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Autore: BabaYagaIsBack    17/09/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter Thirty-three
§ Can you hear the ice cracking? §
(part one)

 

"I don't even know myself at all
I thought I would be happy but now
The more I try to push it I realize gonna let go of control
Gonna let it happen, gonna let it happen,
Gonna let it happen, just let it happen
It's just a spark but it's enough to keep me going
And when it's dark out and no one's around it keeps glowing
Every night I try my best to dream tomorrow makes it better
And wake up to the cold reality and not a thing is changed
But it would be happen, gonna let it happen
Gonna let it happen, gonna let it happen"

 

- Last Hope, Paramore


 

Esattamente nove mesi fa, pensando a questo giorno, ciò che immaginavo era ben diverso da come è. Nelle mie fantasie c'erano Jace e Seth, certo, ma anche Charlie - e saremmo stati tutti e quattro insieme, seduti a un medesimo tavolo a bere birra, strillare, programmare il viaggio, quello che chiunque si meriterebbe alla dignitosa conclusione di cinque anni di tortura. Avremmo riso, scherzato, ci saremmo imbucati a qualche concerto sconosciuto e avremmo aspettato l'alba in un angolo verde di Londra, sdraiati su panchine, erba umida di rugiada o una coperta di fortuna. Mi sarei accoccolata a mio fratello come un gatto ruffiano, stringendomi a lui senza dovermi preoccupare di quale reazione Morgenstern avrebbe potuto avere; peccato che nulla di tutto questo sia possibile oggi.
Mentre sul portico di casa osservo il punteggio ottenuto, ben superiore a quello che mi sarei aspettata, una stretta allo stomaco mi coglie di sorpresa. Al pensiero di dover festeggiare la libertà faticosamente guadagnata mi sento sopperire. Le lacrime bruciano gli occhi, minacciano la gioia che sarebbe corretto provare e che mi ha invasa all'inizio, quando ho aperto la busta della Saint Jeremy e vi ho letto di sfuggita un "Congratulazioni, Signorina Jane Jaqueline Raven, lei è stata promossa con il punteggio di..." - bene, ora però c'è solo ansia.

Stringo la lettera e mi chiedo che fare, perché non voglio rinunciare a nessuno stasera, anche se amaramente, terribilmente contro il mio potere, non posso avere Charlie al mio fianco.

Mi bagno le labbra, poi le mordo. Infilo gli incisivi nella carne e mi arrovello su come comportarmi ora, come gestire questa situazione di astio tra il mio ragazzo e quello che dovrebbe essere il suo migliore amico, o più precisamente mio fratello. Sono quasi certa che nel momento in cui proporrò ai due un incontro, entrambi inizieranno a grugnire, lamentarsi, ringhiare e darsi contro. Si rinfacceranno le cose peggiori - tra cui l'incapacità di Seth di tenerselo nei pantaloni e quella di Jace di restare fuori dalle questioni che non lo riguardano direttamente. E poi, ovviamente, il mio coinvolgimento in tutto questo, il modo in cui subdolamente Morgenstern si sia approfittato di me, della cotta che ho per lui, dell'ingenuità che mi caratterizza e degli ormoni che a diciotto anni scoppiettano nelle aree lombari del corpo. Finirebbe male, anzi, alla fine non ci arriveremmo nemmeno - con grande probabilità il disastro prenderebbe forma direttamente all'inizio.

«Allora?»
Come richiamato dalle ansie che mi si stanno ammassando nella testa, Jace si palesa dietro di me, arrivando ad appoggiare il proprio petto sulla mia schiena e posandomi il mento tra i capelli, in modo da sbirciare ciò che tengo tra le mani.
Le sue braccia mi cingono, provano a darmi affetto - peccato che il cuore mi si sia bloccato in gola e non riesca a dire nulla, nemmeno mezza sillaba.

Sento il suo corpo allungarsi, il pomo d'adamo sfiorarmi la nuca per qualche secondo in un chiaro tentativo di vedere meglio, poi tutto finisce. Mio fratello si stacca, mi afferra per le spalle costringendomi a girarmi e scoprire così l'enorme sorriso che gli riempie il viso: una mezzaluna d'avorio che riesce a riempirgli di stelle e luci persino lo sguardo.
«E' fatta!» Grida: «Porca miseria, Jay! Ci sei riuscita!» E a sentirlo, il mio stato di ansia si attenua un poco per lasciar spazio alla sorpresa: anche lui dubitava della mia promozione? Davvero?

