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Autore: Nao Yoshikawa    11/09/2020    5 recensioni
Crowley inizia lentamente e inesorabilmente a perdere la memoria a causa di una maledizione lanciata dai demoni. Lui e Aziraphale riusciranno a spezzarla o dovranno semplicemente rassegnarsi ad un destino già scritto?
Quanto è importante la forza di un ricordo?
«Posso azzardarmi a dire che questi oramai non sono più vuoti di memoria, giusto? Da quanto vanno avanti?» domandò stringendogli un ginocchio con una mano. Era una situazione inquietante e piuttosto spiacevole, ma l’angelo stava cercando di non pensare al peggio.
«Non saprei… una settimana, forse? Non capisco. Perché sto iniziando a dimenticare delle cose? Anche quelle più recenti…mi sono dimenticato del giorno in cui ti ho chiesto di sposarmii», Crowley si portò una mano tra i capelli, scombinandoli, con gli occhi lucidi.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Belzebù, Crowley, Gabriele
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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8




Il divano si era rivelato essere davvero comodo. Ma anche se così non fosse stato, Aziraphale avrebbe taciuto comunque, perché ciò che importava era avere Crowley lì. Avvicinarlo a sé non era stato difficile, anzi, era stato proprio suo marito ad avvicinarsi. Il fatto che il demone sentisse quella specie di legame gli faceva ben sperare. Quella mattina si alzò per primo: avrebbe potuto preparargli la colazione con le sue stesse mani, peccato che Crowley non amasse particolarmente il cibo. Ma ci provò comunque, cimentandosi in una preparazione (non poi riuscitissima) delle sue adorate crepes. Crowley in effetti si svegliò proprio colto da quel profumo piuttosto invitante. Ancora assonnato, si alzò dopo essersi rivestito: il tavolo del soggiorno era stato riempito di pietanze, ma ciò che gli saltò all’occhio fu l’esperimento di Aziraphale: crepes dalla forma strana.
«Oh, buongiorno car-Crowley!» si corresse tenendo una caraffa di latte in mano. «Ti prego, accomodati!»
Certo, il demone non poteva di dire di non essere ancora più confuso: prima quell’angelo gli offriva un posto in cui dormire, poi anche del cibo. O voleva cercare di incastrarlo o di sedurlo. Ma questo era a dir poco assurdo!
«Amh, ti ringrazio Aziraphale. Ma davvero, non è necessario che tu faccia tutto questo per me…»
«Figurati, è nella mia natura di angelo essere così gentile. E poi sei mio ospite, mi sembra il minimo», si sedette anche lui, guardando con una smorfia il suo piatto. «Ho provato a fare le crepes, ma non so se ci sono riuscito.»
«Figurati, nemmeno io sono tanto bravo ai fornelli, e poi conta il pensiero, no?» Crowley si guardò intorno, curioso. E fu allora che Aziraphale si rese conto di una cosa che non aveva fatto: non aveva tolto le foto appese che ritraevano lui e Crowley insieme! Per il momento era meglio che non le vedesse, come glielo avrebbe spiegato altrimenti?
«Oh, santo cielo! Mi sono scordato di sistemare lì! E poi quanta, quanta polvere!» esclamò alzandosi di scatto, nervoso.
«Non preoccuparti per quello, non serve che ti dai tanta pena per uno come me…»
«M-ma l’ordine è importante!» esclamò arrivando ai piccoli quadretti appesi e facendoli momentaneamente sparire con uno schiocco di dita. Dopodiché tirò un sospiro di sollievo: non era facile cercare di nascondere tutto, non quando in quella casa avevano costruito dei ricordi. Si chiese come e quando avrebbe dovuto dirgli la verità, temeva di perderlo per sempre.
Stava proprio pensando che avrebbe dovuto fare più attenzione, quando accadde una cosa che non aveva programmato: arrivarono ospiti. E in genere sarebbe stato ben felice di servire tè, conversare abilmente sul suo viaggio di nozze eccetera, ma quella volta le cose non potevano andare in quel modo!
Ben presto l’angelo si ritrovò in casa sua Anathema e Newton, Shadwell e Madame Tracy e i Quelli.
