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Autore: Henya    12/09/2020    3 recensioni
Salve a tutti :) questo è il proseguimento della mia prima fanfiction "Never Lose Hope".
Anya , dopo essere partita con Rai per la Cina, ritorna a Tokyo dopo avere ricevuto alcune notizie dalla sua amica Hilary. Da qui ha inizio una lunga e ingarbugliata serie di eventi che, per chi già mi conosce, non saranno certo rose e fiori ^_^""
Spero possa piacervi :) Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Rei Kon, Yuri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sto quasi per svegliarmi e, anche se i miei occhi sono ancora ben sigillati, le mie orecchie iniziano a captare una serie di suoni e rumori provenienti dalla finestra, che probabilmente avrò lasciato aperta. A costringermi a sollevare le pesanti palpebre è, però, un altro rumore e così decido di sollevarmi pian piano, cercando di mettere gli occhi a fuoco, che nella penombra, scorgono una figura a me nota.
“ Kai…” sussurro con voce impastata dal sonno, provando ad alzarmi. “ Ma dove sei stato tutta la notte?” chiedo, osservandolo mentre si veste.
Tuttavia, la sua risposta è il silenzio.
Dopo avermi urlato contro e sbattuto la porta non è più tornato. Sono rimasta qui sul nostro letto a piangere e rimuginare su quanto ci siam detti durante la lite, per infine addormentarmi tra le lacrime che rigavano il volto.
Sotto il mio sguardo ancora confuso e assonnato, Kai si avvia ad uscire, passando davanti a questo letto  come se fosse vuoto.
“ Hai intenzione di ignorarmi?”. Ma non mi faccio intimorire. Mi alzo ed esco anch’io dalla stanza, urlandogli queste parole contro, nella speranza che lo costringano a fermarsi.
 “ Ho fretta” asserisce con freddezza.
“ E’ tutto quello che hai da dire?” lamento esasperata.
La notte scorsa abbiamo litigato, è sparito nel nulla, adesso ritorna e tutto quello che ha da dirmi è che ha fretta?
Inizia a scendere uno ad uno i gradini, lasciando il discorso sospeso in aria, ma soprattutto lasciando me, qui, come una stupida ad attendere una risposta che non arriverà mai.
Ecco. Ci risiamo.
Kai Hiwatari è tornato.
Freddo, impassibile, indifferente, egoista, altezzoso.
E questo cambiamento è avvenuto in ben una sola notte.
Una stupida bugia, di cui mi pento amaramente, è bastata a riportarlo alle impostazioni originali di fabbrica.
Ma stavolta non sarò indifferente alla sua indifferenza, così decido di affrontarlo e scendo velocemente le scale, seguendolo fino alla porta d’ingresso, superandolo e parandomi di fronte ad essa per impedirgli di uscire.
“ Eva, togliti” ordina, osservandomi per un millisecondo dritto negli occhi, per poi, vista la mia ostinatezza, chiuderli con impazienza.
“ Dobbiamo parlare”.
“ Abbiamo già parlato” risponde prontamente.
“ Sì, ma adesso dobbiamo risolvere la questione” puntualizzo severamente e in tutta risposta ricevo una risata di sfottimento.
“ tzs! Risolvere?” mormora tra sé e sé, con aria stizzita.
“ Dico sul serio” ribatto duramente.
“ E sentiamo…” inizia a dire a gran voce, abbandonando la sua posizione e dirigendosi in salotto,
“ Come vorresti risolvere?” sussegue a dire, incrociando le braccia al petto  e fissandomi con ostilità.
Dal canto mio, mi ritrovo ancora una volta impreparata e con addosso il peso dei suoi occhi che mi incitano, o meglio, obbligano, a dare una risposta prima che lui perda nuovamente la pazienza e vada via.
“ Io voglio sistemare le cose, Kai…” esordisco, usando stavolta un tono di voce che vuole essere pacifico, senza odio od ostilità. Voglio veramente sistemare le cose. “ Mi dispiace di averti mentito, non avrei dovuto farlo!” spiego, portandomi una mano al petto, in segno di pentimento ed avvicinandomi con cautela a lui, per trovare un miglior contatto visivo “Hai tutte le ragioni per essere arrabbiato! Ma…”. Deglutisco sonoramente, consapevole del fatto che ciò che sto per dire lo manderà su tutte le furie ancora una volta. Ma non m’importa, devo dirlo. “ Ma…anche tu in passato hai sbagliato…”. La mia mano non fa in tempo a toccare il suo braccio, poiché a queste parole, come avevo previsto, si allontana furiosamente.
“ Ti ho detto che non devi menzionare questa storia per pararti il culo!” sbotta, serrando i pugni.
“ E invece è proprio questo quello di cui voglio parlare!” ribatto duramente, puntando un dito minaccioso. “ Perché io ti ho perdonato, ma tu non puoi perdonare me?”.
“ Perché è diverso!”.
Diverso?
“ No Kai, non è diverso! Quello che mi hai fatto tu in tutti questi anni è dieci volte peggiore di una stupida bugia!”.
“ Stupida bugia?” ripete incredulo, con aria stizzita. “Eva, tu hai finto una gravidanza!” mi ricorda con tono rabbioso, puntandomi un dito, così vicino da costringermi a indietreggiare.
“ Va bene, ho esagerato!” ammetto, infine. “ Ma era l’unico modo per avere delle attenzioni da parte tua!” gli ricordo, invece io, e forse anche ingenuamente.
“ E così decidi di mentirmi spudoratamente? Cosa avresti fatto tra nove mesi? Ti saresti messa un cuscino sotto la maglia e poi saresti tornata a casa con un bambino adottato chissà dove?”.
“ Ma cosa stai vaneggiando?” urlo, innervosita dalle sue parole prive di senso.
“ Non sto vaneggiando! E’ quello che continuo a chiedermi? Se non ci fosse stato l’incidente, fin dove saresti arrivata? Perché ti conosco e so che tu, in queste situazioni, non hai limiti. Fai di tutto pur di avere ciò che vuoi”.
“ Perché, tu no? Non era il tuo motto di anni fa? Com’era? Ah sì, Kai Hiwatari ottiene sempre ciò che vuole, non era così?” ribatto duramente, con aria di sfida.
Kai assottiglia gli occhi, osservandomi minaccioso. Poi, fa qualche passo avanti, parandosi di fronte a me.
“ Forse è questo il problema…” proferisce con voce calma ma piena di risentimento, “ siamo troppo simili” sentenzia infine, penetrandomi intensamente con lo sguardo. E a queste parole, deglutisco dolorosamente, cercando di sostenere la forza del suo sguardo. Infine abbasso gli occhi, rendendogli noto che la conversazione per il momento è finita, anzi sospesa, probabilmente fino alla prossima volta in cui ci vedremo e ce le diremo di santa ragione, ancora una volta.
Rimane qualche secondo fermo nella sua posizione, poi decide di andare via e chiudere di nuovo con forza la porta dietro di sé.
Istintivamente porto le mani tra i capelli, sbuffando sonoramente ed iniziando a vagare per la stanza senza un motivo ben preciso.
Siamo sempre stati molto simili ed è proprio questo che ci ha sempre tenuti uniti.