Forse tentando di soffocarmi, Jace mi stringe in un abbraccio, continuando però a esultare per l'inaspettato successo della sua sorellina - e tra un commento gioioso e l'altro finisce con l'attirare l'attenzione di mamma, al telefono con il marito, e Liz.

Catherine attraversa la soglia di casa con gli occhi grandi di stupore, la bocca socchiusa - pare star assistendo a un miracolo -, mentre mia sorella balza su di me inneggiando una sorta di coro da stadio; forse i suoi tentativi di imparare l'argomento per poterne conversare con papà e Jace le sono un po' sfuggiti di mano...

Tutta la famiglia inizia a saltellare, ridere, ringraziare fato e divinità di ogni tipo per avermi benedetta durante questa mia ultima sfida scolastica e, per un po', riescono persino a farmi scordare i problemi che mi hanno assillata fino a poco fa - una pace che, sfortunatamente però, solo qualche ora dopo sono io stessa a infrangere.

Seduti al tavolo della cucina, con Liz occupata ad ascoltare qualche podcast sconosciuto e mamma presa a riordinare il salotto, Jace ed io cerchiamo di concludere una partita a scacchi iniziata solo per alleggerire la mia tensione. I nostri sguardi si incrociano esclusivamente quando uno termina il turno e l'altro lo inizia, ma per il resto ci stringiamo in un rigoroso silenzio, inframmezzato di tanto in tanto da qualche commento di nostra sorella o imprecazione di Catherine.
I festeggiamenti hanno velocemente lasciato il posto alla solita routine e, con il ritorno alla normalità, anche la mia agitazione ha deciso di fare ancora una volta la sua comparsa, facendomi muovere l'Alfiere nel modo sbagliato.

«Ahia! Mossa suicida» gongola mio fratello afferrando il Cavallo e saltellando per i tre quadrati che lo separano dalla mia pedina. La butta giù: «Di questo passo ti batterò in quattro turni».

Non lo nego, dopotutto la mia mente è ovunque fuorché sulla scacchiera.

«Ed escludendo l'umiliarmi, che altri programmi hai?» Mi mordo la lingua, poi afferro la testa di un pedone per poter distogliere lo sguardo dal viso divertito di lui.
«Beh, questa è un'attività assai coinvolgente, non so se ho tempo per fare altro... perché?»
Lo stomaco mi si torce, lo sento far le capriole nella pancia. Per un attimo avverto il retrogusto acido del vomito pizzicarmi la lingua, ma non riesco a capire se sia un'allucinazione o la realtà.

«Perché io... beh, insomma... vorrei festeggiare la promozione, stasera».

Silenzio.
Deglutisco un po' a fatica, continuando però a fingermi concentrata sulla strategia di gioco.

«Uhm...»
Involontariamente la mano viene scossa da un tremore leggero, una scossa che per poco non mi fa perdere la presa. E spero che lui non l'abbia notato.
«Qualcosa di semplice, niente di che...»
«Ma immagino non saremmo soli» appunta monotono, facendo accelerare il battito del mio cuore - a differenza sua, io mi faccio soggiogare dall'agitazione.
Ancora una volta mi ritrovo a mordermi la lingua, a punirla prima ancora che possa dire quel che più di tutto mi preoccupa: «No, infatti» muovo il pedone, avvicinandolo pericolosamente alla Regina: «ci saranno Caroline e Misha, le mie amiche di cui ti ho parlato e -» 
Mi precede.
«Seth».

Già.

Imbarazzata alzo lo sguardo, incrociando il suo.
Nuovamente il silenzio cala fra di noi - solo, fra di noi, visto che Elizabeth si fa sfuggire un entusiastico "Finalmente una buona notizia!" che peggiora il mio attuale stato d'ansia.