«Oh, c-ciao! Non mi aspettavo una vostra visita!» esclamò nervoso. L’unica a sapere qualcosa era Anathema, gli altri ignoravano totalmente.
«Sorpreso, Aziraphale caro? Ci sembrava il minimo venirti a trovare e poi volevamo sapere com’è andato il viaggio», disse Madame Tracy salutandolo calorosamente. A quel punto anche Crowley, incuriosito, si alzò.
«Cosa fate voi qui?» domandò a voce alta. Aziraphale lo guardò sorpreso.
«Tu li conosci?» domandò. In realtà non era strano: lui era stato cancellato dalla sua memoria, non gli altri, quindi era chiaro che li conoscesse, ma probabilmente doveva avere un vuoto. Su questo avrebbe indagato.
«Certo che li conosco, piuttosto mi chiedo come fai tu a conoscerli!»
Pepper lo guardò storto.
«Ma ha bevuto di prima mattina? A me sembra ubriaco.»
«Ubriaco a chi? Io sto bene! Aziraphale, ma che…?»
«Senti, caro!» esclamò nervosamente, dandogli una piccola spinta. «Perché non vai a farti un giro e vai, non so, a tentare qualcuno?»
«Aziraphale, stai cercando di liberarti di me?!» borbottò.
Aziraphale gli sorrise in modo affabile, dicendo che non ci sarebbe stato motivo di farlo. Per fortuna riuscì a farlo uscire senza creare ulteriori sospetti. Quando ciò avvenne, sospirò e si voltò verso i suoi ospiti, che lo guardavano confusi. Tutti tranne Anathema.
«D’accordo, c’è una cosa che devo dirvi.»
Raccontò loro tutto.  Della maledizione, del fatto che non c’era modo di spezzarla e del fatto che Crowley avesse dimenticato ogni cosa di lui.
«Ma questa è un’ingiustizia!» esclamò Pepper. «Non ci sto proprio, non meritava una punizione del genere! È orribile! E Dio dove si trova in questi casi? Non poteva intervenire? Insomma… È Dio!»
Pepper aveva espresso perfettamente il suo pensiero. Aziraphale era accasciato sulla sua poltrona, afflitto.
«Sto cercando di convincermi che è così che doveva andare, ma… una parte di me proprio non riesce a rassegnarsi! Insomma, lui è con me, ma non è con me! Ricorda voi, ma sembra essersi dimenticato tutta la parte che riguarda anche me!»
Seguì qualche attimo di silenzio e poi fu Adam a parlare.
«Ma voi non potete stare così. Insomma, siete sposati, tu devi dirglielo, hai le prove no? Non può non crederti!»
«Non è così che funziona, Adam», intervenne pazientemente Anathema. «Se ti cancellassero la memoria e poi qualcuno verrebbe a dirti determinate cose sulla tua vita, non reagiresti bene. Penseresti che sia tutto uno scherzo o di essere impazzito.»
«Sì, beh», aggiunse poi Brian. «Però è ancora innamorato di te, giusto? Insomma, l’amore non si scorda mica!»
Quel ragazzino aveva ragione. E forse, proprio perché l’amore non poteva essere scordato che Crowley era tornato da lui. Una mezza consolazione, se non fosse stato che suo marito, probabilmente, non si rendeva conto di amarlo. Perché avrebbe dovuto? Era un estraneo in fin dei conti.
«Hai ragione Brian, avete ragione tutti voi, è per questo che ve l’ho detto. Per il momento è meglio se non fate riferimento al nostro matrimonio o alla nostra relazione in generale, mi farebbe troppe domande. Io cercherò di salvare il salvabile, in qualche modo», e dicendo ciò sorrise, in un modo terribilmente triste. Anathema se ne rese conto, per questo decise che avrebbe parlato con lui in privato. Ciò avvenne quando Aziraphale andò in cucina per posare le tazzine nel lavabo.
«Allora… alla fine è successo, eh? Hai intenzione di dirglielo?» domandò. Aziraphale sospirò profondamente prima di dargli una risposta.
«Non adesso. Se lo faccio ora, temo che potrei farlo scappare. Non è per niente facile da spiegare, nonostante io abbia delle prove. Ed è tremendamente difficile fare finta di niente, far finta di non conoscerlo, questa non è una prova che posso superare.»
