Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
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Autore: KatWhite    17/09/2020    2 recensioni
Elizabeth era sì rossa in viso e col respiro affannato, ma le sue labbra erano ancora schiuse ed umide, i suoi occhi gonfi e sicuri, determinati. Non c’era nemmeno una briciola di esitazione in lei, ed infatti, con enorme sgomento di Meliodas, questa volta fu lei a baciarlo posando delicatamente una mano sulla sua guancia.
Meliodas si aggrappò a lei come se la propria vita dipendesse da quel bacio: si fece largo tra le sue braccia e intrecciò le proprie dita con le sue, stringendola a sé per non lasciarla andare mai più. La sua lingua si insinuò piano nella bocca di lei, la quale acconsentì tacitamente sorridendogli a fior di labbra, mentre entrambi, scarlatti in volto, approfondirono il bacio.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Liones, Meliodas
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Don't get too close, it's dark inside

Meliodas calciò il terreno con fare svogliato, mentre pochi istanti dopo alzava gli occhi all’insù sperando di vedere il sole, le nuvole, il cielo, ma tutto ciò che le sue iridi color pece gli restituirono furono sfumature rocciose nere mischiate al vermiglio di fuoco e sangue dell’Inferno.
Elizabeth gli aveva dato un motivo per vivere in un mondo diverso da quello a cui era abituato; Elizabeth gli aveva dato uno scopo per continuare a lottare. Elizabeth era presto diventata il suo centro gravitazionale, e non sarebbe stato in grado di staccarsi dalla sua orbita nemmeno se ci avesse provato con tutte le sue forze. Eppure ci stava provando: era da più di due settimane che non si presentava ai loro appuntamenti, senza aver dato nessuna spiegazione alla ragazza.
Al solo pensarci abbassò lo sguardo strizzando gli occhi e chiudendo la mano in un pugno dalla rabbia.
Temeva il giorno in cui suo padre avrebbe scoperto il loro amore, perché sapeva che era inevitabile e che era vicino. Ma non era questa la sua paura più grande.
Pensava che Elizabeth fosse il suo balsamo contro le ferite, ma si rivelò essere anche il suo veleno più mortale: era sì vero che era disinibito quando era con lei, ma allo stesso tempo sentiva di non riuscire completamente a controllare la sua natura demoniaca, il suo istinto oscuro che era sempre lì, latente e famelico, e che sarebbe arrivato a divorarla spegnendo la sua luce per sempre. Era questo ciò che lo terrorizzava a morte: che la sua oscurità fosse più grande del suo amore per lei. E non si sarebbe mai perdonato se le fosse accaduto qualcosa per colpa sua.
“Ma chi voglio prendere in giro” si disse Meliodas sorridendo amareggiato. “Sono un demone, potrei farle solo del male” si maledisse con tono duro mentre le mani sanguinavano dalla forza con cui conficcò le unghie nella carne.
Una voce dolce e melodiosa pronunciò il suo nome a gran voce, in un misto di urgenza, preoccupazione e dolore. Meliodas spalancò gli occhi incredulo e terrorizzato, tutto il corpo prese a tremare quando constatò con orrore che la minuta figura angelica camminava piano frustando la chioma argentea a destra e a sinistra alla disperata ricerca del ragazzo innanzi alle porte del Purgatorio.
“Stupida, stupida, stupida!” la maledisse mentalmente sbattendo i pugni contro la parete più vicina digrignando i denti. Avrebbe dovuto sapere che Elizabeth non si sarebbe arresa così facilmente, che sarebbe addirittura arrivata a rischiare la sua vita per ritrovarlo.
“Vattene, ti prego” la implorò poi, temendo non solo per la sua vita, ma non sapendo quanto sarebbe riuscito a resistere nel raggiungerla e fare sue quelle labbra così tristi.
