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Autore: Star_Rover    12/09/2020    7 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXIX. Dulce et decorum est
 

Il paesaggio della Somme era cambiato nel corso della guerra. Nella primavera del 1918 il suolo sconnesso era caratterizzato da piccole vallate e strade sommerse. Dalle acque paludose emergevano isole di terreno fangoso, queste piattaforme erano utilizzate dai due schieramenti come avamposti, rifugi e postazioni d’osservazione.
Sulle colline invece si trovavano cave e miniere abbandonate, le quali erano state trasformate in fortini ben armati e difesi.
Il fronte si estendeva per chilometri tra enormi aeree deserte e devastate dai bombardamenti. I villaggi erano stati ridotti in rovine e cumoli di macerie. Le strade erano ostruite da tronchi bruciati che erano stati sradicati dalle esplosioni, nei punti di intersecazione tra le vie principali le mine avevano formato enormi crateri.
Ogni ponte sulla Somme era stato distrutto, la linea ferroviaria era inagibile, i binari deformi apparivano con forme astratte e contorte.
 
Come ogni mattina il tenente Wilfrid May completò il consueto volo di ricognizione, la sua squadriglia era di ritorno verso il campo di Corbie quando all’improvviso si imbatté in uno stormo nemico. May era ancora un pilota alle prime armi, il suo compito era quello di osservatore, in ogni caso aveva l’ordine di non azzardare alcun approccio con il nemico. Per un giovane irrequieto e impulsivo, e soprattutto impaziente di dimostrare il proprio valore, quello non era affatto un compito semplice. Nel momento in cui avvistò il suo primo avversario non esitò a scendere di quota per avventarsi contro di lui. Il comandante della squadriglia, il tenente Roy Brown, era un caro amico di May, così quando lo vide planare incontro al pericolo non poté far altro che seguirlo.
Lo scontro fu arduo per i piloti della RAF, i quali erano in notevole svantaggio numerico. I biplani alleati sfuggirono alle raffiche tedesche tra looping e altre acrobazie. Le truppe australiane a terra poterono ammirare uno spettacolo davvero affascinante ed eccitante.  
Brown emise un sospiro di sollievo notando che il suo compagno era riuscito ad abbattere l’avversario. Purtroppo l’illusione di vittoria fu breve. Wilfrid virò per tornare al campo, proprio in quell’istante un altro nemico si gettò al suo inseguimento, si trattava di un Fokker rosso che sfrecciava nel cielo a tutta velocità.
Brown trasalì accorgendosi che la mitragliatrice di May si era inceppata, in quelle condizioni, disarmato e vulnerabile, sarebbe diventato un facile bersaglio. Il comandante canadese non esitò a correre in suo soccorso, ma all’improvviso si trovò circondato da tre velivoli nemici, ben presto perse di vista sia il suo compagno che il triplano rosso fuoco.
I tedeschi iniziarono a volteggiare sempre più velocemente intorno al suo Camel con l’intento di abbatterlo con il fuoco incrociato. Brown fu costretto a ricorrere a manovre azzardate e assurde acrobazie per evitare di essere colpito. Nonostante la drammaticità della situazione non perse il controllo e mantenne il sangue freddo. Era consapevole che quello sarebbe potuto essere il suo ultimo scontro, ma era pronto ad affrontare il suo destino, di certo avrebbe fatto pagare cara la sua pelle al nemico.
Il Camel si impennò, si rigirò a rovescio e picchiò per poi raddrizzarsi sotto ai tre aerei tedeschi, che nel tentativo di riassestarsi per poco non si schiantarono l’uno contro l’altro. Brown ebbe il tempo di risalire di quota, i tedeschi lo individuarono e tornarono all’inseguimento. Anche quella volta l’aviatore canadese lasciò avvicinare i velivoli nemici, poi all’improvviso scivolò d’ala per ritrovarsi nuovamente al rovescio sotto di loro. Avviandosi in candela poté riprendere quota, riuscendo così a sfuggire agli inseguitori che presto lo persero di vista. Brown scrutò il cielo in ogni direzione nella speranza di ritrovare May ancora vivo. Avvistò il suo aereo a nord, in rotta verso il campo di Corbie. Immediatamente virò per raggiungerlo, così facendo si accorse del nemico che stava ancora inseguendo il suo amico. Riconobbe la sagoma rossa stagliata all’orizzonte, proprio dietro al suo compagno.
Brown salì ancora di quota, nel frattempo May continuava a muoversi a zig-zag sopra alla pianura della Somme per sfuggire alle feroci raffiche del Barone Rosso. Il Fokker seguiva tutte le mosse del suo avversario, imitando prontamente ogni manovra per non perderlo di vista.
Il tenente Brown si accorse di non avere molto tempo, May virava freneticamente da una parte all’altra per evitare il tiro del nemico, ma l’Asso tedesco era più rapido e veloce, si avvicinava sempre di più, in breve l’avrebbe sicuramente raggiunto.
Ad un tratto il Fokker smise di seguire le disperate deviazioni del suo avversario, decidendo di dirigersi verso di lui in linea retta, riducendo ulteriormente la loro distanza.
Brown sovrastò il triplano rosso, il nemico impegnato in quella spietata caccia non si accorse della presenza del secondo Camel che stava planando sulla sua coda.
May era ormai senza speranza, sapeva di non avere più alcuna possibilità. Avvertì l’inquietante ombra del Fokker alle sue spalle. Il nemico l’aveva raggiunto, Wilfrid attendeva soltanto la raffica fatale. Effettivamente avvertì una mitragliatrice, ma ben presto si accorse che qualcosa non era andato come aveva tragicamente previsto. Per prima cosa egli era ancora vivo, e il suo aereo sembrava intatto. Quando si voltò per controllare la situazione non credette ai propri occhi. Al posto del minaccioso triplano rosso dietro di sé trovò il Camel pilotato da Brown, il suo amico gli aveva appena salvato la vita.
Ancora incredulo e sconvolto May abbassò lo sguardo, sotto di lui vide il Fokker schiantarsi al suolo: il leggendario Barone Rosso era stato abbattuto. [*]
 