Si sentiva un perfetto stupido nel passare dalla sicurezza di riuscirci allo sconforto più totale. Anathema si fece più vicina, poggiandogli una mano sulla schiena.
«Ma questo non è vero. Crowley è ancora con te, nonostante tutto. Te lo dico io, il sentimento che prova per te è rimasto intatto. E i suoi ricordi dovranno essere da qualche parte. Forse non sei riuscito a non fargli dimenticare, ma magari potresti provare a fargli ricordare.»
Aziraphale era piuttosto scettico. Oramai stava iniziando a capire quanto certe cose fossero irreversibili, non era sicuro che potesse essere così facile, ma non aveva molte altre opzioni.
«D’accordo. Farò del mio meglio», soffiò. E quello fu l’esatto momento in cui Anathema lo vide per la prima volta davvero stanco sfibrato. Quella maledizione, anche se diversamente, aveva colpito anche lui.
 
Belzebù era tornata all’Inferno e si sentiva a dir poco furiosa. Davvero non capiva il motivo. Lei aveva fatto il suo dovere, era la giusta punizione per Crowley.
C’era un motivo se esistevano gli angeli e i demoni, non era normale e naturale che quest’ultimi si innamorassero l’uno dell’altro. Ma poi quello stupido di Gabriel se n’era uscito con quell’assurda storia sul fatto che un tempo erano stati innamorati. Belzebù non poteva essere caduta così in basso, ma un dubbio era stato instillato in lei. E ciò non le permetteva di starsene tranquilla.
«Non possiamo andare sulla terra e tentare qualche altro umano? Andiamo, insieme ce la caviamo proprio bene! Potrebbe essere divertente!» Dagon cercò di convincere Belzebù, la quale se ne stava seduta, sbuffando. L’Inferno non le era mai sembrato claustrofobico come in quel momento.
«Non ho voglia di fare niente, tutta colpa di quell’Arcangelo idiota», sbottò.
«Ma non è il caso di farti influenzare da lui, coraggio. Possiamo fare qualcosa di grosso», Dagon cercò di cambiare discorso.
Allora Belzebù si tolse la mano dal viso, guardandola.
«Gabriel mi ha detto che un tempo io  e lui siamo stati insieme, che eravamo innamorati, addirittura, ma che mi è stato riservato lo stesso trattamento di Crowley.»
«Suvvia, non ci crederai davvero?» domandò il demone con un sorriso nervoso.
«Gabriel è un idiota, ma non vedo perché dovrebbe inventarsi una cosa del genere», e a quel punto il suo sguardo si fece più oscuro. «Allora? Che mi dici? È vero o no?»
Belzebù sembrava star capendo e ciò spaventava Dagon non poco.
«Che cosa vuoi sapere?»
«Se quello che lui ha detto è vero. Ci sono delle cose che ho dimenticato? Sono stata maledetta?»
Dagon chiuse gli occhi. Era davvero difficile mentirle, soprattutto perché lei stessa era colpevole.
Era stata lei a togliergli quei ricordi e dopo tutto quel tempo faceva ancora male.
«Ciò che hai dimenticato ti è stato tolto da me. Chi viene maledetto almeno poi dimentica, chi maledice non dimentica mai», aprì gli occhi, ritrovandosi davanti le sue iridi azzurre. «E credimi, è stata una delle cose più dolorose che io abbia mai fatto.»
Adesso Belzebù si sentiva ancora più furiosa, oltre che tradita. Ora capiva perché ci stesse così male per Crowley, semplicemente avevano ricevuto la stessa maledizione. Lei, la vittima, che in un certo senso era anche diventata carnefice.
«Che cos’hai fatto?» sibilò minacciosa.
«Mi dispiace, ma non avevo altra scelta! È un ordine da Satana in persona, lo sai che il nostro signore non approva certe cose!» Dagon indietreggiò, fino a ritrovarsi contro una parete gelida. Belzebù sembrava in procinto di ucciderla.
Perché era arrabbiata. Si sentiva violata, derubata di buona parte della sua vita.
«Non me ne importa un accidente! Tu hai fatto questo a me, e io… Beh, io ti consideravo un’amica. Che cosa sciocca e umana, vero? Avrei fatto bene a trattarti come tutti gli altri.»