Passarono ancora uno, due minuti e infine Meliodas si decise a varcare le porte del Purgatorio con lo sguardo più adirato e feroce che riuscì a fingere. Incontrò gli occhi di lei ed ebbe paura di sciogliersi in quel momento, perciò agì in fretta: spalancò le enormi ali nere come l’inchiostro e volò rapido come un rapace nella sua direzione, agguantandola infine come una preda. Elizabeth inizialmente gli imprecò contro chiedendogli cosa stesse facendo, ma lui la zittì con un gesto seccato. Non poteva mostrarsi debole ed innamorato, doveva pretendere di odiarla con tutto se stesso e che la sua sola presenza lo disgustasse. Non sapeva se ne sarebbe stato in grado…
Volarono per poche miglia, sistemandosi in una foresta nelle vicinanze e nascondendosi sotto le fronde di un albero. Meliodas la fece scendere delicatamente, e quando i piedi di Elizabeth toccarono terra, si girò nella direzione del ragazzo con gli occhi che lampeggiavano di ira ed incredulità; ma non solo: le sue iridi erano una tempesta che minacciava pioggia, e sapeva che si sarebbe gettato nelle fiamme dell’Inferno di buona lena non appena le lacrime avrebbero preso a sgorgarle silenziose sulle guance.
«Non saresti dovuta venire» esclamò con voce dura e possente, fissandole il volto ma senza guardarla negli occhi e tenendosi ad una debita distanza di sicurezza.
Fece per rialzarsi in cielo e allontanarsi il prima possibile, ma Elizabeth lo afferrò lesta per una spalla, la mano scossa da mille spasimi. «Non pensi che meriti almeno una spiegazione?» strepitò a metà tra rancore e lacrime. Meliodas, che dava le spalle alla ragazza, si voltò nella sua direzione, e questa volta guardò per davvero gli occhi della Dea e, come temeva, non riuscì a dirle di no.
Sospirò e scese a terra con sguardo basso e pregando un qualunque dio di dargli la forza per spezzarle il cuore definitamente. “Lo stai facendo per lei”, “Non potresti mai renderla felice”, “Le faresti solo del male” e altre frasi del genere continuavano a rimbombargli nella testa come un mantra, ogni parola era una stoccata dritta al cuore che lo aveva ucciso almeno un migliaio di volte.
Alzò le sopracciglia guardandola scettico: «Non c’è molto da spiegare, pensavo ci saresti arrivata da sola, ma a quanto pare non posso aspettarmi troppo da una come te» sputò ogni parola come se fosse intrisa di veleno. Si sorprese di saper mentire così bene a comando, ma forse dopo mille anni ci aveva fatto l’abitudine. Era stato sciocco a pensare che le cose potessero cambiare grazie ad un sentimento tanto banale e scontato come l’amore.
Il corpo di Elizabeth si irrigidì, ma le mani e le spalle presero a tremare più forte. Lo vide, lo seppe, stava per piangere, e doveva andarsene prima che succedesse, altrimenti…
«Non ho mai provato nulla per te» disse mordendosi impercettibilmente un labbro, e sentì l’aria, il tempo fermarsi; o meglio, i propri polmoni smisero di respirare per secondi che parvero anni. «L’ho fatto perché volevo ucciderti, ma volevo prima giocare un po’ con te» concluse esibendo un ghigno malefico e divertito a trentadue denti.
Appena concluse la frase, innalzò nuovamente le ali al cielo pianificando di andarsene prima che i singhiozzi soffocati di Elizabeth diventassero insopportabili, prima che il bisogno di stringerla a sé, di baciarla, di rassicurarla, di amarla, vincesse contro il bisogno di proteggerla dalla parte più oscura di sé.
Ma ecco che la voce della ragazza arrivò, debole e sottile come uno filo di raso che si attorcigliò piano al cuore di Meliodas e lo strinse sempre più forte fino a tagliarlo, a farlo sanguinare: «Uccidimi allora».
Una semplice richiesta, e pure sensata dal suo punto di vista, no?
Elizabeth sorrise amareggiata, arresa. Il rifiuto di Meliodas le aveva fatto più male di quanto potesse mai immaginare e le aveva fatto passare completamente la voglia di combattere, di vivere. Tanto valeva fargli esaudire i suoi desideri.