***

Una colonna di fumo nero si innalzò verso il cielo, Finn e i suoi compagni avevano assistito all’ultimo atto dell’avvincente battaglia. Da quella distanza però avevano appena scorto le sagome dei velivoli all’orizzonte, seguendo le loro ombre che si stagliavano contro l’intensa luce del mattino. In quelle condizioni non avevano nemmeno potuto riconoscere il triplano rosso fuoco.
Soltanto quella sera, quando un ufficiale australiano si presentò all’accampamento, gli inglesi ebbero la conferma di aver assistito alla sconfitta del Diavolo Rosso.
Un gruppo di curiosi si riunì intorno al comandante dell’Anzac, erano tutti impazienti di avere notizie sull’accaduto.
L’uomo descrisse con vivo entusiasmo la battaglia aerea, ma quando arrivò alla fine del racconto il suo tono si incupì e i suo sguardo si rattristò.
«Quando giunsi sul luogo del disastro trovai i miei compagni radunati intorno ai rottami, dove giaceva ancora la salma dell’aviatore. Mi avvicinai anche io spinto dalla curiosità, volevo vedere con i miei occhi il volto del temibile Barone Rosso. È stato strano, egli non era affatto come l’avevo sempre immaginato. Credevo di trovare un uomo spietato e un crudele assassino…invece ai miei piedi c’era solamente il cadavere di un ragazzo. Era così fragile e delicato...aveva un’espressione dolce e serena sul viso, sembrava addormentato su quel prato fiorito. Aveva un aspetto così nobile e gentile...solamente quando vidi avvicinarsi i due piloti canadesi mi ricordai che quel giovane in realtà era un terribile nemico»
Gli inglesi restarono in rispettoso silenzio, furono turbati dalle sue parole, quella che avrebbe dovuto essere una grande vittoria si era tramutata nell’ennesima prova della crudeltà di quella guerra.
Finn si ritrovò a riflettere su quelle considerazioni. Inevitabilmente ripensò alla prima volta in cui aveva visto quell’aviatore in azione nel cielo di Arras. Ricordò il cruento duello con il Brisfit e i corpi carbonizzati dei due piloti inglesi. Alla fine anche l’Asso tedesco aveva condiviso la stessa sorte delle sue vittime.
Nonostante tutto poté comprendere la pietà provata da quell’ufficiale nei confronti del nemico. Quel tedesco era stato un rivale lodevole, era caduto in battaglia con onore, come un vero eroe di guerra.
Il ragazzo tornò mestamente al suo rifugio, attraversando le trincee avvertì un clima cupo e opprimente. L’irreale morte del Barone Rosso aveva sconvolto anche le linee britanniche.
 
