Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    11/09/2020    1 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Forse vi sarete accorti che la frequenza degli aggiornamenti di questa fic si è fatta molto serrata...! Ebbene, volevo chiudere questo progetto il prima possibile prima dell'inizio dell'università e posso dire di esserci riuscita! Un grandissimo grazie a voi lettori, lettrici e lettor*, che ci avete accompagnate in quest'impresa fino alla (quasi) fine! I vostri commenti sono dolcissimi e siamo davvero felici che questa storia vi sia piaciuta!

Ma non temete, l'autrice vuole scrivere un ultimo capitolo per questa storia, quindi non rimarrete a bocca asciutta...! Solo che non ha lasciato scritto QUANDO lo caricherà; gli indizi lasciano pensare che voglia pubblicarlo entro l'anno, almeno ahaha Quando uscirà, mi prodigherò per tradurlo e caricarlo, mettendo la parola fine a questa traduzione e un bel "completata" nella descrizione della fic!

Per placare la vostra sete di klance, vi propongo le altre fic da me tradotte e betate dalla fantastica CrispyGarden:

- I bet you look good on the dancefloor di xShieru

- Shut Up and Dance With Me di WittyyName

Detto questo, buona lettura! <3


 

Lance era diventato cenere.

Era tutto ciò che rimaneva di lui: una devastazione fumante, fumo nel vento – andato. Sentiva il battito regolare del suo cuore in gola, denso e delirante, addolcito da una soddisfazione nebbiosa. Non riusciva ancora a pensare. Tutto ciò che lo circondava, tutto ciò che era dentro di lui, non era altro che un’accozzaglia di sensazioni, un riverbero dei più dolci e senza pretese. Non voleva niente. In quel momento, non aveva altri desideri, nessun rimpianto. Non si era mai sentito così bene – non aveva mai sognato che sarebbe potuto succedere con così tante parti del suo passato ancora perdute o in frantumi. Se fosse dipeso da lui, non si sarebbe più mosso. Si sarebbe dimenticato dell’universo ancora e ancora se avesse potuto rimanere steso nel suo letto con Keith accoccolato tra le cosce per il resto della sua vita.

“Tra poco dobbiamo andare.” Mormorò Keith, vicino e caldo, guardando Lance con quei suoi occhi di mezzanotte, tutti fuoco e riluttanza, e gli passò teneramente il pollice sulla tempia. C’era qualcosa nella sua espressione che lo faceva bruciare ancora di desiderio. “Allura aveva menzionato un briefing prima di-”

Lance sollevò una mano e posò dolcemente un dito contro le labbra di Keith, il pollice sul suo labbro inferiore. Non capiva sul serio quello che stava dicendo, sapeva solo che da quel momento poteva toccarlo a quel modo e che non c’era motivo di non farlo. Sentì la presenza immediata di Keith nel modo in cui si sente una nuova nevicata; soffice e avvolto come in un sogno, caldo all’interno di quella cappa d’inverno che erano i suoi pensieri alla deriva. Keith prese la mano di Lance nella sua e ne baciò la punta delle dita.

“Mi stai ascoltando?” Borbottò Keith, il suo respiro caldo che carezzava la pelle di Lance. Lance disegnò il contorno delle labbra di Keith premendovi contro il pollice, l’indice, l’anulare.

“Mm.” Mormorò Lance, distratto, e il respiro gli si incastrò in gola in modo rumoroso quando Keith passò i denti lungo la linea del suo palmo, dal mignolo al polso.

“Non penso.” Gli baciò l’interno del posto con reverenza, esitando quando incontrò lo sguardo annebbiato di Lance, il volto acceso di calore e desiderio. Lance lo fissò perché ne era lui la causa. Il rossore sul volto di Keith, lo sguardo scuro nei suoi occhi, l’attenzione e l’intensità e il peso sicuro delle sue mani – tutto, era tutto per Lance. Nessuno aveva quell’effetto su Keith tranne lui.

Keith abbassò lo sguardo su di lui, le labbra rosse di morsi. Anche lì, era stato Lance. “Tutto bene laggiù?”

Quelle parole sembrarono farsi strada in Lance con più efficacia. Sbatté le palpebre, come rivenuto da un torpore, finalmente tornato nel suo corpo. “Cosa?” Sussurrò, chiedendosi cosa sarebbe successo a quell’attimo se avesse parlato a voce più alta.

Keith passò di nuovo il pollice sulla sua tempia. “Sei così silenzioso. A cosa stai pensando?”

Lance si poggiò al suo tocco, godendosi quel suo affetto senza freni nel modo più completo possibile. “Solo a te.” Disse piano, con semplicità. Passò le mani sui fianchi di Keith, su, su, ancora più su fino ai suoi capelli e poi giù di nuovo, guardando il percorso delle sue mani in un silenzio estatico. “Non ho pensato ad altro che a questo per mesi.”

Keith sorrise, un segreto che condividevano. “A questo?”

Lance sentì il calore salirgli al volto, ma aveva smesso di nascondergli cose. “Te.” Ripeté, seguendo le mani con gli occhi, ma ora era diventato una scusa per evitare di guardarlo mentre sciorinava la verità. “Tu con me. Te su di me, contro di me, che mi baci.” La sua voce si ruppe per l’emozione, anche se non sentiva il bisogno di piangere. “Te che mi vuoi.”

Lo sguardò di Keith si fermò sul suo volto, ma come il tocco di un innamorato. Morbido e tenue e dolce. Non c’era alcuna traccia di intensità. “Tu,” disse, mentre Lance guardava le sue dita scivolare lente sul petto di Keith, “sei tutto quello che ho sempre voluto.”

Lo disse con convinzione, come se fosse una verità assoluta, incontestabile. Lance sentì il cuore sospirare nel petto, innamorato e perso. Era bello vivere senza dubbi. “Lo so.” Sussurrò, i polpastrelli che aleggiavano lungo le cuciture del colletto della maglia. “Che strano. Sapevo di poter vivere senza di te fintantoché sapevo che eri al sicuro. Non sembravi qualcosa che avrei mai potuto avere.” Posò una mano sopra al cuore di Keith e alzò lo sguardo. “Ma sei mio, non è vero?”

