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Autore: time_wings    13/09/2020    3 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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10. Puro

 




Settembre 1981
 
Il sole sorgeva freddo oltre una coltre di nubi dense e pesanti. La sua sagoma lottava sforzandosi di superare quella barriera e mostrandosi per un pallido disco bollente che si alzava alle spalle della collina.
Il freddo pungeva le braccia di Peter. Aveva quasi voglia di scrollarselo di dosso, di farsi un tè caldo, forse, e di godersi i suoi ultimi momenti tranquilli.
Non se ne pentiva. Era stata una scelta che non aveva mai davvero avuto il lusso di prendere. L’altra possibilità era semplicemente sconsiderata, un’utopia, una maniera stupida di rimanere attaccati al passato. Una visione romantica, quasi tenera, ma che non era più il momento di portare avanti.
Era fiero di sé, a dirla tutta. Era stato capace di prendere una decisione grossa tutto da solo, di ponderare, di analizzare e, infine, di scegliere, di fare di testa sua.
Era una bugia, ovviamente, una parte di lui lo sapeva bene.
Quella non era una scelta, era la forma più vile di paura, ma ormai aveva avuto l’incarico e non c’era più modo di tornare indietro. Silente, l’Ordine, Moody e i suoi amici… be’, gli facevano pena. Provava stima per ognuno di loro, sapeva che erano maghi coraggiosi, abili e intelligenti, ma non si spiegava come facessero a essere allo stesso tempo così ciechi.
Quella era una guerra che non avrebbero vinto.
Il Signore Oscuro era troppo forte, troppo scaltro, troppo deciso e troppo armato per essere abbattuto da un’organizzazione segreta e misera. Un’organizzazione che, d’altronde, aveva riposto la sua fiducia nella spia, nel povero, affidabile e spaventato Peter.
James, Lily e Harry avevano le ore contate e il destino del mondo intero era nelle loro mani.
Peter, dal basso della sua misera paura, si sentiva quasi clemente. Tre vite per la libertà. Solo tre, per un mondo duro, certo, ma uno in cui lui e tutti gli altri sarebbero potuti restare vivi. Un mondo in cui, se tutti si fossero piegati come lui, le morti sarebbero finite. Marlene, Dorcas, i gemelli Prewett, Edgar, Benjy e forse Emmeline… morti inutili, risparmiabili.
Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi un vigliacco per la tensione che scorreva da mesi tra Remus e Sirius. Sapeva che sospettavano a vicenda l’uno dell’altro, ma Peter ne era grato, era il motivo per cui tutto sarebbe andato bene, alla fine, il motivo per cui l’unico essere umano al mondo di cui avrebbe dovuto avere paura, quando l’Oscuro Signore avrebbe attaccato, sarebbe stato Sirius.
Lui avrebbe messo i pezzi insieme, Peter sapeva come la pensava, conosceva quella sua maniera eroica e stupida di mettersi in pericolo per amore e lealtà, sapeva che sotto attacco c’era James, non uno qualunque, e sapeva che sarebbe dovuto correre molto lontano per avere salva la vita.
Ma era solo.
E Sirius, quando era solo, era innocuo e vulnerabile, Peter lo conosceva come le sue tasche. Accecato dalla rabbia, nonostante l’abilità a duellare, sarebbe stato un avversario impulsivo e sconsiderato e Peter sapeva dove colpire.
Avrebbe vinto. Ne era sicuro.
 