***








“ Come fai a badare a due bambini?” domando alla mia amica, facendo delle smorfie buffe al neonato che tengo in braccio. “ Sono così teneri” esclamo sognante, spostando lo sguardo verso il maschietto, che Hilary sta allattando al biberon.
“ Bella domanda” si limita a rispondere con aria stanca, lanciando un’occhiata complice al marito seduto al tavolo con noi, ma intento a lavorare al pc e circondato da libri che sembrano mattoni.
“ Diciamo che dormire è diventato ormai un lusso, specialmente quando il dottorino lavora in ospedale di notte” spiega, con tono pungente rivolto al marito che continua a far finta di ignorarla.
“ Ad ogni modo… sopravvivo. E poi per fortuna mia madre, quando può, viene a darmi una mano!”.
“ Mi sembra giusto! E a proposito di bambini, voi avete notizie riguardo a Eva?”.




***




Stamattina sono a casa,  e per un improvviso cambio di turno, mi ritroverò a lavorare stanotte, per l’immensa felicità della mia consorte. Quindi, ne approfitto per dedicarmi allo studio per gli esami della specializzazione, perché tra bambini e lavoro, non ho mai tempo, ultimamente. Insieme a me, in cucina, si trovano a chiacchierare Anya e Hilary e non bado molto a ciò che dicono. Ogni tanto arrivano alle orecchie delle frecciatine da parte di mia moglie, ma tutto sommato questo chiacchiericcio di sottofondo non mi distrae dal mio studio. Almeno fino a che non ho sentito nominare Eva, il che mi ha costretto ad assottigliare l’udito perché so che, da un momento all’altro, interpelleranno il sottoscritto. Me lo sento.
Ma finché non si rivolgeranno direttamente a me con una domanda ben specifica, continuerò a far finta di niente e proseguire a tener fissi gli occhi sul mio portatile.
“ A dire la verità non so molto, so che sono stati dimessi dall’ospedale e che tutto sommato stanno bene!” sento dire ad Hilary.
“ Ho capito… e riguardo al bambino?” chiede, ancora una volta Anya.
“ Beh, questo dovremmo chiederlo a Yuri…”.
Ecco, sono stato nominato.
“ Tu sai qualcosa?” sussegue a domandare mia moglie.
Dal canto mio, sposto lentamente gli occhi in loro direzione e invito le qui presenti a ripetere la domanda, fingendo di cadere dal mondo dei sogni.
“ Hai notizie della gravidanza?”, ripete.
Benissimo. La tanto attesa domanda è arrivata e per fortuna mi trovo preparato a rispondere.
“ Purtroppo… l’hanno perso” mi limito a dire dispiaciuto, provocando, con le mie parole, lo sgomento nelle mie interlocutrici.
“ Santo cielo” esclama Anya, profondamente toccata dalla notizia, imitata da Hilary che sembra vagare lo sguardo nel vuoto.
“ Deve essere stato un duro colpo anche per delle persone come loro” commenta la neomamma, rivolgendosi all’amica, ancora fortemente turbata.
Mi dispiace mentire, soprattutto ad Hilary, ma ho riferito ciò che mi è stato indicato di dire. Hiwatari è stato chiaro e, se poi consideriamo il fatto che sono un medico, più che una bugia, possiamo definirlo un segreto professionale. Quindi, tecnicamente, non sto mentendo, sto solo preservando la privacy dei miei pazienti.
Consolato da questa constatazione e resomi conto che quelle due sono tornate a parlare tra di loro, probabilmente riguardo alla notizia appena appresa, ritorno a studiare, anche se in questo momento vorrei soltanto dormire su questi libri.








***







Sono appena arrivata a scuola e sto aspettando con impazienza Kai. Perché ho come l’impressione che non si presenterà? Tra poco inizia l’ennesimo stupido incontro con psicologi e insegnanti e, posso capire che non si era presentato la settimana scorsa perché era in ospedale, ma oggi? Gli ho mandato un messaggio ricordandogli dell’appuntamento, nel caso lo avesse dimenticato, ma non l’ha visualizzato, né ha risposto.
E poi, dopo aver appreso stamattina la tragica notizia, beh, mi sento un po’ strana. Mi dispiace un sacco, perché perdere un bambino deve essere un duro colpo, soprattutto in seguito ad un incidente, e il problema è che non so come comportarmi nei suoi confronti. Dovrei dirgli qualche frase di circostanza come – mi dispiace- o –vi sono vicina-,  ma queste frasi andrebbero bene per chiunque, non per un tipo come Hiwatari che, so già, se ne uscirebbe con una delle sue frasi sprezzanti, anche in circostanze tragiche come queste.
Ecco, gli altri genitori stanno già per entrare in aula e di Hiwatari neanche l’ombra. I miei occhi sono puntati laggiù, alla fine del corridoio, nella speranza che appaia da un momento all’altro. Così decido di farmi coraggio e inviargli una serie di messaggi che sicuramente ignorerà.
“ Sono qui” si limita a dire atono, apparendo come dal nulla, ma non ho il tempo di aprire bocca perché, passato di striscio è subito entrato, lasciandomi qui a portare gli occhi al cielo e prendere un profondo respiro prima di raggiungerlo in aula.







