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Autore: Fiore di Giada    13/09/2020    2 recensioni
Sorrise, amaro. Perché indugiava in simili pensieri?
Ormai, il mondo, per lui, era un set grigio, popolato di spettri silenziosi.
Voci dure, implacabili, accusatorie rinnovavano la sua pena.
Presto, sarebbe giunto il tempo dell’espiazione.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gai Maito, Nuovo Personaggio, Rock Lee
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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La luce del sole penetrò da una finestra semi aperta e si posò sul pavimento.

Gai, che era disteso sul divano, le lunghe gambe coperte da un lenzuolo rosso, per alcuni istanti, si agitò, poi aprì gli occhi.

Di scatto, si alzò a sedere, poi poggiò i piedi a terra e rimase immobile, la testa fra le mani.

Che giornate penose mi aspettano... – mormorò, il tono sofferente. Era giunto il tempo dell’estremo addio al suo amato allievo.

Rock Lee, presto, sarebbe stato sepolto nel cimitero di Konohagakure.

Solo una lapide, splendente di fiori freschi, avrebbe ricordato il suo spirito ardente.

Il suo corpo, presto, sarebbe stato consumato dai vermi.

E i suoi giorni, presto, avrebbero conosciuto il peso della solitudine e della noia.

Perfino gli altri suoi due allievi erano fantasmi privi di qualsiasi personalità.

A quel pensiero, un debole e spettrale sorriso sollevò le sue labbra.

Perché mi preoccupo? La punizione presto ci sarà per me... – rifletté a voce alta. Era racchiuso un pregio in quella promessa tanto aspra, aliena da qualsiasi pietismo.

No, non doveva avere alcuna paura.

Non avrebbe conosciuto il peso di giorni sempre uguali, segnati dal rimorso e dal senso di colpa.

Presto, il suo spirito si sarebbe spento.


Un tocco deciso alla porta interruppe le sue elucubrazioni.

Gai si alzò, percorse la sala da pranzo a passo deciso e aprì l'uscio.

Scorse Asuma sulla soglia, vestito d'un lungo abito nero.

Che c'è, Asuma? – chiese Gai, stupito.

L'erede del Terzo Hokage, sentendo quella domanda, scosse tristemente la testa. Riusciva a vedere i segni dell'insonnia sul viso del suo compagno.

Tre giorni erano trascorsi dalla scomparsa di Rock Lee e Gai si era rinchiuso dietro una maschera di silenzio e fierezza.

Ad alcuni poteva sembrare una reazione positiva, degna di un guerriero, ma a lui e agli altri suoi colleghi una simile calma non piaceva.

Quell'atteggiamento era artefatto e costruito e si chiedevano cosa celasse.

Sono venuto a prenderti. Voglio farti compagnia al funerale di Rock Lee. – spiegò poi.

Gai provò a sorridere, ma ci rinunciò.

Ti ringrazio, ma ci andrò da solo. Devo stare accanto ai miei allievi. Loro saranno più distrutti di me. – obiettò il figlio di Dai Maito, il tono neutro.

Sarutobi, di scatto, entrò nella casa e poggiò la mano sul braccio dell'altro.

Insisto. Tu non stai bene. Ti darà conforto la presenza di un amico al tuo fianco. –

Gai, con un sospiro, cedette alle insistenze dell'amico. Riconosceva le buone intenzioni di Asuma e gliene era grato, ma non poteva non sentire il peso di una tale premura.

Gli sembrava assurda, ridicola e fastidiosa.

Inoltre, lui meritava tanti riguardi?

No, non merito nulla., si disse. Con la morte di Lee, lui era diventato un condannato a morte, ormai alieno all'esistenza della comunità.

Si muoveva in un mondo grigio e silenzioso e la desolazione straziava il suo cuore.

Il suo passato sembrava un vecchio film, girato da pessimi attori diretti da un regista visionario.

Va bene. Dammi un po’ di tempo per rendermi presentabile. – mormorò.

Stai tranquillo. Io aspetto qui. – lo rassicurò Asuma.

Gai, a passo rapido, quasi robotico, si avviò verso il bagno della sua abitazione.


Un po’ di tempo dopo, i due uomini si diressero verso il cimitero di Konohagakure.

Di tanto in tanto, Asuma lanciava sguardi sul compagno. Camminava a testa alta, fissando con sfida i passanti, e il lungo mantello nero, sfiorato dal vento, si sollevava, come la vela di una imbarcazione.

Il suo corpo manteneva l’andatura rigida, quasi cerimoniale, di un samurai.

Lo sconforto invase la mente di Sarutobi. No, quello non era Gai Maito.

