai mandato il messaggio, mi ero preoccupata»
« Mi si era scaricato il telefono».
Tullia non seppe che altro chiedergli.
Fu lui a dire:
« Che ne dici se oggi parliamo?»
« Va bene» rispose lei.
Si dettero appuntamento per un'ora dopo, davanti al supermercato di Corso Italia.
Tullia trovò la scelta di quel luogo molto enfatica: era lì che, mesi prima, Rocco le aveva abbozzato quella confessione riguardante i sentimenti di Filippo.
Mentre si preparava, Clarissa bussò.
« Sei sveglia? Fai colazione con me?»
« Mi vedo con Cesare. Ieri … ehm … sono successe delle cose».
Clarissa non chiese il permesso e si catapultò dentro camera di Tullia con la velocità di un proiettile; si guardò intorno rapidamente, come se si aspettasse di vedere un ragazzo nascosto sotto le lenzuola.
Si richiuse la porta alle spalle. I biondi capelli sparsi su tutta la faccia ancora assonnata coprivano a stento le occhiaie per la nottata di divertimenti appena passata. Chissà che cosa aveva fatto Clarissa nelle ultime ore, pensò Tullia.
Clarissa volle un resoconto dettagliato dell'accaduto e Tullia si sentì in grado di fornirglielo. Era una delle prime volte che raccontava a un'altra ragazza le proprie pene d'amore, se così si potevano chiamare.
Quando il racconto fu finito, Clarissa esclamò:
« Ah! “Piaci ai miei amici e non posso averti io” è la bugia più stupida! Tullia ce l'hai in pugno, il bellone. Adesso vai e prendilo!»
« Ma … io … non credo che…»
« Se è quel tuo amico rosso e lentigginoso, dio, che aspetti? È un fotomodello»
« Non so. Mi piace, ecco, ma …»
« Tu vai convinta. Non esiste questa cosa fra i maschi, che rinunciano a una donna in nome dell'amicizia. O almeno, io non ci credo. Stai tranquilla. È tuo. Se lo vuoi, prenditelo. Io lo farei».
Clarissa sorrise e poi la lasciò uscire, scomparendo verso la propria stanza.
Tullia si chiuse la porta d'ingresso alle spalle e le sembrò che rimbombasse più che altro nella sua testa. Era di nuovo immersa in una brodaglia fluttuante, dentro cui le pareva di annegare.
Il percorso fu breve. Arrivò lei per prima. Dopo qualche minuto apparve anche Cesare. I postumi della sbornia erano evidenti: il colorito pallido era ancora più cadaverico, aveva gli occhi arrossati e la voce roca.
« Ciao» disse.
Era molto serio.
« Ciao» sorrise Tullia, timida.
« Camminiamo» disse lui, e la guidò verso una traversa sconosciuta e quasi abbandonata.
« Cosa ho detto ieri sera?» chiese, quasi spaventato.
« Non ti ricordi niente?» si stupì Tullia, delusa.
« Poco»
« Beh, mi hai detto che sono speciale. Mi hai detto che sono un tesoro»
« Oh cielo».
Sembrava inorridito.
Tullia continuò, poco convinta:
« Mi hai detto che non puoi avermi perché io piaccio ai tuoi amici»
« Ho detto così?»
« Si»
« Beh» sembrò nervoso: « a Rocco e Filippo piaci. Ho passato alcune serate a casa loro a sentir parlare di te per ore. Ora che Filippo se l'è giocata, toccherà a Rocco provare»
« Lascia stare Rocco»
« A te piace?»
« Non in quel senso. Diglielo pure, se vuoi. Ma non … non offenderlo mai»
« E non ho detto altro?»
« Mi hai baciata».
A questo punto, Cesare si coprì gli occhi con le mani.
« No» esclamò: « speravo di averlo immaginato. Sarebbe stato meglio»
Tullia si offese:
« Ma invece è successo! E a dire il vero avresti voluto andare oltre. Ti ho fermato io»
« Tullia, ero ubriaco! Perché mi hai baciato?»
« Non lo so! Tu eri lì … mi hai baciata e io ti ho lasciato fare»
« Non dovevi»
« Ma perché? Tu hai voglia di provare a … non so, a frequentarci? A vederci? A me sta bene.»
« No, no. Io non … no, Tullia mi dispiace. Mi sono comportato così solo perché ero ubriaco. Mi dispiace. Non provo niente. Non c'è niente fra noi».