***

Dawber si risvegliò nel suo letto d’ospedale, era rimasto sospeso tra la vita e la morte per molto tempo, i medici avevano iniziato a perdere le speranze. La sua ripresa era stata lenta e dolorosa, per settimane non si erano manifestati miglioramenti, la situazione restava drammatica.
Quando le sue condizioni erano tornate stabili i dottori avevano considerato ciò come un vero e proprio miracolo.
Nel momento in cui Dawber aveva realmente preso coscienza della sua condizione aveva pianto, forse per la prima volta in tutta la sua esistenza. La sua gamba destra era stata amputata fino al ginocchio, l’altro arto si era fratturato in più punti, mentre l’intero suo corpo era cosparso da ustioni e cicatrici. Nemmeno il suo volto era più riconoscibile, segnato da un profondo taglio che dallo zigomo sinistro scendeva fino al collo. Per i primi tempi non poteva né parlare né mangiare. I medici utilizzavano ancora una sonda per nutrirlo con un intruglio a base di uova dall’odore nauseante.
A causa della povera alimentazione, della malattia e dell’immobilità Dawber era dimagrito in modo impressionante. Il soldato, un tempo prestante e muscoloso, era deperito diventando quasi scheletrico. Era pallido e debole, anche il semplice respirare era uno sforzo immane per lui. Riusciva a sopportare il dolore solamente grazie alla morfina.
Trascorreva ogni notte in preda agli incubi e alle allucinazioni. A volte aveva provato a ricordare, ma nella sua mente si susseguivano solamente immagini frammentate e confuse.  
Aveva una sola certezza: era stato Hugh a salvarlo. Sapeva che era stato lui a soccorrerlo, a stringerlo tra le braccia e a sussurrargli parole di conforto. Lo sguardo preoccupato del suo compagno era l’ultima cosa che aveva visto prima di perdere i sensi.
Il suo rapporto con Hugh era sempre stato complesso, i due erano molto diversi, al di fuori della guerra le loro strade non si sarebbero mai incrociate. Eppure, nonostante tutto, entrambi non avevano mai esitato a supportarsi e a proteggersi a vicenda. Erano diventati buoni compagni, con il tempo erano entrati in confidenza, arrivando a confessarsi i loro più intimi segreti.
Hugh era l’unico a cui aveva parlato della sua famiglia, in lui rivedeva se stesso, la parte migliore di sé, quella che ormai era svanita per sempre. Per questo aveva tentato in ogni modo di salvarlo.
 
Dawber provò un profondo dolore ripensando alla sua famiglia. Erano trascorsi cinque lunghi anni dall’ultima volta in cui aveva visto i suoi cari. I suoi figli erano cresciuti, il primogenito avrebbe compiuto dieci anni quell’estate, mentre il più piccolo aveva appena festeggiato il suo sesto compleanno. Dawber si domandò che aspetto potessero avere, ricordava alla perfezione ogni particolare dei loro volti, ma quelle immagini erano rimaste bloccate nel tempo.
Quei bambini si ricordavano ancora di lui? Che cosa pensavano del padre che era scomparso dalle loro vite?
Dawber si rattristò, non aveva mai avuto intenzione di abbandonare le persone più importanti della sua vita. Aveva deciso di andarsene, ma in realtà non aveva mai smesso di prendersi cura dei suoi familiari. Era per il loro bene che aveva scelto di non tornare, per non deluderli, per non fare più del male a coloro che amava.
La rinuncia era stata la sua più grande dimostrazione d’amore.
Dawber fu invaso da una profonda sensazione di malinconia al ricordo della moglie. Erano solamente due ragazzini quando si erano innamorati, ma i suoi sentimenti nei suoi confronti non erano mai cambiati. Fin dal primo momento aveva avuto la consapevolezza che lei sarebbe stata la donna della sua vita, e nonostante tutto, dopo tanto tempo, quella certezza restava immutata nel suo cuore.
Sapeva di averla fatta soffrire, e non si sarebbe mai perdonato per questo.
Aveva provato con tutto se stesso a diventare un uomo migliore, un degno marito e un buon padre…ma aveva avuto la sua possibilità ed aveva fallito. Ormai era troppo tardi per rimediare agli errori del passato. Era tutto perduto, questa volta per sempre.  
 
