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Autore: Crudelia 2_0    11/09/2020    7 recensioni
Come si affronta il dolore per la fuga di una sorella?
— Dal testo:
Non avrebbe pianto per una traditrice, ma avrebbe potuto farlo, per una sorella.
E una lacrima non sarebbe bastata.
[Storia partecipante al contest "It's a Family affair" indetto da CatherineC94 sul forum di Efp.]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Sorelle Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Storia partecipante al contest “It’s a Family affair” indetto da CatherineC94 sul forum di Efp.
Pacchetto: Nox
Note: al fondo
 
 
Addio, sorella


 
 
 
 
Uno, due rintocchi.
Bellatrix apre gli occhi. Grandi, neri come la notte.
Tre, quattro rintocchi.
Il corpo immobile, tremante per il freddo e l'attesa.
Cinque, sei rintocchi.
Le orecchie tese a cogliere qualsiasi suono. Non sa quale, ma lo sta aspettando.
Sette, otto rintocchi.
Una serratura che scatta, il legno che cigola. Puoi provare ad ingannarlo, ma il castello dei Black rivela sempre ciò che vuole rivelare e nasconde ciò che vuole resti nascosto.
Nove, dieci rintocchi.
Bellatrix scosta le coperte, cammina con i piedi nudi sulla dura pietra. Il freddo è come mille spilli che pungono la pelle e salgono come brividi fino alla schiena.
Undici rintocchi.
Apre la porta. La vede.
Dodici rintocchi.
Occhi dolorosamente simili si incontrano. E Bellatrix lo sa, una maledizione avrebbe fatto meno male.