Tullia, depressa, senza un vero motivo, gemette:
« E tutte le volte che mi hai detto che sono adorabile? Tutte quelle carezze? Tutte le tue premure? Non volevano dire niente?».
Cesare ci pensò, poi rispose sicuro:
« No. Mi dispiace».
Tullia incassò il colpo con meno dignità di quanta avrebbe voluto.
Sentì le lacrime sulle guance, annuì e lo salutò.
Mentre si voltava, Cesare le afferrò un braccio e le disse:
« A chi lo racconterai?»
« Non lo so. Perché?»
« Non dirlo a qualcuno che poi farà i pettegolezzi»
« Lo dirò a chi voglio. Ciao».
Tullia lo lasciò lì, immusonito.
Se ne andò compiendo ampie falcate; mormorò fra i denti: « Idiota».
Non sapeva perché si era comportata così, né perché il rifiuto di Cesare equivalesse quasi a un tradimento. Si sentiva sconfitta, molto più infranta di quanto si sarebbe aspettata. Cosa provava per Cesare? Niente! Era un ragazzo bellissimo, tutto qui. Era dolce e affascinante, ma Tullia non provava nulla per lui che fosse riconducibile all'amore.
Mentre creava più distanza possibile fra sé stessa e il supermercato, Tullia provò a mettere Cesare nella peggiore delle luci: lui l'aveva spesso incoraggiata, se faceva le moine a tutte le ragazze non poteva aspettarsi che loro non ci provassero con lui. Se non provava niente per Tullia, allora non avrebbe dovuto dirle che lei era uno gnomo bardo, creatura carina e adorabile. Se non voleva che Tullia cadesse per lui, non doveva agire in quel modo, da ubriaco, accarezzarla, metterla in confusione.
Furibonda con tutto e tutti, Tullia si accorse di aver attraversato l'Arno e di essersi incamminata verso il dipartimento di Storia.
Si fermò in piazza Dante, sulle panchine di marmo semicircolari. Rifletté a lungo, lasciandosi andare.
Cos'era diventata? Aveva intrapreso la sua prima relazione romantica che si era conclusa in tre mesi di agonia; aveva perso la verginità, aveva uno stuolo di ragazzi ai suoi piedi e aveva baciato un ubriaco. Sei mesi e la Tullia pudica e schiva, la Tullia sfigata e rifiutata era già morta e sepolta?
Tutto questo non poteva tradursi solo con un suo desiderio di riscatto dall'adolescenza sofferta. Forse se si fosse lasciata andare, lei si sarebbe sempre comportata così. Avrebbe inventato scenette sentimentali, avrebbe impersonato la fanciulla ferita, la guerriera vendicativa e la dolce seduttrice, sempre. Lei era così? Ora che c'era qualcuno ad assistere al suo show, finalmente si rivelava la sua vera natura?
Non riusciva a perdonarsi né a condannarsi. Concluse che doveva vivere con sé stessa e provare a mitigarsi, ad accettarsi, ad andare avanti in qualunque modo fosse.
Dalla viuzza di Via Paoli uscì un ragazzo con la folta barba scura e Tullia si sentì come riavere.
« Angelo!» chiamò.
Lui si guardò un po' intorno, poi la vide.
« Pal! Che giri?»
« Andiamo a mensa insieme?»
« Ma non è ancora mezzogiorno, sarà sempre chiusa»
« Aspettiamo che apra, allora?».
Angelo percepì la preghiera di Tullia e rispose: « Va bene».
Si incamminarono insieme e si sedettero su un pilastro rotondo di cemento. Tullia si reggeva al manubrio di una bicicletta parcheggiata lì accanto.
Angelo se ne stette in silenzio e attese che fosse Tullia a parlare. Lei pensò vagamente di tacere, aspettare che i cancelli della mensa si aprissero e far finta che non ci fosse niente da dire. Un attimo dopo, invece, morì dalla voglia di sputare tutto, liberarsi e condividere con qualcun altro le sue impressioni. Aveva bisogno di qualcuno che fosse dalla sua parte.
« Pal, devo raccontarti una cosa»
« Immaginavo» rispose lui, garbato.