Per qualche istante Jace ed io ci fissiamo senza dire nulla, entrambi seri mentre le mie interiora si mettono a giocare a Twist a livelli agonistici, poi mi decido a parlare, anche se a fatica. Ed è un po' come quando ci si deve togliere la striscia depilatoria: sappiamo che farà male, che sarà impossibile non auto-insultarci per aver scelto di compiere un atto tanto masochista, eppure siamo disposte a sacrificarci per il vellutato risultato.
Quindi ecco che mi assumo la responsabilità delle mie decisioni.

«Sì, anche lui».

Mio fratello tace, mi scruta. I suoi occhi indagano i miei, scorgono la tensione nell'espressione, capiscono la difficoltà di cui sono succube. Lo vedo soppesare la contrazione della mia mascella, il tremore delle labbra. Nelle sue pupille scorgo una nuvola cupa, un pensiero che non comprendo - e portandomi le mani tra le cosce inizio a torturarmi le dita.

Cosa c'è nella sua testa? 
Vorrei saperlo.
Cosa starà pensando?
Mi auguro non un modo per attaccare briga con Morgenstern.

L'agitazione si fa nauseante, la sfogo con sempre maggior intensità sulle labbra e le mani, eppure non mi basta, non riesco a calmarmi - così apro bocca.

«I-io so che tra di voi... beh, so che la questione di Charlie... sì, ecco... non è ancora risolta».

Jace sembra sussultare, mi pare faccia un balzo lieve sulla sedia, ma non riesco a dirlo con certezza e la sua smorfia non conferma né smentisce la mia supposizione. Lo vedo raddrizzarsi, scrutarmi con ancor più attenzione - quasi stesse cercando qualcosa - poi però si riscuote. Si passa una mano tra i capelli, li tira indietro negandomi in parte la visuale sul suo viso; infine sbuffa.

«Le cose tra noi non sono tornate alla normalità».
Annuisco mestamente: «Ne sono consapevole».
«Però ci vuoi insieme, seduti allo stesso tavolo, a fingere che tutto vada bene» finalmente sposta il braccio, ma ancora non mi guarda: i suoi occhi sono fissi sulla scacchiera.
«Mi piacerebbe, sì» sento un'unghia infilarsi nella carne sopra alla falange del medio: «dopotutto siete due delle persone più importanti che ho».

Intreccia le braccia al petto: «Avresti chiesto anche a Charlie di venire?»
Il battito del mio cuore aumenta ancora, è così veloce che si va a incastrare in gola. La sua domanda mi pare così sciocca, eppure, nel soffermarmi qualche istante prima di rispondergli, mi rendo conto non esserlo. Avrei supplicato anche lui di presenziare? Sarei stata così egoista da ignorare i suoi sentimenti e costringerlo a sedersi accanto o di fronte al ragazzo che gli ha fatto un torto? Mi sarei permessa di chiedergli d'ignorare per qualche ora il fatto che Seth si sia portato a letto la ragazza che gli piaceva?

A quanto pare sì. Non gli avrei permesso di sgattaiolare via come la sera del mio compleanno, l'avrei pregato - aiutando Morgenstern a spingere sull'elsa del pugnale che gli ha conficcato nel fianco.

«Non è meno importante di te o Seth» affermo poi, conscia di quanto sia fastidiosa questa mia dichiarazione. 
Perché negare l'ovvietà? Perché dovrei fingere di non essere l'egoista che mi sono rivelata in questo ultimo anno?

La pelle del dito inizia a bruciare, forse mi sono tagliata.

Jace si bagna il labbro inferiore, lo afferra con gli incisivi e lo trattiene appena, come capita fare anche a me. Soppesa le mie parole e i suoi pensieri, li poggia sui due piatti della bilancia e ne confronta il divario. Chissà quale pesa di più. Chissà quanto valore gli darà.

Cerca nella propria mente la controproposta, la formula migliore con cui rivolgersi all'interlocutore - peccato che alla fine ci rinunci, alzandosi con un colpo di reni: «Non so» dice.
Non sa, ripeto io mestamente tra una lacrima cacciata giù per la gola e un'imprecazione bloccata dietro i denti.

Vuol dire no, giusto? I miei occhi lo cercano, si impigliano tra le pieghe della sua espressione, eppure non vi trovano nulla - invece lui, se dovesse guardarmi in viso, vedrebbe qualsiasi cosa: delusione, amarezza, rabbia.


 
   
 
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