***
 
Il suono croccante di una mela che veniva morsa schioccò nel silenzio della Sala Comune. James alzò lo sguardo dal suo libro di pozioni e inarcò un sopracciglio guardando Sirius, con la bocca piena.
“Che c’è?”
“Sto studiando,” si lamentò lui, allargando le braccia come a evidenziare il libro aperto davanti a sé.
Sirius scrollò le spalle e si accigliò. “Non posso mangiare una mela?”
Fu il turno di Peter di guardarli entrambi, esasperato. “Tu, smettila di parlare,” intimò a Sirius, “e… James, ha solo morso una mela.”
Sirius, poco incline alla pace, fissò James negli occhi e diede un altro, rumorosissimo, morso alla mela, premurandosi di masticare a bocca aperta, per disturbarlo di più.
“Pensa allo scherzo di stasera,” aggiunse Peter, perché ultimamente dare qualcosa da fare a Sirius era l’unica arma contro una catastrofe.
Il problema era stato il Natale. Il problema era sempre il Natale, anche più dell’estate. Un Natale in cui i rapporti con Regulus erano più aspri che mai e una tensione inspiegabile, ma decisamente oggettiva, cresceva in Sirius, anche quando non era a casa. Era visibile, praticamente vibrava di inquietudine e non riusciva mai a starsene fermo un attimo. Il desiderio di mettersi in mostra e divergere non era mai stato così evidente.
A fargli concorrenza, quel giorno, c’era Remus. Doveva essere molto stressato, perchè altrimenti non si sarebbe potuto spiegare perché fosse entrato nella Sala Comune come se gli avessero appena ucciso il cane e si fosse seduto alla sua poltrona – lasciata come al solito libera – spostando malamente tutti i libri che erano appoggiati sul tavolo su un lato. I libri di James, per la cronaca.
James alzò le mani di scatto e lo lasciò fare, come rassegnandosi a una perquisizione della polizia. Sirius rimase con la mela a mezz’aria, già pronto a darle un morso, ma perplesso all’idea che il rumore potesse disturbare anche il lupo. Peter si limitò a fissarlo, con gli occhi sgranati, preparandosi ad accettare qualunque destino Remus avesse in mente per lui.
Il ragazzo si guardò attorno per un attimo, negli occhi uno sguardo che avevano visto solo in James e Sirius, prima di una ‘grande idea’ delle loro, che mai si era rivelata una grande idea. Remus poggiò le mani sul tavolino. “Allora.”
“Che abbiamo fatto?” tentò Sirius e James gli fece segno con una mano di non fiatare.
“Tu hai voluto fondare un’associazione a delinquere, come ti piace definirci,” puntò un dito contro Sirius e lui annuì, “tu non vuoi perdere occasione per farla pagare a Mocciosus per... qualunque cosa ti abbia fatto,” James sorrise orgoglioso e annuì a sua volta, “e tu vuoi essere certo di sfuggire alle detenzioni quando facciamo uno scherzo.” Peter scrollò le spalle in assenso.
“E quindi?” Sirius si iniziò a rilassare e staccò un altro morso della mela. Gli occhi di Remus saettarono nella sua direzione e… qualcosa lo fece arrabbiare, quando notò che non sembrava rimpiangere quel gesto, anzi, gli sorrideva provocatorio.
“Quindi,” iniziò Remus, distogliendo lo sguardo e lasciando perdere quella sensazione, “non possiamo continuare a farci beccare da Gazza e da quella fottuta gatta.”
“Linguaggio, Lupin,” lo prese in giro Sirius e a Remus tornò di nuovo quella voglia stupida di rimetterlo al suo posto. Fu sicuro di averlo fissato per qualche secondo di troppo, come a sfidarlo.
“Dove vuoi arrivare?” inquisì invece James, che iniziava a gradire la piega che stava prendendo quel discorso.
“Il mantello è davvero utile, ci è servito praticamente per ogni scherzo e ci servirà stasera, ma…” Remus si prese un attimo per dare anche un’occhiata a Peter: era sull’attenti, “ci serve una mappa.”
Ci fu silenzio per qualche attimo, poi Sirius si iniziò a muovere sul divano, correndo addosso a James e battendogli una mano sullo sterno, con un po’ troppa eccitazione. “Questa è un’idea geniale.”
Remus gli sorrise.
“Ci metteremo una vita!” considerò Peter.
“Dobbiamo assolutamente farlo,” convenne James, che non si era troppo scomposto per le maniere brusche di Sirius solo perché era altrettanto euforico, “hai qualche idea?”
Remus sorrise soltanto, aprendo la cinghia della sua cartella e tirando fuori un libro dall’aria piuttosto vecchia dal titolo: ‘libro standard degli incantesimi’. “Incantesimo Homunculus,” annunciò e si beccò nient’altro che tre paia d’occhi confusi, “se applicato su una mappa rivela il nome e la posizione, istante per istante, di chiunque passi nel terreno mappato.”
James sgranò gli occhi. “Questo significa…”
Remus annuì.
“Significa non poter essere più scoperti!” continuò James, meravigliato, “sapere quando un Serpeverde varca la soglia della sua Sala Comune, scoprire ogni password, individuare Mocciosus in qualunque momento, evitare Evans come la peste.”
“Perché sia precisa,” iniziò Peter, cominciando ad annuire e a visualizzare le potenzialità di quell’idea, “dovremo esplorare la scuola come non abbiamo mai fatto e scoprire quanti più passaggi segreti possibili. In pratica non può avere più segreti.”
Remus si alzò e prese a misurare la stanza con passi pensierosi. Era felice, davvero, sapeva che era una grande idea, sapeva che non ci sarebbe più stato modo di fermarli, se ci fossero davvero riusciti. “Pensavo di oscurare il passaggio del Platano Picchiatore, per ovvie ragioni,” spiegò e i ragazzi annuirono tutti in coro, “e sarebbe utile se identificasse i veri nomi di qualunque fantasma o persona che abbia bevuto la pozione polisucco, Piton ci sa fare con le pozioni,” James e Sirius si scambiarono uno sguardo piacevolmente sorpreso.
“Hai pensato proprio a tutto,” lo prese in giro Sirius, dando un’occhiata alle sue spalle, dove in quel momento camminava Remus. Il ragazzo scosse la testa con un sorriso e gli rubò la mela dalle mani.
“Un’altra cosa e ho finito,” iniziò, prendendosi un attimo per dare un morso. James si esibì nella smorfia disgustata più plateale della storia, ma Sirius sorrise, “non so se lo sapete, ma la McGranitt è un Animagus.” Un silenzio tombale scese all’improvviso nella Sala Comune.
Peter deglutì rumorosamente e si schiarì la voce. “E quindi?”
“Quindi la mappa deve essere in grado di riconoscere anche il nome della persona trasformata. Non possiamo rischiare che ci trovi.”
Sirius annuì piano, ma un’ombra titubante gli oscurò la voce. “Va bene.”
Remus sorrise e tornò a sedersi. “Va bene,” ripeté, “non ci resta che esplorare.”
 