Keith gli passò una mano con gentilezza tra le corte ciocche di capelli, confortante, gli occhi scuri e pieni di tenerezza. “Sì.” Mormorò, e la sicurezza in quella risposta fece tremare di nuovo il cuore di Lance. Si ritrasse e sfiorò con un dolce bacio il sopracciglio di Lance, sussurrando contro la sua fronte come una promessa, e Lance strinse la mano a pugno nella maglia di Keith.

Lance sospirò e avvolse le braccia attorno alla base della schiena, incitandolo a farsi più vicino, il più vicino possibile. Chiuse gli occhi. “Posso tenerti con me.” Disse, più a se stesso che per altro.

Keith gli baciò l’angolo delle labbra. “Sì.” Rispose subito, come se ben disposto verso tutti i capricci di Lance; come se fosse inevitabilmente e per sempre e religiosamente suo.

Lance rise un poco sottovoce e sbirciò Keith con occhi a mezz’asta. “Sei sempre stato così… così…” La sua voce si affievolì, non riusciva a trovare la parola che cercava, soprattutto se Keith li aveva fatti girare sul fianco, stringendosi Lance al petto e passandogli di nuovo una mano tra i capelli. Pettinò i nodi in modo da lisciargli i capelli, ancora e ancora, e Lance chiuse gli occhi a quella sensazione, quasi inebriato da quanto lo faceva sentire bene.

“Sono sempre stato cosa?” Chiese Keith, gentile come una brezza estiva, curioso come un gatto. Lance credette di percepire anche una certa dose di compiaciuta soddisfazione nelle sue parole, ma forse Keith aveva tutto il diritto di sentirsi così. Lo strinse a sé tenendolo per la vita e lasciò che le sue labbra indugiassero sulla mascella di Keith.

“Gentile.” Sussurrò Lance, completando il suo pensiero. Non gli sembrava comunque la parola giusta. In tutti i momenti che avevano condiviso fino ad allora, c’era sempre stata una certa intensità nella gentilezza di Keith, qualcosa di fermo che non concedeva nulla. Il Keith tra le sue braccia – baciato fino a perdere i sensi, con gli occhi scuri sbavati da una sorta di intossicata beautitudine – oscillava con troppa facilità, si piegava con troppa facilità.

 “No.” Gli disse Keith. “Neanche con te.”

Lance premette il naso nell’incavo tra il collo e la spalla di Keith, sfiorando con le labbra la sua gola. “Con nessuno?”

Keith ridacchiò, come se lo trovasse divertente. “Ho sempre costruito muri intorno a me, Lance.”

“Tranne che con me.”

Un’altra risata. “Tranne che con te.”

“Adesso sei gentile con me, Keith.” Lance strofinò il volto contro la sua pelle, lasciando scivolare una mano su per la schiena di Keith. Si sentiva bene – la mano di Keith tra i capelli, la pelle calda della sua gola contro il volto.

“Potrei dire lo stesso di te.” Disse Keith, e Lance si ritrasse per guardarlo attentamente quando la sua voce si fece piena di tenerezza. Doveva aver chiuso gli occhi a una certa perché quando li riaprì, guardò Lance a sua volta, la mano ancora impigliata nei suoi capelli, il pollice che carezzava la pelle di velluto dietro l’orecchio di Lance.

“Beh.” Disse Lance disinvolto, come se fosse ovvio, come se fosse una spiegazione. “Sei mio.”

A quelle parole, Keith sorrise, i denti aguzzi che brillavano nella luce della lampada. “Anch’io ti terrò con me.” Decise, dolce e affamato, scegliendo la sua condanna e pieno di intenzione.

Lance strinse il pugno nella sua maglia, come se potesse tirare Keith più vicino al petto. Per un momento, si sentì come se stesse per perdere la testa. “Hai ragione.” Disse, incapace di distogliere lo sguardo dall’espressione lupesca di Keith, le sue parole e le sue azioni dei completi ossimori. “Tra poco dobbiamo andare. Dobbiamo-”

Le mani di Keith erano gentili quando lo tennero fermo. “Ancora qualche minuto.” Si sporse per un altro bacio, sulle labbra quella volta. “Farò piano.” Sussurrò sulle sue labbra con un mezzo sorriso abbozzato, e l’unica cosa che seppe Lance era che le braci assopite nel suo corpo vennero improvvisamente imbevute di cherosene, le labbra di Keith il tocco crudele di un fiammifero, e tornò ad ardere di nuovo.

Alla fine, incespicarono fuori dalla stanza di Lance, ancora con gli occhi annebbiati e pieni di dolcezza, tenendosi per mano come se fossero le due parti di un lucchetto. Non si erano spinti oltre i baci, ma il modo in cui avevano incendiato Lance gli scorreva diretto nel sangue. Li sentiva ancora, anche mentre percorrevano i corridoi verso le zone comuni. Keith era silenzioso di fianco a lui, saldo e silenzioso come una montagna; gli avrebbe dato sui nervi se anche Lance non fosse stato concentrato a raccogliere i suoi pensieri sparpagliati.

Lanciò un’occhiata a Keith di sbieco e dovette subito mordersi il labbro per impedirsi di ridere. I suoi capelli erano un disastro, pieni di nodi, scompigliati oltre ogni dire. Le colpevoli erano le dita di Lance. Nell’oscurità della stanza, non si era reso conto del casino che aveva combinato. Una più attenta ispezione rivelò parte di un succhiotto che gli spuntava dal colletto della maglia. Rallentò fino a fermarsi e strinse la mano di Keith, pieno di soddisfazione. Keith guardò indietro, inarcando un sopracciglio, e le sue labbra baciate in ogni dove che si increspavarono ai lati.

“Sì?” Lo esortò.

Lance esitò, sentendosi improvvisamente timido. Una parte di lui era ancora ammirata dal fatto che Keith ricambiava i suoi sentimenti. E non solo che lo amava a sua volta, ma che lo aveva amato anche da più di quanto Lance sapesse. C’era un qualcosa di così potente in quello, sia nell’essere amato a quel modo che nel sapere quanto si è amati davvero. Lo faceva sentire grande e piccolo al tempo stesso e senza fiato e amato.

“I tuoi capelli.” Disse Lance.

Keith si portò la mano libera sul capo per carezzare le sue ciocche. “Cos’hanno che non va?”