«Io…» tentò di articolare Meliodas, ma fallì dopo la prima parola riscoprendosi senza fiato. Si rese conto solo in quel momento che ogni muscolo del suo corpo era teso come una corda di violino. Provò a regolarizzare il respiro e ci riprovò: «No» fu tutto ciò che gli riuscì di dire.
Elizabeth gli si avvicinò pericolosamente, facendogli un cenno del capo come per facilitargli il compito. Non capiva che così rendeva solo tutto più difficile e straziante per il cuore di Meliodas che stava venendo dilaniato da ogni parte.
«Ho paura» sussurrò con voce talmente sommessa che Meliodas stesso quasi non riuscì a sentirsi. Sentì ogni fibra del suo corpo spezzarsi e frantumarsi, oramai era allo stremo e si abbandonò completamente alle proprie emozioni. Gli occhi si spensero del nero e si tinsero di verde intenso, si lasciò cadere a terra sulle ginocchia e guardò il terreno affranto, senza alcuna speranza. Il nero d’inchiostro incastonato nelle sue iridi, che spaventavano le creature più coraggiose, nascondevano oceani di tristezza smeraldina sotto di essi.
«Ho una paura atroce di non riuscire a proteggerti dal male che io stesso potrei causarti, e che sicuramente ti causerò» ammise con le mani, le gambe, gli occhi che tremavano, non trovando il coraggio di guardarla. «Sono un demone, è nella mia natura. In me c’è un’oscurità che ho paura di non riuscire a controllare e se ti succedesse qualcosa non riuscirei mai a perdonarmelo» rivelò alzando di poco il volto, gli occhi leggermente inumiditi agli angoli e un sorriso forzato.
«Perché ti amo troppo e-» non riuscì a concludere la frase che sentì le labbra umide di Elizabeth premere sulle proprie. Gli parve di provare quella sensazione calda e accogliente di un viaggiatore che ritorna a casa dopo un peregrinare freddo durato anni. Il suo corpo reagì d’istinto, aumentò il battito cardiaco all’improvviso e allungò le mani per stringerla a sé, ma un lampo di raziocinio gli scoppiò nel cervello e trovò le forze per staccarsi da lei tutto d’un tratto.
La prese per le spalle in una morsa ferrea, quasi stritolante, provocandole un principio di dolore e la fissò intensamente negli occhi. Lei era lì, immobile e trepidante, prigioniera tra le sue braccia, che lo guardava con occhi confidenti senza mettergli pressione e che aspettava solamente un suo segnale. Lui la tratteneva, così che non scappasse, così che non potesse sfuggirgli. Era stupido e lo sapeva, ma aveva timore, doveva averne il più completo controllo, probabilmente perché non riusciva a controllare se stesso prima di tutto.
Un brivido gli percorse la schiena come ogni volta che si perdeva in quel cielo più profondo e blu del mare, e boccheggiò respirando a fatica, lottando contro la voglia di riprendere quanto interrotto. Ma sapeva che, per quanto lottasse, era una battaglia persa in partenza, oramai lo aveva capito.
Arresosi così all’evidenza, Meliodas baciò Elizabeth con violenza, bramosia, passione, sempre tenendola ben salda per le spalle. Era un bacio molto diverso dai precedenti, i quali erano molto più casti. Il Demone cercò di imprimere in questo gesto tutte le emozioni che si scontravano in lui: disperazione, amore, sconforto, disillusione, terrore, affetto, frustrazione, lussuria.
La sua mente si era completamente spenta, era sparito qualunque tipo di pensiero, bello o brutto che fosse; oramai sentiva solamente i propri neuroni impazziti esplodere ogni volta che la sua lingua si intrecciava con quella di Elizabeth. Si aggrappò a lei annullando la distanza tra i loro corpi come un riparo per naufrago in una tempesta, come acqua per un assetato nel deserto, e lei lo accolse volentieri, ricambiando con altrettanta cupidigia e desiderio.