***

Una folata d’aria gelida entrò attraverso le sbarre, le flebili fiamme della candele tremarono, proiettando ombre oscure sulle pareti umide. La cantina era buia e silenziosa, dal corridoio giungeva un intenso odore di alcol misto a tabacco. La notte era lunga anche per i soldati tedeschi.
Il tenente Green si rigirò tra le coperte, tormentato da timori e angosce ricorrenti. Con il passare del tempo i suoi pensieri divennero sempre più cupi, in quelle drammatiche condizioni non poté far altro che prepararsi al peggio.
Richard non aveva mai ambito ad una morte gloriosa sul campo di battaglia, era sempre stato deciso a compiere il suo dovere, più volte aveva dimostrato di essere disposto a sacrificarsi per i suoi compagni. Eppure in quel momento realizzò di non voler andare incontro ad una fine miserabile. Non aveva intenzione di morire di stenti in quella cella, non poteva arrendersi, non voleva abbandonare i suoi commilitoni. Il suo più grande rammarico era Finn, non aveva nemmeno avuto la possibilità di dirgli addio, non era riuscito a dimostrargli quanto fosse realmente importante per lui. Aveva infranto la sua promessa tradendo la sua fiducia. Questo restava il suo unico rimpianto.
 
***

Finn rivolse lo sguardo verso la terra di nessuno, oltre ai reticolati, dove il tenente Green era scomparso.
Il giovane fissò intensamente quel preciso punto, la quiete della notte rese i suoi pensieri ancora più tristi e malinconici.
Avrebbe voluto reagire, ma non sapeva come, era sempre più difficile mantenere la calma in quella situazione, ma non voleva arrendersi alla disperazione. Non avrebbe mai dubitato del suo amato, dentro di sé sapeva che Richard avrebbe fatto tutto il possibile per tornare da lui. Nonostante ciò non voleva illudersi, ormai non gli rimaneva alcuna certezza.
Finn si voltò avvertendo il rumore d alcuni passi, nella penombra riconobbe il sergente Redmond.
L’uomo si avvicinò fermandosi al suo fianco: «come mai sei ancora qui? Il tuo turno di guardia è terminato»
Il ragazzo sospirò: «in ogni caso non riuscirei a dormire»
Il sergente non ebbe bisogno di interrogarlo per comprendere i suoi tormenti.
«Il tenente Green è l’uomo più valoroso e determinato che abbia mai conosciuto. Devi avere fiducia in lui»
«Lei pensa che sia ancora vivo?»
Redmond guardò il suo interlocutore negli occhi: «voglio credere che sia così»
Finn riconobbe un velo di tristezza in quelle parole.
Il sergente ripensò a quando aveva consolato il tenente Green nelle Fiandre, a quel tempo non conosceva la causa del suo dolore, ma ora tutto era più chiaro. Il legame tra quei due giovani era forte e intenso, Redmond ignorava la vera natura di quel rapporto, e in fondo nemmeno gli importava. Voleva bene a Green come a un figlio e di conseguenza si era affezionato anche al suo fedele attendente.
«Sai, ero sincero quando ti ho detto che eri davvero importante per il tenente. Sono certo che anche lui sia preoccupato per te in questo momento, ovunque egli sia…»
Finn si commosse nel sentire quelle parole, non sapeva perché il sergente si stesse dimostrando così apprensivo nei suoi confronti, ma si fidava di lui. Aveva già avuto prova che anch’egli avesse a cuore il bene di Richard.
«È tardi, dovresti almeno provare a riposare» suggerì Redmond con tono benevolo.
Finn annuì, era stata una giornata impegnativa e nonostante tutto iniziava ad avvertire la stanchezza.
«Buonanotte sergente»
Redmond rispose al saluto, si strinse nella giacca e rimase ad osservare il ragazzo sparire oltre al muro di terra. Aveva un pessimo presentimento, un giovane soldato dall’animo ferito e tormentato era potenzialmente pericoloso.
Il sottufficiale tornò sui suoi passi, forse si stava preoccupando in modo eccessivo, ma il suo istinto non l’aveva mai tradito.  
 
***

All’alba l’artiglieria tedesca sferrò un decisivo attacco, un gran numero di batterie furono coinvolte, l’intero crinale era stato armato con cannoni e mortai. Enormi colonne di fango si sollevarono nella desolata terra di nessuno, i proiettili bruciavano avvolti dalle fiamme, scie incandescenti brillavano nel cielo.
Il suolo tremava a causa delle continue esplosioni, il fragore era assordante, nel mezzo della confusione i soldati non riuscirono nemmeno a distinguere il rombo dell’artiglieria britannica che aveva iniziato a rispondere al nemico.
Al termine di quell’intenso bombardamento iniziò il fuoco di sbarramento, la fanteria tedesca avanzò nella terra di nessuno tra la nebbia e i proiettili, infiltrandosi nelle linee britanniche.
Gli inglesi faticarono a determinare la posizione dei soldati nemici che si muovevano tra la foschia come fantasmi, i segnali di SOS furono mascherati dal fumo intenso. La nebbia impedì anche agli aviatori della RAF di trarre informazioni utili durante le missioni di osservazione, così gli inglesi non furono in grado di indirizzare con precisione il fuoco d’artiglieria durante il contrattacco.
 