“Colpa mia. Io… uh, aspetta.” Lasciò andare la mano di Keith e mosse un passo verso di lui, mettendosi all’opera per appiattirgli i capelli come se niente fosse successo. Keith rimase completamente immobile, e anche se Lance non lo guardò negli occhi, poté sentire il peso del suo sguardo sul volto. Quando fu soddisfatto del suo lavoro, lasciò scivolare lo sguardo seguendo le mani fino all’attaccatura dei capelli di Keith e poi lungo il collo, con gentilezza. La punta delle dita si soffermò sul succhiotto mezzo nascosto e Lance si concesse un momento per fissarlo e ripensare a quel momento prima di risollevare lo sguardo.

Sembrava che Keith si stesse trattenendo a malapena, gli occhi scuri e illeggibili, anche se Lance aveva delle ipotesi. Il respiro gli si mozzò in gola e il cuore ebbe un sussulto nel petto.

“A volte non ti rendi proprio conto di come sei.” Brontolò Keith, le sue mani strette a pugno sui fianchi.

Lance arrossì fino alla punta delle orecchie e ritrasse la mano, come se la pelle di Keith l’avesse bruciato. “Senti chi parla. Tu riesci a essere tutto oscuro e bellissimo e sexy, e te ne vai in giro con quelle sopracciglia come- come- come-” Non riuscì a pensare a una metafora adatta, imbarazzato a tal punto da non riuscire a ragionare, e lo sguardo tagliente di Keith gli stava dando alla testa. La sua voce si fece più acuta. Si mise a gesticolare con le mani. “Che mi dici di quello, huh? Dove diavolo è il tuo-”

Keith emise un suono roco e gutturale e chiuse gli occhi davanti a quella scena. “Lance, stai zitto.”

“Altrimenti?” Ribatté Lance, lo stomaco pieno di farfalle.

Keith non si smosse, le mani ancora chiuse a pugno. Aprì gli occhi a fessura, emanando rimprovero. Non disse niente, lo guardò e basta. Fissandolo. E Lance arretrò perché non credeva di riuscire a continuare a farlo – stuzzicarlo, così apertamente da poter sentire il battito del suo cuore in fondo alla lingua – e quindi si morse il labbro, sollevando una mano per mimare il gesto di chiudersi le labbra e gettare via la chiave. Inarcò un sopracciglio e allargò le braccia. Meglio?

Keith sospirò e si sporse per baciare le labbra morsicate di Lance, casto e veloce, accomodando una mano sulla sua nuca. Quando si ritrasse, esitò per un momento, abbastanza vicino da poter sentire il suo respiro caldo e umido sulle labbra, e si sporse per un altro bacio, più lungo quella volta, come se non avesse potuto farne a meno, e non appena Lance fece per baciarlo a sua volta, si ritrasse.

“Che schifo.” Sussurrò Lance, seguendolo solo per stargli vicino, sbattendo le palpebre quando posò la fronte contro la mandibola di Keith. “Non so se ci riesco.”

“A fare cosa?” Domandò Keith, posando le mani sui fianchi di Lance. Le poggiò con gentilezza, senza afferrarlo né tenerlo – era un tocco sicuro, inerme, come se quello fosse l’unico posto dove dovessero stare.

“Come dovrei comportarmi normalmente?” Disse Lance a bassa voce, come se avesse paura che le sue parole corressero lungo il corridoio e venissero udite. Avrebbe voluto abbracciarlo forte, ma erano in piena vista e non voleva iniziare qualcosa che non potevano portare a termine. “Non riesco a ragionare, non riesco a smettere di pensare- né… né di voler-”

“Nemmeno io.” Disse Keith, la voce bassa e profonda. “Ho calcolato male i tempi.”

“Smettila, non è vero.” Mormorò Lance. Ci pensò su. “O forse sì, ma non penso che esista qualcosa come il momento perfetto. Ora come ora, non riesco a immaginare di non saperlo.” Il solo pensiero lo fece rabbrividire, gli fece dolere il cuore, ma accolse quella sensazione. Non se ne sarebbe mai dimenticato. “Lotor non può aspettare?? Perché dobbiamo farlo adesso? Ho solo voglia di stare con te.”

Non voleva che sembrasse un capriccio, ma lo fu. Non riusciva a trattenersi.

Le mani sui suoi fianchi si fecero più salde e Keith lo allontanò da sé, costringendolo a guardarlo, ma frapponendo quel tanto temibile spazio tra loro. Un po’ della gentilezza di poco prima era tornata sul suo volto come un riflesso di luce, dolce e luminoso, ma vi notò anche del divertimento. Come se gli piacesse la riluttanza di Lance. “Tu sei con me.”

Lance non pensò che lo intendesse in senso romantico, ma Keith riusciva a rendere una dichiarazione d’amore anche la più ovvia delle affermazioni. Si sentì il cuore in gola e per poco non si abbandonò dritto tra le sue braccia. “Beh,” disse, ancora con un nodo in gola, “immagino che sia vero.”

Keith sorrise. Lance avrebbe voluto dipingerlo. Avrebbe voluto passare ore a dipingere il Keith che vedeva in quel momento. Si domandò se era un bisogno che aveva sempre sentito – dipingere cose belle – o se era Keith Kogane a renderlo un poeta.

***

Quando Lotor mise piede sulla nave, venne scortato da un gruppo di Spade nelle celle di detenzione nelle segrete del castello. Ci andò di sua volontà, senza opporre resistenza, come se se lo aspettasse, come se avesse tutte le buone intenzioni di cooperare il più possibile. Il volto di Allura fu di pietra per tutta l’operazione, duro e inamovibile. Non gli parlò neanche se Lotor la guadava, e Lance non sapeva come sentirsi al vedere niente sul volto di lui tranne rimpianto e frustrazione. Sembrava che fosse sul punto di supplicarla di dargli attenzione.

Una volta sistemato, la maggior parte de Le Spade e dei ribelli si diresse alle loro postazioni per prepararsi a un eventuale attacco, se di questo si sarebbe trattato. Coran non fu contento di quando, durante il briefing, Allura gli chiese di rimanere sulla plancia di comando, e Lance non l’aveva mai visto così sconvolto o a disagio da quando lo conosceva. Gli unici rimasti a concedere udienza a Lotor erano Kolivan, Krolia e il resto del team Voltron. Mentre Pidge rafforzava le misure di sicurezza all’interno della sala, gli altri si trovarono un posto dove stare, armi alla mano.

Lance strinse la sua bayard in una mano e si avvicinò a Keith, più per calmarlo che per stargli vicino. Poteva sentire la sua tensione nell’aria tra loro, il modo in cui il suo corpo era rigido e dritto come un cavo.