Meliodas liberò le spalle di Elizabeth e portò le mani tra i suoi capelli lucenti, stringendo tra le mani più ciocche che poté assaporandone il piacevole tocco delicato e setoso al tatto, e il profumo dolce di lavanda. Sospinse Elizabeth a terra, le farfalle esplosero negli stomaci di entrambi facendoglieli contorcere, i loro timpani fischiarono senza freno, il cuore di ambedue fu presto sciolto dal calore dei loro corpi, che si elevarono in cielo assieme alla quintessenza delle loro anime, uniti per sempre sotto le stelle.

Meliodas sorrise, perché poté vantarsi di essere stato in paradiso senza nemmeno mai averci messo piede. Ne uscì sconfitto capendo che non poteva battere in alcun modo i suoi sentimenti per Elizabeth e i sentimenti di Elizabeth per lui. L’unica soluzione era accoglierli e lasciarsi avvolgere da essi, e solo allora sarebbe stato in pace come lo era esattamente in quel momento, con lei nuda distesa accanto al suo corpo che dormiva beatamente con le guance deliziosamente rosse. Sembrava una bambolina, la più bella ed incantevole di tutte, e gli venne voglia di farla ancora più sua di quanto già non fosse: avvolse un braccio attorno ai suoi seni e la attirò ancora di più a sé cingendola tra le braccia, prendendo a passare le mani tra i suoi capelli serici ed argentei, esaminando ciocca per ciocca.
Elizabeth mugugnò sorridendo per le coccole ricevute e Meliodas ricambiò il sorriso sentendosi a casa: Elizabeth era la sua casa.
Un fruscio fece scattare sull’attenti Meliodas, il quale aprì gli occhi di scatto, sgranati e feroci. Nascose dietro il suo corpo Elizabeth e si concentrò meglio nella direzione del rumore.
«Elizabeth» la chiamò con urgenza, ma con una nota di indulgenza che solo la ragazza riuscì a cogliere. «Vestiti veloce rimanendo nascosta, non siamo soli» disse solo, ed Elizabeth non fece nemmeno in tempo a sbattere le ciglia che già Meliodas era sparito.
Il Demone spiegò le ali in direzione del vento tentando di guadagnare più velocità possibile. Così facendo, nel giro di pochi secondi si trovò innanzi al Comandamento del Riposo, Aranak. Lo guardò sospettoso inarcando un sopracciglio: «Aranak» lo salutò facendogli un cenno del capo. «Come mai da queste parti?» continuò, cercando di apparire il più naturale possibile.
Aranak sorrise malignamente. «Principe Meliodas». Aranak si leccò le labbra ghignando, il sorriso che si arcuò da un orecchio all’altro. «Considerereste tradimento un vostro superiore in alta carica che si scopa la Principessa delle Dee?»
Meliodas ringhiò e gli si scagliò contro, reagendo d’istinto alla provocazione del demone. Lo afferrò per la collottola con le orecchie che gli fischiavano dalla rabbia, gli occhi iniettati di veleno, e non ci mise molto ad ucciderlo spezzandogli letteralmente il collo in due parti.
“È stato troppo facile” rifletté dubbioso Meliodas, dopo essersi ricomposto recuperando fiato con grandi boccate d’aria. “Forse sapeva di essere spacciato, d’altronde sono il Comandamento più forte di tutti e il Principe dei Demoni. Ma perché esporsi così?”. Non riusciva a spiegarselo.
Un lampo gli passò come un dardo per la mente, un pensiero che gli bloccò interamente il corpo, i polmoni, il cuore. “Se intendeva letteralmente… Non era solo. E ciò significava che l’altro era… Elizabeth!!”.
Cercò di volare ancora più veloce di prima, mentre la sua mente gli mostrava crudelmente come tanti flashback tutti i momenti felici trascorsi assieme alla sua amata. Dietro di essi, si insinuava come una serpe pronta ad attaccare col più letale dei veleni la terribile paura di perderla, che era tornata a tormentarlo come se avesse degli aghi incandescenti che continuavano a trafiggergli il cuore.