L’incontro è iniziato già da un quarto d’ora e, a parte qualche genitore un po’ troppo esuberante, nessuno interviene a fare domande o nei dibattiti su come sia meglio educare i propri figli.
Accanto a me, Kai se ne sta tutto il tempo a scorrere il dito sullo schermo del cellulare, senza alzare gli occhi neanche per sbaglio.
“ Potresti almeno fare finta di ascoltare” bisbiglio, cercando di vedere con la coda dell’occhio cosa ci sia di interessante in quel cellulare.
“ Cioè, come stai facendo tu?” replica sarcastico, staccando solo per un millisecondo gli occhi dall’oggetto d’interesse, giusto il tempo di lanciarmi uno dei suoi sguardi di sufficienza che tanto odio.
Almeno io mi sto sforzando. Cosa ci viene a fare allora? Beh, in realtà è già un miracolo che si sia presentato. Non me l’aspettavo visto quello che ha passato e che, probabilmente, sta passando.
Mi soffermo ancora una volta a osservarlo, con la coda dell’occhio, e mi rendo conto che non sembra turbato o triste, insomma, mi sembra lo stesso Kai di sempre, impassibile. Inoltre, non posso fare a meno di notare che il suo dito sta scorrendo su una serie di foto di soggetti femminili.
Non capisco.
Perché guarda foto di ragazze?
Gli uomini non cambiano mai.
Un suo improvviso movimento, però, mi costringe a distogliere lo sguardo altrove e fare finta di seguire la conferenza, mentre lui, finalmente, rimette il cellulare in tasca e si posiziona in modo più rilassato sulla sedia, muovendo nervosamente la mano sul banco.
Improvvisamente, lo schermo del mio telefono si illumina ed emette una vibrazione che fa tremare il banchetto al quale siamo seduti. Istintivamente porto gli occhi sull’oggetto e non appena mi accorgo che si tratta dell’arrivo di un messaggio di Takumi, mi appresto a spegnere il display. Tutto ciò non è passato inosservato agli occhi di Kai, che ha subito puntato gli occhi sul cellulare e poi su di me, insospettito dalla mia reazione.
Un messaggio di Takumi? Mio dio, cosa vuole? Beh, leggerò il messaggio più tardi, lontano da occhi indiscreti.






Più tardi, quando l’incontro finalmente giunge al termine, mi appresto a raggiungere Hope per portarla a casa e mentre la piccola raccoglie le sue cose nello zainetto, decido di leggere il messaggio di Takumi.

-    Stasera sei libera?-

Cavolo. No che non sono libera.

-    Mmh veramente no-

Rispondo al messaggio, senza ulteriori esitazioni.

Ma il messaggio non viene letto subito, così decido di mettere via il cellulare e controllare se Hope è pronta per andare via.
“ Saluta la maestra!” le dico, invitandola ad agitare la manina e, una volta usciti dalla classe, raggiungiamo Hiwatari in auto, che dopo avere allacciato le cinture di sicurezza, mette in moto e ci riporta a casa.

Durante il tragitto, penso e ripenso a cosa potrei dire a Kai, riguardo al bambino. Nonostante non lo sopporti ogni minuto della mia vita, mi dispiace molto per quello che gli è successo, quindi penso sarebbe giusto dirgli almeno qualcosa. Il problema è trovare il coraggio di aprire bocca, visto che per tutto il viaggio in auto nessuno proferisce parola, se non ogni tanto Hope per cantare una delle sue canzoncine.
Senza accorgermene l’auto si ferma e guardando alla mia destra capisco di essere arrivata a casa.
Così, esco dall’auto e aiuto Hope a scendere, ma…
“ Cosa stai facendo?” chiede Kai, alzando un sopracciglio.
In che senso?
“ Sto…prendendo Hope?” affermo, formulando una domanda, come se in realtà non fossi sicura di ciò che io stessa stia facendo.
“ Oggi tocca a me tenerla”. Questa sua affermazione mi prende alla sprovvista. Sinceramente non pensavo che se ne ricordasse e, soprattutto, non credevo che avrebbe voluto che Hope stesse a casa sua proprio in questo periodo.
“ Ehm, non ho preparato la borsa con le sue cose, in realtà” confesso.
“ Allora sbrigati” ordina, con fare seccato.

Dopo circa dieci minuti, sono di nuovo giù, a consegnare la roba della piccola a Kai, ma prima che lui possa accendere il motore e andare via…
“ Kai”. Al mio richiamo, scosta leggermente il capo in mia direzione “ Ho saputo della vostra perdita e…” deglutisco, sotto il suo sguardo impassibile “ e volevo dirti che… mi dispiace” concludo, tristemente. Lui abbassa gli occhi, accigliandosi leggermente, poi torna a fissare dritto innanzi a sé e con un lieve cenno del capo mi fa intuire che sta andando via.
Rimango un po’ scettica di fronte a tale atteggiamento, ma poi, saluto la mia piccolina seduta ai sedili posteriori e seguo con lo sguardo l’auto mentre avanza, fino a sparire all’angolo della strada.

Come può mostrarsi sempre così indifferente?

Per la seconda volta, mi ritrovo a salire i gradini di questa scala che mi porteranno al quinto piano, ma stavolta ogni movimento è lento e scandito, quasi come se non avessi la forza di affrontare questo lungo tragitto. Mi sento talmente stanca! Ma la vibrazione all’interno della tasca mi avvisa dell’arrivo di un messaggio e, continuando la salita, estraggo il cellulare, trovando sullo schermo ancora una volta il nome di Takumi e un suo sms.

-    Sei sicura di essere impegnata?






***





Sto mangiando uno yogurt stando in piedi in cucina, osservando le calamite attaccate al frigorifero, segno dei viaggi che io e Kai abbiamo fatto in questi anni. In realtà, la mia attenzione è catturata da una foto che abbiamo fatto durante la luna di miele: io sfoggio il mio miglior sorriso, mentre lui rimane sempre serio e impassibile. Eppure, riesce sempre a venir bene in ogni foto.
Il rumore di un motore mi costringe a distogliere lo sguardo verso la finestra e, spostando la tendina, scorgo la mia auto, che Kai orami usa come fosse sua, e da essa esce fuori la bambina.
Non posso crederci.
Con un gesto repentino butto il cucchiaio nel lavandino e il vasetto di yogurt nella spazzatura, sospirando rabbiosamente.
Non posso credere che l’abbia portata qui con quello che stiamo passando!
Stringo i pugni come se volessi strozzare qualcuno di invisibile di fronte a me, ma quel qualcuno è proprio il soggetto senza sorriso di quella fotografia.
Sta mettendo alla prova, ancora una volta, la mia pazienza.