Il cipiglio che aveva in volto si doveva ancora rilassare o sparire e non aveva degnato Shiro di uno sguardo da quando si erano stuzzicati durante il briefing prima dell’arrivo di Lotor. Lance aveva persino dovuto trascinare Keith fuori dalla plancia di comando per un paio di minuti per calmarlo, ignorando gli sguardi straniti che erano volati verso di loro. Tutta la gioia e tranquillità che Lance aveva infuso in Keith con i suoi baci era sparita e ora, con l’aria pesante che si era adagiata nella stanza, era terribile come tutto quello sembrasse nient’altro che un sogno.

Ma erano insieme, fianco a fianco, ed era tutto quello di cui aveva sempre avuto bisogno.

Gli occhi di tutti erano puntati su Lotor e Lance poté infilare brevemente la mano nello spazio dell’armatura di Keith vicino alla parte interna del gomito – era il contatto più simile a pelle su pelle che poteva ottenere in quel momento. Non sapeva ancora cosa potesse fare il suo tocco, ma sapeva come quello di Keith lo faceva sentire. Era pronto a scommettere che l’avrebbe fatto sentire meglio.

Keith non lo guardò, ma rilassò le spalle, appena, e Lance si permise di far scorrere la mano lungo l’armatura del suo avambraccio fino a prendergli la mano, stringendola per rassicurarlo, rimanendo lì, ancora e ancora, riluttante a ritrarla. Si sentì il cuore balxargli in gola con forza quando Keith aprì la mano e gliela prese, tenendola stretta.

Shiro fu il primo a parlare a Lotor, la voce dura. “Quindi che cosa vuoi?”

Lotor aveva ancora un’espressione frustrata, ma nel suo corpo non c’era tensione alcuna mentre sedeva sul bordo del letto della sua cella. “Sono venuto per parlare con la principessa Allura.”

“Beh, sei qui.” La voce di Allura sembrava la lama di un rasoio. “Parla.”

Lui non distolse lo sguardo da lei. Si aggrappò a lei con gli occhi, rimanendo lì, noncurante delle armi che lo tenevano sotto tiro. Lance capì. Lo capì – ricordava come si era sentito quando aveva rivisto Keith, il modo in cui tutto sembrasse piccolo e insignificante. Gli faceva male il cuore al pensiero e si concesse per un momento di godersi la sensazione della mano di Keith nella sua.

Lotor giunse le mani di fronte a lui, sporgendosi leggermente in avanti. Era forse la prima volta che sembrava una persona normale e semplice, disperata, senza quell’orgoglio che aveva sempre indossato come una corona. Era strano, sbagliato, ma chissà perché sembrava onesto.

Si schiarì la voce. “Poco dopo che mio padre distrusse il tuo pianeta, mi sono premurato di riunire i sopravvissuti e portarli in una struttura sicura dove poterli... beh, studiare.” Fece una pausa, ma poi continuò come se avesse già deciso che linea seguire e volesse mantenerla. “Voglio essere onesto con te, principessa. Non ne vado fiero, e mi odierai ancora di più per questo, ma devi sapere. Non ci guadagno niente a dirti la verità, anzi perderò ogni cosa. So che è chiedere molto, ma devi credere a ogni parola che ti dirò.”

Lei lo fissò, a lungo e con severità, prima di parlare, impietosa. “Farò il possibile.”

Sembrò bastargli; annuì e riprese. “Man mano che gli anni passavano, spinsi alcuni dei miei esperimenti troppo oltre. Mi inebriai di quello che la quintessenza poteva offrirmi, se solo avessi capito come ottenerla e usarla. Non importava di ferire la gente, anche se si trattava di un popolo la cui cultura mi affascinava. Sono diventato sordo ai loro bisogni e mi sono concentrato solo su cosa servisse a me. Gli ho mentito. Mi sono fatto aiutare da loro con l’inganno, gli ho fatto credere di essere il loro dio. Mi adoravano – ero il loro salvatore. Mi crogiolavo in quel potere.

“Ben presto volli più quintessenza di quella che potevano darmi. Quando ho scoperto che eri ancora viva, sapevo che dovevo trovarti. Per usarti. Sapevo che eri la chiave ed ero certo che sarei riuscito a manipolare te e la tua squadra per ottenere ciò che volevo.”

Il team era pregno di tensione, ribollente. Lance si accorse di non aver respirato, le viscere contorte per il senso di colpa e la frustrazione, per non essersene accorto. Keith gli strinse più forte la mano e fremette al suo fianco per la rabbia che a malapena riusciva a domare.

“Quindi era tutto una bugia.” Disse Allura. “Che volevi che l’universo vivesse in pace, che volevi salvare e preservare la cultura alteana, noi due-”

Lotor la interruppe. Si alzò in piedi di scatto e si diresse verso la barriera, il volto lacerato. “All’inizio sì. Ma, Allura, la tua bontà mi ha toccato. Le tue insicurezze, la tua forza, mi hanno fatto riflettere. Ti ho capita a un livello più intimo. Ho capito che le mie motivazioni erano sbagliate e che io- Allura, mi vergogno così tanto di quanto ho fatto. Di come l’ho fatto, di quante persone ho rovinato. Quando ho rimesso ordine tra i miei sentimenti e ho deciso di cambiare, il tuo paladino rosso aveva già scoperto il mio rammarico più grande. Sapevo che avrei dovuto andare subito a distruggere il mio laboratorio per impedire che qualcun altro lo usasse dopo di me, e che sarei dovuto andare a liberare gli alteani ancora vivi per lasciarli tornare alle loro case sul pianeta che avevo donato loro. Ed è ciò che ho fatto, ecco perché me ne sono andato.”

Allura si avvicinò alla cella, le mani a pugno lungo i fianchi, frementi. “Ci sono altri del mio popolo? Vivi?” La sua voce era tagliente come un coltello, affilata e acuta e sbigottita.

Lotor annuì con fervore. “Sì. Sì, principessa. Sani e salvi da coloro che ancora credono in quanto mio padre ha costruito.”

Shiro parlò prima che Allura potesse chiedere altro, e il suono della sua voce fece rizzare i peli della nuca a Lance. “Dove sono?”

Lotor spostò lo sguardo su di lui. “Vi porterò da loro. Lo farò.”