Sembrava un’altra persona.

Un’energia a stento controllata ribolliva nel suo corpo, come metallo incandescente.

Ma quanto sarebbe durato un simile atteggiamento?




Decine di persone, vestite di nero, erano riunite attorno ad una bara lignea, immersa in una nuvola di gigli bianchi e rose gialle e rosse.

Gai si irrigidì. Aveva scelto lui quei fiori per onorare il suo allievo.

Eppure, in quel momento, dubitava della giustezza della sua scelta.

Certo, la scelta dei fiori rimembrava l’autentica indole di Rock Lee, ma gli sembravano offerte insensate.

Qualche istante dopo, Neji e Tenten si avvicinarono ai due jonin.

Maestro Gai… – singhiozzò la ragazzina.

Il ninja, cauto, allungò la mano e le sfiorò il viso in una gentile carezza.

Sono belli i fiori che lei ha scelto. Esprimono a pieno la sua natura. – intervenne Neji, atono. Rock Lee, con l’apertura delle Hachimon Tonkou, era riuscito a scalfire le sue granitiche condizioni sull’ineluttabilità del destino.

Lui l’aveva creduto incapace e fallito, eppure era riuscito in una simile prova.

Aveva appreso una tecnica pericolosa, degna di un potente shinobi.

Ma non era bastato contro la strabordante forza del jinchuuriki di Sunagakure.

E la sorte si era accanita contro di lui e l’aveva ucciso, quando aveva cercato di recuperare quel sogno.

Scrutò il viso del loro maestro e aggrottò le sopracciglia. Aveva creduto che sarebbe crollato, straziato dalla disperazione.

Invece, aveva assunto l’autocontrollo di un membro di una potente casata.

E non poteva fare a meno di ammirarlo.

Solo i lineamenti squadrati raccontavano la sua vera origine.

Ehm, Gai… – intervenne Asuma, imbarazzato.

Un debole sorriso sollevò le labbra del maestro di taijutsu.

Asuma, vai pure dal tuo team. Occupati di loro. A causa di questa vicenda, saranno sconvolti. – mormorò il maestro di taijutsu, pacato.

Il soffio del vento, per alcuni istanti, si intensificò e Gai, paziente, si avvolse il mantello attorno al corpo.

Il ninja figlio di Hiruzen Sarutobi appoggiò la mano sulla sua spalla destra.

Come desideri. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. – gli disse.

Sollevò la mano in un gesto di saluto e si diresse verso la sua squadra.


Diverso tempo dopo, il silenzio avvolse l’intero cimitero.

I presenti fissarono i loro occhi sulla bara. Non riuscivano a concepire la scomparsa di un giovane tanto vitale e coraggioso.

Poco tempo prima, avevano dovuto seppellire il Sandaime Hokage, Hiruzen Sarutobi.

Ma la perdita di Rock Lee era assai più dolorosa, perché avevano dovuto dare l’estremo saluto ad una speranza ormai spenta.

Hiruzen Sarutobi era perito tragicamente, ma aveva avuto la possibilità di vivere una lunga vita e di combattere per la sua comunità.

A Rock Lee questo non era stato concesso.

Con un gesto leggero, Gai appoggiò le mani sulle spalle dei suoi due allievi e fissò lo sguardo davanti a sé. Aveva voglia di piangere, ma doveva frenare i suoi sentimenti.

Gli pareva di sentire su di sé gli sguardi della loro comunità, carichi di biasimo.

Bene, non si sarebbe lasciato abbattere dalla disperazione.

Nessuno doveva vedere la profondità della sua amarezza.

Neji e Tenten, sentendo quel tocco, sussultarono e fissarono i loro sguardi sul loro maestro.

Gai sollevò le labbra in un debole e rassicurante sorriso. Avrebbe lasciato ai suoi allievi un buon ricordo.

Non dovevano essere disonorati a causa della sua sconsideratezza.

Avrete un bel ricordo di me., pensò, sfiorando le spalle dei due ragazzi in una tenera carezza.

Kurenai e Kakashi lanciarono uno sguardo al loro compagno. Sì, ad un occhio inesperto, la fierezza di Gai appariva sincera.

Ma loro sapevano che non era così.

Avvertivano sulla pelle quella sensazione di artefatto.

Ad un tratto, ciascuno dei presenti cominciò a sfilare accanto alla bara di Rock Lee e a posarvi mazzi di fiori.

Giunto il suo turno, Gai, a passo rapido, si avviò verso il feretro, stringendo tra le mani un fascio un fascio di rose gialle appena sbocciate, scintillanti di gocce d’acqua.