La guarda immobile, bloccata per la sorpresa. E mentre l'eco del pendolo si perde nel corridoio sente un brivido risalirle la colonna vertebrale.
Freddo, gelato, viscido come il tradimento.
«Lo sapevo», mormora, ma più a se stessa.
Andromeda ricambia lo sguardo, un pesante borsone in una mano e le scarpe nell'altra. Ma essere scalza non le ha assicurato di non essere udita.
Mezzanotte è l'ora delle streghe, ma scappare sui rintocchi dell'orologio è una scelta stupida.
Stupida e sentimentale e romantica, ma Andromeda era sempre stata tutto questo.
«Bellatrix, ti prego».
E quei grandi occhi da cerbiatta si conficcano nel suo stomaco come una pugnalata.
«Ci stai abbandonando», non urla, ma l'accusa sibila tra i denti e brucia sulla lingua. «Ci stai tradendo».
«Bella, tu non capisci». Fa un passo in avanti, ma Bellatrix rimane immobile. Avvicinarsi alla sorella sarebbe pericoloso, rischierebbe di far crollare il muro di gelido ghiaccio che ha costruito durante la notte. «Non sei mai stata innamorata?», e gli occhi le brillano, solo al pensiero. Al pensiero di lui.
Bellatrix stringe la mascella, perché gli occhi bruciano.
Ha preferito lui.
Ha preferito lui a loro. La sua famiglia, le sue sorelle.
«Siamo noi la tua famiglia Andromeda», stringe le mani a pugno fino a sentire le unghie nei palmi, poi si artiglia la camicia da notte.
Ha le dita fredde, si graffia il petto. Ma è una ferita superficiale, che riesce ad ignorare con troppa facilità.
«Pensa a nostra madre», ansima, ma il fiato le manca dal dolore, da quel peso sullo sterno che la sta soffocando. «Pensa a Narcissa».
Negli occhi di Andromeda passa un lampo di dolore. Perché è la sorella più grande, perché sa che Narcissa è la sorellina da proteggere.
Ma lei se ne sta andando. Per un uomo, per un mezzosangue.
E il loro trio, la loro unione... Andromeda ci sta sputando sopra come se essere tre sorelle non fosse il legame magico più potente.
Magie antiche, non pronunciabili.
Bellatrix ha una scala di valori in cui al primo posto c'è la famiglia, ma un angolo del suo cuore sa che per le sorelle farebbe qualsiasi cosa.
«Ci sarai tu per lei», risponde con dolcezza.
Ma entrambe sanno che non è vero.
È Andromeda la più grande, la più responsabile, la più adatta a consolare e consigliare.
Bellatrix è sempre stata selvaggia, indomita e indomabile come i suoi capelli, decisi a stare dove volevano stare e non dove dovevano stare.
Andromeda era sua sorella maggiore. Era sua dal primo ricordo, dalle mattine assolate passate in biblioteca ad ascoltare un precettore, dai pomeriggi passati a giocare ovunque e da nessuna parte. Era sua nel momento in cui avevano annunciato un'altra sorella, un'altra Black, e Bellatrix l'aveva odiata, la piccola nascitura, perché un'altra sorella significava meno tempo con Andromeda.
Ma Andromeda non l'aveva abbandonata per la piccola bimba bionda. Narcissa aveva stretto il nodo che le univa in un modo che mai avrebbe creduto possibile.
E se in due era bello, in tre era spettacolare, magico.
Narcissa, dai colori così diversi, seguiva le sorelle e le imitava. Non piangeva mai, con loro.
Bellatrix aveva fatto la sua missione d'onore proteggere le sorelle. Non se accorgevano, loro, che tutte le sue idee erano volte al loro sorriso. Era per loro che suggeriva di nascondersi nel grande salone se per cena era servita la minestra, per loro se suggeriva di spiare le riunioni del padre con le mani permute sulla bocca per non ridere.
Ma poi era arrivato Hogwarts, ed era cambiato tutto.
Era arrivato quel Tonks, e lei aveva perso Andromeda.
E adesso sono lì, una di fronte all'altra su un pavimento gelido.
Un tuono romba lontano e Bellatrix sente una risata isterica nascerle nel petto. Tipico di Andromeda, essere così teatrale.
Ma forse è un bene, per lei. Perché lei non avrebbe pianto per la sorella perduta, ma il cielo avrebbe potuto farlo al suo posto.
«Tu non capisci, Bella», ripete Andromeda. Ha gli occhi cerchiati, la bocca tremante.
Perché farlo, se soffre anche lei?
Bellatrix, intimamente, le dà ragione: non capisce.
E forse Andromeda le legge negli occhi la confusione, perché i suoi tratti si ammorbidiscono. Per Bellatrix è l'ennesima pugnalata, un altro pezzo di cuore che se ne va.
Non ha mai amato un uomo, ma conosce l'amore. L'amore per lei si fonde con la fedeltà: per il suo sangue, per la sua famiglia. Per i Black, per le sue sorelle, per la causa del Signore Oscuro che ha appena sposato. Quel sentimento le rode lo stomaco, graffia e morde e strappa l'intestino con forza. È affetto, è desiderio, è possesso.
Andromeda è sua.
Sua sorella, sua amica, sua confidente.
Quel ragazzo dal sangue sporco gliel'ha rubata, e sente la vendetta mischiarsi al dolore e iniziare a riempire lo squarcio che Andromeda ha aperto senza pietà.
«Io capisco che sei una vigliacca», dice infine con tono duro. Andromeda scappa perché è più facile che affrontare l'ira dei genitori, più facile della strada tortuosa che l'aspetterebbe per ritrovare la sanità che ha perso innamorandosi di quel ragazzo indegno.
Andromeda sussulta, la morbida treccia scivola dalla spalla e sparisce dietro la schiena. Il dolore si agita nei suoi occhi, ma Bellatrix può vedere qualcos'altro. Non ha bisogno delle lezioni di Occlumanzia che il suo Maestro le ha dato per comprendere: i lineamenti della sorella si fanno duri, algidi, superbi. Non sono mai state simili come in quel momento.
«Il mondo è marcio, ma tu hai già scelto da che parte schierarti». Non abbandona i suoi occhi, ma entrambe sanno si riferisce al tatuaggio ancora infiammato che le brucia l'avambraccio.
Bellatrix sente un calore scomodo salire dal collo alle guance. Si era sempre sentita giudicata da Andromeda, la brava, saggia Andromeda. Lei era sempre un passo indietro, sempre un po' meno.
L'aveva odiata, la odiava, per quella superiorità universalmente riconosciuta. Lei, Bellatrix, non era mai abbastanza.
Non era aggraziata, intelligente, pacata come Andromeda; non era bella, solare, angelica come Narcissa.
Bellatrix era nel mezzo, indifferente a tutti.
Solo il suo Signore aveva colto il suo potenziale, e adesso Andromeda osa giudicare anche l'unico uomo che l'ha apprezzata e continua a notare il suo valore.
Digrigna i denti, come un animale.
La odia, perché è un'egoista.
Eppure soffre, perché l'ha già persa.
E quel dolore al petto — sofferenza, odio, vendetta, amore — non se ne va, stringendo i polmoni come un serpente pronto a soffocare la sua preda.
Ha i piedi insensibili e le caviglie gelate.
Andromeda fa un altro passo avanti, Bellatrix continua a rimanere immobile.
«La mia porta sarà sempre aperta per te– per voi. Avete una sorella, non dimenticatelo, se ne avrete bisogno».
Una lacrima brilla tra le ciglia di Andromeda, un piccolo diamante catturato tra la pelle bianca e gli occhi neri. Per Bellatrix è il colpo di grazia.
La lacrima cade, il suo cuore si spezza.
Chiude gli occhi, perché non potrebbe mai dire la frase che si concretizza tra denti e palato guardando la sorella. Eppure è un errore: sotto le palpebre chiuse, nel nero, non vede la sorella traditrice che scappa nel mezzo della notte per rinnegare la sua famiglia, ma una bambina con i boccoli sparsi sulle spalle e il vestito celeste, che ride con i grandi occhi tondi perché sa che, nascoste sotto la scrivania del padre, il precettore non verrà mai a cercarle.
Ma quella bambina è sparita, rapita, morta.
Ed è Ted Tonks il colpevole, l'assassino.
Le ha rubato una sorella, un pezzo di cuore, un pezzo dell'anima.
«Non sei più mia sorella».
La voce è strozzata e la bocca trema, ma Bellatrix non può farci niente. Non piangerà per una traditrice, ma non può impedire al buco che ha al posto del cuore di pulsare e rigettare come una ferita infetta, che vomita odio nero come petrolio, come sangue.
Sente Andromeda trattenere il fiato e si morde le labbra per non far uscire il gremito che le sale alla gola, fino a sentire l’inconfondibile sapore di ferro sulla lingua.
«Addio, sorella».
È un sussurro nella notte, seguito da passi troppo leggeri per essere uditi a lungo.
Bellatrix ansima, i seni che si muovono in fretta sotto la camicia da notte troppo sottile.
Il freddo della notte le è entrato nelle ossa. Sente il gelo del castello congelarla fino a dentro, dove ormai non c'è più nulla da congelare.
Andromeda era una parte dell'equazione.
Erano in tre. Perfette.
Andromeda era.
Era.
Non sei più mia sorella.
Bellatrix vorrebbe solo crollare in ginocchio e strapparsi il petto e squarciare il dolore che la sta annientando e raggiungere Andromeda e supplicarla di restare e piangere e gridare. Ma sa quali sono i suoi doveri, i doveri di una Black.
I doveri di una primogenita.
Quindi non perde neppure tempo a raccogliere i cocci del suo cuore che si sono sparsi come vetro sul pavimento gelato.
Si gira, apre la porta.
Entra nella sua camera, scosta le coperte, si stende sul materasso freddo.
Rimane immobile, gli occhi aperti.
Fuori il vento ulula.
Forse piove, non le interessa.
Lascia che sia il cielo a piangere per lei.
Lei non avrebbe pianto per una traditrice.
Però fa male.
Dentro, nel profondo.
Chiude gli occhi. E finge che non sia una lacrima a scendere dall'occhio fino a perdersi nei capelli.
Non avrebbe pianto per una traditrice, ma avrebbe potuto farlo, per una sorella.
E una lacrima non sarebbe bastata.


