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Autore: SkyDream    13/09/2020    1 recensioni
Ai membri della squadra di pallavolo della Karasuno quello era sembrato il solito battibecco.
Shoyo seduto a terra con il suo sguardo esilarante e Kageyama con i pugni stretti, pronto a colpirlo in testa.
Eppure vi era qualcosa di diverso nell'aria, come una nuova consapevolezza che presto avrebbe preso forma nelle loro vite.
Perchè le parole dettate dalla rabbia, quelle pungenti, possono anche essere le ultime. Tornare indietro, spesso, è più difficile di quanto sembri.
Dal testo: «Aspetta, Sho, aspetta! Andiamo con la mia auto!» Suga non fece in tempo nemmeno a finire la frase.
Sho sentì il vento fresco sbattergli in viso ed entrargli fin dentro i vestiti, facendolo rabbrividire, ma non importava.
Pedalava come un matto anche se era in discesa, nella speranza di far prima. Avrebbe tagliato per le scorciatoie, in meno di mezz’ora sarebbe sicuramente arrivato.
«E se si fosse ferito?» No, non poteva nemmeno pensarci. Aveva la nausea alla sola idea.
Peggio di quella, poteva essercene solo un’altra.
-
Scritta per Sasa, la mia parabatai
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Che sia promesso ~


«La palla cadrà a terra! Ho alzato la palla e adesso finirà a terra!» Kageyama si guardò intorno, gli spalti erano completamente vuoti, non vi erano nemmeno striscioni, oltre la rete e nel suo campo non c’era un solo giocatore, perfino l’allenatore lo aveva abbandonato.
Era solo. Ed era completamente al buio.
Voleva giocare in campo, voleva stare lì e alzare ma non solo. Non da solo.
Continuava a voltarsi a destra e a sinistra, sentiva delle voci, della confusione, ma non capiva da dove provenissero. Poi qualcosa scricchiolò.
Era rumore di passi che si avvicinavano. No. No, erano scarpette che correvano sul parquet e stavano per saltare.
Kageyama si voltò appena in tempo per vedere Sho sollevarsi in aria e colpire prepotentemente la palla con una schiacciata, fulminea colpì il campo nemico.
Shoyo riportò i piedi per terra e incrociò il suo sguardo.
« Sotto le tue alzate ci sarò sempre io pronto a schiacciare, facciamo vedere a tutti che si sbagliavano, che non sei il Re che tutti prendevano in giro!».
Gli spalti si illuminarono, le voci diventarono più nitide e comparirono centinaia di tifosi. Il campo si riempì di giocatori, perfino l’arbitro segnò il punto che avevano appena fatto.
Kageyama era rimasto imbambolato a fissare Sho, cercò di prendere un respiro più profondo.
«Promettilo!».
 
-
«Ha parlato!».
«Shoyo, andiamo, dai».
«No no, ti dico che ha parlato! Credimi, ha detto qualcosa!».
«Shoyo, devono portarlo in sala Tac. Nishinoya, digli qualcosa!».
Suga portò una mano sulla fronte sospirando pesantemente, il suo amico inizialmente sembrava averlo ascoltato e aver capito che era giunto il momento di lasciare spazio ai medici.
A quanto pare doveva essersi sbagliato.
Sho si riavvicinò al letto e portò il viso a pochi centimetri da quello dell’altro, seppur non vi fosse il minimo segno di ripresa.
«Ha parlato, ti dico che ha parlato! Kageyama, dillo di nuovo, cosa hai detto prima?» Aveva il tono tremante, impaziente e colmo di emozione.
Non poteva essersi sbagliato.
«P-promettilo.»  La voce di Kageyama fu appena udibile, ma ben nitida, spazzando i dubbi anche degli altri due suoi amici. Sho parve illuminarsi in volto, era riuscito finalmente a dirgli scusa e a promettergli che sarebbero tornati a giocare insieme, come una vera squadra.
Uniti davvero, come sempre.
«Lo prometto! Lo prometto, lo prometto, resteremo in campo insieme e giocheremo tutte le partite fino all’ultimo minuto e vinceremo, Kageyama!» La voce di Sho si spezzò leggermente, dovette mordersi un labbro e prendere un bel respiro per non ricominciare a piangere.
«S-stai attento al polso, idiota.» Riuscì a dire l’altro con il fiato corto, fu l’ultima cosa che pronunciò prima di sprofondare nuovamente in un sonno profondo.
Un sonno senza palla che rimbalzava, senza rete, senza spalti né giocatori.
Era un sonno caldo e rassicurante, proprio come quelle coperte che gli erano state rimboccate poco prima con affetto e preoccupazione.
“Qualcuno che si preoccupa per me?” Riuscì a pensare prima di perdere totalmente coscienza.
 -
«Sei ancora tu che fai chiasso, marmocchio?» Il medico barbuto entrò in camera con le braccia ancorate ai fianchi. Nishinoya per un momento sudò freddo immaginando il suo amico trascinato fuori di peso e preso a calci da quell’energumeno.
«Ce ne stavamo andando giusto in questo momento, non è vero Hinata? Andiamo!» Suga sorrise verso il medico, sperando che non trapelasse la sua ansia.
Aveva davvero una mole intimidatoria.
Sho si lasciò trasportare fin davanti la porta, prima di uscire però si fermò e si voltò indietro:«Grazie per quello che ha fatto per Kageyama».
Il medico non proferì parola, si limitò a leggere i dati comparsi sul monitor e poi chiamò le infermiere.
 