***





“Posso giocare con la bici?” mi chiede la piccola mentre ci apprestiamo ad entrare in casa.
“Adesso vediamo…” mi limito a dire, sotto il suo sguardo innocente. Una volta in casa, abbandona la mia mano e corre via buttandosi sopra il divano e ridendo, quasi fosse la cosa più esilarante di questo mondo. Mentre poggio la sua roba in corridoio, avverto dietro di me la presenza opprimente di qualcuno.
“ Davvero, Kai?” esordisce, contrariata.
“ Davvero” confermo senza timore, voltandomi in sua direzione e trovandola a braccia conserte con aria di rimprovero.
Di fronte alla mia ostinatezza, abbandona le braccia lungo i fianchi e poi le agita stringendo i pugni, quasi stesse trattenendosi dall’insultarmi. Infine, volta i tacchi e sale al piano di sopra, mentre io rimango qui a fissare il punto che ha lasciato, e ascoltare il rumore dei suoi passi pesanti giungere fino in camera e sbattere la porta.
Perché l’ho portata qui?
Beh, non lo so nemmeno io, a dire la verità.
Forse non avrei dovuto, ma ormai l’ho fatto.
E mi sento in colpa per questo?
No.
Troppo facile prendersela sempre con Hiwatari.



La serata passa tranquillamente, cercando di assecondare ogni capriccio di Hope, che, dopo una maratona di cartoni animati, crolla come un sasso. La sollevo e la porto al piano di sopra fino alla sua stanza e, dopo averla messa a letto, spengo la luce ed esco lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile.
Mi dirigo in stanza, ma una volta arrivato di fronte alla porta, mi ricordo che dentro vi è Eva, chiusa lì da tutto il pomeriggio e ciò mi impedisce di entrare, perché voglio evitare ogni contatto con lei, almeno per stasera. Così faccio retro front e decido di usufruire dell’altro bagno della casa, ma mentre mi dirigo verso di esso, noto una porta aperta ed è proprio quella che avevo scelto come cameretta del bambino, in realtà, mai esistito. Mi paro di fronte ad essa, portando la mano alla maniglia. Sto per aprirla completamente, ma il solo pensiero di farlo, mi crea una strana sensazione alla bocca dello stomaco e così, decido di chiuderla definitivamente, stringendo con forza la maniglia.
Farò meglio a fare una doccia ed uscire. Non voglio passare la serata qui ad ossessionarmi.





***







“ Spero che la serata ti sia piaciuta” chiede Takumi, mettendo il freno a mano e avvicinandosi a me con fare malizioso.
“ Sì, mi sono divertita” rispondo timidamente, notando che si sta avvicinando sempre di più al mio volto, fino a baciare le mie labbra delicatamente.
Alla fine ho ceduto ancora una volta ed ho deciso di uscire con lui. In fondo, cosa dovevo fare chiusa in casa e senza Hope, per giunta.
Senza accorgermene i suoi baci sono diventati più passionali e mi ritrovo un po’ a disagio, lo ammetto, perché da tempo non provavo queste emozioni.
“ Ti va di farmi salire?” chiede poi, tra un bacio e l’altro.
A questa richiesta il mio corpo si irrigidisce istantaneamente. È come se fossi diventata un pezzo di marmo che non riesce più neanche a provare brividi, nemmeno ad ogni bacio sul collo.
“ Che succede?” domanda, vedendo il mio strano atteggiamento. “ Non ti va?” sussegue a chiedere, ricomponendosi.
Ok. In questo momento devo sembrare la persona più stupida del mondo, perché sono incollata a questo sedile con le braccia tese, quasi fossi paralizzata.
Il suo sguardo diventa sempre più perplesso e questo mi costringe a dovermi ridestare e prendere in mano la situazione. Così, rilasso il corpo e buttando un finto colpo di tosse prendo tempo nel pensare ad una risposta.
“ Io…” deglutisco e porto delle ciocche di capelli dietro le orecchie.
Santo cielo, non so cosa dire!
“ Io ho una figlia!” confesso, quasi come se mi fossi liberata di un grosso peso che tenevo dentro da tempo.
E pochi istanti dopo aver proferito queste parole, mi rendo conto di avere detto la cosa più stupida di questo mondo.
Che cosa c’entrava dire questo, adesso?
Titubante, sposto leggermente gli occhi in sua direzione, per controllare come ha preso la notizia.
E i suoi occhi sono grandi, sono quasi increduli, tanto da sembrare lui, adesso, quello paralizzato.
“ Wow!” esclama improvvisamente, ridendo. E probabilmente è una risata dettata dal nervosismo di chi non si aspettava una confessione simile. “ Sei sposata?” chiede con una certa perplessità nel tono.
Cosa?
“ No, no, no!” lo rassicuro, prontamente, come se avesse detto un’idiozia.
E dalla sua espressione intuisco che ancora non ha ben capito.
“ Ecco, io sono una …ecco… vivo da sola con mia figlia. Tutto qui!”.
A questa confessione, tira un sospiro di sollievo e inizia a sorridere scuotendo la testa “ E allora dov’è il problema?” dice, avvicinandosi di nuovo a me. “ Per me non è un problema” sussurra, riattaccandosi alle mie labbra.
Non è un problema?
“ No aspetta”. Con un gesto repentino riesco a staccarmi da lui e paro le mani in segno di difesa, sentendomi leggermente scossa.
“ Si può sapere che ti prende? Avere una figlia ti impedisce di venire a letto con me?” domanda, con aria seccata.
Questa frase mi colpisce dentro, come un pugno allo stomaco e mi fa sentire una persona orribile e sporca, a tal punto da decidere di scendere dall’auto e andare via.
“ Sai che c’è, non mi va! Quindi vado via!”. Non so cosa mi sia preso, ma con agilità esco dall’auto e chiudo la portiera, prima che lui possa parlare. Quindi mi dirigo al portone, cercando con impazienza le chiavi nella mia borsa e dopo averle scovate, riesco a entrare e chiudere velocemente il grande portone, senza preoccuparmi di vedere se lui era ancora lì.
Il respiro inizia a diventare irregolare, e gli occhi, che puntano in alto, sono ormai lucidi e la faccia si sta contorcendo in un’espressione che vuole soltanto scoppiare a piangere.
Mi sento così stupida.
Ma cosa credevo?
Boris aveva ragione…
Non riesco a stare con qualcuno senza farmi coinvolgere emotivamente.
La verità è che non sono pronta.
La verità è che, per quanto io mi sforzi di non farlo, non riesco a non pensare ancora a lui.