***
 
Marlene McKinnon era entusiasta all’idea di essere la migliore amica di Lily Evans ed era anche orgogliosa di riuscire a leggerla e comprenderla anche quando lei faceva di tutto per nascondere i suoi veri sentimenti. Tuttavia, quando quella sera quella stessa Lily tornò nel dormitorio delle ragazze con un diavolo per capello, se non di più, Marlene pensò che l’avrebbe potuto notare chiunque, anche il più indifferente dei passanti, che qualcosa non andava.
Scambiò un veloce sguardo con Dorcas. Entrambe alzarono un sopracciglio all’unisono, come a specchio, poi tornarono a guardare la loro amica, stesa sul letto a faccia in giù, che soffocava urla frustrate.
“Ehm,” tentò Marlene, un principio di sorriso a incurvare le labbra, “va tutto bene?”
“No,” mugugnò Lily da sotto il cuscino.
“Bene, questo l’avevamo capito,” iniziò Marlene e, questa volta, fu sicura che il divertimento trasparisse anche dalla voce. Sperò con tutta se stessa che Lily non pensasse bene di prendersela con lei, così si decise ad aggiustare il tiro. “Ti va di dirci perché?”
Marlene si voltò verso Dorcas a cercare consensi. Non che lei fosse una cima nelle relazioni interpersonali, ma un feedback era sempre gradito. Quando addirittura Dorcas alzò un angolo della bocca, non troppo convinta, Marlene fu certa di poter concorrere alla carica di peggior migliore amica dell’anno, il che suonava già un controsenso da sé.
“Stavo camminando per i corridoi mentre tornavo qui,” Lily, contro ogni aspettativa, si alzò a sedere con uno scatto che fece indietreggiare per un attimo Marlene, convinta di essere a rischio testata. “All’improvviso sono sbucati dal nulla due ragazzi, sono piuttosto sicura che uno fosse Rosier,” continuò Lily e Marlene e Dorcas si scambiarono un’occhiata veloce, inalberandosi.
“Che ti hanno detto?”
Lily sospirò, si portò una mano ai capelli e scosse la testa. “Ultimamente sembrano essere tutti molto decisi a discriminare i Nati Babbani,” disse con un sospiro e una scrollata di spalle, “insomma, so che non è una novità nella società magica, ma non pensavo fosse una cosa così frequente.”
“Non lo è, infatti, non capisco cosa gli prenda,” si espresse Dorcas, inserendosi per la prima volta in quella conversazione, “è dall’inizio dell’anno che sono diventati più insistenti.”
“Tu che hai fatto?” le domandò Marlene, sfiorandole un braccio affettuosamente.
“Be’, io…” iniziò Lily, annuendo e spostando lo sguardo sul letto, decisa, come preparandosi all’ennesimo moto di frustrazione, “stavo proprio per rispondere a tono e, magari, sperare che la finissero una volta per tutte, quando dal nulla decide di farsi avanti un paladino!” Lily allargò le braccia e mise l’accento sulla sua ultima parola, riempiendola di un’ironia che raggiunse forte e chiara le orecchie delle amiche.
Marlene rise, scambiando un’occhiata divertita con Dorcas, “James Potter, immagino.”
“Oh, è qui che ti sbagli,” le sorprese Lily, cedendo a una risata genuina. “Peggio!”
Marlene aggrottò le sopracciglia e la osservò in attesa.
“Sirius Black,” confessò lei, serrando le labbra perché non aveva intenzione di fare la predica a Marlene su quanto non fosse d’accordo sulle sue scelte degli ultimi mesi.
“Cosa? E perché l’avrebbe fatto?” chiese Dorcas, che sapeva benissimo che le loro conversazioni erano intrise di un veleno parecchio diverso da quello che riservava a James.
“Esatto. Perché l’avrebbe fatto?”
Marlene strinse le labbra.
“Senti, lo so che vi trovate bene, che sa essere divertente e tutto il resto,” iniziò Lily, con un sospiro, “ma noi ci detestiamo e quello che ha fatto prima mi è sembrato…”
“Che ha detto?” la interruppe Marlene. Sorrideva, a dire il vero, e scuoteva la testa come a rassicurare l’amica del fatto che non si fosse sentita attaccata in nessun modo.
“Non lo so, ha detto che c’erano mille modi per insultarmi e che il sangue era proprio il più stupido.”
Marlene sorrise, semplicemente. “Voi due andreste davvero d'accordo se la smetteste di insultarvi ogni volta che vi vedete.”
“Certo, Marlene, e Potter è l’uomo della mia vita. Qualche altra battuta da fare?”
Marlene sospirò e alzò gli occhi al cielo, cercando aiuto nello sguardo di Dorcas, che, purtroppo, non sembrava possedere abbastanza informazioni per darle man forte. “Ti sembrerà strano, ma credo ti abbia difeso perché era onestamente toccato dall’accusa di Rosier e chiunque fosse con lui,” spiegò Marlene, seria.
“Sì, facendogli crescere una coda d’asino? Encomiabile.”
“Ha i suoi modi, ma penso fosse sincero. Litiga spesso col fratello per questioni simili.”
Lily aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo. “Ha un fratello?” domandò in un soffio.
Marlene sorrise, perché era certa, sicura, di aver fatto centro, di aver collegato un filo di seta sottile ma importante tra due situazioni simili: Petunia e Lily. Regulus e Sirius. Erano storie ripetitive nella loro unicità. Poi si affrettò ad annuire. Una scintilla provocatoria le si accese nello sguardo e Lily grugnì stremata.
“Ho capito!” sentenziò, muovendo le mani davanti a sé, perché evidentemente non poteva sopportare quel luccichio vittorioso nello sguardo di Marlene. “Grazie, ma resta un insopportabile idiota.”
Marlene le diede un’affettuosa pacca su una spalla, ma non c’era mezzo muscolo del suo viso che non gongolasse. “Buonanotte!” trillò, con un sorriso, dirigendosi finalmente al suo letto.
Che Lily fosse nervosa, in effetti, l’avrebbe potuto notare chiunque, ma nessuno meglio di Marlene avrebbe saputo dove colpire.
 