 
Un filo di luce grigia filtra tra le pesanti tende di broccato. Bellatrix lo guarda mentre fa danzare la polvere al suo interno.
Le bruciano gli occhi, rimasti aperti nel buio per tutta la notte. Le fa male ogni parte del corpo, resa rigida dal freddo.
Ma il giorno è nato e lei si alza.
Non importa se il freddo la circonda, fuori e dentro, l'alba è spuntata e Bellatrix conosce i suoi doveri.
Non ha dormito, ma cos'è il sonno davanti ad un lutto?
Perché sua sorella è morta, ma ne ha ancora una. Piccola e innocente e da proteggere.
Esce dalla sua stanza e attraversa il corridoio, ma a metà si blocca.
Tra la sua stanza e quella di Narcissa c'è un'altra porta. Ora è chiusa, e ancora nessuno sa che è vuota.
Ma Bellatrix lo sa, e non riesce a muovere i piedi oltre quella linea invisibile.
Andromeda aveva la stanza al centro perché era lì che si riunivano quando la notte diventava troppo buia e l'inverno troppo lungo. Si incontravano a metà strada, Bellatrix e Narcissa, per entrare insieme nella camera della sorella e violare così almeno cinque delle regole di famiglia.
E poi mangiavano cioccolato sotto le coperte, perché Andromeda aveva il letto più grande e più caldo.
Muovere il piede è difficile, ma al primo passo ne seguono altri. Forzati, dolorosi, sofferti.
Ha le dita bianche, congelate, lo vede con chiarezza nella luce sempre più chiara dell'alba. Ma potrebbero anche tagliarglieli, i piedi. In fondo ha già perso un terzo di se stessa, non farebbe alcuna differenza.
Non bussa e si chiude con delicatezza la porta alle spalle, ma Narcissa la guarda con i grandi occhi azzurri sgranati, seduta al centro del grande letto.
Ha i capelli in perfetto ordine, nonostante gli occhi rossi che indicano una notte passata a rigirarsi tra le coperte, e Bellatrix, che sente i suoi aggrovigliati sulla nuca e sulle spalle, sente un moto di invidia e ammirazione per i perfetti fili di seta della sorella minore — l'unica sorella che le è rimasta.
«Se n'è andata, vero?».
Non risponde, ma si infila nel letto di Narcissa, che è caldo a contatto con le sue gambe bianche di freddo.
La voce flebile di Narcissa non pronuncia altre parole. Non ne hanno bisogno.
Non ne ha bisogno Narcissa, per capire.
Non ne ha bisogno Bellatrix, per spiegare.
Si avvolgono nelle coperte e tra le loro braccia.
Narcissa è fragile e calda, Bellatrix e fredda e potente.
Sente le lacrime della sorella bagnarle la pelle attraverso la camicia e la stringe di più, un braccio sulla schiena e una mano tra i capelli.
Vorrebbe sussurrarle parole di conforto, ma non è mai stata brava a consolare — Andromeda lo era.
E mentre l'alba si fa spazio in quella camera, Bellatrix lascia che il caldo di Narcissa le entri un po' dentro.
Ha perso una sorella e una voragine ora la separa da quella che le è rimasta.
Andromeda era il loro collante, il loro punto di unione, la loro forza e guida.
Andromeda se n'è andata con un Mezzosangue e Bellatrix giura che si vendicherà di quella razza indegna.
Lo giura a se stessa, a Narcissa, alle sorelle che sono state.
Lo giura all'alba che sta nascendo e al gelo che sente dentro, che è rimasto fuori dalle coperte.
Lo giura alla sorella che ha perso, alla bambina che le sorride stringendole le mani se chiude gli occhi.