«No, aspetta, non capisci. Rischio molto ad avertelo detto, se ciò dovesse arrivare alle orecchie di Satana, io… non so che fine potrei fare!» esclamò lei.
«Ma pensa, mi dispiace per te!» rispose Belzebù sarcastica e con una grande voglia di spaccare tutto. E lo avrebbe fatto, fuori di lì e in solitudine.
 
Crowley non poteva credere di essere stato cacciato fuori, certo quell’angelo era un tipo molto sospetto, ma dopotutto lui stesso aveva accettato di essere ospite in casa sua!
Dopo aver tentato un po’ di gente (nulla di che, si trattava sempre di piccoli peccati), decise che si meritava un po’ di sano alcol, nonostante fosse pieno giorno.
Per tal motivo ora si trovava poggiato al bancone di un bar a bere la sua ennesima tequila, e sarebbe potuto andare avanti per un po’. Si sentiva incredibilmente bene, come se ogni preoccupazione fosse stata spazzata via. Eppure c’era qualcosa, anzi, era come se mancassero dei pezzi. Quando si avevano più di seimila anni addosso era normale perdersi qualcosa per strada, ma Crowley sentiva che era qualcosa di diverso.
Qualcosa che gli veniva in mente ogni tanto, scatenandogli un’ondata di malinconia. E ad ogni ondata di malinconia corrispondeva un altro cocktail ingurgitato.
Gabriel aveva immaginato di trovarlo in un posto del genere, alla fine Crowley non cambiava mai. Si ritrovò a provare pena per quel demone, e anche molta comprensione. Forse non sarebbero diventati amici, ma erano legati dalle stesse disgrazie.
«Gabriel! È piuttosto sorprendente vederti così, in un posto pieno di umani, che cosa sei venuto a fare? Vuoi bere per  dimenticare?» sghignazzò Crowley, già alticcio.
Che spettacolo pietoso, davvero. Crowley sembrava pieno di una felicità falsa.
«In realtà non so nemmeno io che ci faccio qui. Sono troppo coinvolto… beh, da sempre in realtà. Aziraphale ti ha detto niente?» domandò avvicinandosi e guardandosi intorno.
«Conosci anche tu Aziraphale? Ah, giusto in effetti  siete entrambi angeli, io l’ho conosciuto da poco…»
Per Gabriel fu strano, per non dire estraniante , sentirlo parlare di Aziraphale come se fosse un estraneo. Probabilmente perché ci era già passato. E perché tutto ciò lo rendeva fin troppo sentimentale.
«Allora anche tu… non ricordi niente, eh?» domandò con un tono più alto di quanto avesse voluto, al che il demone gli lanciò un’occhiata confusa.
«Ricordare che cosa?»
Ma Crowley non seppe mai cosa l’Arcangelo intendesse dirgli. Il brusio in sottofondo si era interrotto all’arrivo di Belzebù, una figura che doveva sembrare strana messa in un contesto del genere. Ma il lord infernale non aveva prestato attenzione a nessuno, se non a quel maledetto essere celeste. Gli si avvicinò afferrandolo e strattonandolo per un braccio.
«Fuori di qui, adesso!»
Se di solito Gabriel era portato almeno a chiedere spiegazioni, quella volta evitò, capendo che non era il momento adatto. Un ancora più confuso (ma altrettanto divertito) Crowley sorrise, prendendo in mano l’ennesimo bicchiere.
«E pensare che se non si odiassero, formerebbero la coppia perfetta!»
Gabriel si lasciò trascinare in strada, senza dire una parola. Belzebù era furiosa con lui già per avergli rivelato del loro passato dimenticato, cosa c’era ancora?
«Posso sapere, di grazia, qual è il problema?»
Ma Belzebù non sembrava solo arrabbiata. Era confusa e i suoi occhi erano tristi e lucidi, come se si stesse trattenendo dal pianto. E Belzebù non aveva mai pianto, nemmeno quando aveva saputo della maledizione. Ma ora troppi pesi gravavano sul suo cuore.
«È una congiura nei miei confronti, questa? Tu e Dagon vi siete messi d’accordo?»