***
 
James e Remus avevano dato il meglio di loro. Non c’era storia: fino a quel momento non si erano mai spinti così in là, quella sarebbe stata una nuova frontiera. Acque inesplorate si stendevano davanti a loro e nulla era stato tanto difficile quanto contenere l’entusiasmo di Sirius e i tremiti di Peter, quella sera.
Se fossero riusciti a scappare – e ci contavano, a dirla tutta – nessuno avrebbe mai potuto accusarli di una bravata tanto grande. Nonostante la fama, la naturale inclinazione, quello era semplicemente troppo per costringere qualunque professore ad accusarli senza uno straccio di prova.
“Te lo dico per l’ultima volta,” iniziò Remus, in un sussurro che, a voce piena, sarebbe stato molto più deciso, “prova a fare qualcosa nella fase due e alla prossima luna ti trascino nella Stamberga Strillante.”
Sirius alzò gli occhi al cielo. “Non c’è pericolo.”
“Veramente c’è,” si intromise James. Lui, però, non sembrava preoccupato, anzi, aveva tutta l’aria di uno che non vedeva l’ora di mettersi a gridare dall’eccitazione. Peccato che, sotto il mantello dell’invisibilità e con meno di tre centimetri d’aria per respirare, non potesse lasciarsi andare a simili esternazioni.
“Queste cose a James non le dite, quando c’è di mezzo Mocciosus,” si lamentò Sirius, sussurrando arrabbiato da sotto il mantello.
“Perchè io mi so controllare.” James scrollò le spalle e fece volteggiare il mantello ai suoi piedi, per non inciampare.
Che James in realtà non si sapesse controllare era noto a tutti, ma i ragazzi decisero in silenzio che era meglio non sottolinearlo, per colpire Sirius nell’orgoglio.  Peter soffocò comunque una risata nel naso.
“Ahi,” si lamentò infatti, dopo un attimo di silenzio, “quello era il mio piede!”
“Lo so.”
“Ci siamo.” Remus osservò.
“A te l’onore,” incalzò James, allargando un braccio e appiattendosi al muro per lasciar passare Sirius.
Il ragazzo si preoccupò di lasciare un’occhiata drammatica a testa, per i suoi amici, perché quella era una palese presa in giro e sarebbe stata la prima e l’ultima volta che gliel’avrebbe concessa.
Si parò davanti al muro e inspirò seccato.
“Mi raccomando,” lo fermò James, non appena prese fiato per parlare, “dillo come te l’hanno insegnato, altrimenti non funziona.”
“Cosa? Vaffanculo?”
“Ah-ah! Non si dice!” continuò a prenderlo in giro James e Sirius si voltò, ignorandolo anche se continuava a sghignazzare e a dare gomitate divertite a Peter.
Purosangue,” pronunciò Sirius, con aria fiacca, e i mattoni impregnati di umidità dei sotterranei si fecero da parte uno alla volta, scivolando su loro stessi e rivelando una stanza enorme e scarsamente illuminata.
“L’ha detto benissimo!” osservò James, per stemperare la tensione, ma guadagnò soltanto una gomitata nel fianco, prima che sgusciassero all’interno della sala comune dei Serpeverde.
Si presero un attimo per osservare la stanza e un brivido congelato percorse la schiena di tutti.
Remus si voltò a guardare Sirius, accigliandosi mentre provava a capire cosa gli passasse per la testa. Per un attimo, uno solo, si chiese se tutta quella storia dello scherzo fosse una buona idea, soprattutto dopo l’ennesimo racconto monco che Sirius aveva confessato tra un mormorio e un altro sul Natale appena trascorso.
“James,” sussurrò Remus, con un cenno del capo in direzione del grosso divano in pelle che ospitava, come previsto, i bersagli sperati. Lui annuì, sfilando la bacchetta dalla tasca del mantello e puntandola davanti a sé.
Mulciber stava muovendo una mano con fare assorto, con la stessa attenzione di chi, reggendo un calice di vino pregiato, fosse più occupato a chiacchierare. Insomma sembrava un vero cretino.
“Voi che fareste?” domandava invece Avery.
“Ovviamente lo farei,” Bellatrix alzò gli occhi con un sorriso, come a dire che non c’era neanche da pensarci, “sarebbe nettamente meglio.”
Peter e Sirius sorrisero, puntando anche loro le bacchette in direzione del divano, superando i fianchi di James. Lui, però, alzò entrambe le braccia e aggrottò la fronte.