Finn si strinse contro al muro di terra, gli ordini erano stati chiari, ogni soldato doveva mantenere la sua posizione e prepararsi ad affrontare il nemico.
A causa della nebbia la visibilità era estremamente ridotta, in assenza di vento la situazione era destinata a restare svantaggiosa per gli inglesi.
I tedeschi continuarono ad avvicinarsi alle trincee britanniche, sfidando i colpi dei fucili e le raffiche di mitragliatrici, mentre palle di shrapnels scoppiavano sopra alle loro teste.
Gli inglesi ebbero l’impressione di essere travolti da ondate inarrestabili di soldati nemici. I tedeschi raggiunsero i reticolati, ormai distrutti dal precedente bombardamento. Faccia a faccia con il nemico il combattimento divenne sempre più intenso e cruento.
Nel mezzo dello scontro Finn notò che una mitragliatrice Lewis era rimasta intatta, per raggiungerla però avrebbe dovuto esporsi pericolosamente al nemico. Il giovane osservò i suoi compagni che rispondevano ardentemente al fuoco con i loro fucili, incitati dalle grida di incoraggiamento del caporale Speller. Il ragazzo non esitò ad agire, animato dall’eccitazione bellica seguì il suo istinto, sfidando le pallottole tedesche per raggiungere il suo obiettivo. Miracolosamente riuscì ad arrivare sano e salvo alla postazione. Prontamente prese il controllo dell’arma ed iniziò a sparare, mirando alle postazioni nemiche.
Finn continuò a premere il grilletto in preda all’esaltazione, soltanto quando l’otturatore si inceppò egli tornò alla realtà. Aveva ancora i nervi tesi, il cuore batteva all’impazzata nel suo petto mentre il sangue pulsava nelle vene.
Il soldato si passò una mano sulla fronte sudata, rimase impietrito davanti alla canna fumante della mitragliatrice, incredulo di essere ancora vivo. Per lui fu come risvegliarsi da una potente allucinazione.
Finn sgranò gli occhi realizzando di essere rimasto solo, il suo gesto eroico l’aveva intrappolato nella terra di nessuno, troppo distante dalle linee britanniche e troppo vicino alle trincee nemiche.
 
Il tenente Foley scorse delle ombre grigie in avvicinamento. L’ufficiale si arrampicò sul parapetto e con la sua Webley sparò al nemico. Tre soldati caddero fatalmente a terra, mentre gli altri corsero al riparo. La postazione tedesca era ben protetta, la mitragliatrice continuò a sparare contro la linea britannica. 
A quel punto William afferrò una granata e la scagliò oltre alla barricata. La bomba raggiunse il suo obiettivo, l’esplosione gettò in aria una nube di fumo e schegge, la squadra di artiglieri fu annientata, non restarono superstiti.
Poco dopo Foley si ritrovò coinvolto in un’intensa sparatoria, la terra di nessuno fu attraversata da una fitta pioggia di proiettili. La sfida tra le due mitragliatrici durò a lungo, finché il tenente britannico non fu gravemente ferito. Un proiettile lo colpì alla spalla destra, penetrando in profondità. I suoi commilitoni lo soccorsero prontamente, trascinandolo al riparo.
Due soldati lo distesero su una barella, l’ufficiale giaceva inerme, pallido e privo di sensi.
 