A quel punto, si intromise Keith e Lance sapeva che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che avesse qualcosa da dire in merito. L’aver sentito nominare quanto era successo sul laboratorio di quella luna per poco non aveva fatto venire un attacco di rabbia anche a lui. Keith e Krolia erano quasi morti e un membro de La Spada aveva perso la vita.

“Non ci fidiamo che tu ci porti da nessuna parte.” Ringhiò Keith, e sfilò la mano da quella di Lance, facendo un passo verso la barriera, rimanendo di fianco ad Allura che non si era mossa di un centimetro. Keith la guardò, le sopracciglia aggrottate e severe. Sembrava che la sua rabbia avesse reso più densa la tensione nella stanza. “Sta mentendo, Allura.”

Lei non lo guardò nemmeno, ma quando gli parlò, il peso della sua voce suggeriva che teneva in conto la sua opinione. “Lo so.” La sua convinzione non era sicura quanto le sue parole. Lance poteva sentire quanto tentennava, anche se rimaneva spigolosa e apatica. Poteva sentire quanto desiderava che Lotor stesse dicendo la verità. Avrebbe voluto sapere cosa dire, ma sentiva un sapore amaro in bocca e gli era impossibile rimanere obiettivo in quel momento. Pensava che sarebbe stato più facile sorvolare sui propri sentimenti e soppesare la situazione senza sentirsi sconvolto, ma si era sbagliato.

Lotor si avvicinò alla barriera. “Cosa ci guadagnerei mentendoti, principessa?”

“Ma ti senti?” Sputò fuori Keith nello stesso istante in cui Lance disse, pieno di veleno: “Non capisci davvero come sembra l’intera faccenda dal nostro punto di vista?”

La stanza si fece silenziosa e Lotor si voltò per guardare Lance, che strinse la sua bayard-fucile con entrambe le mani, cercando di calmare il tremore.

“Abbiamo ogni ragione per credere che sia una trappola.” Disse Lance, né a bassa né ad alta voce. Lanciò un’occhiataccia a Lotor. “Mi fai schifo. Ci hai usati e traditi. Ti sei guadagnato l’affetto di Allura. E sapevi che saremmo tornati su quella luna. Se dici il vero, dovrai fare molto meglio di così.”

Lotor incrociò lo sguardo di Lance senza esitazione alcuna, anche se passò un lungo momento prima che parlasse di nuovo. “Non lo negherò.”

Keith ribollì. “Hai cercato di ucciderci.”

“Suvvia, non è del tutto esatto.” Ammise Lotor, senza intonazione alcuna. “Non ho distrutto il mio laboratorio con l’intento di farvi del male.”

“Ma ti avrebbe fatto di certo comodo, stronzo, non è vero?” Sbottò Keith.

Lotor si voltò nuovamente verso Allura. “Non sono degno di alcuna pietà, principessa. Sto solo cercando di sistemare le cose.”

“Finora ti è riuscito una merda.” Aggiunse Lance, incapace di trattenersi.

“Keith, Lance… Silenzio.” Disse Shiro, e Lance vide Keith irrigidire visibilmente le spalle, il cipiglio sul suo volto farsi più severo. C’era un qualcosa in quell’ordine che sembrava venire meno da un’intenzione autoritaria e più dalla malizia. Shiro si avvicinò alla barriera, quasi schiacciato contro di essa, e lo sguardo che aveva negli occhi era folle. “Dove si trovano gli alteani, Lotor?”

“In un posto sicuro.” Rispose Lotor. “Ma se non vi dispiace preferirei affidare le coordinate solo alla principessa.”

Shiro si iscurì in volto e Allura incrociò le braccia al petto. “Se dovessimo crederti,” disse lei, “cosa vorresti in cambio?”

“Niente.” Le disse Lotor, guardando ancora una volta solo lei, la disperazione negli occhi. “Non ti chiederei niente, principessa. Sono interamente alla tua mercé e qualunque cosa tu voglia fare di me, così sia.”

Lei fu spietata. “E se volessi la tua testa?”

“Direi che non merito niente di meglio.”

Lance non sapeva se credergli. Non lo sapeva davvero. Le sue parole sembravano tutte sincere, ma non potevano più fidarsi di lui a dispetto di quante confessioni piene di sensi di colpa gli avesse vomitato addosso. Per un attimo, nessuno nella stanza disse niente. Pidge batteva sui tasti del suo laptop, ma Lance sospettava che stesse registrando la conversazione per riascoltarla con calma più tardi.

Nonostante avessero un vero e proprio assassino lì con loro, la persona che lo preoccupava di più era Shiro, ancora spalmato contro la barriera che fissava Lotor attraverso lo scudo con occhi scuri, come se fosse posseduto. Lance sentì freddo a quel pensiero. Aspetta

“Dove sono gli alteani?” Ripeté Shiro di nuovo, rompendo quel momentaneo silenzio come con un coltello, lo sguardo fisso.

Per la prima volta, Allura scollò gli occhi da Lotor e diede un’occhiata a Shiro. “Shiro-”

“Zitta.” Sibilò lui, senza degnarla di uno sguardo. Artigliava inutilmente la barriera con le unghie e Lance sentì un peso morto adagiarsi sull’imboccatura dello stomaco, facendogli venire la nausea per il disagio. La voce di Shiro non sembrava neanche più la sua. “Dove sono? Li hai liberati, lasciati senza difese-”

“Shiro, basta così. Abbiamo abbastanza di cui discutere.” Disse Allura, la voce più tagliente di prima. Quella volta non distolse lo sguardo da Shiro, le sopracciglia aggrottate in due linee severe sopra il blu infinito dei suoi occhi. “Kolivan, dì ai tuoi uomini di sorvegliare il prigioniero.” Lanciò un’altra occhiata a Lotor. “E se cerca di scappare, hanno il permesso di fare tutto il possibile perché non lasci questa prigione.”

Lotor chinò il capo, come in segno di sottomissione.

***

“Keith, dobbiamo parlare.” Gli sussurrò Lance, mentre Allura e uno Shiro esausto aggiornavano Coran e Matt sulla plancia di comando. Lui e Keith erano rimasti indietro rispetto al gruppo, e il suo silenzio e il fatto che non avesse criticato la strana scenata di disperazione di Shiro nella prigione rendevano Lance sempre più inquieto. Non riusciva a togliersi dalla mente l’espressione di Shiro – sentiva che era solo una questione di tempo prima che succedesse qualcosa di molto, molto brutto e voleva che lui e Keith fossero sulla stessa lunghezza d’onda quando sarebbe successo.