Si voltò a guardare i suoi amici e appoggiò l’indice sulle labbra per non farli parlare, accennò in direzione dei divani, poi batté due volte le dita accanto all’orecchio, come a invitarli ad ascoltare.
“Non lo so,” Rosier scrollò le spalle, “parliamo sempre in via ipotetica, vero?”
“Certo,” rispose secco Wilkes, sulla sottile linea che divideva la tagliente ironia dalla scontata verità, “in via ipotetica.”
“Io trovo che non sia un’idea così folle,” Mulciber scrollò le spalle come se la questione non lo turbasse più di tanto.
Sirius cercò gli sguardi dei suoi amici, a bocca aperta. Sperava con tutto se stesso di non aver capito il fulcro del discorso.
“A volte,” iniziò Severus. Lo sguardo sembrò cadere proprio nel punto in cui i quattro Grifondoro erano nascosti sotto il mantello dell’invisibilità. Si distrasse per un attimo, ma poi scosse la testa e tornò a guardare i suoi compagni, “bisogna semplicemente ammettere che questo mondo non è per tutti.”
Avery e Rosier annuirono convinti e una risata alta e secca sfuggì alle labbra di Bellatrix, prima che posasse una mano sottile e ossuta sui capelli di Regulus. “E tu che dici?”
Remus abbassò lo sguardo e vide distintamente Sirius serrare i pugni. Gli venne naturale sfiorargli la mano per attirare la sua attenzione e scuotere la testa. Strinse attorno al profilo dentellato delle nocche sbiancate.
“Be’, sì…” Regulus si morse un labbro e si guardò attorno, vagamente intimidito. Infine sorrise, cercando di apparire il più sicuro possibile. A Remus ricordò una pallida imitazione di quello di Sirius. “Meglio non… Sì, meglio una società più…” Bellatrix rise, in attesa di un’unica parola chiave che si vedeva già viaggiare nelle menti di tutti: “pura.”
E Sirius si acquietò. Solo uno sguardo deluso per suo fratello. A Remus parve di distinguere il momento preciso in cui prese coscienza del fatto che una divergenza di idee, fosse anche una sola, poteva dichiarare eterna una rottura.
Quello fu l’esatto momento in cui Regulus iniziò a morire.
James sospirò, puntando nuovamente la bacchetta sul divano nero, ma Mulciber prese di nuovo la parola.
“Finalmente, almeno, sta succedendo qualcosa.” Un sorriso gli tagliò le labbra e la luce fioca della sala comune gli colpì il viso come a spezzarlo. I ragazzi, sotto il mantello, si irrigidirono.
“Sono solo voci.” Rosier scrollò le spalle. Sembrava quasi che sperasse che fossero solo voci, a giudicare dal tono.
Avery scosse il capo, con fare drammatico. “Oh, questa volta credo di no. Sta succedendo qualcosa,” confermò, ripetendo le stesse parole di Mulciber come se avesse voluto rendere l’atmosfera più grave e pesante. In effetti ci riuscì eccome.
Remus, a cui tutti davano le spalle, sfiorò la spalla di James e costrinse gli amici a voltarsi in assoluto silenzio verso di lui. Non parlò, ovviamente, non avrebbe potuto, ma scosse la testa e fu abbastanza: quello scherzo non l’avrebbero potuto fare, non quella sera. 
James si voltò solo un attimo verso il centro della sala comune, mordendosi un labbro indeciso, poi tornò a guardare Remus e annuì.
Era un rischio che non potevano correre. I professori, senza prove, non avrebbero mai potuto assegnare punizioni a nessuno di loro, ma i Serpeverde non avevano bisogno di prove.
Uno scherzo sarebbe equivalso a una confessione e, in condizioni normali, non sarebbe neanche stato un problema. Ma in quel caso non avrebbe fatto altro che dir loro che erano stati lì, che avevano ascoltato la loro conversazione e che sapevano. Cosa? Non ne erano sicuri e, con ogni probabilità, si trattava soltanto di Mulciber, Avery e Bellatrix che la facevano più grande di quanto non fosse, che gonfiavano due misere informazioni per farle apparire segrete, esclusive e importanti, ma qualcosa, nell’aria che si respirava, aveva fatto tremare per un attimo anche James. Qualcosa che non stava nelle allusioni di Bellatrix né nei sorrisi sicuri di Mulciber né, tantomeno, nelle pompose ripetizioni di Avery.
Era qualcosa che stava, a dirla tutta, nella maniera in cui Regulus aveva detto ‘pura’.
 