Sho si gettò sulla panchina e sospirò pesantemente, sollevò gli occhi al cielo e solo allora si rese conto che ormai doveva essere notte inoltrata. Non aveva nemmeno avvertito a casa, anche se sospettava che Daichi o Suga lo avessero già fatto per lui.
D’altronde erano una squadra anche fuori dal campo.
«Se non te la senti di tornare in bici posso sempre darti un passaggio, immagino che sarai stanco ormai.» Suggerì Suga mentre si sedeva di fianco a lui, aveva notato un leggero miglioramento nell’umore di Hinata, seppur comprendesse a pieno le sue preoccupazioni.
«Non credo che tornerò a casa, rimarrò qui.» Sho sembrava piuttosto serio, sembrava non aver pensato minimamente a dove dormire, né a cosa mangiare o dove rimanere.
Semplicemente se ne stava lì a contemplare le stelle sulla sua testa.
Suga sospirò pesantemente. D’altronde poteva immaginarselo.
Nishinoya li raggiunse con delle bottigliette di tè freddo e qualche merendina e si sedette al loro fianco.
«Shoyo, è probabile che Kageyama rimanga sedato per un po’ se davvero devono operarlo, non puoi sapere quando potrai vederlo né se ti faranno entrare. E’ stata una giornata stancante, dovresti andare a riposare e tornare domattina.» Suggerì Suga sforzandosi di utilizzare un tono abbastanza dolce.
Nishinoya annuì mentre continuava ad aggiornare i loro amici tramite messaggini e rapide telefonate. Erano tutti preoccupati.
«Non voglio lasciarlo solo, soprattutto-» Sho diventò rosso in volto e abbassò lo sguardo. Suga provò l’ennesimo moto di tenerezza.
«Soprattutto dopo quello che gli hai detto pomeriggio? Ti sei già scusato!».
«Suga ha ragione! Kageyama non ha pensato nemmeno per un momento che tu fossi serio e nemmeno lui lo era, basta guardarvi in campo una volta sola per capire che siete inseparabili.» Nishinoya enfatizzò il concetto annuendo in modo energico. Sho parve pensarci un momento, poi finì la bottiglietta di tè e guardò i suoi amici.
«Grazie per le parole d’incoraggiamento, ragazzi. Mi siete davvero d’aiuto, ma ormai ho deciso!».
 
-
 
Durante la notte l’infermiera del pronto soccorso ricevette una telefonata dal reparto di neurochirurgia, il paziente Tobio Kageyama che avevano ricoverato qualche ora prima era uscito dalla sala operatoria e stava per essere trasferito in reparto.
Oltre ad aggiornare i dati le era stato chiesto di salire i vestiti e il borsone che avevano rinvenuto al momento dell’incidente.
L’infermiera prese appunti e salì, al secondo piano però si arrestò sul ciglio delle scale: un ragazzino dormiva sulle sedie della sala d’attesa con la testa sprofondata sul borsone.
Era lo stesso ragazzino con il polso ferito che aveva portato fino alla camera del suo amico, si avvicinò per svegliarlo ma poi ci ripensò. Sembrava stanco e doveva essere anche preoccupato, nonostante ciò era rimasto lì ad aspettare e questo non poteva che essere un segno dell’affetto che doveva legarli. Si disse che svegliarlo in quel momento non sarebbe servito a nulla, il suo amico sarebbe sicuramente rimasto incosciente per qualche ora, tanto valeva che si riposasse.
La donna sapeva che ciò che stava facendo andava contro ogni regola, che avrebbero perfino potuto denunciarla ma non seppe spiegare il perché sentì l’esigenza di farlo comunque.
Aprì il borsone di Kageyama e subito vi trovò ciò che cercava, una sua felpa. Lo interpretò come un segno del destino che evidentemente le voleva dare ragione.
Poggiò la felpa sulle spalle del ragazzino che ancora dormiva poi, come se non avesse fatto nulla, riprese il borsone e raggiunse il reparto.
 