La stoccata finale arrivò quando alla fine della carrellata di ricordi, gli si parò davanti l’immagine del corpo esanime e bianchissimo di Elizabeth stesa a terra, gli occhi vitrei e spenti che guardavano in alto, un rivolo di sangue che scendeva dalla bocca e una ferita che la trapassava da parte a parte nel petto. Il suo fragile corpicino stava venendo trafitto da suo padre, che sorrideva maleficamente sfidandolo mentre sfilava lentamente le lame dalle carni di Elizabeth per poi leccarle del suo sangue.
Il corpo di Meliodas non rispose più e la chiamò a squarciagola, la voce incrinata, ogni lettera ricolma di terrore: «ELIZABETH!». Ogni fibra del suo fisico bruciava, dalla stanchezza, dall’agonia, dall’incubo, dall’orrore, e per ogni metro che percorreva, una fitta lancinante gli trapassava i muscoli implorandolo di fermarsi. Ma Meliodas non si fermò mai, fino a quando non si ritrovò davanti una Elizabeth boccheggiante e allo stremo delle forze che stava lottando contro Zeno, il Comandamento della Pazienza.
«Elizabeth, sono qui!» si annunciò e si affiancò a lei prendendola per mano. Bastò questo piccolo e fugace tocco a far ritornare le energie in Meliodas. Ora sarebbe morto volentieri per proteggerla, affrontando la morte serenamente. «Fuggi, non c’è bisogno che rimanga, posso farcela» mentì rassicurandola con voce soave mentre con il pollice le accarezzava dolcemente il dorso della mano.
Zeno li osservava divertito. «Ma come ti sei ridotto, Principe dei Demoni?» domandò scoppiando poi in una risata sguaiata, crudele. «Avanti, lascia che uccida quel cancro che ti ha deviato dalla retta via e facciamola finita» espose per poi sferrare un attacco diretto contro la Dea. Meliodas si interpose e prese il colpo per lei, finendo sbalzato di qualche metro.
Elizabeth fissava terrorizzata il Comandamento avanzare lentamente verso di lei, così come un predatore pregusta l’assaporarsi della cattura della preda. Sapeva che se gli avesse dato le spalle per correre da Meliodas e curarlo, non sarebbe nemmeno riuscita a fare un passo prima di venire trafitta. Poteva solamente resistere.
«Meliodas, stai bene?» lo chiamò a gran voce per assicurarsi che fosse cosciente. Elizabeth non fece in tempo a concludere la domanda che Meliodas fece un balzo e si ritrovò al suo fianco, per sferrare un pugno a sorpresa contro Zeno, che venne scaraventato lontano dai due.
I due erano visibilmente sorpresi della riserva di energie del ragazzo, ma poi capirono che il motivo era da ricondursi all’affetto infinito che Meliodas provava per Elizabeth: nel momento in cui essa sarebbe stata in pericolo, non gli sarebbe importato di quante volte potesse venire colpito, di quante ferite stessero sanguinando, di quanto fossero spezzate le sue ossa, sarebbe sempre stato lì per lei, pronto a proteggerla. Elizabeth gli prese le mani nelle proprie e presero a brillare, e recitò un incantesimo nel quale donava le proprie forze al ragazzo. «Lo so che non è molto, ma è tutto ciò che posso fare ora» si scusò afflitta, ma Meliodas le alzò il mento e le sorrise sincero, innamorato.
«Non preoccuparti» la tranquillizzò accarezzandole il volto per poi portarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Tornerò sicuramente da te, te lo prometto» e detto questo, si alzò nel cielo e volò nella direzione di Zeno, deciso a mettere la parola “fine” alla vicenda.