***
 
La notte di Halloween, 1981
 
Udiva il sangue pulsare nelle orecchie. Il ronzio della rabbia respirava incessante nella testa e a ogni passo sembrava di cadere, di sentire le ginocchia sciogliersi e risolidificarsi proprio all’ultimo, un attimo prima di cedere. Una caterva di insulti gli offuscava la testa e non fu neanche così sicuro di averli davvero tenuti tutti per sé.
Era rabbia, la più pura, che bolliva sottopelle come a volerlo bruciare. Era una rabbia pericolosa, di quelle che lasciano esausti, sfiancati. Vuoti. Quella rabbia mischiata al dolore e capace di annientarlo momentaneamente, di bruciarlo addirittura, ma di lasciare intatta la cenere, perché potesse piangerla quando l’effetto intossicante dell’adrenalina sarebbe svanito.
Di tanto in tanto stringeva i pugni, mentre setacciava l’ennesimo vicolo. Non perché fosse teso. Ovviamente era teso, ma non gli sarebbero bastati cento pugni serrati per dimostrarlo. No, semplicemente non era certo di avere pieno contatto con la realtà. A ogni passo perdeva un pezzo di lucidità.
Era tarda sera, qualche passante si voltava a guardarlo, qualche genitore avvicinava a sé suo figlio al suo passaggio. Doveva fare davvero paura.
Be’, ci sperava, perché l’avrebbe fatto a pezzi, ci poteva giurare. Non gli avrebbe lasciato neanche  il tempo di piangersi addosso come faceva sempre, di implorare perdono, di strisciare come un verme a chiedergli scusa.
Quella notte, ne era certo, Peter Minus non sarebbe riuscito a sfuggire ancora alla morte. E avrebbe fatto meglio a ringraziarlo, perché quello era addirittura un regalo.
Quando lo vide gli parve quasi di impazzire. Non seppe bene come avesse fatto a trovarlo, aveva ricordi vaghi di incantesimi e di trasformazioni per un olfatto più efficiente, ma quando lo individuò, di spalle, con le mani nelle tasche che camminava guardandosi ai lati di tanto in tanto, si congelò.
Inclinò la testa su un lato, perché Peter era lì, davanti a lui, e camminava con passo furtivo, in mezzo a una strada qualunque di un villaggio senza nome, in cui maghi e babbani si mescolavano in un pubblico di cui non distingueva i lineamenti. E gli sembrò davvero ingiusto.
Un’ingiustizia che gli scoppiava nel petto, così sconcertante da non essere sicuro di poterla sopportare in un’unica testa.
Peter Minus era adesso un nome e un cognome, non c’era traccia del ragazzino a cui aveva voluto bene, non riusciva più a ricordare come avesse potuto, anche solo per un istante, associare quella sagoma a qualcosa che non fosse odio nella sua forma più sincera.
“Peter Minus.” lo chiamò, il pallido ricordo di un sorriso beffardo che si trasformava naturalmente in un ghigno spaventoso. Quando lo vide voltarsi, gli occhi sgranati e una luce sconvolta nello sguardo, Sirius si sorprese della nitidezza con cui riuscì a provare un’unica emozione totalizzante: la sofferenza.
Non era arrabbiato con Peter, non gli importava niente di lui. James e Lily erano morti, era questo il problema, lui li aveva visti.
Fu quell’immagine, così limpida, il motivo per cui ci mise più tempo di quanto riuscì a realizzare per impugnare la bacchetta.
“Sirius Black!” gridò Peter e Sirius aggrottò la fronte e non ebbe il tempo neanche di registrare le sue parole: “Sirius Black ha tradito James e Lily Potter! È un assassino!”
Vide solo una scintilla vittoriosa nello sguardo di Peter, prima che una luce arancione si sprigionasse dalla punta della sua bacchetta, poi troppe persone urlarono tutte insieme.
Un’onda d’urto lo sospinse all’indietro, facendolo inciampare. L’intero manto stradale, proprio a un centimetro da lui, si scrostò con violenza e si arricciò come un’onda, impedendogli di capire cosa fosse successo oltre il suo naso, ma tutti gridavano in preda al panico.
Il suono di una lama che fendeva l’aria e un urlo atroce, più degli altri… un urlo di Peter fu l’ultima cosa che Sirius udì prima del tracollo.
 
***
 
Un grido acuto si prolungò nel silenzio. Strinse gli occhi e un mugolio gli scappò dalle labbra. Era lontano, ma non abbastanza da disperdersi nel buio. Scosse la testa di scatto, gli occhi saettarono sotto le palpebre, frenetici.
“Remus.”
Una voce lo chiamò. Aggrottò le sopracciglia, ma mantenne gli occhi chiusi. Il vento gli sferzava il viso mentre correva a perdifiato. Affondò i denti in qualcosa di morbido. Un liquido caldo e viscoso gli colò lungo la mandibola. Soffocava, annegava nel sapore ferroso che gli invadeva la bocca a ogni morso. Un senso di disgusto gli arpionò lo stomaco, ma non riuscì a staccarsi dalla carcassa.
“Remus,” il sussurro si fece più insistente.
Aprì gli occhi di scatto, mettendo a stento a fuoco la figura di Sirius, seduto sul suo letto.
“Ti stavi lamentando,” si giustificò.
Remus sospirò, comprendendo finalmente che nessuno urlava, nessuno stava soffrendo, nessuno era morto per colpa sua. Sirius inclinò il viso di lato e strinse le labbra, “mangia,” sussurrò, tendendogli un pezzo di cioccolata con un sorriso.
Remus aggrottò la fronte e guardò stranito il curioso dono del suo amico. “Sirius, è notte fonda,” lo informò, perché evidentemente non era stato in grado di capirlo da solo, “e poi devi smetterla di mettere le mani nei miei cassetti.”
“Guarda che il cioccolato non si mangia solo perché è buono, fa anche bene!” scrollò le spalle e ridacchiò piano, cacciandosi in bocca il cioccolato che Remus aveva rifiutato e infilandosi le scarpe con un gesto fluido. Quando ebbe finito gli lanciò il mantello di James, colpendolo sulla spalla, “vieni o no?” domandò prima di scomparire oltre la cornice della porta.
Remus sospirò affranto, come se l’incursione di Sirius nel suo sogno fosse stata una vera seccatura. In realtà gli era grato per averlo strappato a quell’incubo e non avergli fatto domande.
Si passò una mano sul viso ancora provato, poi si decise a sfiorare il pavimento con i piedi. Si prese qualche secondo per abituarsi al buio e mettere a fuoco le sue scarpe, infine seguì Sirius sulla Torre di Astronomia. Proprio un attimo prima di richiudersi la porta del dormitorio alle spalle, però, si ricordò di avere qualcosa nel suo baule da portare con sé, quella sera.
 