“Keith.” Disse di nuovo, addolorato dal non aver ricevuto risposta.

“Va bene.” Borbottò Keith, ma non disse altro. Meglio di niente.

Allura disse: “Si sta facendo tardi. Ci riuniremo domani mattina per prendere una decisione definitiva su come affrontare la situazione. Chi di voi è stato assegnato a una posizione di guardia si riposi più che può prima del proprio turno e non fatevi problemi a usufruire della cucina.”

Lance aveva una mezza idea di andare da Allura per chiederle se avesse bisogno di qualcosa, ma prima che uscisse dalla stanza dietro a Keith, la vide abbracciare Coran; era al sicuro. Keith camminava a qualche passo più avanti di lui mentre tornavano al loro corridoio e Lance si sentì leggermente sollevato quando lo vide dirigersi proprio verso la sua camera, entrandoci.

Subito, inaspettatamente, non appena la porta si fu chiusa dietro Lance, Keith lo prese tra le braccia e seppellì il volto nell’incavo tra il suo collo e la spalla. A quel contatto, la tensione scivolò via da Keith, scorrendogli giù dalle spalle come acqua, come se non potesse attaccarlo finché si trovava lì.

“Ehi.” Disse Lance piano, il cuore che gli sobbalzava nel petto a quella vicinanza improvvisa. Gli passò le braccia intorno alle spalle e le loro armature cozzarono nei punti di contatto.

Keith non rispose.

Lance non sapeva se lo stesse facendo per Keith o per sé, ma prese a passargli una mano tra i capelli. Sentì l’emozione rigonfiargli il petto e fermarsi in gola come un nodo, un’ansia che gli bruciava gli occhi e che lo faceva sentire instabile, anche se Keith lo reggeva saldo. Desiderò di poter tornare a quella mattina presto, quando sembrava che l’universo esistesse solo per far sì che loro due potessero trovarsi. Quando Keith si arrendeva al suo tocco, così dolce e malizioso con le sue labbra. Quando l’unica cosa che contava era che Lance fosse riuscito finalmente a sussurrare ti amo, ti amo, ti amo come se avesse potuto tatuarlo sulla pelle di Keith se l’avesse detto a sufficienza.

“Non avremmo mai dovuto uscire dalla camera questo pomeriggio.” Mormorò Lance nei capelli di Keith, chiudendo gli occhi come se in quel modo avesse potuto lasciare all’esterno tutta quella merda.

A quelle parole, Keith ridacchiò, ma era un suono arido, come se stesse ridendo controvoglia. Ma fece sentire Lance un po’ meglio. Se riusciva ancora a farlo ridere, forse non tutto era perduto come sembrava.

“Se fosse stato per me, non l’avremmo fatto.” Gli disse Keith, facendo sentire un’ondata di calore nello stomaco a Lance.

“Penso che sia un segno che non dobbiamo più lasciare questa stanza.”

Keith rise di nuovo. L’emozione che stava strozzando Lance si allentò e sentì le braccia di Keith farsi più presenti attorno alla vita. Rimasero così per un po’, in piedi nel mezzo della stanza. Lance continuò a passare le dita tra i capelli di Keith e desiderò che non stessero indossando la loro armatura in modo da sentire la morbidezza della sua pelle o il suo respiro regolare sul collo. Ma non voleva essere il primo a staccarsi, quindi non lo fece. Si concentrò sul suo proprio respiro, facendolo coincidere con l’alzarsi e abbassarsi delle spalle di Keith sotto le sue braccia.

Dopo alcuni minuti di silenzio, ci fu un lampo di luce e una presenza improvvisa contro la sua gamba; Lance aprì gli occhi e vide Kosmo poggiato a loro, il mento sulla coscia di Keith. Keith sospirò, ma piano, e si ritrasse dall’abbraccio per guardare il suo lupo. “Ehi, bello.”

Kosmo guaì, ma abbassò la coda una volta in qualcosa di simile a un saluto.

Lance lasciò che le sue braccia scivolassero via dal corpo di Keith. “Um, io vado a cambiarmi e a fare una doccia.”

Keith annuì e lo guardò. “Va bene. Io prendo qualcosa da mangiare.” Si sporse e lo baciò, così, come se fosse stata la cosa più semplice del mondo, e tutti gli organi interni di Lance si tramutarono in farfalle e volarono via. “E poi parliamo.”

“Va bene.” Ritornò in sé e lo baciò a sua volta.

Lance si prese il suo tempo in bagno per curarsi i capelli e la pelle, ripercorrendo nella mente la gran parte degli avvenimenti di quella sera. Doveva essere tardi, anche se non aveva guardato l’orologio per ore, ed era probabilmente per questo che si sentiva esausto.

Rivelare i suoi sentimenti a Keith aveva avuto un forte impatto emotivo su di lui (e non importava quanto bene si fosse sentito a dire quelle cose e a sentire che erano ricambiate) e quella storia di Lotor gli dava fin troppo a cui pensare. Stava succedendo tutto troppo in fretta in un solo giorno. E non si trattava solo di Lotor, ma anche di Shiro. Era così essere un paladino? Sentire un turbinio di emozioni a una velocità tale da non poterle comprendere? Una parte di lui rabbrividì al pensiero delle altre cose che avevano pesato su di lui prima che perdesse la memoria. Un’altra parte, più egoista, pensò che forse c’era un lato positivo nell’aver dimenticato.

Una volta finito, si asciugò i capelli con un asciugamano e si infilò dei vestiti morbidi, la pelle ancora calda per la doccia e idratata grazie alla lozione. Uscì dal bagno e sistemò la sua armatura. Keith era steso sul letto in vestiti comodi con Kosmo acciambellato tra le sue gambe. Stava picchiettando lo schermo del tablet, ma sollevò lo sguardo quando Lance si avvicinò, i capelli pettinati via dal volto.

“Ti ho preso uno dei sandwich che Hunk aveva preparato questo pomeriggio. Non è molto, ma-”

Lance lo silenziò infilandosi nel letto e sporgendosi su di lui, baciandolo con un schiocco prima di perdere lo slancio. “Grazie.”