 

«Non può esistere piacere più grande... nemmeno l'evento che ha allietato la vostra famiglia questa settimana?».
«Non capisco che cosa volete dire, mio Signore».
«Sto parlando di tua nipote, Bellatrix. E della vostra, Lucius e Narcissa. Ha appena sposato il lupo mannaro, Remus Lupin. Ne sarete fieri».
«Non è nostra nipote, mio Signore. Noi, io e Narcissa, non abbiamo più guardato nostra sorella da quando ha sposato quello sporco Mezzosangue. Quella mocciosa di sua figlia non ha niente a che fare con nessuno di noi, e tantomeno ce l'hanno le bestie con cui si accoppia».*

Ma quella parola rimane lì — nostra sorella.
Perché nonostante gli anni, nonostante il dolore, nonostante il giuramento di vendetta e il tempo in prigione, Andromeda è sempre rimasta ad un passo dal cuore. Nascosta, ma non abbastanza da essere dimenticata.
E anche in seguito all'umiliazione e alla gratitudine per il Signore Oscuro, quel sentimento rimane, quella parola uscita di getto dettata dalla rabbia.
Perché Bellatrix lo sa, incrociando gli occhi di Narcissa al suo fianco, che sono in tre e sempre lo saranno. Legate da un filo invisibile, nessun uomo, nessuna guerra potrà mai separarle del tutto.
Solo la morte potrà recidere quel filo, quel nodo troppo stretto che rischia di diventare un peso.
Ma Bellatrix lo sa, nel suo profondo, che se anche morirà per riscattare la sorella la sua vendetta non avrà luogo.
Perché Andromeda aveva scelto un Mezzosangue, ma era stata l'unica a salvarsi.





*da Harry Potter e i Doni della Morte, capitolo 1.
 

Note: è la prima volta che scrivo di Bellatrix, e spero di non essere andata irrimediabilmente OOC. A mia discolpa posso dire due cose: non è ancora stata deteriorata dal lungo soggiorno ad Azkaban e qui si parla di lei in quanto persona, sorella.
A dire la verità questo è il racconto più autobiografico che abbia mai scritto. Come Bellatrix, anche io ho due sorelle, e come lei sono quella nel mezzo. I suoi sentimenti sono i miei sentimenti: il suo conflitto adolescenziale con Andromeda, quell'amore/odio, ma anche il senso di appartenenza, di protezione e possesso.
Penso che chiunque sia un fratello nel mezzo possa capire: il più grande ha le aspettative, il più piccolo tutto l'affetto, a noi in mezzo che rimane?
Eppure è impossibile non voler bene ad una sorella. Il dolore di Bellatrix è il mio dolore (perché sì, mia sorella sta cambiando casa) e spero che questo mio coinvolgimento mi abbia aiutato a farvi arrivare la storia dritta e cruda come la sento io nello stomaco.
Dopo queste note epocali la chiudo prima che vi scambi per un diario, e ringrazio il giudice per aver dato l'opportunità di scrivere questa storia, di mettere me stessa nelle parole.
Alla prossima e un abbraccio,
Crudelia

 
   
 
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