“Interessante istinto suicida,” considerò Remus, liberandosi con un gesto del mantello dell’invisibilità e sedendosi sul loro angolo di Torre, accanto a Sirius. Lui lo guardò confuso. “Sei salito fin quassù senza questo,” si spiegò, alzando il mantello quel tanto che bastava per fargli capire a cosa si riferisse e riponendolo un attimo dopo tra di loro.
Sirius scrollò le spalle. Il Lago Nero brillava sotto la luce fievole di qualche stella. “Sono stato silenzioso.”
Remus rise, volgendo a sua volta lo sguardo al panorama. Lasciò penzolare le gambe oltre il bordo della torre e si appoggiò coi gomiti al parapetto. “Non dormivi?”
Sirius scosse la testa e Remus si limitò ad annuire.
“Ti ho…” iniziò poi, incespicando sulle parole e cercando di riordinare i pensieri. Il fatto che Sirius lo fissasse non lo aiutò granché. “Ti ho preso una cosa,” confessò, tastando l’oggetto che nascondeva dietro la schiena.
Incrociò il suo sguardo incuriosito per qualche secondo e ci fu un momento soltanto in cui si domandò perché diavolo avesse caldo alle guance… e se potessero sudare.
“È una sciocchezza,” si sentì in dovere di aggiungere, mentre gli porgeva un pacchetto sottile e quadrato, guardandosi le mani, ma sorridendo appena. “Insomma, sapevo che sarebbe stato un Natale difficile per te, con Regulus e… e tutto il resto, ecco, quindi ho pensato che questo ti avrebbe potuto aiutare in qualche modo.”
Sirius aggrottò la fronte e sorrise, prendendo tra le mani il regalo e guardandolo sempre più curioso.
Non aspettò un attimo di più, strappò la carta con un gesto secco, stringendo la lingua tra i denti in una maniera un po’ infantile.
Quando ebbe finito, aggrottò confuso le sopracciglia. Remus lo studiava adesso divertito, ogni traccia di imbarazzo svanita come neve al sole.
Sirius inclinò la testa su un lato e attese che la figura stampata sulla carta si muovesse, ma non accadde mai. L’immagine ritraeva un palazzo dai mattoni rossi, illuminato da lampade grandi dalla luce gialla. Delle automobili erano parcheggiate sul ciglio della strada e degli scatoloni impilati riposavano alla base dell’edificio. Un uomo biondo aveva appena varcato la soglia della grande porta verde del palazzo. Poco sopra la sua testa, un’insegna al neon riportava l’iscrizione ‘K. West’. “Non si muove,” notò semplicemente, ispezionando con le dita un lato della scatola che era tagliato.
“Già, non si muove,” convenne Remus, annuendo piano.
Sirius non ci mise molto a cavarne fuori due dischi neri di vinile. Il centro era colorato di un arancione pallido e portava delle iscrizioni che non riuscì a comprendere. Aggrottò ancora le sopracciglia e alzò lo sguardo su Remus. “Ehm…” iniziò, “è… fantastico!”
Remus alzò gli occhi al cielo.
“Bene, allora fammi vedere come si usa,” lo sfidò lui, accennando col capo in direzione del disco.
“Non ho idea di cosa sia,” ammise Sirius, che non ci mise poi molto a cedere.
Remus annuì. “I babbani ci mettono la musica sopra e lo ascoltano. So che forse non avrai modo di ascoltarlo subito, ma… credo davvero che potrebbe piacerti. Questo tizio è diventato subito abbastanza famoso,” spiegò, scrollando le spalle come se non avesse fatto niente di che, “è un po’... Fa quello che gli pare, non ha paura di andare controcorrente, sai…”
Sirius sorrise, improvvisamente incuriosito dallo strano signore che aveva composto delle canzoni misteriose che non poteva ascoltare. Si applicò per comprendere almeno una delle parole assurde che leggeva su quel disco, ma non capì altro che un nome. “David Bowie,” pronunciò.
Remus annuì ancora, ma Sirius lo ignorò, continuando a far scorrere gli occhi avidi sul vinile.
“Devo ascoltarlo,” annunciò, più a se stesso che a Remus.
“È bravo.”
Sirius alzò lo sguardo su di lui per qualche secondo. “Ti ho preso anch’io una cosa per Natale,” annunciò, spezzando lo strano contatto visivo e riponendo il disco nella custodia con una cura fuori dai suoi standard. Con un gesto veloce della bacchetta richiamò un pacchetto rettangolare e un po’ sgualcito, afferrandolo al volo. Lo ripulì ai lati e, con una scrollata di spalle, lo consegnò all’amico. “Una sciocchezza,” spiegò, ricalcando le parole che aveva usato Remus un attimo prima che lui aprisse il suo regalo.
Lui colse il riferimento e alzò gli occhi al cielo, scartando il pacco con cura e tirando fuori un libro sottile. Sorrise, riconoscendo il titolo.
“Lo conosci?” gli domandò Sirius, con un leggero cenno del capo e il solito sorriso sghembo.
Remus annuì. “Non l’ho letto, però.”
“Lo so.”
Remus aggrottò le sopracciglia, ma sorrise, non troppo sicuro di voler sapere perché lo sapesse. Ciò che lo sconvolse, però, fu quello che Sirius disse un attimo dopo.
“Io l’ho letto, però.”
“Tu hai letto ‘le notti bianche’.” Remus non lo domandò, ma lo affermò, come ad accertarsi che la frase suonasse sbagliata anche sulla sua lingua e non solo nella sua testa. “Di Dostoevskij,” continuò, perché semplicemente non aveva senso. “Tu hai letto un libro, prima di tutto?”
Sirius sbuffò. “Dovrebbe essere una di quelle cose pensanti che leggeresti tu, però non potevo regalartelo senza sapere se fosse carino.”
Remus alzò un sopracciglio e lo guardò come se gli fosse spuntata un’antenna aliena sulla fronte, ma Sirius scrollò le spalle e cavò dalla tasca del mantello una delle sigarette che aveva sottratto di nuovo a Marlene. La tenne tra i denti e la accese, mentre Remus continuava a guardarlo attonito.
“Fammi sapere com’è,” disse, semplicemente, tornando a guardare le stelle, ormai ben lontane da dov’erano quando si erano seduti proprio sul bordo della Torre di Astronomia.
Remus annuì colpito, seguendo il suo sguardo.
L’aria frizzante della notte si mischiava ormai a un nuovo odore di tabacco.
 