Tullia si vergognò immensamente. Significava che il suo atteggiamento guardingo e allarmato era palese. Angelo voleva solo farle capire che la capiva, ma Tullia si sentì comunque una grande sciocca a confessare:
« Ieri sera, beh, sono uscita con Cesare e Filippo. Volevano festeggiare per Antropologia Culturale. Siamo andati alla … come si chiama … quella che fa gli shot a un euro e loro si sono messi a bere un monte di roba, per tutta la sera. Quando siamo usciti, Filippo era ubriaco marcio e si è messo a rotolare per terra e a dire che mi ama. Una scena pietosa»
« Oh mamma» commentò Angelo, sommesso ma curioso di scoprirne di più.
« L'abbiamo riaccompagnato a casa. Poi Cesare ha accompagnato me»
« Ed eccoci qua. Immaginavo che sarebbe successo».
Tullia sbatté le palpebre:
« In che senso?»
« Pal, ti ho visto che lo guardavi, che ti piaceva. Ero pronto a scommettere che ti saresti fatta una galoppata sui suoi addominali, stile mountain bike, o cose così»
« Non è successo niente del genere!»
« Ops. Dimentica tutto. Allora che è successo?»
« Gli ho detto che era stato gentile, mi aveva difesa contro Filippo che sembrava un pazzo. Gli ho detto di salutarci e ci siamo abbracciati. E poi ci siamo baciati. E poi lui mi ha chiesto se poteva sbottonarmi …dio santo, gli ho urlato di no. Poi lui ha vomitato e ho capito che era ubriaco anche lui. Ci siamo incontrati poco fa. Mi ha detto … che ha fatto tutto solo perché era ubriaco. Gli ho detto se volevamo uscire o cose così. Lui ha detto di no, che non prova niente per me e che era solo una cosa da ubriachi».
Angelo parve ammutolito.
Guardò la gente sfilare davanti a loro, che si posizionava in fila per la mensa.
Infine prese la parola:
« È stato uno stronzo. Cazzo, mi dispiace, pal. Avrei voluto essere lì per aiutarti»
« Grazie, pal» fece Tullia, commossa: « mi ha detto che Rocco e Filippo sono davvero interessati a me».
Angelo fece spallucce:
« Filippo te l'ha già urlato … ehm … detto in abbondanza, no? E Rocco, anche lui è evidente»
« Non so che fare. A Rocco voglio troppo bene. Ho detto a Cesare che gli dica lui che a me non interessa. Dio santo, forse lo offenderà, forse Rocco non mi vorrà più bene»
« Rilassati. Senti, sai che facciamo? Ora si mangia, poi si va a prendere il caffè, ma non al Macchi. Si va al Filter, solo io e te. Si prende qualcosa e ridiamo un po'».
Così fecero.
Il Filter era un bar in via Santa Maria, poco fuori Palazzo Ricci. Era molto stiloso, frequentato da studenti in muta bohemien o hipster. I baristi erano pieni di tatuaggi, sorridenti ed efficienti. Il locale era piuttosto stretto per la quantità di gente che vi si riversava, ma la maggior parte prendeva il caffè da asporto.
« Vengono qui solo perché danno il contenitore take away come quelli americani» mormorò Angelo a Tullia, indicando l'ennesima ragazza con occhiali tondi e papala sugli occhi, che se ne andava con la sua bevanda calda.
Ordinarono un caffè americano e un milkshake. Angelo tirò fuori un quaderno e si mise a fare un disegno stilizzato. Quando lo mostrò a Tullia, per poco non le andò il milkshake di traverso.
Era un ridicolo ritratto di Cesare, messo alla gogna del paese. Tullia sedeva su un trono e brandiva uno scettro, gridando “mettetelo ai ceppi!”.
« Volevo rendere la tua posizione di Signora della corte»
« Io non sono la signora di una corte!»
« Si, invece. Anzi, no, tu sei … sei Esmeralda. Una zingarella che per nessun motivo si ritrova al centro di contese amorose che non la riguardano»
« Bello, mi piace Notre-Dame de Paris»
« Allora ricordati che alla fine, quella che muore è proprio Esmeralda. Lei non appartiene a quelle contese. Esmeralda vive solo se non si intreccia alle vicende amorose»
« Cioè … non dovrei innamorarmi?»
« Non dovresti innamorarti per finta».
E con queste criptiche e sagge parole, Angelo trasse un altro sorso dal suo altissimo caffè americano. Ne lasciò mezzo nel bicchiere, era troppo.
Tullia rimase sinceramente colpita da quell'analisi e se la sistemò in un minuscolo cassetto del cuore.
  
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