Gabriel inarcò le sopracciglia, perché sicuramente l’ultima cosa che voleva era mettersi d’accordo con una delle cause del suo dolore.
 «D’accordo per cosa?»
Il demone allora accorciò le distanze, afferrando il tessuto della sua giacca e guardandolo negli occhi. Ciò scaturì una sorta di formicolio che partiva dalle dita, diffondendosi poi per tutto il corpo.
«Mi rifiuto di credere a tutto ciò. Io, con te, stiamo forse scherzando? Tu sei un angelo. E non ti sopporto neanche.»
Quello era un vano tentativo di Belzebù di cercare una fuga, ancora. Ma il tremore nella sua voce la tradì e portò Gabriel ad accarezzarle una guancia con due dita.
«Eppure guardaci.»
«No, no maledizione! Sta zitto!»
E dopodiché si alzò sulle punte e lo baciò. Forse perché era certa che non avrebbe sentito nulla, o forse perché in cuor suo le mancava. Gabriel fu sorpreso, ma non si staccò, tutt’altro. Le strinse i fianchi, godendo di quel contatto di cui faceva a meno da troppo tempo. Fu come baciarsi per la prima volta, per uno dei due di certo lo era. E Belzebù, in quel momento, capì che Gabriel non aveva mai mentito. Anche se non aveva più i suoi ricordi, le sensazioni non mentivano. E ciò la terrorizzò. Belzebù rimase attaccata a lui, per poi staccarsi pian piano, quasi avesse paura di rovinare quell’incanto.
«Non è possibile», mormorò staccandosi e sfiorandosi le labbra. «Cosa…? Io… Noi…?»
«Ci siamo amati, una volta», disse Gabriel. «E io ti amo ancora, anche se è passato del tempo.»
Quello però era già stato troppo. Rendersi conto che tutta la sua esistenza fino ad ora era stata gravemente castrata, le erano stati rubati i ricordi. E lei era andata contro a Crowley per lo stesso identico motivo.
«Io… devo andare adesso… devo andare via di qui…» mormorò e Gabriel non cercò di trattenerla. Poteva immaginare cosa stesse passando. Quando guardò dentro al bar, si rese conto che Crowley era sparito. La stessa storia sarebbe toccata a lui. Magari sarebbe stato più fortunato?
 
Crowley rientrò poco dopo che gli ospiti di Aziraphale erano andati via. L’angelo gli aveva detto prendi pure le chiavi di casa, come se si conoscessero da una vita.
Quando rientrò nel cottage, lo trovò addormentato sul divano con un libro poggiato in grembo. Aveva capito della sua passione per i libri dalle librerie strapiene. Fece molta attenzione a non svegliarlo e, sebbene sarebbe potuto risultare inquietante, non poté fare a meno di osservarlo. Quell’angelo gli era stato sospetto fin dall’inizio con i suoi modi di fare estremamente gentili, ma per qualche strano motivo Crowley era portato a fidarsi.  E poi era un angelo, quanto male avrebbe potuto fargli?
E in quanto creatura angelica, Aziraphale era bellissimo, in maniera diversa da come poteva esserlo un demone: sembrava brillare di luce propria, con quella pelle liscia e candida, i capelli biondi e gli occhi azzurri, in quel momento chiusi. Per non parlare di quell’adorabile naso all’insù e le labbra rosee…
Scosse il capo. Non era un dannato predatore e Aziraphale non era la sua preda!
Sedurre un angelo era divertente, il fascino del proibito, ma quella di Crowley non era solo voglia di tentare. Aziraphale in quel momento si mosse, e il demone ebbe paura che si stesse svegliando. Invece si limitò solo a d aggiustarsi, ma quel movimento fece cadere in terra ciò che scoprì non trattarsi di un libro, ma di un diario. Non avrebbe dovuto ficcare il naso e lo sapeva bene, ma il diario era caduto aperto e quindi era stato inevitabile leggere. La cosa che più lo stupì, era che la calligrafia, così simile alla sua.
Io e Aziraphale ci siamo sposati.
Siamo andati in viaggio di nozze a Parigi e ho cercato di portare via qualche quadro da Le Louvre senza però riuscirci.
Gli venne da ridere, nonostante la sensazione di ingiustificata malinconia che lo stava avvolgendo. A quel punto Aziraphale si svegliò davvero.