Keith poggiò la mano sulla nuca di Lance e lo tirò a sé per un lungo bacio e Lance tremò perché era così bello, così bello, e non avrebbe mai smesso di esserlo. Quando lo lasciò andare, Lance rimase lì qualche momento e poi si raddrizzò per prendere il piatto con il sandwich sul comodino. Gli diede un morso e indicò il tablet mentre Keith lo appoggiava di fianco a sé, tirandosi su a sedere, sistemando le gambe intorno a Kosmo per farlo stare comodo.

“Che fai?” Chiese Lance, masticando, e prese un altro grande morso subito dopo. Si era reso conto solo in quel momento che aveva una fame incredibile.

“Ho mandato un messaggio a Kolivan.” Disse Keith. “Gli ho chiesto di non lasciare che Shiro si avvicini a Lotor.”

Lance annuì e deglutì. “Forse… forse è una buona idea.”

“Dovremmo parlarne con Allura domani mattina.” Mormorò Keith, e sembrava molto più composto di quanto Lance si sarebbe aspettato. “Col senno di poi, forse non avremmo dovuto lasciarlo venire alla riunione. Non credo che dovrebbe venire… la prossima volta. Lui- non riesco neanche a parlaci perché ogni volta che lo vedo mi incazzo.”

Lance masticò il suo cibo, cercando di finire in fretta. “Già.”

“Voglio dire, che cazzo era quella scenata? So che non ti ricordi di lui, Lance, ma questo è…” Keith distolse lo sguardo. “È assurdo, davvero. Non lo so. Vorrei tanto sapere cosa gli sta succedendo per capire come farlo smettere.” La sua voce tremolò appena alla fine, ma si ricompose subito.

Lance annuì di nuovo e spezzò un pezzo di pane per darlo a Kosmo. Lo osservò mentre lo annusava e lo prendeva con delicatezza dalla sua mano, e sorrise quando il lupo gli lasciò una lunga leccata sul palmo per ringraziarlo.

“Non credo che ti piacerà quello che sto per dirti, Keith.” Sussurrò lance dopo aver mangiato l’ultimo boccone. Riappoggiò il piatto sul comodino e guardò Keith con riluttanza, che gli aveva preso una mano tra le sue per baciare le sue nocche.

“Cosa c’è?” Mormorò lui.

“Non penso che quella persona sia Shiro.” Dirlo a quel modo, ad alta voce, gli fece di nuovo rizzare i peli sulla nuca e odiò come l’espressione di Keith si distorse gentile, come se l’avesse accettato. Era come se l’avesse sempre saputo e non si fosse permesso di pensarlo.

“Penso che tu abbia ragione.” Disse.

Lance aggrottò le sopracciglia, preoccupato, e si fece più vicino a lui. “Tutto bene?”

Keith distolse lo sguardo. “È solo che… Non riesco a non pensare che se- se non me ne fossi andato o se-”

Lance gli salì in grembo, sedendosi a cavalcioni, e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarlo. “No. Smettila. Ne abbiamo già parlato. Smettila, Keith.”

Keith gli circondò i polsi con le sue mani grandi. Non lo spinse via, si tenne solo a lui come se avesse avuto bisogno di un’ancora. “Se quello non è Shiro, allora chi è? Perché non sono riuscito a trovarlo?” La sua voce era rovente di rabbia verso se stesso, tremante per il dolore. “Potrebbe ancora essere lì fuori, sperando, pregando che lo troviamo e abbiamo smesso di cercarlo- anni fa, Lance, abbiamo smesso di cercarlo anni fa.” Chinò il capo, la voce sconnessa. “L’ho deluso, ho deluso tutta la squadra perché non ero qui mentre Lotor… e- e tu. Io- Lance, io-”

Qualcosa di bagnato gli sfiorò la mano e gli ci volle un lungo momento prima di capire che Keith stava piangendo, tremante, talmente pieno di colpevolezza da non riuscire più a tenerla dentro di sé. Kosmo guaì, smuovendogli la gamba e accoccolandosi vicino a lui. Vedere Keith così sconvolto di fronte a lui lo lacerò e passò subito il pollice sulle sue guance per asciugargli le lacrime.

“Keith, mi stai spezzando il cuore.” Disse Lance piano, la gola stretta per un’emozione nuova, ustionante, incomprensibile. “Vorrei che riuscissi a vederti come ti vedo io.”

Keith prese un lungo e lento respiro, le lacrime che gli scorrevano sempre più rapide lungo le guance.

“Niente di tutto questo è colpa tua. Mi hai detto che ho un grande cuore, Keith, ma il tuo lo è di più. Vuoi salvare tutti e ti senti responsabile quando non ci riesci. È nobile da parte tua, ma così, così stupido.” Si fece più vicino, abbassando la voce perché non tremasse né si spezzasse diventando incoerente. I suoi capelli sfiorarono quelli di Keith. “Sei così stupido, Keith. Non sai che mi hai salvato?”

Keith alzò lo sguardo su Lance, gli occhi scuri e lucidi, le lacrime che ancora scorrevano inarrestabili, e Lance non si era mai sentito così speciale, così amato, alla vista di tutta quella vulnerabilità. Al sapere che Keith si fidava di lui a tal punto da mostrargli con onestà come si sentiva, di fargli capire quanto le cose fossero difficili per lui. Era sicuro che non avesse mai permesso a nessun’altro di stargli vicino, fisicamente o intimamente, e voleva prendersi cura di lui. Voleva che sapesse che andava bene così com’era e che tutto quello che faceva era già abbastanza. Voleva che sapesse che a volte le cose succedevano e basta, e tutto quello che si poteva fare era accettarlo e andare oltre, come aveva fatto lui scendendo a patti con la perdita della sua memoria e diventando una persona nuova.

Gli asciugò ancora qualche lacrima.

“Lance.” Mormorò Keith, la voce densa e tranquilla.

Lui tremò per lo sforzo di rimanere saldo, le lacrime che gli scorrevano copiose lungo le guance. “Quando sei tornato da me, mi hai salvato. Quando mi hai parlato con sincerità, mi hai salvato. Quando hai detto di amarmi- Keith, mi hai salvato. Non sai neanche- come posso fartelo capire?”

Keith lo fissò con occhi spalancati e umidi, immobile. Lance provava una tenerezza indescrivibile a parole. “Mi hai salvato in ogni modo in cui una persona può essere salvata.” Sussurrò.” Non lo capisci? Davvero?”

Dopo un momento di silenzio, Keith disse: “Ci sto provando.”