L’indomani in caffetteria arrivo perfettamente in orario, tanto da lasciar sorpresa persino Dana, abituata ogni mattina a dovermi ricordare di essere più puntuale.
Tra un servizio e l’altro, cerco di tenere occupata la mente e non pensare a quello che ho vissuto ieri sera ma, soprattutto stanotte, a causa di pensieri che hanno reso difficile il mio sonno.
E come ogni mattina, puntuale alle undici come sempre, Boris siede al bancone, sorseggiando il suo caffè e punzecchiando con battutine la giovane cameriera che tanto lo detesta.
In genere la caffetteria è frequentata da clienti abitudinari, che sono ormai di casa, e i clienti nuovi si riconoscono subito, come quei due ragazzini seduti laggiù che avranno sicuramente marinato la scuola, quella coppia di turisti e quell’omone seduto in un angolo, decisamente enorme. E col mio vassoio mi sto avviando proprio lì, a servire un caffè corretto al gin.
Gusti decisamente forti!
In realtà aveva chiesto di correggerlo con della vodka, ma purtroppo abbiamo finito le scorte in dispensa.
“ Ecco a lei” dico, mentre, pian piano, poggio la tazzina sul tavolino, cercando di sfoggiare un sorriso cordiale, che viene ricambiato da un freddo e distaccato suono che fuoriesce dalle labbra quasi serrate. Ipotizzando che sia stato un grazie, pronunciato in una lingua a me completamente sconosciuta, mi limito a sorridere ancora una volta, per poi tornare alla mia postazione di lavoro, dietro al bancone.
“ Non hai una bella cera stamattina” esordisce Boris, fissandomi di sottecchi. “ Qualcuno ha fatto le ore piccole con Takumi?” aggiunge poi, intonando l’ultima parola con fare malizioso.
“ Smettila” mi limito a dire, in modo serio.
“ Già, smettila!” ripete Dana, dandomi man forte. “ Sei stata con Takumi?” chiede, infine, lei.
“ Dana!” la richiamo con tono di rimprovero.
“ Con me puoi parlare!” asserisce con disinvoltura.
“ E perché con me no?” interviene contrariato il russo, sporgendosi verso di noi.






***



“ Perché non sono affari vostri, argomento chiuso!” dichiara ufficialmente Anya, sbattendo un panno sul bancone e scappando a passi pesanti in cucina, lasciando i qui presenti alquanto sbigottiti.
Istintivamente porto gli occhi su Dana, e dalla sua faccia intuisco che per una volta, forse, ci ritroviamo ad essere d’accordo.
Non è andata bene.
In un sol sorso, finisco il mio caffè e mi alzo, raggiungendo la cucina, con Dana al mio seguito che mi suggerisce a bassa voce “ Non dire stronzate per una volta…”.
Tzè, Taci donna!
Una volta arrivati in cucina, notiamo che Anya finge di darsi un gran da fare, tra piatti e stoviglie, pur di ignorare i qui presenti.
“ Si può sapere che cosa volete?” domanda, passandoci più volte davanti.
“Voleva solo portarti a letto, vero?”. A questa mia constatazione, forse abbastanza poco delicata, segue un colpo sul mio braccio da parte di Dana, che con occhi furenti, mi ordina di stare zitto.
Ma ho detto la verità! Perché dobbiamo sempre girarci intorno?
E va bene…
Riformulo la domanda.
“ Hai scoperto che non era il principe azzurro?” ripeto, stavolta utilizzando termini più fiabeschi e in un tono decisamente melodrammatico.
“ Vuoi stare zitto?!” mi rimprovera, di nuovo, Dana. Decidendosi a prendere parola. “ Hai scoperto che è uno stronzo, vero?” chiede lei, beccandosi una brutta occhiata dal sottoscritto che ci tiene a sottolineare “oh, tu sì che sei delicata!” in tono di chiaro sfottimento.
“ Ok, smettetela entrambi! E sì, era uno stronzo, voleva portarmi solo a letto e… non era il principe azzurro!” confessa, dando, in un’unica frase le risposte alle nostre domande.
“ Te l’avevo detto…” mormoro canticchiando e facendo vagare lo sguardo altrove, come se stessi parlando tra me e me.
“ Sì, me lo avevi detto!” puntualizza con voce alterata lei, proseguendo a dire che “ ma la colpa è mia, che mi lascio trasportare dai sentimenti. Non che io provassi sentimenti verso di lui, a stento lo conoscevo, ma…pensavo che fosse interessato a costruire qualcosa di importante e lo so…è ingenuo da pensare!” aggiunge, prima che fossi io a fare questa constatazione sull’ingenuità. Brava, sono orgogliosa di te, per una volta ne sei consapevole, mia dolce Anya. “ La verità è che io sono troppo legata al ricordo di Rai e di quello che avevamo costruito insieme” ammette colpevole e in tono triste “ e, in conclusione, la verità è che… io non l’ho ancora superata” confessa, infine, chiudendo gli occhi e trattenendosi, probabilmente dal piangere.
Ci risiamo.
La tragedia dal titolo “Penso ancora a Rai”, atto secondo.
“ Perché non la smetti e te ne fai una ragione?” le faccio notare seccato, sfoggiando ancora una volta una dose del mio sano cinismo, che non passa inosservato a Dana.
“ Perché non te ne vai di là o a lavorare?” mi consiglia acidamente, per sbarazzarsi di me.
“ Perché invece non vai tu a lavorare, visto che un cliente ti aspetta alla cassa?” le ricordo, invitandola a guardare oltre la porta, dove, effettivamente un uomo aspetta che qualcuno si decida ad andare da lui.
Fatta fuori Dana, mi decido a parlare chiaramente con quest’anima in pena.
“ Anya, sul serio. Basta. Cosa vuoi fare? Torturarti a vita per lui? Magari lui se la starà già spassando con qualcun'altra, ridendo alle tue spalle!” affermo, beccandomi un’occhiata orribile, che mi costringe ad alleggerire il discorso “ Ok, magari non starà ridendo alle tue spalle”, potevo risparmiarmi questa constatazione, lo ammetto, “…ma, lui sarà andato avanti con la sua vita, altrimenti si sarebbe fatto sentire, non credi?” chiedo poi, cercando di incrociare il suo sguardo.
“ Non lo so, ok?”.
“ Non vi siete più sentiti? Non l’hai cercato per vedere cosa fa? Magari su qualche social…”.
“ Social?” ripete, come se avessi detto un’idiozia. “Ma quale social? Non ho nessun social!” dichiara disgustata.
E questo mi porta a puntare gli occhi al cielo con rassegnazione.
“ Forse lui è su qualche social e se lo cerchiamo, forse, potremmo vedere se ha pubblicato qualcosa, qualche frase o foto che ci suggerisca un indizio” spiego, sinteticamente, estraendo dalla tasca il mio smartphone.
“ Di cosa stai parlando?” chiede con attenzione e una certa curiosità, anche se il suo sguardo accigliato suggerisce il contrario.
“ Dico che… se scriviamo nome e cognome di Rai su questo social, probabilmente potremmo trovarlo e toglierci qualche dubbio” spiego, ancora una volta, agitando di fronte a lei l’oggetto in questione, quasi fosse un ciondolo ipnotizzante. “ Basta solo che tu mi dica che vuoi farlo” dico, utilizzando il tono di voce più persuasivo e suadente che mi riesce, nel tentativo di convincerla.
Sembra interessata a giudicare dal modo in cui segue il movimento del mio telefono, quasi ne fosse seriamente ipnotizzata. “ Solo nome e cognome” aggiungo, convinto di essere a tanto così dal convincerla.
“ Che succede qui?”.
Ma l’arrivo di Dana rovina tutto, come sempre.
“ No, non voglio saperlo!” dichiara con tono deciso, andando via.
“ Ma Anya…”. Non si ferma. Esce fuori, lasciandomi qui a fissare storto Dana, la quale a sua volta, mi incita a sparire immediatamente.
Scuoto la testa in segno di rassegnazione e a grandi passi esco dalla cucina e poi dal locale, fermandomi un attimo lì di fronte a prendere una sigaretta, metterla in bocca e cercare l’accendino, che non riesco a trovare nella solita tasca.
Cacchio!
Ma dov’è?
Cerco e ricerco, perlustrando ogni tasca davanti e dietro ai jeans, ma niente. La ricerca continua, invano, finché le parole di qualcuno dietro di me mi costringono a fermarmi e voltarmi.
“ Serve questo?” .
È un uomo decisamente alto, forse non più di me, ma il fatto che sia di corporatura robusta e imponente, lo fa sembrare decisamente enorme.
Abbasso lo sguardo verso la sua mano e vedo un accendino, che mi invita a usare. Dopo qualche attimo di esitazione, mi decido ad accettare, avvicinando il viso all’oggetto, che lui fa schioccare un paio di volte prima di riuscire a farlo funzionare.
E in questo frangente, i miei occhi vengono catturati da un tatuaggio a forma di falco sul suo polso, decisamente fatto bene. Fico, ne voglio uno anch’io!
Ecco, ci siamo riusciti. La sigaretta è accesa, ne aspiro un boccone e lo ringrazio, voltandogli le spalle, non mi prima di udire dalla sua bocca una strana parola.
“Pozhaluysta”.
All’inizio non bado molto a ciò che ho sentito, ma dopo aver fatto alcuni passi, avviandomi verso l’officina, mi rendo conto di conoscere quella parola in una lingua a me molto nota. Anche se non lo parlo da molto tempo, se non sporadicamente per offendere Kai o Yuri, riesco ancora a capire il russo e quell’uomo mi ha appena detto prego in lingua russa.
Questo pensiero mi porta a guardare dietro di me verso quell’uomo, ormai messosi in cammino nella direzione opposta alla mia.
Scuoto la testa sorridendo.
Incredibile, non mi capita mai di incontrare russi da queste parti. Potevo approfittarne per scambiare due chiacchere.