«Crowley?»
«S-scusa! Giuro che non stavo leggendo , ma è caduto e quindi l’ho letto per sbaglio e… e…»
Aziraphale però sorrise in modo dolce.
«Quello era di mio marito. Ha annotato tutto ciò che riguarda me, tutto ciò che abbiamo fatto. Da quando ci siamo conosciuti, fin quando… se n’è andato…»
«Ah», rispose Crowley sorpreso. «Beh, allora dovete essere stati insieme per tanto tempo… qui ci sono pagine e pagine piene di appunti!»
L’angelo rise, ma i suoi occhi erano tristi.
«In effetti sì, Crowley. Siamo stati insieme per un po’…» rispose guardandolo in un modo che a Crowley si ritorsero le viscere. Non capiva, sapeva che sarebbe stato più opportuno fermarsi  dal porre domande così scomode, ma da una parte non riusciva a smettere.
«E come… insomma… come se n’è andato?»
Aziraphale distolse lo sguardo. Di per sé non era mai stato un bravo bugiardo, non aveva pensato ad una scusa plausibile.
«Amh… in un incidente. Sai no, lui era umano.»
«Umano? Hai sposato un umano? Però, io che credevo non fosse concesso.»
«Non lo è infatti!» esclamò Aziraphale. «Ma sai, a me e a lui non è mai importato. Lui mi conosceva, sapeva chi ero e io sapevo chi era lui, ma… questo non ci ha fermati. Gli avevo promesso che saremmo rimasti insieme fino alla fine. Io sto ancora mantenendo la mia promessa.»
Nonostante gli occhi lucidi e le lacrime che minacciavano di uscire di lì a breve, Aziraphale lo guardò negli occhi. Lo amava così tanto e sperava anche solo così di farglielo capire, di farglielo ricordare. Crowley in effetti qualcosa avvertì. Si sentì coinvolto, soprattutto sentimentalmente. Era un  demone, ma aveva un’umanità che lo distingueva dagli altri. Di Aziraphale non conosceva nulla e ciò che conosceva era così triste da fargli venire le lacrime agli occhi.
«Mi dispiace, alla fine rimango uno stupido demone senza tatto», Crowley si schiarì la voce. «Però devo dire…sembra una bella storia, anche se tragica. Sono certo che anche lui doveva amarti molto. Ma voglio dire, tu sei un angelo, no? Non hai un modo per rivederlo?»
Aziraphale poggiò un braccio sullo schienale, guardandolo.
«In effetti io lo sto già rivedendo.»
«Beh, allora questo rende tutto meno deprimente», Crowley assunse un tono più rilassato, mentre giocherellava con la fede. «Ad ogni modo non credo di averti ancora ringraziato per l’ospitalità. Sicuramente i tuoi superiori non ne saranno felici.»
«Credo che questa volta i miei superiori non avranno molto da ridire», affermò distrattamente, osservando l’anello di Crowley. Non l’aveva ancora tolto, stranamente, ma ciò gli faceva ben sperare.
«Se lo dici tu. No, è che… non so, mi sento un po’ con la testa da un’altra parte. Non capisco come sono finito in casa tua, mi sono svegliato e mi è sembrato di aver dormito per una vita intera e aver fatto un sogno lunghissimo. Solo che è sfumato subito»
Aziraphale si irrigidì. Forse Crowley aveva ancora qualche reminiscenza dei suoi ricordi?
«Un sogno? Che genere di… AH!»
Un tuono improvviso lo aveva fatto sussultare. Incredibile, fino a poco tempo prima c’era il sole, e adesso tirava vento e la pioggia aveva iniziato a cadere.
«Ma tu guarda, piove!» Crowley si alzò, affacciandosi alla finestra. «Di solito non mi fa impazzire, ma in questo caso mi piace. Credo ci fosse la pioggia nel mio sogno, non so perché. Ma ho questa sensazione di umido, bagnato… e anche di calore. A dir poco insensato, vero?» domandò mentre respirava il profumo di terra bagnata, mentre le labbra di Aziraphale s’incurvavano in un sorriso. I suoi ricordi non c’erano più, ma le sensazioni vissute gli erano rimaste addosso.
 

 

   
 
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