Lance gli passò una mano tra i capelli, l’altra che cercava la calda pelle tra la spalla e il collo di Keith. “E sai che aiuteremo Shiro, vero? Sai che lo faremo. Non lo hai deluso né abbandonato.”

La risposta di Keith fu leggermente più sottomessa, quella volta. “Lo… lo so.”

“E niente di tutta questa merda di Lotor è colpa tua; nessuno di noi l’aveva capito e c’eravamo tutti. Nemmeno noi l’avevamo capito. Ma la cosa migliore da fare ora è risposare prima di domani.” Lance prese un paio di respiri profondi e premette la fronte contro quella di Keith. “Ti fidi di me, vero?”

Keith chiuse le palpebre. “Certo che mi fido di te.”

“E mi credi?”

Keith annuì, strofinando la fronte contro quella di Lance nel mentre. “Sì.”

Lance gli passò le braccia attorno al collo per sostenerlo e chiuse gli occhi, sentendo le braccia di Keith attorno alla vita. “Allora perdonati.”

Piano, Keith regolò i suoi respiri con quelli di Lance e rimasero così per lungo tempo; esistevano e basta nella penombra della stanza, con Kosmo accoccolato contro la schiena di Lance. Avrebbe voluto che il tempo rallentasse anche solo per un attimo in modo che Keith potesse riprendere a respirare dopo tutta quell’agitazione.

Per quanto fosse brutto, era quasi una ventata d’aria fresca il fatto che per una volta i problemi su quella nave fossero su qualcosa di diverso che i suoi ricordi. Le cose erano cambiate in soli due giorni. Lance non era più quella persona. Non sapeva neanche più chi fosse quella persona. Tutta quella disperazione, quella paura, quell’incertezza erano state rimpiazzate da una calma tranquillità, una calma sicurezza. Non aveva bisogno di ricordare chi era stato per sapere chi era in quel momento.

Keith si mosse tra le sue braccia, poggiandosi con più convinzione a lui, e abbandonò il capo contro il suo collo, sporgendosi su di lui, tirando Lance a sé con forza senza dire una parola. Lance sospirò, poggiando il suo peso su Keith, sperando che potesse portargli il conforto che cercava. Strinse la stretta attorno al collo di Keith e seppellì il volto tra i suoi capelli. Non si era mai immaginato una vicinanza simile, prima. Non sapeva che Keith gli avrebbe lasciato vedere così tanto di sé. Lo faceva sentire pieno di luce, senza peso e caldo e felice, anche se la situazione era così confusionaria e opprimente.

“Grazie, Lance.” Disse Keith piano, le labbra che gli sfioravano la gola. Kosmo si mosse al suono della voce di Keith, spostandosi di nuovo ai piedi del letto.

“Non mi devi ringraziare.” Gli disse Lance in un sussurro gentile, passandogli una mano tra i capelli.

“Stai bene?” Gli domandò Keith, passando una mano lungo la schiena di Lance con una facilità che non derivava dall’abitudine. Quella volta gli baciò volutamente l’incavo tra il collo e la spalla, senza ritrarsi. “Oggi sono successe un sacco di cose. So che non dev’essere facile, esserci per me e cercare di recuperare quello che non ricordi.”

“Ho te,” mormorò Lance, “quindi va tutto bene.”

Keith sospirò sotto di lui, il calore della sua mano che scendeva sempre di più, quasi fin troppo giù. Lance sentì il suo tocco sulla pancia e voleva seguirlo, premere contro la sua mano come un gatto. Un suono gli sfuggì dalle labbra per sbaglio – niente di osceno, ma era qualcosa di più di un respiro, leggermente più pesante, impigliato in gola, rumoroso abbastanza perché Keith lo sentisse.

“Dio mio, Lance.” Disse Keith, e sembrava già essere tornato in sé. Gli stavano ritornando anche le forze e nel tono di voce c’era la sua solita intensità, chiara e sincera. Infilò la mano sotto la maglia di Lance e gli afferrò il fianco, carezzando col pollice la pelle liscia del suo stomaco. Finalmente, sollevò il capo e lo guardò.

Lance sentì il volto in fiamme. “Non puoi toccarmi a quel modo e poi sorprenderti che mi piaccia.”

Keith gli sorrise per davvero e per un momento sembrò così genuinamente felice che Lance si dimenticò di sentirsi in imbarazzo. “Ti piace, huh?”

“Tu che ne dici, sapientone?”

Keith assottigliò appena lo sguardo quando gli passò il palmo della mano sulla parte bassa della schiena. C’era qualcosa in quel tocco, pelle contro pelle, che lo faceva sentire terribilmente bene e Lance si costrinse a ricacciare indietro un gemito inaspettato, i denti piantati nel labbro inferiore. Sembrò che Keith l’avesse comunque capito, che avesse capito tutto da solo, perché i suoi occhi si fecero più scuri, pieni di intento, e arrossì. Lance si sentì trasportato indietro a quel pomeriggio, quando Keith l’aveva spinto contro un muro e divorato.

“Quindi, ora che mi hai,” disse Keith, “che cosa ne vuoi fare di me?”

Lance sorrise e premette le labbra su quelle dolci e impazienti di Keith. Lascia che ti salvi, pensò.


 

Note dell’autrice: Okay! Un paio di cose!

Primo: il bellissimo disegno all’inizio del capitolo è stato fatto nientepopodimeno che dall’adorabile /iybms su twitter e instagram, senza la quale ci avrei messo probabilmente altri 1000 anni a scrivere questo capitolo. Grazie per ispirarmi sempre e incoraggiarmi. Tvttb!!!!

Secondo: odio avervi fatto credere per 10 mesi che questo capitolo sarebbe stato l’ultimo ma OOOPS SORPRESA ne ho almeno un altro da scrivere. Non preoccupatevi, non vi farò aspettare altri 10 mesi questa volta LOL

Terzo: oddio amo così tanto il fatto che continuate a voler leggere la mia fic e che la aspettiate con così tanta pazienza. Mi avete scritto dei commenti davvero adorabili e avete disegnato delle fanart DOLCISSIME ed è tutto così surreale e ve ne sono così grata ;A; E’ stato un anno difficile per la scrittura, ma il mio amore per la klance e per LaD e per Lance in particolare è ancora radicato a fondo fondo fondo nel mio cuore e scriverò questa storia fino alla fine.

Spero che questo capitolo valga l’attesa xoxo

   
 
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