Si inginocchiò e, cauto, depose i fiori al centro del feretro.

Per alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, poi si alzò e ritornò da Neji e Tenten.


Qualche ora dopo, mucchi di terra coprirono la fossa, nella quale era stata calata la bara.

Gai fissò la buca che, a poco a poco, si riempiva, lo sguardo stralunato. Gli sembrava di essere sempre più estraneo a se stesso.

Era Rock Lee il giovane sepolto in quella tomba?

Si scosse dal suo stato di torpore. Sì, era lui.

Dormiva sotto strati di morbida terra nera.

E nulla l’avrebbe risvegliato.


Il sole del tramonto imporporò il cielo di Konohagakure, che sembrò tingersi di sangue.

Gai, per alcuni istanti, rimase immobile, accosciato davanti alla tomba di Rock Lee, la mano poggiata sul mento. Finalmente, si erano allontanati.

Poteva restare da solo, in compagnia dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.

Ricordi che, presto, non ci saranno più., si disse. Durante il funerale, il suo pensiero si era rafforzato.

Porre termine alla sua vita sarebbe stato un atto di grande utilità per il villaggio.

Pur di compiacere il suo orgoglio, aveva distrutto la vita di un bambino innocente, che si era nutrito delle sue parole.

E questa era una colpa immeritevole di perdono.

Aveva sentito su di sé il biasimo della sua gente.

I loro sguardi vitrei chiedevano la sua punizione, pur non osando esprimere tale desiderio.

E li comprendeva.

La sua comunità non aveva bisogno di un elemento come lui.


Gai… – mormorò una voce cauta.

Lo shinobi si girò e vide, a poca distanza da lui, Kakashi, accompagnato da Asuma e Kurenai.

Perché siete qui? Pensavo aveste anche voi degli allievi... – domandò, meravigliato.

Asuma scosse la testa, scoraggiato, mentre Kurenai sgranava un poco gli occhi, stupita. Certo, la morte di Lee era stata dilaniante per lui, ma si era tramutato in uno spettro.

Sembrava consapevole, eppure, in alcuni momenti, i suoi occhi erano lontani, persi in un pensiero solo a lui noto.

Kakashi si passò una mano sulla fronte. Odiava quella finzione.

Gai non consentiva loro di avvicinarsi.

Certo, era trascorso troppo poco tempo dalla morte di Rock Lee e non poteva aspettarsi nulla, ma quella fierezza artefatta lo innervosiva sempre più.

Il suo compagno di battaglia era diventato imperscrutabile.

Si avvicinò all’amico e gli appoggiò una mano sulla spalla. Tanti, troppi errori aveva compiuto.

A causa sua, Obito si era sacrificato e Rin era morta, uccisa da lui in un’insensata lotta contro Kirigakure.

Non avrebbe permesso a Gai di impantanarsi nelle secche della depressione.

Lo avrebbe salvato.

Voglio solo dirti che… se tu avessi bisogno di qualcosa, noi saremo qui… Non esitare a chiedere. – rispose, il tono apparentemente calmo.

Sì. Non chiuderti nel dolore. Non cercare di affrontare da solo questa prova.– intervenne Kurenai.

Gai sollevò le labbra in un debole sorriso. Se non avesse avuto il cuore pesante, avrebbe riso della situazione.

Era encomiabile la premura di Asuma e Kurenai, ma ricordava bene il rimprovero di Kakashi, quando gli aveva confessato di avere insegnato le Hachimon Tonkou a Rock Lee.

E aveva avuto ragione.

Proprio Hatake si preoccupava per un individuo come lui?

No, non meritava nulla.

Ragazzi, vi ringrazio, ma non ho bisogno di nulla. Voglio tornare a casa e dormire. Apprezzo molto l’interessamento, ma ho bisogno di pace e tranquillità. – spiegò.

I tre shinobi si guardarono in faccia, incerti. Erano preoccupati per lui, ma non potevano non negare la giustezza delle sue affermazioni.

La loro presenza, malgrado le buone intenzioni, poteva costituire un ulteriore peso.

La solitudine, anche se all’interno del villaggio, forse, gli avrebbe dato requie.

Magari, avrebbe pianto da solo le sue lacrime.

Come desideri. Ma le nostre parole sono sempre valide. Se hai bisogno, non esitare a chiamarci.– asserì Asuma.

Con brevi cenni della testa, gli altri annuirono.

Ne prendo atto. – rispose Gai.

Poi,a passo lento, stanco, pesante, si allontanò dal cimitero di Konohagakure.

   
 
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