***
 
La notte di Halloween, 1981 
 
Peter aveva visto un futuro, in quello sguardo grigio. Aveva capito cosa avrebbe dovuto fare non appena si era voltato e aveva incrociato i suoi occhi. Non c’era altro modo, non c’era verso di uscirne. I seguaci del Signore Oscuro gli avrebbero già dato la colpa per la caduta improvvisa del loro Signore, non poteva stare anche dietro a Sirius.
In quell’istante lunghissimo in cui il suo migliore amico mosse la mano verso il mantello per duellare, Peter comprese tutto. Un istante in cui vide chiaramente il futuro, sì, ma quello di Sirius.
Non ce l’avrebbe mai fatta, lo conosceva troppo bene. Aveva il fegato di ucciderlo, ma non la fermezza per riuscirci. Erano gli occhi di un pazzo, quelli che aveva incontrato in quell’istante.
Sfruttò il vantaggio invisibile.
“Sirius Black!” gridò e vide la confusione prevista nello sguardo del ragazzo. Era perso, assolutamente spezzato, un cane bastonato. “Sirius Black ha tradito James e Lily Potter! È un assassino!” e, per la prima volta, fu uno sconfitto come Peter a provare pietà per un vincitore come Sirius.
Confringo,” sussurrò, mirando ai ciottoli sconnessi della strada. Una scossa si liberò dalla sua bacchetta. Non provò niente, quando anche altre persone, attorno a lui, furono travolte dall’esplosione. A stento le vide, mentre un’unica strada si affacciava alla sua mente. Agì prima che potesse ripensarci, d’istinto, come non era affatto abituato a fare, ma aveva già battuto Sirius, a quel punto era pronto a tutto.
Sfruttò la luce accecante dell’esplosione, le nubi di polvere che iniziarono a sprigionarsi dai detriti. Agitò secco la bacchetta e si amputò il dito indice. Urlò fortissimo, non riuscì a evitarlo, sperando che si confondesse tra le altre grida. Chiuse gli occhi, ignorò il sangue che pompava forsennatamente sull’orlo del suo dito e si concentrò sull’immagine di un topo.
Prima che potesse ripensarci, il suo corpo rispose.




 

 


Note di El: Ciao, ciaaaao, ho una buonissima notizia, ye! La cosa dei dieci giorni si sta rivelando miracolosa. Anche con un esame di mezzo riesco a mantenere sempre la stessa distanza di capitoli, questa cosa mi sconvolge, quindi non cantiamo vittoria per un fatto proprio di scaramanzia.
COMUNQUE, io credo che la questione della mela abbia qualcosa da cui prendere ispirazione, perché ce l'avevo scritta come se qualcuno mi avesse dato un'idea, boh. Secondo me c'è un vine. Sì, sono sempre più sicura, deve essere un vine, vabbé. Ah, che poi piccola parentesi su Dorcas e Marlene. A me piacciono un sacco insieme, nel senso che questi hint alla loro intesa sono quello che pensate, però non c'era proprio modo di rendere loro giustizia perchè NON C'HO SPAZIO, REGA, quindi se è possibile trovare un buco per non arronzare lo farò, però ecco non è prioritario. Per farmi perdonare giuro faccio cento giri dal via all'inferno e scrivo un capitolo per ogni giro solo per loro, sigh.
Allora, per la questione REGALI DI NATALE!
David Bowie, i Queen e Sirius sono il pane degli headcanon, quindi anche se è scontato ve lo beccate perché per me non c'è proprio da discutere. Ho tenuto praticamente una conferenza di 7 minuti di audio sul perché questa cosa abbia più senso che non, quindi in attesa che esca il trattato fidatevi. Vabbè, ovviamente scherzo, ma il problema per ora è ascoltarlo. Ah, per chi non l'avesse riconosciuto l'album è quello di Ziggy Stardust, che è uscito nel 1972. Mentre invece le notti bianche inizia ad avere il suo senso, adesso capite perché l'ho letto in rush ;) Per la scelta del libro crediti a Ran che alla domanda "che può voler leggere Remus?" mi ha risposto "qualcosa di russo, quel genere là" e il titolo poteva rimandare al bianco della luna e non solo al fatto di restare svegli. Da qui la scelta.
Chiedo scusa a David Bowie e Dostoevskij che si staranno rivoltando nelle tombe.
Questo è tutto, mi scuso per la scontatezza sull'affinità tra Sirius e Lily ma questo ci passa il governo.
Le note lunghe sono finite e niente signori, grazie mille per aver letto e per essere ancora qui dopo tutti questi capitoli <3
A presto!
Adieu,

El.

   
 
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