Il sottotenente Waddington e il soldato Walsh si trovarono soli nella terra di nessuno. Si erano persi a causa della nebbia e correndo tra bombe e proiettili avevano trovato rifugio in un profondo cratere.
Waddington si rannicchiò sul fondo della buca mentre la tempesta di proiettili diventava sempre più intensa. Il sottotenente intuì che presto quella fossa si sarebbe trasformata in una trappola mortale.
Prontamente ordinò al suo compagno di seguirlo in superficie, ma egli restò fermo come una statua.
«Forza, non possiamo restare qui!» ribadì con più insistenza.
Il soldato rimase immobile.
«Non abbiamo molto tempo, dobbiamo andare!»
«Mi dispiace signore, non posso…»
Il sottotenente non comprese il reale significato delle sue parole e provò ancora una volta a convincerlo.
Walsh alzò la testa guardando il suo superiore negli occhi. In quel momento Waddington intuì ciò che egli aveva intenzione di fare. Conosceva bene quello sguardo vacuo e rassegnato. Walsh non era più stato lo stesso dopo la morte di McCall, sapeva che i due erano sempre stati uniti come fratelli. Probabilmente si sentiva in colpa per l’accaduto e non poteva più sopportare quel peso sulla sua coscienza. La mancanza del suo compagno era diventata insostenibile. Preferiva condividere la sua stessa sorte piuttosto che affrontare il dolore della guerra senza di lui.
Nonostante tutto il soldato Walsh aveva un’espressione calma e serena, era convinto della sua decisione, il suo fu un silenzioso addio.
Il sottotenente Waddington fu costretto a farsi forza per separarsi dal suo commilitone e abbandonare il cratere. Non aveva altra scelta, così tornò a correre verso le linee britanniche. 
Si era allontanato solo da pochi istanti quando all’improvviso un proiettile d’artiglieria colpì in pieno il rifugio da cui era appena fuggito.
Waddington osservò con orrore l’intensa nube di fumo tra la nebbia e le fiamme. Rimase paralizzato, a stento si resse sulle gambe tremanti. Avvertì gli occhi umidi, non poteva credere a ciò che era appena successo.
Una seconda esplosione lo riportò alla realtà, l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento, così continuò la sua disperata fuga senza più voltarsi.
 
Finn si arrampicò sulla parete di fango raggiungendo il bordo del cratere. Riuscì ad abbassarsi appena in tempo per evitare una raffica di proiettili che fendette l’aria sopra la sua testa.
Il ragazzo maledisse se stesso e la propria ostinazione per essersi cacciato in quella situazione.
Ritrovandosi solo nel mezzo della battaglia fu costretto ad ammettere la verità, nonostante la sua determinazione egli restava ancora un soldato inesperto. In quel momento consigli e raccomandazioni gli sarebbero stati utili, ma soprattutto avrebbe avuto bisogno del sostegno e della guida del suo comandante.
Avrebbe voluto dimostrare il suo valore in onore di Richard, invece aveva finito per agire come il ragazzino testardo e impulsivo che era sempre stato.
Finn tentò di reagire in modo razionale, dalla sua posizione poteva intravedere il reticolato britannico, ma quella striscia di terra che lo separava dalla salvezza era continuamente bersagliata da proiettili e granate.
Ad un tratto il giovane avvertì un altro pericolo, riconobbe immediatamente quell’odore intenso e dolciastro. Prontamente indossò la maschera antigas e cautamente si sporse dal cratere. Una densa nube di fosgene si stava avvicinando minacciosamente alle linee inglesi.
Finn era intenzionato a strisciare in superficie, ma la forza d’urto di una vicina esplosione lo scaraventò nuovamente sul fondo della fossa.
Riprese conoscenza ritrovandosi disteso in una pozza di melma. Iniziò a boccheggiare, respirava a fatica. Con orrore Finn pensò che la valvola non stesse funzionando, o che la maschera si fosse strappata. La nube di gas si stava espandendo sempre di più all’interno della buca, ben presto il vapore mortale non gli avrebbe lasciato alcuna possibilità. Era certo di non poter resistere a lungo in quelle condizioni, gli occhi lacrimavano in continuazione mentre i polmoni bruciavano dolorosamente ad ogni respiro, il suo petto si muoveva freneticamente tra gli spasmi.
Finn avvertì che le forze lo stavano abbandonando, aveva la vista annebbiata, l’eco delle esplosioni rimbombava incessantemente nella sua testa. I pensieri divennero confusi e frammentati, ormai stremato il ragazzo si accasciò al suolo, ebbe la sensazione di fluttuare nel vuoto, poi tutto fu avvolto dall’oscurità.
 
 
 
 
 
 [*] Le vicende in parte romanzate in questa storia sono basate principalmente sulla testimonianza del capitano canadese Arthur Roy Brown, la cui versione dei fatti è piuttosto eroica e romantica. In realtà la morte del Barone Rosso è rimasta a lungo avvolta dal mistero e la questione ha dato origine a molte controversie nel corso degli anni. La RAF ha ufficialmente riconosciuto l’abbattimento da parte del capitano Brown. Al giorno d’oggi però storici ed esperti di balistica concordano nel sostenere che von Richthofen fu colpito da terra da una mitragliatrice australiana, probabilmente fu il sergente Cedric Popkin a sparare il proiettile fatale.
   
 
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