Meliodas volava basso con i vestiti a brandelli, il corpo nero e zuppo di sangue, le gambe spezzate, le orecchie che fischiavano e gli occhi stanchi, che minacciavano di chiudersi. Ma non poteva concedersi questo lusso, doveva resistere e rimanere sveglio fino a quando non l’avesse ritrovata. D’altronde, glielo aveva promesso. Vide in lontananza la sua chioma argentea scossa dal vento correre nella sua direzione. I suoi occhi erano colmi di preoccupazione ma anche di sollievo, e Meliodas sorrise nel vedere che ce l’aveva fatta, era riuscito a proteggerla.
Chiuse gli occhi per quello che gli parve un secondo, e quando li riaprì vide il viso angelico di Elizabeth chino sopra di lui. Vedeva solamente le sue dolci labbra che si aprivano e si chiudevano, ma non sentiva il suono che vi usciva da esse.
Probabilmente lo stavano chiamando. Sbatté per qualche volta le palpebre, poi tutto divenne buio e cadde preda di Morfeo.

Quando si svegliò, Meliodas si trovava sotto le coperte di un letto. Elizabeth era seduta accanto a lui e lo abbracciò stringendolo a sé singhiozzando non appena recuperò coscienza.
«Meliodas» lo chiamò supplichevole in mezzo ai singhiozzi. «Temevo di averti perso per sempre, temevo che…» non riuscì a concludere la frase poiché venne presa da un attacco di pianto.
«Shhh» la zittì dolcemente accarezzandole il capo, tentando di trasmetterle tutta la propria contentezza nel vederla. Si sorprendeva ogni volta di quanta dolcezza e affettuosità fosse in grado di donarle. Ma sicuramente il merito era solo suo, della sua Elizabeth, che riusciva a tirare fuori il meglio di lui. «Te l’ho detto che sarei tornato, no?» le chiese in tono scherzoso e affabile facendole l’occhiolino. Elizabeth rise tra le lacrime, e ciò bastò a tranquillizzarla.
Meliodas tornò improvvisamente serio, e la cercò con lo sguardo mentre le stringeva e accarezzava le mani. «Ora lo sanno» iniziò e un brivido gli percorse la schiena, temendo di continuare. «Le menti dei Comandamenti sono collegate, se decidono di condividere un pensiero, tutti lo sapranno» spiegò anticipando la domanda di Elizabeth, che lo guardava confusa. «Sanno che siamo amanti».
Calò il silenzio da entrambe le parti, non sapendo come reagire. Non avevano mai discusso della possibilità perché, per quanto reale fosse, discuterne spaventava troppo tutti e due dato che avrebbe significato porre fine ai loro incontri e alla loro relazione.
Poi Meliodas raccolse coraggio e con la voce più candida e calorosa glielo chiese: «Fuggiamo insieme?» 
 


KitKat says- author's corner
Here I am (What you did? Look at me, life in jail no aspè, citazione sbagliata). Questo è il capitolo più lungo che abbia scritto e il mio prima fiction lime pubblicata, quindi let’s celebrate yeee or not.
Questo capitolo originariamente non avrebbe dovuto esserci, ma è nato ascoltando Demons e rivedendo Nanatsu, in cui mi sono accorta solamente ora che nella seconda stagione parlavano di Meliodas che aveva ucciso due Comandamenti che sarebbero poi stati sostituiti da Drole e Gloxinia, particolare che avevo completamente rimosso. Quindi ho unito le due cose e…
Ho volutamente saltato le scene di combattimento in quanto a) non avevo voglia di scriverle; b) sono una pippa nel farlo perché non ho fantasia.
Dopo questo capitolo ce ne sarà ancora uno, e così questa sarà anche la fiction più lunga che abbia mai scritto. Perciò complimenti a me per la costanza che pensavo di non avere lol. Però la storia fa schifo uguale (:
Btw vi saluto, dato che tra pochi giorni la mia migliore amica fa gli anni e avrei voluto scriverle qualcosa. E ovviamente, non ho ancora abbozzato niente. Vi ho mai parlato della mia capacità di rispettare gli impegni?

Baci stellari,
Kat
  
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