***






“ Kai, dove vai ogni sera? Lasci qui tua figlia e te ne vai?” mi rimprovera la bionda, fermandomi proprio in procinto di uscire.
“ Hope dorme, non ti darà fastidio e ho detto a Reina di occuparsene” spiego sinteticamente, aprendo la porta.
“ Quindi hai deciso di ignorarmi? Per cosa? Per punirmi e farmi sentire in colpa, più di quanto io già non mi senta?”.
Ricominciamo.
Mi fermo di nuovo, proprio sul ciglio della porta e, a queste sue parole, capisco di non potermene scappare subito, come volevo.
“ Mi fa piacere che tu ti senta in colpa, perché io continuo a sentirmi un idiota da quando ho scoperto di aver assecondato ogni tuo capriccio o voglia mentre fingevi di essere incinta” confesso amareggiato.
“ Kai, mi dispiace, davvero! Prendimi a schiaffi se vuoi, ma non ignorarmi, ti prego! Sei mio marito adesso”.
Per quanto la sua richiesta sia allettante e la prenderei davvero a schiaffi, non lo farò. Non ho mai alzato le mani ad una donna e non inizierò a farlo di certo adesso.
Forse sto esagerando, ma la verità è che non ci riesco, almeno non ancora, a perdonarla. È più forte di me. Quando la vedo mi vengono in mente soltanto una serie di insulti.
“ Kai, mi dispiace” ripete ancora una volta, stavolta a pochi centimetri da me. Poggia le mani sul mio petto e si avvicina al mio viso, guardandomi con occhi lucidi. Prima che le sue labbra possano sfiorare le mie, decido di scostare leggermente il volto, evitando che ciò avvenga.
“ Devo andare, non aspettarmi” dico, freddamente, congedandomi, riuscendo infine a uscire da questa casa.