-
 
Shoyo si risvegliò quando un raggio di sole lo colpì in pieno viso, si voltò dal lato opposto per cercare la sveglia ma finì per rotolare fuori dalle sedie e atterrare dritto per dritto sul pavimento. Si sedette confuso, si passò le mani sui capelli arruffandoli e solo dopo un paio di sbadigli collegò il tutto.
Era ancora in sala d’attesa, gli avevano detto di attendere lì se proprio voleva passare la notte e che Kageyama sarebbe stato spostato al piano superiore. Decise di provare, ma prima preferì passare dal bagno e lavarsi il viso.
Dovette constatare, sorpreso, che il terrore provato la sera prima non era ancora del tutto sparito dal suo volto che sembrava ancora pallido e sciupato. Si diede un paio di pacche sulle guance e partì.
Si infilò nel corridoio di neurochirurgia pur sapendo che l’orario delle visite fosse ben distante - miriadi di fogli e cartelli lo ricordavano ad ogni porta - ma non si fece scoraggiare e riuscì comunque ad intrufolarsi nelle camere.
Non fu un’impresa facile e beccò quella giusta solo al terzo tentativo. Kageyama se ne stava seduto a fissare il paesaggio fuori dalla finestra. La città si era appena svegliata e cominciava a muoversi, le macchine si inserivano lente tra le strade, alcuni ragazzi camminavano per andare a scuola e piano piano tutto sembrava prendere vita.
Sho entrò dopo essersi assicurato che fosse solo, si richiuse la porta alle spalle.
Kageyama si voltò e lo guardò per un momento prima di parlare.
«Hai dormito qui, potevi anche tornare a casa.» Il suo tono era pacato, tranquillo come lo era durante le lezioni o quando commentavano qualche partita vista.
«E tu come fai a saperlo?! - Sho gli puntò un dito colpevole - La botta ti ha dotato di superpoteri?!».
«Hai la stampa della cerniera del borsone su una guancia e sei vestito come ieri pomeriggio, idiota».
Sho tirò un sospiro di sollievo. Era tornato il solito di sempre.
«Sono rimasto qui perché ero preoccupato. L’operazione è andata bene?» Sho si sedette sul letto accanto a lui, la colazione era già stata servita ed era rimasta sul tavolino servitore, sembrava non l’avesse nemmeno toccata.
«Sì, non era nulla di grave per fortuna, me la sono cavata solo con qualche punto. Mi hanno detto che non potrò giocare per un po’, soprattutto a causa della spalla.» Il suo tono era tornato pacato e sereno, un piccolo dettaglio che spaventò Sho e lo spinse a cercare qualche parola rassicurante.
«Ti aspetterò, anzi, migliorerò e schiaccerò le tue alzate come non ho mai fatto prima!» Gli sorrise nella speranza di rincuorarlo, ma senza risultati. Il suo amico sembrava totalmente apatico.
«Okay.» Rispose soltanto, atono.
«Io se fossi al posto tuo piangerei come un matto, Tobio. Piangerei fino a disidratarmi e a raggrinzirmi come un vecchio!» Sho si immaginò un sé stesso decrepito e prosciugato e non potè fare a meno di ridere.
Riuscì a fare ridere anche il suo amico, che vide davanti gli occhi la stessa scena.
Dopo qualche risata, però, Kageyama cominciò a piangere. Portò una mano sul volto nel tentativo di nascondere le lacrime, per quanto sapesse che non vi fosse alcun bisogno.
Lo fece comunque.
Hinata rimase lì seduto a farlo sfogare, sentiva fosse la cosa giusta da fare.
«Mi hai promesso che schiaccerai tutte le mie alzate».
«Ti prometto anche che miglioreremo insieme e vinceremo tutte le partite che ci saranno».
«Mi hai promesso che arriveremo fino ai mondiali».
«Certo, ci arriveremo insieme e faremo conoscere al mondo la nostra schiacciata bislacca!».
Kageyama rise di nuovo, tra le lacrime. Con Sho al suo fianco la sensazione di inquietudine che lo accompagnava quando pensava all’Alzata del Re sembrava volare via e lasciare il posto ad una sicurezza che non aveva mai provato.
La sicurezza di non essere da solo.
Lo stomaco di entrambi cominciò a brontolare, si guardarono con gli occhi lucidi prima di rivolgere lo sguardo alla colazione ormai fredda.
Sho avvicinò il carrello servitore al letto, si tolse le scarpe e si mise sulle lenzuola con le gambe incrociate. Mangiarono insieme, faccia a faccia, con Shoyo che gli spalmava la marmellata sulle fette biscottate e gliele passava come se lo avesse sempre fatto, ogni tanto ne portava una alla bocca e mangiava anche lui.
Erano lì, su un letto d’ospedale che chiacchieravano di pallavolo e delle reazioni dei loro amici che, preoccupati, li avevano tempestati di telefonate per tutta la serata.
 
Tobio Kageyama era distrutto dall’incidente, dal suo peso emotivo e dal suo stato di salute che non gli avrebbe permesso di giocare per alcuni mesi.
Era ancora distrutto per quella sensazione di solitudine che lo aveva attanagliato per qualche ora.
Eppure, pensò, con Shoyo al suo fianco non aveva di che temere.
D’altronde lo aveva promesso, seppur implicitamente.
Non lo avrebbe mai lasciato da solo.
   
 
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