***






Sto sistemando le ultime cose in officina, prima di chiuderla, anche se sistemare è un parolone, visto che qui dentro vige il caos più assoluto. Diciamo che sto cercando di trovare un senso organizzativo all’interno di questo caos. Ecco, forse è più corretto dire così.
“ Boris!”.
“ Che ci fai qui?” chiedo, vedendo arrivare Anya come una furia.
“ Facciamolo!” esclama decisa, lasciandomi parecchio sbigottito.
“ Adesso?” chiedo perplesso.
“ Sì, adesso!” conferma, mostrandosi nervosa e impaziente.
“ Cioè, tu vuoi farlo qui? Adesso? Con me?”.
Wow, credo di non avere capito bene. Quindi, prima di fraintendere, chiedo ulteriori delucidazioni.
“ Ma, esattamente, cosa vuoi fare?” domando sempre più confuso.
“ Cercare Rai sui social!” rivela, quasi fosse la cosa più ovvia di questo mondo. A queste parole, ringrazio il mio primo cervello di avermi suggerito di chiedere, prima di spogliarmi e fare cazzate.
“ Cosa avevi capito?” chiede, perplessa.
“ No, niente, ma ok, cerchiamolo!” dico, tornando al punto della situazione.
Mi avvicino alla mia giacca e tiro fuori da una tasca il cellulare, sotto il suo sguardo nervoso.
“ Perché hai cambiato idea?” chiedo investigativo.
“ Beh, mi hai messo questo dubbio in testa, ci ho pensato tutto il giorno e tanto vale, togliersi ogni dubbio, no?”.
Concordo.
Con qualche abile click, riesco ad aprire l’app interessata e…
“ Sei pronta?”.
“ No, ma fallo lo stesso!” mi incita con una certa frettolosità.
Così mi piaci, Sarizawa.
Ok. Dunque, cerca… digito il nome di Rai Kon, sperando di averlo scritto in modo corretto e …via. In pochi secondi sono apparsi una serie di Rai Kon. Wow, non me lo aspettavo.
“ Che succede? Perché hai fatto quella faccia?” chiede preoccupata, mettendosi in punta di piedi e allungando il collo verso il mio telefono per sbirciare.
“ Un momento” dico, alzando il telefono in modo che non possa guardare.
Cazzo…
“ Boris? Mi fai vedere, per favore?” mi supplica.
Mi son pentito di averglielo proposto.
Schiarisco la voce e nascondendo il cellulare dietro la schiena, la invito a stare calma e a non agitarsi.
“ L’hai trovato?”.
Mi prendo un attimo prima di dare la mia risposta.
“ Sì”.
“ E cos’è quella faccia? Fammi vedere? Cos’hai trovato! Dammi quel telefono!” mi ordina, protraendo la mano verso di me.
“ Ok, ma prometti di non lanciare il mio telefono da qualche parte! Ci tengo e mi è costato un occhio dalla testa!” la avverto, con tono ammonitore, prima di consegnarle in mano l’oggetto.
“ Perché mi dici questo? Cos’hai visto?”.
“ Guarda tu stessa, scorri col dito verso sinistra per vedere le altre foto” le spiego, mettendole in mano il mio sacro cellulare quasi fosse uno scrigno del tesoro.




***




Boris mi ha appena dato il telefono, con i risultati della sua ricerca. Come da lui indicato, scorro col dito sul display per vedere le foto e quello che vedo mi lascia leggermente incredula.
“ Chi è Corinne?” chiede, mentre guarda insieme a me le foto.
Corinne…
Non mi è nuovo questo nome.
Ricordo che una volta abbiamo avuto una piccola discussione, perché avevo trovato dei messaggi di questa Corinne sul suo cellulare.
È nella maggior parte delle foto e, in base alla data di pubblicazione, sono abbastanza recenti.
La maggior parte di esse ha come soggetti Rai e questa Corinne, poi ovviamente ce ne sono altre con suo padre, altri amici, suppongo e sua sorella.
Andavo abbastanza d’accordo con lei.
La cosa che mi lascia più incredula è che nelle foto lui sembra felice. Non che non mi faccia piacere, ma… è come se la sua vita stesse continuando come sempre, come se mi avesse completamente dimenticata.
È strano e mi sento strana.
Deglutisco un boccone amaro, che fa male, molto male.
“ Tutto ok, Anya?” chiede Boris vedendomi persa in un mare di pensieri. Senza accorgermene gli ho riconsegnato il cellulare e mi ritrovo con le spalle a una parete, scivolando su di essa fino a toccare terra.
“ Avevi ragione…” riesco a dire, trovando finalmente la forza di parlare. “ Sono solo una stupida”.
“ Hey” sussurra lui, abbassandosi di fronte a me, togliendomi una ciocca di capelli di fronte al viso. “ Non sei stupida” ribadisce, contrariato.
“ Sì, invece! Non faccio altro che pensare a lui e lui, invece, si sta facendo la sua vita e forse, chissà, mi ha già dimenticata, ed è meglio così, dopo tutto il male che gli ho fatto”, spiego, cercando di trattenere le lacrime.
“ Io non penso si sia dimenticato di te. È solo che, avrà deciso di andare avanti, diversamente da te…” mi fa notare, giustamente, Boris.
“ Ma io lo amavo così tanto” riesco a dire un secondo prima di scoppiare in lacrime e affondare il viso nell’incavo della sua spalla.
Che sia corso subito da questa Corinne? Che lui mi abbia lasciata per andare con lei? Io non so più cosa pensare.  Ma che senso ha struggersi per questo ormai? È finita e devo rassegnarmi, o almeno provarci.





***





Mi pento amaramente di quello che ho fatto. Proporle di cercare Rai, ha solo peggiorato la situazione. Credevo di farle un favore e invece, eccola di nuovo qui a piangere sulla mia spalla.
“ Hey, smettila dai!” cerco di consolarla, cadendo di peso col sedere ormai a terra.
Quando mi si è buttata addosso mi sono irrigidito parecchio, non sapendo, come sempre, cosa fare. Ma poi, le ho poggiato una mano sulla schiena in segno di consolazione o supporto. Non so nemmeno io il perché.
“ Scusami” dice, staccandosi e cercando di fermare le lacrime, aiutandosi con le mani. “ Sono patetica”.
“ Un po’” ammetto beffeggiandola. “ Dai, su, alzati piagnucolona, so io come farti riprendere!”, affermo, prendendola per un braccio.
“ Boris, non mi va di bere!” ammette, con tono ammonitore.
“ Tranquilla, non ti porto a bere!” le spiego, portando gli occhi al cielo. Possibile che nessuno si fidi di me. “ Una pizza e un film non hanno mai fatto male a nessuno! Su, forza, cammina!” concludo autoritario, prendendo la mia giacca e invitandola a seguirmi.
Stasera sarò la tua amica del cuore…tanto non ho niente da fare.






***  







Ieri sera, per fortuna, Boris mi ha aiutata a risollevare il mio umore, che era diventato cupo e grigio a causa di quelle foto. Abbiamo ordinato una pizza e visto un film d’azione non molto avvincente, tanto che lui si è addormentato dopo mezz’ora.
È stato carino da parte sua dedicarmi del tempo, non me lo sarei mai aspettata da un tipo tutto d’un pezzo come lui. Si è sempre dimostrato un buon amico, a modo suo.
Dopo avere rivisto Rai in quelle foto, ho capito che forse non vale più la pena di soffrire così tanto. non che io non continuerò a pensare a lui, ma devo riuscire a superarla. Forse ci vorrà del tempo, ma pazienza. Tuttavia, ho deciso momentaneamente di non vedermi con altri ragazzi. Non mi sento pronta. Assolutamente no.
Un messaggio appena arrivato, mi ridesta dai miei più oscuri pensieri e una volta lettolo, non posso far altro che imprecare mentalmente contro Hiwatari, che mi ha appena avvisata che non potrà venire all’incontro a scuola. Fantastico! Potevi dirmelo prima che io venissi fino a qui.
Ecco un altro uomo con cui vorrei chiudere definitivamente ogni rapporto: Kai Hiwatari.
Non mi resta che entrare e fingere di ascoltare, come sempre.




Per fortuna l’incontro si esaurisce in mezz’ora, stranamente. Probabilmente, persino loro si sono resi conto che è solo una pagliacciata o hanno esaurito gli argomenti di cui parlare. Ad ogni modo, è ancora troppo presto per ritirare Hope, che in teoria doveva andare a casa di Hiwatari, ma… dettagli.
Mentre sono persa in questi pensieri, giunge alle mie spalle una delle mamme, proprio quella donna che ci aveva invitati a casa sua tempo fa.
“ Ciao, Anya!”. A differenza mia, lei si ricorda ancora il mio nome.
“ Ciao, come stai?” chiedo io, evitando di utilizzare nomi a caso, per non far brutte figure.
“ Tutto bene, un po’ annoiata, come puoi immaginare!” confessa, alludendo probabilmente all’appena concluso incontro.
“ Ti capisco!” affermo, ridendo.
“E tuo marito? Non l’ho visto oggi, impegnato?” chiede investigativa.
Mio marito?
Cioè, Kai?
O mio dio.
Prendo un profondo respiro, prima di assecondare le curiosità di questa donna.
“ Ehm, sì. Il lavoro” spiego sinteticamente.
“ Il lavoro, certo” ripete lei, con un tono strano, quasi non ci credesse. “ Ti va di prendere un caffè ai distributori?” propone, infine.
“ Perché no!” accetto volentieri.





Una volta comprato il caffè, ci sediamo in una delle panchine dell’atrio, chiacchierando del più e del meno, finché…
“Come vanno le cose tra te e tuo marito, ultimamente?”.
Al suono di questa domanda, il caffè quasi non mi va di traverso.
Quindi è questo ciò che pensano? Che Kai sia mio marito?
Andiamo bene.
“ Bene…” mi limito a dire schiva, bevendo un altro sorso, per sfuggire ad altre possibili domande.
“ Sei sicura?” chiede conferma, cercando di incrociare il mio sguardo.
Ma si può sapere perché lo chiede?
“ Sì, perché?” domando, stranita dalla sua insistenza.
“ Ecco, te lo chiedo perché…” si interrompe, alla ricerca delle giuste parole da utilizzare. “ Beh, se io avessi dei sospetti su mio marito, e qualcuno sapesse la verità, vorrei che me lo venisse a dire” dice, vomitando queste parole prive di senso.
Non ho capito un accidenti e la mia faccia glielo sta comunicando. Questo la porta a prendere un respiro e parlare chiaramente.
“ Kai ti tradisce!”.
A questa rivelazione, quasi non sputo il caffè che stavo per deglutire, e per fortuna riesco a contenermi, trattenendo anche una risata.
No.
Seriamente?
Kai, mi tradisce, pensa te.
Deglutisco lentamente il caffè, cercando di ricompormi e trovare un modo per uscire da questa assurda situazione.
“ Perché, dici ciò?” chiedo, curiosa.
Insomma, come può sapere lei una cosa simile?
“ Ecco, io e mio marito lo abbiamo visto ieri sera in dolce compagnia!” rivela, a bassa voce, atteggiandosi come una vecchia pettegola.
Beh, sarà uscito con sua moglie, cioè Eva.
Ma come spiego a questa tizia che Kai non mi tradisce, ma in realtà era solo uscito con sua moglie, la sua vera moglie, Eva.
E vista la sua lingua lunga, non mi sembra il caso di spiegarle come stanno le cose, o l’intero  istituto ne verrà a conoscenza.
“Beh, sarà stata la sua amica d’infanzia Rebecca, mi ha detto che si sarebbero visti!” le spiego, inventando la prima cosa che mi viene in mente, anche se non credo abbia molto senso.
“ Bhe, molto bella questa Rebecca!” commenta, pronunciandone con tono stizzito il nome. “Persino mio marito ha esordito con –che bella mora gambe lunghe- “ conclude, ridendosela sotto i baffi.
Un momento.
Bella mora gambe lunghe?
Bella mora?
Mora?
Se la memoria non mi inganna Eva non è mora.
A meno che non abbia cambiato colore di capelli, ma lo trovo decisamente improbabile, perché ci aveva provato una volta, ma se n’era pentita amaramente, ribadendo il fatto che stonava col meraviglioso colore dei suoi capelli. Mi sembra ancora di sentire la sua orribile voce mentre lo diceva.
Quindi, ieri sera, Kai non era in compagnia di sua moglie, ma di un’altra donna, mora e con le gambe lunghe.
Questo vuol dire che lui sta tradendo veramente sua moglie, che in realtà non sono io, ma Eva.
Beh insomma, ci siamo capiti!
Ha la faccia tosta di uscire con un’altra ragazza dopo quello che hanno passato? Dopo avere perso il bambino?
Santo cielo, che schifo.
Il padre di mia figlia è un essere veramente spregevole.


















Ciao a tutti, miei cari lettori.

Se siete giunti fin qui, battete un colpo XD
Ok, lo so. Capitolo fooooorse un po’ lungo, ma dovevo. Era necessario.
E mi sono dovuta fermare, perché altrimenti avrei scritto la divina commedia XD
L’ho scritto quasi tutto oggi, tranne le prime righe ahahha
Colpo di genio?
Può darsi.
Dunque. Non mi dilungo molto in questo spazio autrice, perché scrivo da tutto il pomeriggio e mi prude il culetto a forza di sta seduta su questa scomoda sedia XD (si può dire culetto? Dalla regia mi dicono di sì! Ok u.u). quindi spero non ci siano troppo errori.
Devo pubblicare adesso o mai più!
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, e ringrazio come sempre recensori e lettori :*

Un abbraccio e a presto 
   
 
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